L’anno
scorso Sir Antonio Pappano ha diretto la musica per l’incoronazione di re
Carlo, nel 1969 era un ragazzino di dieci anni che accompagnava al pianoforte
gli allievi della scuola di canto di suo padre, a Londra. A 65 anni la “vita in
musica” del figlio di immigrati giovani poveri dal Sannio, musicista autodidatta,
è piena di fascino, ben raccontato.
Le
memorie partono, con molta intensità, dalla madre e dal padre, giovani in vario
modo fuggiti di casa a Londra ai vent’anni – il padre dopo la madre, contro l’avversione
della sua propria mamma, al congedo dal servizio militare. È la parte più
intensa e accattivante, questa iniziale. Del vecchio mondo che la coppia si lasciava
dietro – che Antonio, col fratello Patrizio, sperimentarono per un anno di persona,
affidati ai nonni al paese, uno a quelli paterni l’altro a quelli materni, per lasciare
liberi i genitori di lavorare di più, per guadagnare di più. Insieme col racconto,
e la meraviglia persistente, ancora oggi, della determinazione della coppia. Che
a un certo punto, nel 1973, decide di riemigrare, da Londra negli Stati Uniti. A
Bridgeport nel Connecticut.
E
qui segue un altro capitolo avvincente: di Antonio che cresce musicalmente,
sempre come pianista, sotto al guida di Norma Verrilli, “così alta e sicura di
sé” – Pappano non è alto di statura. Norma è la figlia della “signora Anna”, che
come la figlia dava lezioni di musica e insieme gestiva un suo negozio di
articoli musicali. Una conoscenza decisiva, nata dalla vicinanza del negozio
con la casa della zia materna di Antonio, che li aveva preceduti a Bridgeport e
li ospitava: Norma suona musica antica con l’ex marito, aprendo un mondo ad Antonio,
e insieme fa musica contemporanea - l’ex marito era assiduo di Hindemith - e anche
pop.
Una
storia sempre di casualità ma solidali. Di solidarietà identitarie se si vuole,
ma molto produttive. Con Pappano, ora uno dei maestri più seguiti, perfino
eccezionale.
L’unica
istruzione formale (scolastica) in musica di Pappano sarà stata quella ricevuta
alle elementari, che i genitori vollero facesse nella scuola (privata) delle suore
Ministre della Carità di San Vincenzo, le suore (allora) del cappellone, della “terribile
suor Claire”. Non è proprio così, la sola Norma successivamente bastava per un
conservatorio, ma è vero che Pappano è un autodidatta. Che con la sua singolare
preparazione è forse il miglior specialista del canto in musica. E, nemmeno lui
si spiega il perché, nella sua solitaria formazione ha sviluppato una “energia
indomabile”. Che lo ha molto aiutato nella conduzione - e specialmente (lui non
lo dice ma si sa) nella conduzione per vent’anni dell’orchestra di Santa
Cecilia, di cui ha fatto un complesso di prestigio, oltre che,
contemporaneamente del Covent Garden.
Una
discografia lunga quaranta pagine testimonia del rilievo di Pappano nel mondo
musicale. Musicista dalle curiosità inesauribili, segnalano gli editori dell’originale
inglese, “da Mozart a Birtwistle e Mark Anthony Turnage, come alle arti sonore
a alla musica da camera” – nonché all’“esercizio virtuoso del piano”, col quale
è cresciuto.
Le
memorie corrono veloci per lo sguardo sempre umano, puntuale, fattuale, curioso,
che porta su di sé e sulle persone e gli eventi che via via incontra nel suo percorso. A New York, in Danimarca, in Norvegia, a Bayreuth, in Israele - Daniel Barenboim è il suo mentore decisivo, nella piazza di Wagner e a Tel Aviv. In modo del tutto naturale, spontaneo, traccia anche involontariamente un repertorio
socio-psicologico dell’emigrazione italiana degli anni 1960-1970 – non sentimentale
e tuttavia commovente. Sullo sfondo, non detto ma richiamo irresistibile, del bambino
pianista per antonomasia, Mozart, di analoghe ristrettezze e analoga energia.
Antonio
Pappano, La mia vita in musica, Marsilio, pp. 320, ill. € 20
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