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L’immigrazione è semplice, vuole consolati e visti – risparmiando sugli “aiuti”
Perché non usare i fondi – a fondo
perduto, e senza effetto – della cosiddetta cooperazione allo sviluppo per una sana
politica dell’immigrazione, invece dei disperati sul gommone, quelli che non
sono morti nella traversata? Si vara ogni anno una legge flussi, per mezzo
milione di immigrati, senza dire chi cercare, dove e come. Un’assurdità. Tanto
più che organizzarsi sarebbe stato in tutti questi anni, ed è ancora, semplice.
Che l’Europa non si sia data, in trent’anni
di pirateria di merce umana, una politica e una struttura amministrativa dell’immigrazione
– di cui tutti i paesi europei hanno bisogno - è la colpa forse maggiore
di questa questa strana creatura che è la Ue, nata ma non cresciuta. Tutti i paesi
di forte immigrazione l’hanno organizzata, Stati Uniti, Canada, Australia, Argentina
anche, quando era ricca, Uruguay. L’Europa no, solo i vigilantes, inermi. Mentre
organizzarla sarebbe semplice. E a costi inferiori, nel senso proprio del
termine oltre che in quelli umani, di odissee, mortificazioni, morti - nel senso
delle risorse messe in campo e sprecate per salvataggi, accoglienza, controlli.
Una politica dell’immigrazione dovrebbe
essere europea, stanti gli accordi di Schengen, di libera circolazione all’interno
della Ue. Ma anche alla sola Italia ne converrebbe una, Schengen o non Schengen,
all’Italia cioè da sola, nel Piano Mattei o come si vuole chiamare un’iniziativa
nazionale: organizzarsi converrebbe da tutti i punti di vista, con consolati
specializzati in varie città africane, completi di controllo medico. Per il mezzo milione di visti, o quello
che è il fabbisogno annuo di lavoro immigrato.
Organizzare una rete di consolati per i
visti in Africa e negli altri paesi di provenienza sarebbe costoso? Neppure
questo è vero. Si darebbe un aiuto vero allo sviluppo dei paesi di provenienza.
E si farebbe un risparmio sicuro di risorse, sulle spese attuali per l’“accoglienza”
(Marina militare, le ong di settore, una miriade, la burocrazia dell’Interno). E
per gli “aiuto allo sviluppo”.
Gli “aiuti allo sviluppo” che l’Italia
profonde da quarant’anni nel bilancio 2023, sotto varie voci (contributi alla
politica Ue di aiuti, partecipazione a fondi specializzati, banche, etc., “politiche
di vicinato”, e gli “obiettivi della cooperazione”, ben dieci), hanno ammontato
a 6,2 miliardi. Più le spese “a sostegno dei processi di pace”, le spese militari
all’estero – di cui i documenti non quantificano il costo, ma si sanno ammontare
sui 2 miliardi l’anno. Sono tutti aiuti, questi cosiddetti allo sviluppo, a vantaggio di
beneficiari italiani: università, enti locali, ong, aziende “specialmente qualificate”.
Tutti interessi difficili da aggredire. Ma una vera politica dell’immigrazione
sarebbe il solo vero aiuto allo sviluppo, dei paesi africani e viciniori. Oltre
che di beneficio (con risparmio) all’Italia.
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