Mal d’Africa – vecchio e nuovo
Il mal d’Africa è sempre l’idea di un
ventre rosa vivo, cedevole, caldo, tanto più sotto la scorza scura. Per il
madamismo che molti rovinò – non le africane, da tempo libere, in regime di
matriarcato, mentalmente e progettualmente: l’obbligo del matrimonio a tempo per
poter avere una fidanzata locale, traducendosi in ripudio automatico alla fine
del periodo, porta alla ripetizione compulsiva – come di chi divorzia spesso.
Il
madamismo è rapporto classico, è già nel diritto romano, e potrebbe chissà
risolvere il problema dell’amore nell’età dell’inappetenza. Rapporto civile,
poiché si stabiliscono prima le condizioni patrimoniali, senza inseguirsi poi
con acrimonia per la vita. Mentre nulla impedisce che perdurando l’accordo si
continui il rapporto. Esso però introduce nel rapporto affettivo l’artificio
della legge. Senza peraltro, in società e culture di solido virtuismo borghese,
quella liberazione terapeutica che assicurano i matrimoni a tempo con le
squillo al Cairo, per esempio, per una settimana o una notte. Questo non è
terzomondismo, ma è leale.
L’Africa da troppo tempo è la Grande Madre, pur
mutando colore – era bianca quella di Graves originaria, che non può essere
l’Europa, ultimo continente emerso. E i più confonde, pur essendo semplice. Perfino
bianca sotto la scorza nera. ben prima che padre Brando e le opposte scuole di
paleoantropologia ne facessero il paradiso terrestre: nera fu la prima formica,
che giocava coi dinosauri.
L’Africa è di tutti perché si pensa
sempre vuota e ognuno se l’appropria, lo schiavismo è istinto indomabile. Il
colonialismo è stato detto più volte missionario, ma ci sono colonie buone.
Quella di Focea a Elea fu eletta, popolata da Senofane, Parmenide, Zenone.
Senofane, che Elea creò, veniva da Efeso, in Turchia, dove c’era Eraclito,
superba filosofia. Ci devono essere coloni, per la pedagogia d’obbligo, che è
innesto di culture.
Braudel trova nella Grammatica della civiltà che “per la comprensione del
mondo nero la geografia fa premio sulla storia”. Speriamo di no. O sì, la
natura è storia. Benché lenta, agli effetti pratici immobile. Lévi-Bruhl
analizza la mentalità primitiva in centinaia di pagine, per dirla indecifrabile.
Confuso forse dal
confusissimo Freud, che confonde, in Totem
e tabù, primitivo, selvaggio, malato e sano - uno inetto, nonché a Dio,
alla storia e all’evoluzione e tutti ci fa malati, selvaggi, primitivi. Ci
appropriamo di tutto – anche se da un po’ ci ridono dietro. Gli amati
neri che ballano e cantano gli studi peraltro mettono da parte, intontiti dalla
decolonizzazione e in disarmo. Preda d’ogni brigante di passo, anche solo
turista o cooperante, loro che amano la guerra. “Che volete che vi dica di
qui?”, Rimbaud da Gibuti scrive ai familiari: “Che ci s’annoia, ci s’abbrutisce”.
E Amin, poco distante, ha potuto dire di sé: “Sono l’eroe dell’Africa”, un
caporale padrone dell’Uganda, il paese delle quattro primavere. Dumas vi
troverebbe con difficoltà “la gentilezza e l’esibizionismo della gente di
colore”. Ma è pure vero che nell’eterna primavera niente matura.
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