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Napoli allo specchio, sotto la pioggia
Quattro giorni di
pioggia a Napoli, come spesso avviene in autunno e inverno nella “città d’o
sole”, le frane al Vomero, in via Tasso e in via Aniello Falcone, come erano di
fatto avvenute poco prima che lo scrittore le raccontasse, e strani sortilegi
di cui si vocifera, di bambole che un vigile attesta colorate, vive e cattive nei
sotterranei del Maschio Angioino, allertando sindaco e prefetto, fanno da sfondo
a una galleria di personaggi, per una volta, allo specchio. Per una volta ma nelle
occupazioni ordinarie, ripetitive e trascurabili di ogni giorno, in ogni
momento. Come per tutti, come sempre: come avviene, che in ogni momento
facciamo somme e sottrazioni, di soddisfazioni e malumori, filosofiche e pratiche,
tragiche, comiche. Cognome, nome e professione, come all’anagrafe, o in caserma
quando c’era la naja, e via alle conversazioni che sempre facciamo con noi
stessi, radendoci, se uomini, o indossando la divisa o la giacca-e-cravatta per
la giornata lavorativa, di letto più spesso se donne e giovani – grasse queste,
non le giovani, le storie, e non solo immaginate.
La galleria si riempie
così di storie ordinarie-eccezionali. Eccezionali nella loro ordinarietà. La
donna sola in casa a Posillipo, la sera del matrimonio del suo unico figlio. Sorrentino
Luisa, la giovane d’ufficio del Prefetto, sperduta dietro le immagini di
toccamenti e penetrazioni col fidanzato. Le fantasie, o racconti di fatti
avvenuti, si ripeteranno con altre ragazze in ardore - il racconto-fantasia più
particolareggiato, lungo, erotizzante, è della ragazza di famiglia che si sottrae
ai genitori il giorno del funerale delle vittime di via Aniello Falcone e passa
la mattinata in un casolare col suo uomo. Ci sono già, decenni in anticipo, i “forconi”,
contadini disgustati che prendono d’assalto il Consiglio comunale, razza di profittatori,
al Maschio Angioino.
Sui fatti realmente
accaduti, i quattro giorni di pioggia, le frane al Vomero, l’acqua alta del
mare che ci fu anch’essa un’estate, le storie ordinarie prendono le forme di straordinarie,
memorabili. La rasatura mattutina di Andreoli
Carlo, giornalista, alter ego dell’autore, è la più lunga e la più fantasmatica-divertente.
L’eccitazione sessuale soprattutto cresce nella fantasia della segretaria che aspetta,
come sempre, invano, l’autobus sotto la pensilina che la ripara dalla pioggia,
accanto a un vecchio incappottato, e non fantasioso.
Pugliese fa un’arte
dello storytelling-narrastorie tradizionale, paesano, familiare (il fratello Armando,
recentemente scomparso, era più noto regista di teatro). Una narrazione che
stregò Calvino appena la lesse nel 1977, e la pubblicò e ripubblicò.
La storia di Pugliese
che Francesco Palmieri racconta nell’introduzione a questa riedizione (un
racconto fascinoso in sé), è dello scrittore di un solo romanzo, subito dopo il
quale, per sua scelta, isolato in un borgo irpino, abbandonando Napoli e la
professione di giornalista, tradizionale in famiglia – solo una raccolta di racconti
è repertoriata dopo questo “Malacqua,” dopo trent’anni, una smilza raccolta di
otto brevi racconti, a spese dell’autore, nel 2008, quattro anni prima della
morte. Un’opera di immaginazione forte, tante piccole storie, una sorta di pendant
prosastico dello “Spoon River”, costruite con un misto di fantasia e di quotidianeità
- la quotidianeità di ognuno fantasmatizzata.
Nicola Pugliese, Malacqua,
Bompiani, pp. 183 € 16
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