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lunedì 14 ottobre 2024

Nostalgia del padre

In cinque episodi, Francesca bambina e “Pinocchio” (la balena divoratrice e il film), Francesca adolescente, contestatrice e perduta, l’esilio forzato a Parigi col padre e il recupero, Francesca regista come il padre, da lui assistita, e la fine di un padre infine amato che s’invola nel cielo di Venezia. Un corpo a corpo di Francesca col padre, loro due soli, isolati dalla madre, dalla famiglia, dal contesto (se non per alcune scene dei terribili anni Settanta, di droghe mentali e materiali). Nella nostalgia - nostalgia del padre, chi lo avrebbe detto, del padre-padre, paterno.

Una storia personale, dapprima idilliaca poi drammatica. Come un risarcimento, al padre, e una liberazione. Tutta sulle espressioni di Francesca nelle sue due età, la bambina Elena Mangiocavallo, e Romana Maggiora Vergano. E di Fabrizio Gifuni, sempre misurato nel ruolo di padre accudente. Giocata con esperienza, scena dopo scena – poche le sbavature al montaggio.
Una curiosità, che disturba ma non molto, è Gifuni che rinvia inevitabile all’Aldo Moro di Bellocchio, il produttore del film. Nelle sonorotià e nelle figurazioni, la taglia inevitabile, ma anche i primi piani di sbeico, lo sguardo ironico, la calma inflessibile, da pressione bassa, e da decenni di sgambetti politici. Mentre Comencini, narratore faceto, in una famiglia di tutte donne, cosmopolita e poliglotta, molto attivo nell’industria e nell’estetica del cinema, s’immagina meno posato e più come-tutti. E sempre molto attivo, molto fuori, socievole, “inventore” della commedia all’italiana, con una cinquantina di film all’attivo e una decina di serie tv, im quarantì’anni di vita attiva.   
Francesca Comencini,
Il tempo che ci vuole

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