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domenica 6 ottobre 2024

Ombre - 740

È un anno domani che Israele è in guerra, a Gaza, in Libano, contro l’Iran, migliaia di pagine “coprono l’evento”, e non una sola analisi di come, perché, a che fine. Un progetto di pace viene presentato fra Zelensky e Biden, che lascia alla Russia i territori occupati, un quinto dell’Ucraina.  Davvero? Possibile? C’è come un’ignoranza sopravvenuta del mondo, in mezzo alle tante “notizie”. Come se il mondo fosse di tweet.
  
Il Real Madrid denuncia “Le Monde” per un articolo che ritiene diffamatorio. Un tribunale spagnolo gli dà ragione, e condanna “Le Monde” a 400 mila euro di danni. La Francia si rifiuta di eseguire la condanna spagnola. La Corte di Giustizia europea dà ragione alla Francia. Ci fosse un articolo di “Le Monde” contro una squadra italiana tipo Real, tre quarti degli italiani brinderebbero, con i giudici mobilitati ad avviare processi sulle “prove” dell’articolo. È per questo che la Spagna ha migliore immagine e più affidabile, non vive di odio (invidia) come la giustizia e i media italiani. 
 
Dopo un anno di guerra, e migliaia di corrispondenze, dice che succede una lettera di uno scrittore, Edgar Keret: “Un massacro senza precedenti nei kibbutz della fascia vicino a Gaza”, e questo lo sapevamo. Poi: “Un anno in cui il primo ministro d’Israele non sente la necessità di prendersi la responsabilità per il fallimento degli apparati di sicurezza” il 7 ottobre, e “rifiuta di farsi intervistare”, di “istituire una commissione d’inchiesta”, di “spiegare come vede Gaza”, di “fissare una data per le elezioni”, mentre “un anno dopo aver destituito il suo ministro della difesa il suddetto ministro è ancora in carica”,
 
A un anno dall’attacco di Hamas è rumoroso il silenzio delle piazze arabe. Fa rumore anche il distacco dei governi arabi, non per Hamas e nemmeno per i palestinesi di Cisgiordania. Si vuole questo un silenzio sunnita, contro i nemici sciiti, contro cioè l’Iran. Ma questa è roba di governi. Tacciono le piazze, i media si vogliono imparziali. Cioè freddi.


Si vuole la guerra mondiale - lo dice il papa, si denuncia un antisemitismo dilagante - ma è la guerra di Israele. Il resto del mondo è stato risparmiato dal terrorismo arabo-islamico. Mentre Israele si muove con convinta risolutezza. Anche contro gli interessi, per esempio, degli Stati Uniti in questa vigilia elettorale, di cui terremota imprevedibilmente il voto ebraico e il voto arabo.      
 
Maurizio Scanavino a “Repubblica”, è lo spicciafaccende di John Elkann. Ingegnere come Elkann, ma soprattutto aggiustatore dei conti. Come alla Juventus, caricherà su Gedi (“la Repubblica”) tutte le passività, presenti e future, sul primo bilancio. Ma ripulire per rilanciare, o non per liquidare? Alla Juventus ha rilanciato – 20 milioni di rosso al secondo bilancio. Ma il segnale è brutto per un giornale: nei giornali non si investe, si taglia.
 
Roma è schierata contro Briatore per le fioriere della sua pizzeria a via Veneto. Solo contro di lui. A opera dello stesso gruppo di vigili urbani che non vedono fioriere e addobbi a Prati e a Campo dei Gori, da molti anni prima. Perché Briatore viene messo a destra e il Campidoglio sta a sinistra? Perché Briatore non paga?
 
L’Italia ci prova da una decina d’anni, dal governo Renzi, a invogliare i capitali stranieri. Ma i soli che rispondono sono per il calcio: Gerry Cardinale (Milan), il fondo Oaktree (Inter), i fratelli Hartomo (Como), Rocco Commisso (Fiorentina), Dan Friedkin (Roma), Joey Saputo (Bologna) - tutti più ricchi dei ricchi italiani del calcio, Elkann, gli eredi Berlusconi, i Percassi. Il calcio non è così attrattivo in Italia, né sportivamente né economicamente. E allora? Commisso, Cardinale e Saputo si può capirli, hanno origini italiane. Ma i fratelli Hartomo a Como, preso in serie B, due ottantenni, indonesiani, ricchi più di tutti gli altri ricchi della serie A messi assieme? Il vecchio proprietario asiatico (indonesiano, anche lui) dell’Inter ci guadagnava facendo credito al club.
 
Alla convenzione repubblicana prima, e poi al dibattito tv col candidato vice di Kamala Harris, si scopre che J.D .Vance, il candidato vice di Trump, ha una moglie di origine indiana. Come lo è Kamala Harris. Era un secolo fa, poco più, che la politica americana sull’immigrazione si faceva arcigna, respingendo le navi dall’India. Non su base razzista, su quella equivalente dell’eugenismo (ispirerà Hitler), teneva la porta aperta ai “nordici”, limitando l’afflusso di latini e slavi, e la sbarrava agli asiatici. Nella forma di una nave sovraccarica di indiani cu si negò l’attracco.
 
Oggi gli americani di origine indiana sono poco meno di tre milioni, il 6 per cento dei cittadini nati all’estero o di genitori nati all’estero. E sono il secondo maggiore gruppo etnico dopo i messicani, ma il più affluente e influente. Kamala Harris e Usha Vance sono entrambe donne di diritto, giudice e avvocata (laureata di Yale). Entrambe di genitori upper class, professori universitari, e rispettabili – anche se il padre di Harris si è estraniato dalla moglie e dalla figlia. La riapertura delle frontiere agli indiani è stata fatta con un’accurata cernita dei titoli d’istruzione.
 

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