Ombre - 740
È un anno domani
che Israele è in guerra, a Gaza, in Libano, contro l’Iran, migliaia di pagine “coprono
l’evento”, e non una sola analisi di come, perché, a che fine. Un progetto di
pace viene presentato fra Zelensky e Biden, che lascia alla Russia i territori
occupati, un quinto dell’Ucraina. Davvero?
Possibile? C’è come un’ignoranza sopravvenuta del mondo, in mezzo alle tante “notizie”.
Come se il mondo fosse di tweet.
Israele va al 7 ottobre, a un anno di guerra, esperienza senza precedenti, senza una strategia. Ora confronta Teheran, dopo avere umiliato gli ayatollah con gli assassinii eccellenti in casa loro. Ma non può bombardarne i porti per non far crescere i prezzi petroliferi. Né può bombardarne i siti nucleari. Cosa allora, le città? Per ridate fiato e seguito agli ayatollah? La sola strategia è mantenere Netanyahu al potere.
Il Real Madrid
denuncia “Le Monde” per un articolo che ritiene diffamatorio. Un tribunale
spagnolo gli dà ragione, e condanna “Le Monde” a 400 mila euro di danni. La Francia
si rifiuta di eseguire la condanna spagnola. La Corte di Giustizia europea dà
ragione alla Francia. Ci fosse un articolo di “Le Monde” contro una squadra
italiana tipo Real, tre quarti degli italiani brinderebbero, con i giudici mobilitati ad avviare processi sulle “prove” dell’articolo. È per questo che la Spagna ha
migliore immagine e più affidabile, non vive di odio (invidia) come la giustizia
e i media italiani.
Dopo un anno di
guerra, e migliaia di corrispondenze, dice che succede una lettera di uno
scrittore, Edgar Keret: “Un massacro senza precedenti nei kibbutz della fascia
vicino a Gaza”, e questo lo sapevamo. Poi: “Un anno in cui il primo ministro
d’Israele non sente la necessità di prendersi la responsabilità per il fallimento
degli apparati di sicurezza” il 7 ottobre, e “rifiuta di farsi intervistare”,
di “istituire una commissione d’inchiesta”, di “spiegare come vede Gaza”, di
“fissare una data per le elezioni”, mentre “un anno dopo aver destituito il suo
ministro della difesa il suddetto ministro è ancora in carica”,
A un anno dall’attacco
di Hamas è rumoroso il silenzio delle piazze arabe. Fa rumore anche il distacco
dei governi arabi, non per Hamas e nemmeno per i palestinesi di Cisgiordania.
Si vuole questo un silenzio sunnita, contro i nemici sciiti, contro cioè
l’Iran. Ma questa è roba di governi. Tacciono le piazze, i media si vogliono
imparziali. Cioè freddi.
Si vuole la guerra mondiale - lo dice il papa, si denuncia un antisemitismo dilagante - ma è la guerra di Israele. Il resto del mondo è stato risparmiato dal terrorismo arabo-islamico. Mentre Israele si muove con convinta risolutezza. Anche contro gli interessi, per esempio, degli Stati Uniti in questa vigilia elettorale, di cui terremota imprevedibilmente il voto ebraico e il voto arabo.
Maurizio Scanavino
a “Repubblica”, è lo spicciafaccende di John Elkann. Ingegnere come Elkann, ma
soprattutto aggiustatore dei conti. Come alla Juventus, caricherà su Gedi (“la
Repubblica”) tutte le passività, presenti e future, sul primo bilancio. Ma ripulire
per rilanciare, o non per liquidare? Alla Juventus ha rilanciato – 20 milioni
di rosso al secondo bilancio. Ma il segnale è brutto per un giornale: nei
giornali non si investe, si taglia.
Roma è schierata contro
Briatore per le fioriere della sua pizzeria a via Veneto. Solo contro di lui. A
opera dello stesso gruppo di vigili urbani che non vedono fioriere e addobbi a
Prati e a Campo dei Gori, da molti anni prima. Perché Briatore viene messo a
destra e il Campidoglio sta a sinistra? Perché Briatore non paga?
L’Italia ci prova
da una decina d’anni, dal governo Renzi, a invogliare i capitali stranieri. Ma
i soli che rispondono sono per il calcio: Gerry Cardinale (Milan), il fondo
Oaktree (Inter), i fratelli Hartomo (Como), Rocco Commisso (Fiorentina), Dan
Friedkin (Roma), Joey Saputo (Bologna) - tutti più ricchi dei ricchi italiani
del calcio, Elkann, gli eredi Berlusconi, i Percassi. Il calcio non è così attrattivo
in Italia, né sportivamente né economicamente. E allora? Commisso, Cardinale e
Saputo si può capirli, hanno origini italiane. Ma i fratelli Hartomo a Como,
preso in serie B, due ottantenni, indonesiani, ricchi più di tutti gli altri
ricchi della serie A messi assieme? Il vecchio proprietario asiatico
(indonesiano, anche lui) dell’Inter ci guadagnava facendo credito al club.
Alla convenzione
repubblicana prima, e poi al dibattito tv col candidato vice di Kamala Harris,
si scopre che J.D .Vance, il candidato vice di Trump, ha una moglie di origine
indiana. Come lo è Kamala Harris. Era un secolo fa, poco più, che la politica
americana sull’immigrazione si faceva arcigna, respingendo le navi dall’India. Non
su base razzista, su quella equivalente dell’eugenismo (ispirerà Hitler), teneva
la porta aperta ai “nordici”, limitando l’afflusso di latini e slavi, e la sbarrava
agli asiatici. Nella forma di una nave sovraccarica di indiani cu si negò l’attracco.
Oggi gli americani
di origine indiana sono poco meno di tre milioni, il 6 per cento dei cittadini
nati all’estero o di genitori nati all’estero. E sono il secondo maggiore gruppo
etnico dopo i messicani, ma il più affluente e influente. Kamala Harris
e Usha Vance sono entrambe donne di diritto, giudice e avvocata (laureata di
Yale). Entrambe di genitori upper class, professori universitari, e
rispettabili – anche se il padre di Harris si è estraniato dalla moglie e dalla
figlia. La riapertura delle frontiere agli indiani è stata fatta con un’accurata
cernita dei titoli d’istruzione.
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