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mercoledì 23 ottobre 2024

Secondi pensieri - 476

zeulig


Filosofia
- Arnauld promise al duca di Louynes d’insegnare a suo figlio a pensare in cinque giorni. E ci riuscì: L’arte di pensare redasse con Pierre Nicole in sei giorni, niente è impossibile, e poi la ridusse a quattro quadri di quattro giorni (capire, giudicare, ragionare, ordinare) – a Gombrowicz bastano sei ore e un quarto, ma non si ride.
 
Globalizzazione – (In termini desueti, prima dell’evento, se ne potevano delineare presupposti e esiti. Utili da riprendere ora che il vento politico va in senso inverso, dovendo\volendo gli Stati Uniti bloccare il fenomeno Cina): L’impresa multinazionale pulsa della vita del mondo, nel quale il suo corpo è sparso, sia pure il cervello o il cuore radicato in un punto. Quando l’impresa capirà di nuovo se stessa e l’epoca, l’esigenza di portare alla storia gli esclusi, allora sarà un fuoco d’artificio incessante. La democrazia si radica nell’economia, il mercato è il luogo delle idee. Gli in ingredienti del mercato, mano invisibile, trasparenza, egualizzazione, ne fanno una filosofia al di là dello scambio: la domanda e l’offerta non sono numeri ma ipotesi. Nel loro disegno, e nelle intersezioni, sono giudizi e non fatti, occasioni tra infinite possibilità. È così che il denaro è la rivoluzione: scardina le società senza neppure fare pum! col dito. E metterà il Terzo mondo alle costole dell’Occidente adiposo, esso e non gli aruspici terzomondisti - che più sono rumorosi dove l’imperialismo è dichiarato, in Francia e negli Usa. L’impresa artiglierà il Terzo mondo, lo imboccherà, ne irrobustirà i pettorali in palestra: ha bisogno di vendere, dovrà renderlo capace di comprare.
 
Ozio – Rousseau, che voleva l’uomo “naturalmente ozioso”, in questo ci coglie - è incredibile quanto l’uomo è ozioso pure in questa epoca laboriosa, è per riposare che si fatica: “È la pigrizia che rende laboriosi”.
 
Politica - Se l’uomo è animale politico, è imbarazzante non essere d’un partito, non più. Ma, non lo diceva Goethe?, la coerenza è un valore sociale: gli altri vogliamo che siano coerenti, noi ci godiamo l’incertezza. Per la mimesis, processo di creazione letteraria per eccellenza poiché lo vuole Aristotele, e dunque obbligato: rifare l’azione, organizzare l’evento. Che è, guardando, vedere lo scheletro. Non al modo di Bradbury, il signor Harris che si scopre dal radiologo. Ma piuttosto della lince, o Baudelaire, o papa Innocenzo III, Lotario dei conti di Segni, che sotto la bellezza vedono lacerti sanguinolenti. E si finisce in politica kantiani, attestati sulla pratica negativa. Costernati dalla moltitudine di Platone: “Ai molti molte cose paiono vere”.
È pure semplice, non attendendosi nulla dallo Stato, che etico non è, solo un mazzo di politici. Il diritto è al più “un ostacolo agli ostacoli della libertà”. Gli uomini tutti politica fanno senso, più dei sentimentali. Sono animali che errano nel bosco, tanto imponenti quanto irresoluti.
Politicamente corretto – Ma non è un catechismo?
 
Storia - “La storia”, opina Lorenzo Valla, “ci fa partecipi e senza danno giova all’uomo, inseguendo la verità per così dire con le navi e i cavalli”.
 
La rivoluzione è credere che la storia vada a un fine. Ma che storia è questa?
 
La storia non spiega la bellezza: non la natura, né il rapporto con gli altri.
Fu – è – l’arma del colonialismo. che fu soprattutto espansivo in campo gentilizio. Per la superfetazione della storia in forma di tradizione, e la fabbrica dei nobili. Moltiplicandone il seme nell’esercito, la scuola, lo sport, per l’epica della caccia e la guerra, e nel terziario. Il trafficante ci tiene, e lo ufficiale, il funzionario, il giudice, l’agricoltore - il medico e l’ingegnere no, che si applicano, né il negoziante, che è greco, asiatico, ebreo, ed è concreto, il commercio è genere faticativo, ingrato. Lo scoprirono con gioia gli stessi socialisti quarantottardi o comunardi, deportati in Algeria o al Capo: divenuti agricoltori si atteggiarono a gentiluomini di campagna. Tutti nobili gli africani dopo le colonie, è il lascito più durevole: pochi stimano la libertà, l’autostima dei lavoratori. L’invenzione della tra-dizione vi fu fertile, degli anziani contro i giovani, gli uomini contro le donne, una tribù contro l’altra, e c’è un pedigree pure per gli ascari.
La nostra storia riproduce il primo monologo del Faust, niente di più, quando Faust vorrebbe lasciare i libri per il vasto mondo, e sfoglia Nostradamus. Ma basta evitare il retromondo di Nietzsche che le persone in condizione abietta si fabbricano, paradisi terrestri e sfere angeliche, il realismo è più necessario della creazione. Del superuomo di Nietzsche, che si vuole più che un uomo per il desiderio di assoluto, aveva detto san Paolo agli ateniesi, lodandone l’altare al Dio Ignoto. Se non che il professore di Basilea, dice Solov’ëv, ha preso a scrivere sul superuomo “in generale”, come il gogoliano Tentetnikov, il quale scriveva sui “generali in genere”, secondo quanto gli prospettava l’anima persa Cìcikov. Ora, il metodo Cìcikov può andare bene per il pubblico dei disturbati, che se piove si disperano, e se c’è il sole. O per il Bonce d’Isaac Peretz, che “visse come un grano di sabbia incolore sulla spiaggia, confuso tra mille suoi simili”. Si può menare vanto di essere inattuali, più lunghi delle spanne della storia. Ma per chi? Non per la storia. O del troppo amore. Di cui Aristotele però annota: “La sensibilità rivolta a più oggetti è meno sensibile alle singole realtà”. Cioè non è sensibile.
Le novità accelerano la storia. O la deragliano? Anche.
Può la storia deragliare, da quale percorso? In realtà non può deragliare, perché non va su un binario, può derapare, come un’automobile su una pista ghiacciata – e sbattere. Ma può anche non avanzare, senza rischio: la tecnica ciclistica del surplace si addice alla storia, come paura di riflessione, momento e luogo di osservazione – la storia sa fare tutte queste cose insieme, ha mille occhi.


Tempo – “Perdere il tempo” naturalmente non si può, il tempo non è nostro, di proprietà.


Verità - La rivoluzione può essere un caso del bene che non è vero, e dispiacere a Socrate e Platone, i quali il bene identificano con la verità.

Anche la verità di una rivoluzione può non essere un bene. E tutto questo può essere, è, conservatore e reazionario. Ma non in una prospettiva critica, nella quale si cerca la verità. La verità è nel vocabolario, secondo Foucault.


“La verità vuol star di sopra”, è assioma di Bertoldo: non importa sopra chi ma deve cavalcare.


“Impugnare la verità conosciuta” era, ed è, uno dei sei peccati contro lo Spirito Santo.

zeulig@antiit.eu

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