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Fanfani, il più grande di tutti
Tra pochi gironi, il 20 di novembre, fanno 25 anni
dalla morte di Amintore Fanfani. Che nessuno ricorda, ma è quello, a uno
sguardo restrospettivo, che ha fatto, l’Italia del dopoguerra, letteralmente, quale
tuttora è, nelle opere e perfino nelle leggi. Anche quelle del nuovo diritto di
famiglia e civili – malgardo il referendum, in cui non credeva, che pure promosse
contro il divorzio. Dall’alto del suo metro e sessanta – sessantatrè per l’esattezza.
Dal piano casa1949, con l’ina-Casa – che assortì nel 1963 con la Gescal.
E i rimboschimnenti: negli anni 1950 dieci volte di più di tutti i rimboschimenti
Pnrr. Fanfani, di cui nessuno parla, sarà stato l’uomo politico più produttivo
della storia della Repubblica. Fino al voto ai diciottenni, e
ai decreti delegati (le famiglie a scuola), 1974. E compresa la
“piccola liberalizzazione” universitaria del Fanfani III, 21 luglio 1961,
assortita del “presalario” universitario ai meno abbienti, del Fanfani IV, 14
febbraio 1963.
Prese in mano la Dc degasperiana nel
1954 e ne fece un partito movimentista. Suscitando opposizioni anche violente della
destra. Capitanata da Moro. Che quando Fanfani portò la Dc al primo centrosinistra
negli anni 1960, s’impose a capo del governo Dc-Psi quale garante dell’unità
del partito, cioè garante del “non fare” (provocò perfino una crisi del suo
stesso governo quando si provò a non aumentare i sussidi alle scuole private confessionali).
I quindici anni di duello con Moro finirono per sfinirlo – ancora prima che Moro diventasse,
alla morte incredibile per mano delle Br, il “santino” della sinistra, di cui pure
aveva preparato il catafalco con i “non governi” di Andreotti.
Un rapido elenco lo vede all’origine di
tutto ciò che si è fatto nell’Italia repubblicana: la riforma agraria, il
piano casa, la liberazione delle campagne dalla mezzadria, i piani verdi,
che hanno finanziato per mezzo secolo e oltre l’agricoltura con risultati ottimi, i rimboschimenti, l’Eni, l’edilizia
popolare, le autostrade, Carli alla Banca d’Italia, Bernabei alla
Rai, la scuola media unificata, superba istituzione, coi libri gratis, la
refezione, il doposcuola e gli edifici scolastici, di cui metà degli ottomila
Comuni d’Italia non disponeva, si andava a scuola dove capitava, il
centrosinistra, il centrodestra, il quoziente minimo d’intelligenza
per i diplomatici, che ne erano privi, la moratoria nucleare, la
nazionalizzazione dell’elettricità, seppure a caro prezzo, le regioni,
idem, la direttissima Roma-Firenze, col treno veloce, la fisica delle
particelle sotto il Gran Sasso, il referendum popolare, gli opposti estremismi. Infine l’austerità, che dal 1974 ci governa, una genialata “marxiana”, prontamente adottata da Berlinguer, e dal papa
Polo VI alla finestra - “Affrontiamo l’austerità con animo sereno”.
E i dossier, sport nazionale,
di cui montò il primo, lo scandalo Montesi, contro il venerabile
Piccioni.
La serie di realizzazioni
di Fanfani, che pure, nel complesso, ha governato poco, quattro anni e sei
mesi, e a capo di governi quasi tutti di brevissima durata, è
sorprendente, nell’Italia delle burocrazie. Fu un innovatore in tutto, e sempre
fu sconfitto dal suo partito, dai potentati Dc. Una volta gli fecero fare il
governo per un solo giorno.
Con più ragione fu avversato nel suo
partito dopo il referendum contro il divorzio, da lui incautamente chiamato nel
1974 – ma era un colpo di coda, già il freddissimo Moro lo aveva “segato”: se
ne liberarono labellandolo aspirante dittatore.
Questo in parte è vero: lui si
dichiarava per la purezza della razza al tempo del Puzzone, mentre gli altri
ghignavano in privato. E poi si sa che i brevilinei vanno veloci: anche Stalin
era 1,60, Lenin, Napoleone.
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