giovedì 14 novembre 2024

Fanfani, il più grande di tutti

 Tra pochi gironi, il 20 di novembre, fanno 25 anni dalla morte di Amintore Fanfani. Che nessuno ricorda, ma è quello, a uno sguardo restrospettivo, che ha fatto, l’Italia del dopoguerra, letteralmente, quale tuttora è, nelle opere e perfino nelle leggi. Anche quelle del nuovo diritto di famiglia e civili – malgardo il referendum, in cui non credeva, che pure promosse contro il divorzio. Dall’alto del suo metro e sessanta – sessantatrè per l’esattezza. Dal piano casa1949, con l’ina-Casa – che assortì nel 1963 con la Gescal. E i rimboschimnenti: negli anni 1950 dieci volte di più di tutti i rimboschimenti Pnrr. Fanfani, di cui nessuno parla, sarà stato l’uomo politico più produttivo della storia della Repubblica. Fino al voto ai diciottenni, e ai decreti delegati (le famiglie a scuola), 1974. E compresa la “piccola liberalizzazione” universitaria del Fanfani III, 21 luglio 1961, assortita del “presalario” universitario ai meno abbienti, del Fanfani IV, 14 febbraio 1963.
Prese in mano la Dc degasperiana nel 1954 e ne fece un partito movimentista. Suscitando opposizioni anche violente della destra. Capitanata da Moro. Che quando Fanfani portò la Dc al primo centrosinistra negli anni 1960, s’impose a capo del governo Dc-Psi quale garante dell’unità del partito, cioè garante del “non fare” (provocò perfino una crisi del suo stesso governo quando si provò a non aumentare i sussidi alle scuole private confessionali). I quindici anni di duello con Moro finirono per sfinirlo – ancora prima che Moro diventasse, alla morte incredibile per mano delle Br, il “santino” della sinistra, di cui pure aveva preparato il catafalco con i “non governi” di Andreotti.
Un rapido elenco lo vede all’origine di tutto ciò che si è fatto nell’Italia repubblicana: la riforma agraria, il piano casa, la liberazione delle campagne dalla mezzadria, i piani verdi, che hanno finanziato per mezzo secolo e oltre l’agricoltura con risultati ottimi, i rimboschimenti, l’Eni, l’edilizia popolare, le autostrade, Carli alla Banca d’Italia, Bernabei alla Rai, la scuola media unificata, superba istituzione, coi libri gratis, la refezione, il doposcuola e gli edifici scolastici, di cui metà degli ottomila Comuni d’Italia non disponeva, si andava a scuola dove capitava, il centrosinistra, il centrodestra, il quoziente minimo d’intelligenza per i diplomatici, che ne erano privi, la moratoria nucleare, la nazionalizzazione dell’elettricità, seppure a caro prezzo, le regioni, idem, la direttissima Roma-Firenze, col treno veloce, la fisica delle particelle sotto il Gran Sasso, il referendum popolare, gli opposti estremismi. Infine l’austerità, che dal 1974 ci governa, una genialata “marxiana”,  prontamente adottata da Berlinguer, e dal papa Polo VI alla finestra - “Affrontiamo l’austerità con animo sereno”.
E i dossier, sport nazionale, di cui montò il primo, lo scandalo Montesi, contro il venerabile Piccioni. 
La serie di realizzazioni di Fanfani, che pure, nel complesso, ha governato poco, quattro anni e sei mesi, e a capo di governi quasi tutti di brevissima durata, è sorprendente, nell’Italia delle burocrazie. Fu un innovatore in tutto, e sempre fu sconfitto dal suo partito, dai potentati Dc. Una volta gli fecero fare il governo per un solo giorno.
Con più ragione fu avversato nel suo partito dopo il referendum contro il divorzio, da lui incautamente chiamato nel 1974 – ma era un colpo di coda, già il freddissimo Moro lo aveva “segato”: se ne liberarono labellandolo aspirante dittatore.
Questo in parte è vero: lui si dichiarava per la purezza della razza al tempo del Puzzone, mentre gli altri ghignavano in pri
vato. E poi si sa che i brevilinei vanno veloci: anche Stalin era 1,60, Lenin, Napoleone.

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