Il bisogno – o è una condanna - del desiderio
Non un romanzo
della negritudine, né un apologo “nero” dell’imperialismo, un’anticipazione di
Conrad, questo racconto del Dr. Johnson, 1759. Che non era dottore, anche se
con questo titolo l’ha immortalato la biografia più famosa della letteratura, “Life
of Samuel Johnson LL.D.” – era Dottore in Lettere: critico, saggista, lessicografo,
biografo a sua volta, nonché poeta in proprio e, come si vede, narratore. È una
riflessione sulla forza del desiderio. Della curiosità. La vera forza della
vita dell’esistenza. Della ricerca incessante del nuovo. E, perché no, del
diverso.
In questa veste lo presentano i curatori dell’edizione più recente, Marsilio,
vent’anni fa. Una riflessione sotto forma di racconto, di viaggio, sulle radici della
dromomania intellettuale. Del desiderio più che del bisogno – del desiderio che
diventa un bisogno. Che termina con una “Conclusione in cui nulla si conclude”,
in cui ciascuno dei personaggi della storia s’immagina un Altro e un Altrove
ancora da scoprire, non figurabile ma certo.
Un racconto
filosofico che è inevitabile, anche per i curatori, avvicinare al “Candide” di
Voltaire, curiosamente coetaneo. Analogo anche il tema: la ricerca, o l’illusione,
di un eden. Ma senza le arguzie di Voltaire. E senza la sua “modernità”, va
aggiunto. Nelle forme del pessimismo, anche sarcastico. E nella scrittura rapida
- Jonhson è ancora prolisso.
Nell’edizione
Marsilio con testo inglese, ritradotto. Per la cura dei due anglisti di Genova,
Giuseppe Sertoli e Goffredo Miglietta. La prima traduzione, quasi coeva alla prima
pubblicazione del racconto, fu di Giuseppe Baretti.
Per la vecchia edizione Sellerio trent’anni fa, per la collana Il Divano,
il curatore Vittorio Orsenigo poneva l’accento su una riflessione filosofica
invertita. Come storia di un Principe destinato alla delusione dall’irrazionalità
del mondo. Di un Dr. Johnson pessimista, si direbbe, invece che ottimista. Di un
Candido vittima del mondo e non della sua propria superficialità (irrazionalità):
“Entrambi esotici nella decorazione narrativa; entrambi di scrittura vivace e
pura, per esser letti; entrambi satire filosofiche della dolorosa irrazionalità
del mondo, che è percorso in un vasto e avventuroso volo; entrambi enciclopedie
dei luoghi comuni del tempo”. Facendo però di Johnson il più moderno: dubbioso “sul
drastico bisturi della ragione, quale medicina. O sulla desiderabilità stessa,
tutto considerato, di una medicina”.
Samuel Johnson, Rasselas, Principe
d’Abissinia, Marsilio pp. 351 pp.vv.
Sellerio, pp. 264 pp.vv.
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