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venerdì 29 novembre 2024

L’infelicità della felicità

Un saggio delle lettere che la poetessa, morta suicida nel 1938, a 26 anni, un anno dopo avere cominciato a lavorare, supplente di lettere in un istituto tecnico, scriveva con continuità ai familiari. E con appplicazione. Soprattutto alla nonna a Pavia. Dopo ogni sia pur minimo spostamento: a Pasturo, in montagna, nella casa di vacanza di famiglia, e poi a Campiglio, oppure a Napoli e Sorrento per Pasqua, inseme col padre, al mare ad Abbazia, Portofino e altrove, e poi, dopo i vent’anni, in Inghilterra per l’inglese, accompagnata dai genitori, in Germania, per il tedesco (nella Berlino imperiale di Hitler, qui però del tutto assente: mai un accenno di politica), e a Breil, Vatournanche e Champoluc per praticare l’alpinismo.
Un piccolo documento di valore biografico. Testimonianza di una vita serena. Perfino nell’ultima lettera (qui ricostruita, l’originale il padre lo distrusse, per evitare che la madre se ne crucciasse). Una vita piena, di vacanze, viaggi, affetti, zie, domestici, di una giovane piena di meraviglia per la vita e di interessi. 
Una nota al testo sarebbe stata opportuna. Anche sul titolo, che non trova nessun riscontro nella scelta. Le lettere sono anche indirizzate a familiari donne, e tutte allegre e fiduciose. Il fatto che abbiano tutte conservato queste lettere, di una figlia e nipote ragazzina, è il più commovente, 
L’unico uomo, oltre il babbo, nominato è l’amatissimo professore di latino e greco al ginnasio, Antonio Maria Cervi, che le fa una corte discreta, benché lei sia ancora quindicenne, facendosi trovare a Napoli o Sorrento, per guidarla a Pompei e altrove, per poi lasciarla, alla prima liceo, avendo chiesto il trasferimento a Roma (la storia con “Antonello”, poi “Nello”, non finisce qui, e forse ci sarà addirittura un figlio mai nato nel mezzo).
Antonia Pozzi, È terribile essere una donna
, Garzanti, pp. 95 € 5,90

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