Giuseppe Leuzzi
Scrivendo alla cognata
Tania l’11 maro 1927, per raccontare la traduzione carceraria da Palermo a
Ustica, Gramsci si può dire sorpreso da una sorta di leghismo alla rovescia: “Le accuse che i meridionali in genere muovono contro i settentrionali
sono terribili: li accusano persino di cannibalismo. Non avrei mai credito che
esistessero tali sentimenti popolari”.
La logica del Sud – poco seria
L’ambasciata russa fa pubblicare a Reggio
Calabria, a cura di Enrica Perucchietti e Umberto Visani, “Le vere cause del Conflitto Russo Ucraino”.
Un volume che si presenta per denunciare “questo vile, sanguinoso decennio di storia
ucraina”. Con un testo di Putin, 2021, prima della guerra, “sull’unità storica di Russia e Ucraina”, e
altri “di filosofi e pensatori russi” sullo stesso tema – Putin vi assicura che “la Russia non è mai stata e
non sarà mai «anti-Ucraina»”. E presenta
il libro sempre a Reggio Calabria, con un saluto dell’ambasciatore
Paramonov, per denunciare “il colpo di Stato verificatosi a Kiev” nel 2014, “a seguito
del quale si sono impadroniti del potere personaggi apertamente radicali e nazionalisti”, per
fare, dichiaratamente, “guerra alla Russia e a tutto ciò che è russo: alla lingua, alle tradizioni, alla storia,
alla regione, alla cultura e ai valori”.
A Reggio il volume è stato presentato dal Centro Studi Federico Caffè. A un pubblico di un centinaio di persone - molte a Reggio, alla presentazione di un libro. Compresi, dice il comunicato, “molti ucraini”. Un Centro creato per “tenere viva la riflessione dell’illustre economista”, dello sviluppo (del benessere) nella libertà. Che ha debuttato al Castello di Scilla due anni fa, presentato da due economisti e due musicisti, il musicologo Antonello Cresti e il tenore Francesco Anile, che ne è il fondatore e il presidente. All’insegna della “promozione della libertà”: “Federico Caffè – prosegue la presentazione - è stato un economista di ispirazione keynesiana, che già negli anni ’80 metteva in guardia dai pericoli della finanza speculativa”. Un’apoteosi – anche se Reggio non si è (ancora) scoperta un’anima ortodossa, nel senso della religione? C’è sempre un fondo giocoso - scherzoso, ironico, satirico – nello storytelling in Calabria, perfino nella compassata Reggio Calabria, e al Sud. Il Sud è adattabile – “poroso” direbbe Walter Benjamin: aperto a tutte le brezze, ecumenico? Non dell’ “o….o” della logica, che irritava il pur teutonico Günter Grass, ma dell’ “e….e”. Non vuol essere apodittico – non vuole essere serio. Senza ragione?
La scoperta del Mediterraneo
“Il
Mediterraneo è una grande patria, una dimora antica. A ogni mia nuova visita me
ne accorgo con evidenza sempre maggiore. Che esista anche nel cosmo un
Mediterraneo?”, si chiede Ernst Jünger scoprendo nel 1954 la Sardegna, sotto la
data del 22 maggio (“Terra sarda”, p. 90).
Un
luogo comune – già, tra i tanti, di David Herbert Lawrence un secolo fa, più o
meno, il celebratissimo ora dimenticato autore di “Women in Love” e “L’amante
di Lady Chatterley” - ma con un altro spirito. Una sorta di scoperta anche perché
la storia è fatta secondo la geografia politica, quindi delle nazioni e dei
continenti, e non c’è un continente Mediterraneo, ci sono l’Europa, l’Africa,
l’Asia, e ora l’America.
Apparentata
a questa “scoperta” geopolitica c’è nella stessa circostanza, nella stessa
riflessione (“Terra sarda”, p. 107) la scoperta di una diversa “parlata”, o linguaggio,
o logica colloquiale, mentale: “Una volta raggiunte le strade sicure (lo scrittore
fa trekking lungo alcuni costoni col fralello della sua
ostessa, della “signora Bonaria”, n.d.r.), prendemmo a conversare
piacevolmente, e di nuovo mi colpì la stabile direzione, il consueto binario
sul quale si muoveva la conversazione con un interlocutore neolatino. Assai più di rado di quanto non
avvenga in un colloquio con gli altri deu grandi tipi umani di questa nostra
parte del mondo, i Germani e gli Slavi, essa tocca un argomento non collaudato.
Ogni frase è moneta contante, ha un suo peso determinato e misurato. Negli
argomenti più elevati ciò è reso più evidente dalla inamovibilità dei concetti;
essa costituisce il fondamento del lingaggio giuridico di livello superiore e,
in genere, di ogni definizione dei fatti”.
Non
nuova anch’essa, ma ben detta, la conclusione: “Perciò è da supporre che in
questi paesi, malgrado tutte le rivoluzioni possibili, lo stile di vita si
modifichi in misura minima”. Sono cambiati i proprietari, “ma la proprietà
resta, poiché è radicata nella struttura del pensiero. Perciò la vita in queste
plaghe suscita un’impressione di atemporalità”. Con una distinta fertilità di “grandi
spiriti conservatori: qui regnano, nell’orientamento del pensiero, il limite e
il senso del limite”.
E
ciò riguarda l'Italia. Ma ormai soprattutto o soltanto il Sud.
Cronache della
differenza: Sicilia
“La Sicilia non è Italia” è, prima
degli uomini di Cavour, e di Vittorio Feltri, di Machiavelli, “Discorso o Dialogo
intorno alla nostra lingua”. Per imperialismo toscano, anzi fiorentino. Machiavell
se la prende con Dante, che nella questione della lingua (volgare) pagava un
tributo al siculoitaliano, e al toscano, mentre la vera lingua sarebbe il fiorentino.
Ma è un Machiavelli spurio – postumo, e certo non linguista.
“Un porcile con
inspiegabili gioielli. È l’immagine che i non Siciliani e molti Siciliani
hanno della Sicilia”, può dire il linguista Lo Piparo a conclusione della sua
indagine “Sicilia isola continenale”. Imnagine a cui contrappone, in breve, “la
Sicilia vissuta e raccontata da Vittorini. Una Sicilia popolata da Gran Lombardi”,
da siciliani fattivi e costanti.
In “Lettera dalla Sicilia al
buonuomo della luna” E. Jünger menziona “una risalita per le gole del Monte
Gallo” – ignoto ai più, si trova a Palermo, ed è una riserva naturale, ricca di
mammiferi più che di picchi: “una comba (una valle stretta, in linea con una
piega geologica anticlinale, n.d.r.) serrata tagliata nella roccia nuda”.
Niente di che. Ma con “un linguaggio di pietra” che “s’impadronisce del viaggiatore
più impersonalmente di quanto potrebbe fare un paesaggio puro e semplice, o in
altri termini, un tale paesaggio dispone di virtù più profonde”. La Sicilia è
un tutto, che “segna” anche l’impercettibile.
Contro la sicilitudine Tomasi
di Lampedusa, siciliano cosmopolita e poliglotta, professa anche in conclusione
del “Gattopardo”, quando don Fabrizio così spiega il suo rifiuto a farsi fare senatore
dal nuovo Stato (pp. 216-217): “I Siciliani non vorranno
mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere Perfetti; la loro
vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei, sia per origine
sia anche, se Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro
vaneggiare di aggiornata compitezza, rischia di turbare la loro compiaciuta
attesa del nulla; calpestati da una decina di popoli differenti, essi credono
di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi”.
Ai soldati inglesi che gli
chiedono dei liberatori garibadini, don Fabrizio ha già risposto, in inglese: “They
are coming to teach us good manners… But they won’t succeed, because we are gods”
– sarcastico con i liberatori, e sarcastico con i siciliani.
Mai lasciarsi sfuggire una
battuta, soprattutto se cattiva – seppure da circolo dei nobili, a cirolazione
limitata cioè, ininfluente. Camilleri ne era maestro, come già lo Sciascia
“maestro” – ma da osservatori esterni. Lo stesso Tomasi di Lampedusa, viaggiatore
e tutto, non se ne perde una: il bon mot fa la conversazione ed
esaurisce il tempo, la storia.
Lampedusa, solitamemte
ritratto come un nobile decaduto, era uno che aveva visto il mondo, viaggiatore
curioso, e aveva sposato una baronessa russa. Una “tedesca del Baltico”
(Estonia), di madre italiana a Parigi, la mezzosoprano modenese Alice Barbi,
interprete di Brahms e Dvořák. Una donna che sarà la prima psicoanalista nell’isola, e
forse in Italia. Il romanzo si può leggere come una satira, anche feroce: “La
ragione della diversità”, fa concludere a don Fabrizio, “dev’essere in quel
senso di superiorità che barbaglia in ogni occhio siciliano, che noi stessi
chiamiamo fierezza, che in realtà è cecità”.
Gramsci è per la differenza.
Per l’omertà - lettera 11 aprile 1927 alla cognata Tania, su una traduzione carceraria
da Palermo a Ustica: “È incredibile come i siciliani, dal più infimo strato
alle cime più alte, siano
solidali tra loro e come anche degli scienziati di innegabile valore corrano sui
margini del Codice Penale per questo sentimento di solidarietà”.
E ancora – da
sardo-piemontese?: “Mi sono persuaso che realmente i siciliani fanno parte a
sè; c’è più somiglianza tra un calabrese e un piemontese che tra un calabrese e
un siciliano”.
Alla scoperta della Sardegna nel 1954, Ernst Jünger conclude
il diario (“Terra sarda”, p. 151-152) con l’inevitabile confronto con la Sicilia,
che già conosce - scontato ma non inutile. In Sardegna la storia è “discreta”,
in Sicilia “l’eroico e il tirannico hanno lasciato di sé tracce possenti. La
differenza è inconfondibile anche nel carattere della popolazione. Paragonata
alla Sicilia, la Sardegna è una retrovia, un teatro di provincia”. Perciò in
Sardegna “è difficile trovare un solo grande nome, mentre i personaggi famosi
connessi con la Sicilia si affollano”.
leuzzi@antiit.eu
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