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lunedì 16 dicembre 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (579)

Giuseppe Leuzzi


La città dove si vive peggio in Italia è Reggio Calabria, 107ma. Appena meno di Reggio Calabria sta messa Napoli, al posto 106. E sul serio, “Il Sole 24 Ore” ci lavora su un anno, non per ridere. Con Reggio Calabria e Napoli condividono il basso della classifica altre città del Sud, che è inutile elencare.

Si sta bene solo in Lombardia, sei città tra le quindici migliori. E nel Veneto, cinque. Si sta bene solo nel leghismo. 
 
Per la visita del re di Spagna Felipe VI a Napoli, e l’accoglienza fervorosa ed ei maggiorenti della città, accademici e imprenditori, Marino Niola nota che “per loro e per i partenopei in generale gli antichi sovrani sono insieme un sogno e un mugugno”. Per gli uni l’incarnazione della modernità anticipata, per gli altri della centralità perduta”. Della modernità prima dell’Italia, dell’unità.
 
Le tre materie prime da tenere sotto osservazione nel 2025”, titola l’“Economist” nel suo numero di fine anno “The World Ahead” (, cosa accadrà: “Il prezzo di arance, caffè e uranio resterà elevato”. Delle arance? Non delle arance italiane, di Sicilia e Calabria – la Puglia va un po’ meglio, sa vendere. Perché non sanno organizzare la distribuzione - il valore aggiunto va ai grossisti-distributori.
 
L’Europa fatta a Palermo
In “Verranno di notte”, nelle pieghe del panegirico contro la barbarie che ci minaccia, “Lo spettro della barbarie in Europa”, Paolo Rumiz ha l’idea di un’altra Europa. Non più quella che ci governa. Carolingia. Renana. Franco-tedesca per intendersi. Rugginosa in effetti, da operetta triste. Ma quella del nome, della principessa di Tiro che invaghì Zeus con la sua bellezza e fu dal dio sedotta in forma di toro mansueto, bianco, e trasportata in volo a Creta.

Quella di Federico II, lo “stupor Mundi” degli epicedi, del monaco benedettino inglese Matteo da Parigi, che ne registra la morte il 13 dicembre 1250: Obiit… principum mundi maximus Frethericus, stupor mundi et immutator mirabilis»”, il magnifico riformatore. “L’imperatore che riconquistò Gerusalemme senza versare una goccia di sangue”, continua Rumiz, “il monarca illuminato dalla corte itinerante, che aveva al seguito anche consiglieri arabi, greci ed ebrei. Federico, il migliore dei re d’Italia. Il tedesco che mise in riga i feudatari, unì il Nord e il Sud del Continente e separò lo Stato dalla Chiesa. «Più leggo di lui e più mi accorgo che rappresenta il vertice dei valori oggi più dimenticati»”, si fa dire da “Lucia, colta ed appassionata guida turistica pugliese”.

Il terzo “vento di Soave” di Dante, imperatore venuto di Svevia - “la luce de la gran Costanza”, al canto III del Paradiso, “che del secondo vento di Soave\ generò ‘l terzo e l’ultima possanza”. Una Germania mediterranea, un’Italia transalpina (partendo da Palermo)? Si può fantasticare anche sulla storia, per quanto indelebile.

Il nome riporta sempre lì, attorno al Reno. La sostanza, certo, era diversa.

Il sogno dello sviluppo
La Cina, dove trent’anni usava per tutti un decoro modesto, la stessa bibicletta, nera, e bluse grige, senza colletto per risparmio, sfila ora con intere scolaresche, non classi, scuole, dal Pantheon a Largo Argentina: centinaia di ragazzi in tutte le fogge, pettinature, calzature, abbigliamenti, loquaci o silenziosi, col cellulare in mano oppure no, in gita scolastica trascontinentale. Sono immagini reali che sembrano un sogno.
O fatti. La Corea che con difficoltà passa dai generali al voto, e in otto-dieci anni è all’avanguardia per urbanistica, istruzione, sanità e industria. La stessa Russia bolscevica, finita nel marciume e la violenza della corruzione, appena trent’anni fa, ora capace di tenere testa all’Occidente in guerra, e insieme d’investire, commerciare, viaggiare, per affari o per riposo, spendendo anche molto.
Ci vuole una “liberazione”, una scossa, per stimolare la “crescita” (l’economia), il benessere, la ricchezza. Il sogno è che un giorno Carabinieri e Polizia dicano che non si può più essere mafiosi – le categorie sono cambiate. E vedere se il Sud non si arricchisce e arricchisce come tutti gli altri “sottosviluppati”. 


Se il Sud è un trampolino di lancio
Grasso, Pignatone, Cafiero de Raho, Scarpinato, Gratteri, c’è una categoria di persone per le quali il Sud è una miniera, altro che ritardo. Il Sud è una buona pedana per fare carriera, nell’antimafia, che ovunque. E chi non ci riesce, forse per avere mirato troppo in alto, come Ingroia o Di Matteo, può comunque passare i suoi giorni comodo in tribuna, seduto sulla sua buona coscienza, con lo Stato mafia, e il Dio dei mafiosi.
I giudici minacciano ora sfracelli, ma non se la passano male. Fanno la legge. Nessuno li ha delegati, ma loro la fanno lo stesso. Come scrive il giurisperito massimo Cassese, “oggi sono diventati il quarto potere dello Stato”. Per autorità propria, poiché nessuna costituzione li regola, e quindi di potenza massima.
Minacciare sfracelli è manifestazione infine non surrettizia di tanto potere. Al Sud è senza limiti, Col cosiddetto “concorso esterno” in reati associativi (da cui non ci si può difendere se non “dopo” il giudizio) e col sequestro preventivo dei beni – col noto affarismo di comodo, alla fine del quale nulla resti da restituire. Il Sud può essere provvido.
 
Il futuro della Sicilia
Franco Lo Piparo contesta Sciascia rudemente – “Sicilia isola continentale. Psicoanalisi di un’identità”, pp. 42-46 - a proposito del futuro che in Sicilia  non c’è, il tempo grammaticale. Tra l’altro spiegando che il tema, sollevato da Sciascia in “La Sicilia come metafora”, 1979, era stato introdotto, incidentalmente, dallo storico Denis Mack Smith nella “Storia dell Sicilia Medievale e Moderna”, 1968.
Scriveva Sciascia: “”La paura del domani e l’insicurezza qui da noi sono tali che si ignora la forma futura dei verbi. Non si dice mai «Domani andrò in campagna», ma «Dumani vajiu in campagna», domani vado in campagna. Si parla del futuro al presente. Così, quando mi si interroga sull’originario pessimismo dei siciliani, mi viene voglia di rispondere: «Come volete non essere pessimisti in un paese dove il verbo al futuro non esiste?»”  
Mack Smith: “I contadini disdegnavano anch’essi i nuovi metodi di coltivazione… Si riteneva comunemente ... che un cambiamento fosse sinonimo di peggioramento… In un’economia in cui tutto era precario, un comune lavoratore della terra non poteva mai fare programmi per l’avvenire. Forse la mancanza del futuro nel dialetto siciliano era espressione di questa difficoltà a pensare al domani”.
Per il linguista il problema non si pone: “In tutte le lingue l’evento futuro può essere segnalato da un avverbio temporale mantenendo il verbo al presente: domani vado in campagna in italiano, demain je vais à la campagne in francese, mañana voy al campo in spagnolo….. e si può continuare ancora per molto”. E poi: “In alcune varianti, ma non in tutte, del siciliano moderno manca o è debolmente presente il cosiddetto futuro sintetico (formatosi nelle lingue neolatine secondo lo schema verbo all’infinito + habere, per cui mangiare ho = manger-ò) ma non il futuro perifrastico o analitico (avir a + verbo all’infinito = aiu a ghiri, aiu a manciari). Il futuro perifrastico si trova in lingue come l’inglese (I will go) ol il tedesco (Ich werde gehen) parlate da parlanti che nessuno ritiene etnicamente pessimisti”.
 
Cronache della differenza: Calabria
“Dopo il delitto di Miami”, ricorda Santo Versace a proposito dell’assassinio del fratello Gianni, “le banche d’affari ci davano per falliti e dovevamo persino respingere le accuse di mafia. Litigai con Gianni Barbacetto: se fossimo stati di Voghera come Valentino non avrebbe mai insinuato una cosa del genere”.
 
Si scopre casualmente, per le vicende travagliate della sua eredità. che Ginni Vatitmo era di origine calabrese. Il padre lo era, di Cetraro (Cosenza), arrivato a Torino dopo il concorso per guardia carceraria, e lo stesso filosofo, già orfano di padre, aveva passato nella famiglia paterna a Cetraro gli anni dello sfollamento, dopo i bombardamenti del 1942. Le radici contano e non contano.
 
 “C’è più somiglianza tra un calabrese e un piemontese che tra un calabrese e un siciliano”. È un complimento, Gramsci ne scrive alla cognata Tania l’11 aprile 1927, tra righe feroci contro la Sicilia, dove era temporaneamente carcerato.
 
Genesio, l’allenatore del Lille, brillante squadra di calcio costruita con pochi soldi, nipote di nonni di Mammola, che in casa parlavano solo francese (ci provavano) per francesizzarsi prima, non sa niente di italiano ma ha forte il senso della famiglia – pasti in comune, zie, cugini, eccetera.  
Il nono era un bambino abbandonato, cui l’assistenza pubblica diede il cognome fittizio di Genesio – piuttosto che di Italiano, Esposito, Trovato, Innocenti, e i vari composti di Dio.
 
Non c’è conoscenza che sia stato in Calabria in vacanza e non se ne lamenti: niente corrisponde al sito, disordine, sporcizia, strafottenza. La Calabria è salita ai primi posti quest’anno per il turismo delle famiglie, favorita dall’impraticabilità di molte destinazioni tradizionali, romagnole e marchigiane, per le mucilaggini. A buon prezzo. Ma non sa capitalizzare – le risorse non mancano, non si sa gestirle.
 
Non è violenta, contrariamente alla percezione. Reggio Calabria viene all’80mo posto nella classifica della delittuosità del “Sole 24 Ore”. Catanzaro è la più pericolosa, avendo ancora nel 2023 il Procuratore Gratteri, al 41mo posto. Segue la provincia di Vibo, al 61mo posto, per il troppo turismo, e quindi gli scippi, prima sconosciuti. Crotone segue al 77mo posto, Cosenza al 95mo.
 
Commisso? È calabrese, e non conta. “Gli Agnelli? Lui è il loro opposto”, dice un manager della Fiorentina di Rocco Commisso, il patron della squadra, al capo dei servizi sportivi del “Financial Times”, Ahmed Murad, nella pagina che il quotidiano dedicò alla Fiorentina e a Commisso un paio d’anni fa: “Se lei passa un minuto con qualcuno di Torino, e poi con uno della Calabria, è come l’olio e l’acqua, non importa quanti soldi abbia. Non voglio dire non c’è gente per bene al Sud. Ma non sarà alla pari”.

A Commisso, benché abbia investito, di soldi suoi, nella Fiorentina 350-400 milioni, o forse per questo, “La Gazzetta dello Sport” non aveva risparmiato, nota incredulo il giornalista del “Financial Times”, il solito commento: “Don Rocco, più che da un grande gangster movie di Coppola o Scorsese, sembra uscito da un poliziesco italiano di serie B”. Incredulo, il giornalista, perché sapeva degli intrallazzi cinesi e americani a carico delle squadre milanesi – ne riferisce.

leuzzi@antiit.eu

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