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Il jihadismo al potere in Siria, e i nostri cinque problemi
Colpo di Stato vecchio
stile in Siria, con poco o punto spargimento di sangue - una “transizione” tutto
sommato pacifica, per gli standard della regione. Di cui c’è da fidarsi, in quanto
Occidente, perché azionato dalla Cia, con l’islam sunnita dominante nella regione:
la Turchia di Erdogan per l’organizzazione e l’armamento, i regnanti della
penisola arabica per il finanziamento. Seppure sotto l’ombrello dei precedenti infausti
di collaborazione dell’“Occidente” col jihadismo, con Osama ben Laden e con i
Talebani.
Il regime degli Assad
era di minoranza, della ristretta confessione alauita nell’ambito dell’islam
sciita. Su una popolazione al 90 per cento, o al 95, sunnita. Per questo aspetto,
quindi, una transizione democratica. Che però conferma un dubbio, e apre nuovi fronti.
Il dubbio confermato
è che il jihadismo, che tanti lutti ha provocato negli Stati Uniti e in Europa,
e nel Medio Oriente in Siria e in Iraq, è sunnita, nella versione salafita. Il
cui obiettivo primario, da custodi della sharia, avrebbero dovuto essere invece
i riccastri regnanti della penisola arabica, che offendono tutte le leggi dell’islam,
compresa la morigeratezza, e invece ne sono stati singolarmente immuni. Non una
bombetta. Nemmeno un tweet. Molte disponibilità, invece, per la formazione
dei combattenti di Allah, e per le famiglie orfane dei kamikaze. E molta
propaganda dalle emittenti peninsulari, altrimenti rette da rigidissime censure.
Il capo degli insorti e nuovo padre della patria siriana, Ahmed Sharaa, già “Abu
Muhmmad Julani”, era un capo jihadista su cui pende(va) una taglia degli Stati
Uniti (dopo che era stato graziato nel 2011 da Bashar Assad….).
Sul jihadismo,
insomma, molto ancora è da dire. Compresa la strana vicenda di Paolo Dall’Oglio,
il gesuita che Assad aveva espulso perché critico del regime, ma l’Is ha poi rapito,
senza più darne notizia – il rapimento è del 2011.
“Joulani” ora si è
pentito e ha collaborato gli Stati Uniti. Questo si può comprendere. Ma con lui
al potere altri cinque fronti si aprono in Siria. Il primo è con Israele. Netanyahu
si prende il merito del rivolgimento in Siria per avere indebolito o annientato
Hezbollah in Libano – come se Assad si reggesse sul Libano. Ma dice anche che
il Golan, la zona montuosa di confine, è israeliano e mai più sarà siriano. Ma
Sharaa aveva preso il nome di battaglia di Joulani per dire uno del (nella
pronuncia angloamericana) Golan. Un irredentista?
Juilani era un
combattente, più che antioccidentale, antisciita. Ora che farà della minoranza
alauita-sciita della Siria?
E dei cristiani?
Ci sono in Siria probabilmente più cristiani che sciiti. È il paese di prima
diffusione, se non nascita, del cristianesimo – ha fornito una mezza dozzina dei
primi papi, fino a Gregorio III nel 731(l’ultimo papa non europeo, prima dell’attuale).
Nella popolazione araba si contano oggi greco-ortodossi di Antiochia, greco-cattolici
melchiti, ortodossi siriaci, maroniti, caldei, e vari gruppi protestanti. Più
gli armeni, a loro volta divisi in due chiese, e gli assiri residui.
Ma, soprattutto, resteranno
da regolare i rapporti con la minoranza curda, e con la Russia. Si dice che la
cacciata di Assad significa la liquidazione della presenza russa nel Mediterraneo.
Ma questo è dubbio. Mosca resisterà a eventuali chiusure delle sue due basi in
Siria, Tartus (navale) e Khmeimim (aerea). Forte della strategia di Erdogan,
del piede in due staffe, in questo caso promotore del rovesciamento di Assad,
ma non contro la Russia.
Più complessa la
vicenda curda. Obiettivo primario di Erdogan è stroncare la minoranza curda in Turchia.
Non può procedere perché i curdi in Turchia sono molti e determinati – e perché
l’America non ne consentirebbe il massacro. Ma la Siria al confine con la Turchia
è anch’essa curda.
Si parla del Medio
Oriente come di Stati con una storia e una consistenza. Mentre sono un coacervo
di etnie, religioni, stratificazioni storiche, e di influenze esterne - il nome
e la qualità di nazione sono recenti, coloniali.
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