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martedì 3 dicembre 2024

Il mondo com'è (480)

astolfo


Anton Coppola – Antonio Francesco Coppola all’anagrafe, zio del regista del “Padrino”, ricordato dal maestro Pappano nelle memorie, “La mia vita in musica”, come uno di quelli che “riuscivano miracolosamente a mettere su un allestimento nel giro di pochi giorni” – un allestimento d’opera, opera complessissima – è stato compositore di successo negli anni giovanili, prima della guerra. Autore in particolare dell’opera lirica “Sacco e Vanzetti”, sul caso della condanna degli anarchici italiani che divise l’opinione.
Fu musicista (flautista, direttore d’orchestra, compositore) anche il fratello Carmine, il padre di Francis Ford, il regista.

 
Italia Coppola – Italia Pennino, la madre di Francis, era anche lei legata alla musica. Era zia di Riccardo Muti – una prozia. Figlia anche lei di musicista, il compositore di canzoni napoletane Francesco Pennino. Fu paroliera di canzoni famose per i film di Francis Ford, “Non ci lasceremo mai”, per il matrimonio di Connie nel “Padrino”, “Ninna nanna a Michele”, con musica di Nino Rota, per il “Il padrino parte II”, e “Come Back to Love (the Chief’s Death)” per “Apocalypse Now”. Oltre che di molte canzoni per le colonne sonore del marito Carmine, per “The Black Stallion”, un film di avventure per bambini del 1979, “Napoleon”, il capolavoro di Abel Gance che Francis Ford ha recuperato e restaurato nel 1981, affidandone il commento musicale al padre (un’esecuzione a Radio City Hall, con grande orchestra), e “I ragazzi della 56° Strada” (“The Outsiders”) dello stesso Francis Ford, 1983. Da ultimo divenne un personaggio, pochi anni prima della morte, a 91 anni a gennaio del 2004, con un best-seller sulla cucina italiana, “Mama Coppola’s Pasta Book” – aveva grande fama di cuoca.
L’annata 1998 del vino zinfandel dei vigneti che possedeva prima di venderli per il suo ultimo film Francis Ford Copola aveva battezzato Edizione Pennino. E col nome di “Mammarella” ha lanciato una produzione, tuttora attiva, di piatti pronti “organici”, di pasta variamente condita. Spiegando che Italia si faceva così chiamare dai nipoti, piuttosto che nonna, grandma, che la faceva vecchia (il maestro Muti stigmatizza domenica sul “Corriere della sera” l’uso in America di legare l’italianità alla “mamma”: “In America le trattorie hanno sempre il nome della mamma: Mamma Maria, mamma Rosa…”).
 
Giusy Devinu – Presto dimenticata, morta di soli 47 anni, nel 2007 (la ricorda solo Pappano. “La mia vita in musica”, come “scomparsa troppo presto”) è la soprano cagliaritana che fu Violetta nei migliori teatri, a Spoleto, la Fenice, la Scala, e a Parigi. negli anni 1980.   
 
Delitto Matteotti – Mussolini, ligio allo Statuto, ne riferì in Parlamento, prendendosene la responsabilità. Dopodiché passò al regime, promulgando la legislazione totalitaria. Un salto di cui tutte le storie del fascismo danno ovviamente conto, ma senza un perché – uno specifico, per la situazione, il momento. Un dettaglio non indifferente è fornito a Aldo Cazzullo sul “Corriere della sera” da Margherita “Magalì” Sarfatti, nipote dell’omonima amante e ispiratrice di Mussolini. A proposito dell’“orrendo delitto Matteotti” che cosa disse la nonna a Mussolini? “Gli consigliò di non indietreggiare, anzi di assumersi tutta la responsabilità politica dell’accaduto. Lui lo fece. E approfittò di quell’assassinio per instaurare una dittatura”. Considerando l’opportunismo e la costante incertezza dell’uomo Mussolini, un passo da non sottovalutare.


Fairbanks, Alaska – È la città, la seconda più grande dell’Alaska, ora di 32-35 mila abitanti, di un emiliano, Felice Pedroni, un immigrato giovane e avventuroso, che la rese ricca appena fondata con l’oro. Il fondatore – il primo costruttore di abitazioni nel deserto di fango e capanne – fu un Elbridge Truman Barnette, di cui nulla si sa, nel 1902. Che qualche tempo dopo battezzò le sue case con questo nome, dal vice-presidente degli Stati Uniti in carica con Th. Roosevelt dal 1905 al 1909, Charles W. Fairbanks, repubblicano. Probabilmente per ragioni di comune loggia o appartenenza massonica, nel Rito scozzese antico e accettato, di cui Fairbanks era Gran Maestro. Felice Pedroni è una sorta di “patrono” laico della città, poiché nello stesso 1902 che si costruivano le prime case scopriva nel territorio adiacente la prima miniera d’oro: diede ricchezza all’agglomerato, ed è per questo ricordato, anche se morì poco tempo dopo, nel 1910.
Tutto Pedroni aveva fatto in poco tempo. Il 22 luglio 1902 aveva scoperto il filone d’oro nel greto di un torrente oggi denominato, a suo ricordo, Pedro Creek. Subito ottenne la concessione per l’estrazione dell’oro. E l’8 settembre poteva fondare nella sua baracca un Distretto Minerario di Fairbanks, di cui si portò presidente. Presto organizzò anche un viaggio in Italia, per trovare moglie, da ricco. Non tornò al suo paese, Fanano, nel modenese, troppi brutti ricordi, provò nel bolognese, a Lizzano in Belvedere, dove si propose ad Egle “Adelinda” Zanetti. Che però non poté sposare, una vita in Alaska non lusingando né Adelinda né la sua famiglia. Tornato a Fairbanks, sposò una ballerina di saloon, donna che presto trovò “incontentabile”, una irlandese, Mary Ellen Doran. Che pretese anche una residenza, un ranch, nel continente, nello stato di Washington. Senza però dargli pace. Prima di morire, Pedroni ebbe anche a litigare col socio con cui aveva messo in valore la miniera, in tribunale.
Fairbanks lo ricorda ogni anno nella manifestazione detta dei Golden Days, i giorni dell’oro: si fa una gara per scegliere un sosia di Pedroni, che poi entra in città a cavallo, e va a depositare in banca un sacchetto pieno d’oro. Anche Fanano, che si è gemellata con Fairbanks, ne onora la memoria, con una targa che ricorda la traslazione delle sue ceneri nel 1972 al locale cimitero. E in suo onore la locale trattoria è stata ribattezzata “L’osteria dell’emigrante”.
Orfano di padre, rifiutato, pare, dalla famiglia di una ragazza cui si era proposto in matrimonio perché povero e ignorante, era emigrato a 23 anni. Dapprima in Francia, nel 1881, poi, nello stesso anno, negli Stati Uniti. Lavorando da bracciante, e poi da minatore. Scoppiata la febbre dell’oro, nel 1894 si trasferì in Canada, e da qui pochi mesi dopo nel bacino dello Yukon, cioè in Alaska. Ebbe fortuna solo sette anni dopo, avendo resistito alle condizioni climatiche proibitive della regione.

Grande migrazione – Dal 1910 al 1970 circa sei milioni di afroamericani sono emigrati dal Sud degli Stati Uniti al Nord. Da North e South Carolina, Georgia, Tennessee, Mississippi, Louisiana agli stati americani del centro-nord. Specie nelle città, che videro così la formazione di ghetti neri, quartieri a popolazione principalmente nera – specie a New York (Harlem), Chicago (Bronzeville – ma Chicago ha anche il soprannome di “città nera”, fu la destinazione prescelta da almeno mezzo milione dei sei milioni censiti nella Great Migration), Detroit (oggi in grande maggioranza, fra l’80 e il 90 per cento, abitata da afroamericani), e Cleveland, in Ohio.
Nel 1910 gli Stati Uniti contavano 13 milioni e mezzo di immigrati, il 14,5 per cento della popolazione, quasi tutti dall’Europa. La riduzione del flusso europeo, nel primo Novecento, portò a un incremento dell’immigrazione asiatica. Che però non era gradita – negli Stati Uniti era dominante l’eugenetica: contro di essa si vararono leggi restrittive dell’immigrazione. Per il contemporaneo sviluppo industriale del Centro-Nord la migrazione dall’Europa fu sostituita da quella interna, la Great Migration.
Dall’indipendenza, da quando si fecero statistiche demografiche, ne1 1780, fino al 1910, oltre il 90 per cento degli afroamericani viveva negli stati del Sud. In particolare in Louisiana, South Carolina e Mississippi. Nel 1970 restava al Sud poco più della metà degli afroamericani. E anche loro si erano urbanizzati: nel 1900 solo un quinto degli afroamericani del Sud viveva in aree urbane. Nel 1970 più dell’80 per cento, per lo più in aree urbane di grandi dimensioni, nelle città.
 
Anton Guadagno – Ricordato anche lui, come Anton Coppola, da Pappano in “La mia vita in musica” come uno di quei musicisti italiani in America che “riuscivano miracolosamente a mettere su un allestimento nel giro di pochi giorni”. Nativo di Castellammare del Golfo (Palermo), è stato direttore del Metropolitan di New York e della Wiener Staatsoper per l’opera italiana.
 
Jim Crow – Le leggi Jim Crow sono un sistema di leggi locali, e degli Stati meridionali degli Stati Uniti, che a cavaliere del 1900 crearono l’apartheid per gli afroamericani. A opera del partito Democratico. Sotto la sigla “uguali ma separati”. Con la separazione in tutti i servizi pubblici (trasporti, ristorazione, sanità, igiene) e privati (domestici e sociali). Un regime non istituito, non dichiarato, che tuttavia canonizzava legalmente la separazione nelle scuole, nei trasporti, nei luoghi pubblici (parchi, bagni, bar, ristoranti). E nelle forze armate.
Succedevano ai “codici neri”, applicati dall’indipendenza fino alla fine della guerra civile, nel 1866, che già avevano ridotto i diritti degli afroamericani.  
Le leggi Jim Crow furono dichiarate incostituzionali dalla Corte Suprema nel 1954. Con una sentenza che verrà applicata solo dieci anni più tardi, nel 1964, dalla presidenza di Lyndon Johnson, il vice e successore di John Kennedy, col Civil Rights Act. Dopo un decennio di protesta civile, animata dal reverendi Martin Luther King, Ralph Albernathy e altri, a partire dal famoso episodio di ribellione di Rosa Parks, una giovane nera che si rifiutò nel 1955 a Montgomery, Alabama, di cedere il posto in autobus a un bianco, e fu per questo arrestata. Ma ancora nel 1965 si registrava un
Bloody Sunday – in realtà due repressioni violente, una di domenica e una di due giorni dopo, per impedire una marcia di protesta, pacifica, da Selma a Montgomery, in Alabama, per protestare contro il governatore dello Stato. Il 7 marzo 1965 la polizia di Selma e una squadra armata di cittadini bianchi attaccarono la marcia appena partita, di 500-600 persone, ferendone una cinquantina. Da qui il bloody Sunday con cui è ricordata - un evento molto amplificato perché in diretta televisiva per tutto il Paese. Due giorni dopo gli organizzatori ritentarono la marcia, ma ne furono bloccati alla partenza. Dopo lunghe trattative, la marcia fu effettuata il 21 marzo, e dopo quattro giorni si concluse, pacificamente, a Montgomery. In agosto il Civile Rights Act del 1964 fu implementato di un Voting Rights Act, chiudendo del tutto la stagione del separatismo.

astolfo@antiit.eu

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