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venerdì 6 dicembre 2024

Le armi portano ala guerra

Le “armi” del pacifismo sono spuntate. Anche oggi che siamo, seppure a distanza (ma ne paghiamo i costi), in mezzo alle guerre, in Palestina, in Siria, in Ucraina. Spuntate lo erano, al fondo, anche al tempo di Cassola, di questa perorazione, nel 1980. Che però, riproposta oggi, ha un’altra risonanza.
Allora eravamo – l’Europa era – come al di fuori o al di sotto delle guerre, poiché l’unica che si prospettava, seppure remotamente, era quella nucleare, tra i due grandi imperi, Usa e Urss. Oggi quella minaccia non c’è più, e bizzarramente siamo più esposti alle guerre. Alle conseguenze, per ora, delle guerre. E a guerre di tipologie che si pensavano passate e quasi remote, religiose e tribali. È qui che la perorazione di Cassola comincia a mordere: stiamo parlando di noi, dei nostri vicini – non di deep state senza volto e comitati centrali.
Il disarmo è un’utopia – bisognerebbe prima finirla con gli Stati. E non c’è anno che la spesa per armamenti non si accresca. Ma capire che le armi fanno male, questo non sembra impossibile.
C’è anche una ragione di lungo per un appello come questo di Cassola – che fosse per questo motivo è caduto nel vuoto: l’Italia è pacifista. L’opinione, la politica, le stesse forze armate, e la costituzione, sono pacifiste. La leva è volontaria, e i corpi militari sono addestrati a missioni civili, e di pacificazione. Ma – è il problema del pacifismo – questo non risolve: l’Italia non può, non potrebbe, escludersi da una guerra di quelle cosiddette di civiltà. Per l’Europa o per l’Occidente, per due concetti, anche un po’ malandati.
C’è sempre un motivo per farsi guerra. A meno di una guerra contro tutte le guerre. Ma dell’utopia c’è bisogno – ne ha bisogno la stessa Realpolitik. C’è bisogno del domani.   
Carlo Cassola, Contro le armi
, Rogas, pp. 168 € 15,70

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