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L’Europa all’ora – di nuovo – del tribalismo slavo
È guerra, “delle nazioni
contro l’Europa e delle nazioni contro se stesse”, tra America e Cina, “all’interno
della stessa America”, di tutti contro tutti, “contro i poveri, contro le
istituzioni democratiche, contro la sacralità della Terra, contro la natura che
non ne può più di noi, guerra persino contro Dio”. Siamo già morti, e non lo
sappiamo?
È guerra contro
gli immigrati, benché inermi e affamati. Dei ricchi contro i poveri, e di
poveri contro poveri. Non imperiale, di conquista e sottomissione, piuttosto di
obliterazione, di sterminio. Feroce, come sono tutte le guerre.
Un racconto lungo
una notte, dell’aprile 2024, da mezzanotte alla sei. Sulle guerre che ogni giorno
si assommano. Con la premessa: “Con le nazioni ho il dente avvelenato”. Facile.
Tanto più per un triestino: facile da “vedere”, fiutare. Dell’“Europa delle
steppe”, come lo stesso Rumiz dice, “contro l’Europa dei mari”. Un dormiveglia
lucido. È la fine del mondo? No, c’è chi ci guadagna. Ma la “nuttata” certo
sarà lunga - anche se Rumiz preferisce l’apocalittica lunga notte di Céline, si
tratta piuttosto di un travaglio eduardiano.
“Lo spettro della
barbarie in Europa” nelle parole di Rumiz, ispirato, emerge fisico, massiccio.
Ma, poi, sono solo parole. C’è un prima, e in qualche modo ci sarà un dopo. Ci sono
delle cause. Ci sono politiche, e “piani di azione”, di preferenza surrettizi.
Rumiz è un poeta della parola, e non se ne cura. E allora non c’è da
preoccuparsi? C’è. Ma in altro modo. Facendo le domande e cercando le risposte
giuste, al caso.
A p. 16, la quarta
del testo, i primi minuti della prima ora, Rumiz fa l’elenco delle guerre in corso.
Molto preciso. Ma ne manca una, quella degli Stati Uniti contro la “Fortezza
Europa”. Da trentadue anni, dalle guerre jugoslave. Lo stesso Rumiz, nel 2008,
con Monika Bulaj, ne aveva visto i segni (e ne aveva scritto ampiamente, la serie
estiva di corrispondenze “L’altra Europa” per “la Repubblica”). E su Israele a
Gaza, “uno degli eserciti più professionali al mondo” contro “una specie di
ghetto”, propone solo una lista di interrogativi – quando le risposte sono chiare
anche nel fronte sionista. Con la verità, poi, non nascosta ma fatta dire a un
colonnello dello Stato Maggiore austriaco, Markus Reisner. Storico ma militare,
di un Paese che nessuno minaccia anche se non fa parte della Nato. E da Marine
Le Pen, pensare, “con cui non condivido quasi niente”, quindi per ragioni forti:
che vogliamo, fare la guerra alla Russia? Contestualizzare non allenta la tensione,
e forse indebolisce la poesia, ma è necessario – che ne direbbe altrimenti “quella pericolosa volpe di Henry
Kissinger”?
Un dormiveglia sulle
guerre. nel mezzo dell’Europa, propriamente, fisicamente, sulla linea di confine,
con “l’Europa delle steppe”, degli slavi. Cioè con la chiave a portata di mano –
non oggi, da quarant’anni. Uomo di frontiera – lui dice di confine, ma col sottinteso
che il confine è fatto per essere superato – Rumiz non sopporta il filo spinato.
E forse non vede – da Trieste sarà meno percettibile, ma da remoto è invadente –
il tribalismo slavo, che non finisce d’imperversare. Che ha aperto e chiuso il
Novecento ma all’evidenza non si esaurito, non ha messo di inquietare.
Ma lui se lo dice
anche, seppure di passata, uscendo di casa nel borgo alla frontiera, alla fine
della prima ora d’insonnia: “Qui, a ridosso dei Balcani, ho scoperto che i nazionalismi
sono bestie malate di antagonismo”.
Paolo Rumiz,
Verranno di notte, “la Repubblica”, pp. € 8,90
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