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sabato 7 dicembre 2024

L’Europa all’ora – di nuovo – del tribalismo slavo

È guerra, “delle nazioni contro l’Europa e delle nazioni contro se stesse”, tra America e Cina, “all’interno della stessa America”, di tutti contro tutti, “contro i poveri, contro le istituzioni democratiche, contro la sacralità della Terra, contro la natura che non ne può più di noi, guerra persino contro Dio”. Siamo già morti, e non lo sappiamo?
È guerra contro gli immigrati, benché inermi e affamati. Dei ricchi contro i poveri, e di poveri contro poveri. Non imperiale, di conquista e sottomissione, piuttosto di obliterazione, di sterminio. Feroce, come sono tutte le guerre.
Un racconto lungo una notte, dell’aprile 2024, da mezzanotte alla sei. Sulle guerre che ogni giorno si assommano. Con la premessa: “Con le nazioni ho il dente avvelenato”. Facile. Tanto più per un triestino: facile da “vedere”, fiutare. Dell’“Europa delle steppe”, come lo stesso Rumiz dice, “contro l’Europa dei mari”. Un dormiveglia lucido. È la fine del mondo? No, c’è chi ci guadagna. Ma la “nuttata” certo sarà lunga - anche se Rumiz preferisce l’apocalittica lunga notte di Céline, si tratta piuttosto di un travaglio eduardiano.
“Lo spettro della barbarie in Europa” nelle parole di Rumiz, ispirato, emerge fisico, massiccio. Ma, poi, sono solo parole. C’è un prima, e in qualche modo ci sarà un dopo. Ci sono delle cause. Ci sono politiche, e “piani di azione”, di preferenza surrettizi. Rumiz è un poeta della parola, e non se ne cura. E allora non c’è da preoccuparsi? C’è. Ma in altro modo. Facendo le domande e cercando le risposte giuste, al caso.
A p. 16, la quarta del testo, i primi minuti della prima ora, Rumiz fa l’elenco delle guerre in corso. Molto preciso. Ma ne manca una, quella degli Stati Uniti contro la “Fortezza Europa”. Da trentadue anni, dalle guerre jugoslave. Lo stesso Rumiz, nel 2008, con Monika Bulaj, ne aveva visto i segni (e ne aveva scritto ampiamente, la serie estiva di corrispondenze “L’altra Europa” per “la Repubblica”). E su Israele a Gaza, “uno degli eserciti più professionali al mondo” contro “una specie di ghetto”, propone solo una lista di interrogativi – quando le risposte sono chiare anche nel fronte sionista. Con la verità, poi, non nascosta ma fatta dire a un colonnello dello Stato Maggiore austriaco, Markus Reisner. Storico ma militare, di un Paese che nessuno minaccia anche se non fa parte della Nato. E da Marine Le Pen, pensare, “con cui non condivido quasi niente”, quindi per ragioni forti: che vogliamo, fare la guerra alla Russia? Contestualizzare non allenta la tensione, e forse indebolisce la poesia, ma è necessario – che ne direbbe altrimenti “quella pericolosa volpe di Henry Kissinger”?
Un dormiveglia sulle guerre. nel mezzo dell’Europa, propriamente, fisicamente, sulla linea di confine, con “l’Europa delle steppe”, degli slavi. Cioè con la chiave a portata di mano – non oggi, da quarant’anni. Uomo di frontiera – lui dice di confine, ma col sottinteso che il confine è fatto per essere superato – Rumiz non sopporta il filo spinato. E forse non vede – da Trieste sarà meno percettibile, ma da remoto è invadente – il tribalismo slavo, che non finisce d’imperversare. Che ha aperto e chiuso il Novecento ma all’evidenza non si esaurito, non ha messo di inquietare.
Ma lui se lo dice anche, seppure di passata, uscendo di casa nel borgo alla frontiera, alla fine della prima ora d’insonnia: “Qui, a ridosso dei Balcani, ho scoperto che i nazionalismi sono bestie malate di antagonismo”.
Paolo Rumiz, Verranno di notte
, “la Repubblica”, pp. € 8,90

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