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Puccini regista all’opera
Partendo dalla
fine della casa Ricordi, acquisita nel 1994 da Bertelsmann giusto per i
(residui) ricavi da diritti d’autore, l’eminente musicologo americano,
specialista dell’opera italiana, parte dalla constatazione che il nuovo editore
ha “quasi del tutto bloccato la pubblicazione della musica contemporanea”. Mentre
Giulio Ricordi, pur non sottovalutando gli “interessi comerciali”, “fu capace
di addossarsi i fallimenti e i successi parziali del giovane Giacomo Puccini
negli anni 1880 perché credeva nel compositore”. E di fiducia “il giovane
Piccini aveva molto bisogno”.
La seconda osservazione
nasce da una scoperta. Cinquant’anni fa, venendo a spirare i diritti d’autore
delle tre opere pucciniane più eseguite, “Bohème”, “Tosca” e “Madame Butterfly”,
la casa Ricordi aveva provato a rientrare nell’affare con le edizioni critiche.
E Gossett fu richiesto di rieditare “Madame Butterfly”. Scoprì nell’occasione
che il modo di comporre l’opera era radicalmente cambiato con Puccini: “«Madame
Butterfly»… va vista come il prodotto di una varietà di collaboratori. Diversamente
dalle opere italiane da Rossini fino all’Aida di Verdi (1971), per le
quali il manoscritto nella calligrafia del compositore rimane la nostra fonte
migliore”, l’elaborazione dell’opera pucciniana è composita: sotto “la supervisione
di Puccini, redattori, librettisti, maestri e altri collaboratori contribuirono
a portare il lavoro in stampa”. Gossett non lo dice, ma spiega che la creazione
di un’opera era come oggi fare un film, con un regista e molti tecnici.
Una serie ghiotta
di osservazione di questo metodo composito di composizione segue, di Gossett e
dei tre scrittori che recensisce, Michele Girardi, Julian Budden e Mary Jane
Phillips-Matz.
Per il Centenario
la rivista ripropone un saggio di vent’anni fa, in forma di recensione delle
prime biografie “critiche” di Puccini.
Philip Gossett, The
Case for Puccini, “New York Review of Books”, free online
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