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Se il processo è una condanna
Il processo “Open”, a Matteo Renzi e al Pd fiorentino, il “cerchio
magico”, quello che aveva conquistato il partito attraverso la “Leopolda” (un
adattamento dell’idea di Prodi che per l’Ulivo preparava le campagne elettorali
facendo confluire ad appositi tavoli a Bologna chiunque avesse idee da
proporre), si conclude prima di cominciare, il giudice dell’udienza preliminare
avendo bocciato l’accusa. Ma dopo nove anni. Il tempo di azzoppare Renzi – e
anche il Pd. Con un processo che non doveva cominciare.
Nove anni per un giudizio “preliminare” sembrano troppi. Ma nessuno
scandalo. Soprattutto non nell’ambiente giudiziario. Il giudice che aveva
montato l’accusa, Luca Turco, uno specialista di processi a Renzi e famiglia,
serafico ha assistito alla bocciatura, ed è andato in pensione. In buona
salute, si suppone: lavorare nove anni a un non-processo dev’essere stata una
fatica dilettevole (Turco aveva cominciato la carriera come giudice, poi ha scelto la meno pregiata carriera di
Procuratore, evidentemente di maggiore soddisfazione - a parte il fatto di
poter non lavorare, basta puntare un personaggio).
Anche in America la giustizia è politica. Le
Procure inondano i media di materiali sempre sensazionali e a cascata, per
rendere la difesa faticosa e comunque tardiva. I Procuratori sono politici -
eletti o nominati politicamente. Ma si va veloci. E i giudici sono
sanzionabili. Dagli elettori (dai partiti di appartenenza) e da chi li ha
nominati. In Georgia la procuratrice Fani Willis, che col fidanzato montava un
processo contro Trump per l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2020, e per
sottrazione di documenti segreti, è stata rimnossa dal procedimento. Da una
corte d’Appello, del suo stesso partito, Democratico.
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