Secondi pensieri - 550
zeulig
Autorità – È il fondamento del potere politico. Del legame fra il re e i suoi
sudditi, più che il fattore stirpe o sangue. Del governo con il popolo – con e
senza il voto, l’elettività. L’Auctoritas è il fondamento di ogni buon
governo, anche democratico, non solo dittatoriale (monolitico, imperiale,
totalitario….).
È
concetto elaborato da Alessandro Passerin d’Entrèves (richiamato in più passi
da Hannah Arendt) nella elegante “Dottrina dello Stato”, 1962:
la forza mista alla autorevolezza, l’Auctoritas, la romana
legittimazione. Legittimità e sovranità, l’Auctoritas, che l’America
realizza oggi, si direbbe, nel modo più pieno, e anzi in eccesso.
Non la forza bruta, argomenta
ancora Passerin d’Entrèves nel dare ragione a Mazzini: “La nozione marxista dello Stato si attaglia
alla concezione volgare italiana che la forza e non il consenso è la chiave
della politica”.
Auctoritas che – sempre Passerin d’Entrèves - è chiesastica, ed
è la base della libertà. Che non è essere Dio, l’uomo è limitato, tanto più un
manovale con poco mestiere. L’uomo non è libero alla nascita da questo punto di
vista, la libertà è solo condivisa. E viene così la nazione, la famiglia di
storia, lingua, modo d’essere. La patria è questa forza, l’Aucotoritas, accanto
alla religione.
Auctoritas
o
legittimazione che all’Italia sempre è mancata, argomenta l’illustre studioso - piemontese e esiliato della Repubblica - nell’ultima
prolusione a Oxford. Per avere i Savoia e i loro aiutanti scambiato i bastoni
per briscola: “I governanti dell’Italia unita sembrano aver provato più paura
da dentro che da fuori”. E hanno lasciato fuori dallo Stato la chiesa e i
lavoratori, si volevano legittimare con la polizia.
Nelle
vicende italiane Passerin d’Entrèves trovava parecchi riscontri: l’Auctoritas
è il momento in cui la forza, seppure limitata, e il potere si combinano .-
il potere non è la violenza, e se ne tiene anzi distinto. Il Mussolini di Salò
ne è figurazione, che sa di rappresentare un’esigua minoranza, e più disperata
che convinta, terroristica. P il re, che sancì il fallimento dell’unità di Casa
Savoia scappando al Sud. Al Sud che non rappresentava - al referendum il Sud lo
voterà perché si riconosceva nel “Regno”, unità metafisica, ma chi lo conosceva,
incluse le province di Casa Savoia, con decisione lo rifiutò.
Pierre Rosanvallon ne trova fondamenta invisibili,
ancorché solide. Uno “zoccolo” che viene prima delle istituzioni che organizzano
ed esercitano l’Auctoritas – con terminologia che rimanda a Passerin d’Entrèves:
l’autorità fondano la fiducia e la legittimità. Componenti non normabili. Nemeno
definibili in astratto – sono un comune sentire, 1a condivisione di un sentire.
E variabili, non rigide. Oggi in crisi, si può aggiungere, per essere state
sostituite dall’ideologia non dichiarata degli affari – la catena del guadagno.
Dal mercatismo, con il connesso sovranismo, e dal legismo, dalla legalità
formale. Dalla favola dell’armonia naturale degli interessi.
All’origine della debolezza ricorrente della
democrazia è l’acquiescenza, all’“ordine delle cose”. L’Auctoritas è vigile,
ha bisogno di una coscienza critica.
Cultura
–
Le canzonette sono (fanno) cultura? Detta così, la risposta è scontata. Ma non
per Jovanotti: “Non mi convince la distinzione tra cultura alta e cultura
bassa. «Gloria» di Umberto Tozzi non ha nulla da invidiare alla «Locomotiva» di
Guccini”. Guccini se ne è risentito: “Non sono d’accordo. «La locomotiva» è una
canzone dietro la quale ci sono dei libri, delle letture. Non vorrei usare una parola
grossa come «cultura», ma c’è. «Gloria» è una bella canzone, si ascolta
volentieri, però non c’è una storia dietro, non c’è qualcsa che si chiama
cultura”. Cultura è quindi storia, consapevolezza.
Poi però c’è l’arte
(“Gloria”), che non necessariamente deve mostrare il suo ancoraggi alla cultura
– alla storia - ma è chiaro che anch’essa è ancorata, niente è disancorato dalla
storia.
Guccini fa l’errore
comune di confondere cultura con erudizione? Si può essere colti senza
erudizione? Per un cammino consoscitivo sensitive o sensibile sì.
Solipsismo – Si dirà il modo di essere del Millennio, del suo
primo quarto già trascorso. Il nome è una categoria filosofica precisa, ma può
essere usata per una sua derivazione, per dire lo stato attuale del cittadino del
mondo: l’isolamento, e l’autoreferenza – una sorta di onanismo, “guardarsi l’ombelico”.
Un cane, anche due – tre – al posto di un figlio, per le persone singole e
anche per la coppia – un interlocutore muto, fashionable, e uno specchio
di sé, una proiezione. Anche se faticoso e costoso - molto di più di un bambino.
Una letteratura memorialistica - autofiction, autoriflessione, autoredazione, una
vita come una seduta dallo psicoterapeuta. Una lettura soggettiva, per lo più
superficiale e distratta, della realtà. La guerra, le guerre, l’immigrazione, il
femminismo (da parte dei femministi, e degli anti). La funzione perduta dell’opinione
pubblica, del dibattito pubblico e sociale, di partito, di gruppo, di colleganza,
tra amici. La credulità, frettolosa, sui social. La religione ridotta a macchietta.
Il matrimonio in teatro, nel bosco, con l’astrologa, nella foresta con lo
sciamano. La moltiplicazione degli stimoli, visivi, informativi, riflessivi,
come annullamento (sazietà) degli stessi. Un modo di essere e un mondo grigi,
opachi, e non più differenziati, in forme, colori, tempi. Un appiattimento. L’esito
di un mondo governato da un sola funzione o “autorità”, il consumo – dalla pubblicità
per il consumo, dai social per la pubblicità (un promotore distratto di pubblicità,
che opera con criteri generici uguali per tutti i mercati, anche i più diversificati,
Google, raccoglie in un mercato stratificato e singolarizzato nei suoi caratteri
storici e “attitudinali”, quello italiano,
più pubblicità di tutti, più anche della Rai, che si direbbe incarnare la
“italianità”, conoscere meglio di tutti, e metterli a profitto, tendenze e
propensioni).
Stile - Dice Aristotele
che l’intreccio fa aggio sulla psicologia e lo stile. E ha ragione: la
psicologia non ha tipi né caratteri, se non a fini classificatori, è inutile voler
squadrare i personaggi. La regola dell’intreccio è che non ci sono regole. Ma
lo stile no, il plot è lo stile,
quasi sempre. Un incidente d’auto può essere più drammatico di una strage, se è
raccontato meglio.
Lo
stile è la verità dell’evento. E delle persone: si sa chi commette delitti e
chi non può commetterli, anche se non si sa, ognuno lo dice col suo modo
d’essere. In un racconto questo si vede nei personaggi che di sicuro non hanno
colpa della vicenda - si procede anche lateralmente, marciando sulle ali.
zeulig@antiit.eu
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