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giovedì 5 dicembre 2024

Spoon River di Sicilia

“Sicilia, un niente che pretende di essere qualcosa”. E “la sicilianità altro non è che la presunzione di credersi unici o, nella versione di Sciascia, la metafora del mondo” – “esiste un frammento di mondo che non sia metafora dell’intero mondo?”. Tanto vale dirlo subito, con la conclusione, il succo della riflessione.
Una conclusione folgorante come l’attacco. Con Giufà, il personaggio eponimo della letteratura popolare burlesca – sciocco\saggio suo malgrado in Sicilia, l’isola privilegia il paradosso (l’autore scuserà, ma lui stesso è molto siciliano). Giufà, vedendo la luna riflessa nel pozzo, pensa ci sia caduta e si premura di salvarla – congratulandosi poi con sé quando, alzando la testa, la vede in cielo.
Un porcile con inspiegabili gioielli”, è un’alrra conclusione: “È l’immagine che i non Siciliani e molti Siciliani hanno della Sicilia. Ricosruirne la storia era uno degli scopi di questo libro”. La storia dell’immagine, naturalmente, non della Sicilia. Contrapponendo ad essa “la Sicilia vissuta e raccontata da Vittorini – una Sicilia popolata da Gran Lombardi”, da siciliani fattivi e dedicati.
Ma ci si ariva per un un affascinante autoritratto della Sicilia. Una sorta di autoscatto: un’istantanea ricca di umori, ricchissima.

Il sottotitolo è “Psicoanalsi di un’identità”. In poche pagine una folta serie di problemi e di anamnesi circostaziate. Con abbondanti esumazioni linguistiche a conforto. Specie del Trecento. E poi del Cinque e Settecento.
Perché la Sicilia non sarebbe Italia? Il siculo fu il primissimo italiano letterario. Per Dante la cosa è scontata, risaputa. Nel “De vulgari eloquentia” e nella “Commedia”. Una prima edizione dell’italiano, poi adottato nella vocalizzazione, se non la fonetica, toscana. Il passaggio dal siculo al toscano fu sancito autorevolmente dal veneto Bembo - che fu in Sicilia, si può aggiungere, a Messina, prima che a Firenze. E da allora incontestato. Se non da un Claudio Maria Arezzo (il letterato siracusano-messinese che fu per alcuni anni lo storiografo al seguito di Carlo V), che confuta Bembo. Ma con un intervento, per così dire, in difesa: che non s di dica che la Sicilia è Africa – “mandar fora Siclia di Italia e dil parlar thoscano”. Machiavelli, aggiunge Lo Piparo subito dopo, lo aveva già scritto, anche se nessuno lo sapeva (questa cosa, se è sua, è stata pubblicata postuma): una sorta di Feltri del Cinquecento, “non aveva dubbi: la Sicilia non è italiana” - “Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua”). Contro un Bembo peraltro che in effetti ribalta Dante cialtronescamente: fra provenzale e siculo, il toscano è provenzale. Dante, nel “De vulgari eloquentia”, riporta il toscano al siculo come un dato di fatto, dandolo per scontato in mezza riga, e per una ragione semplice: “Perché sede del trono legale era la Sicilia, e pertanto tutto quanto i nostri predecessori hanno prootto in volgare si chiama siciliano”.
Una riflessione polemica, ma piena di chicche. Emizionante la lettura in parallelo tra Vittorini e Tomasi di Lampedusa, tra “Conversazione in Sicilia” e “Gattopardo”, sulle figure femninili, la condizone, i ruoli. Curiosa, e sottovalutata, la chiosa che il siculoitaliano è stato per tre secoli, da metà Seicento, la lingua dei sinodi, e delle attività in chiesa, catechismo e predicazione, e probabilmente confessione, “fino agli anni a ridosso dell’Unità”, quindi per due secoli. O di Gramsci – di cui Lo Piparo è studioso – che di Pirandello, dopo aver visto “Liolà” a Torino, fa l’erede dei riti dionisiaci dell’antica Grecia. O di Marx che sdottora di “Sicily and the Sicilians” in una delle tante corrispondenze ai giornali americani con cui si manteneva, qui alla “New York Daily Tribune”, 17 maggio 18690.
Contro il sicilianismo, la diversità. “I pupi siciliani nascono in lingua italiana”, e prosperano. Ilscialisnmo, siciitudine comoersa, è sterile. Uno Statuto autonomo della Regione Siciliana, e solo della Sicilia, è stata varato in fretta dalla Luogotenenza del Regno il 15 maggio del 1946, ed è stato poi recepito dalla Costituzione, a nessun effetto.
L’approccio è disincantato: la Sicilia è un “fantasma che diventa realtà”. O non è il contrario? “Il mito della Sicilia culturalmente isolata è stato prodotto e diffuso da pensatori e scrittori le cui esistenze smentiscono il mito”. Goethe, alla radice moderna dell’equivoco, col suo “senza la Sicilia non ci si può formare nessuna idea dell’Italia – è qui la chiave di tutto”, va riletto in originale: “Senza la Sicilia l’Italia non lascia nessuna immagine nell’anima”. Non c’è Italia senza la Sicilia sta per dire che nell’isola si assommano bellezza (natura), cultura, cucina – subito dopo la conclusione Goethe parla di clima, paesaggi, gastronomia, arte. Senza strafare – ha appena detto severo delle stavaganze del principe di Palagonia a Bagheria “un niente che pretende di essere qualcosa”.
Insomma, Goethe non c’entra. E il fatto è, può dire in esergo il linguista Lo Piparo con Isidoro di Siviglia, il primo linguista della storia: “Ex linguis gentes, non ex gentibus linguae exortae sunt”.

L’Accademia Poetica Letteraria di Pura Lingua Siciliana di fine Settecento, i cui statuti sarebbero stati redatti dall’abate Meli, ragiona in italiano, e si dedica in siciliano a un poema del ficodindia – che non redige. Meli, il poeta dialettale per eccellenza, in prosa scrive in italiano – di lui Capuana ha potuto scrivere: ”Bisognerebbe tradurre il Meli in siciliano” (era peraltro uno scienziato, docente di chimica per trent’anni, sempre aggiornato in materia, tra i primi ad aderire alle tesi innovative di Lavoisier).
Un inno, alla fine, l’ennesimo, all’isola, anche se da prefica severa. Nell’intelligenza dell’idea e nella resa narrativa. Severo con Sciascia, in tema di “sicilianità”, l’autore è a sua volta paradossale ma veritiero, a fronte delle montagne di vulgate che seppelliscono la Sicilia. Anche per la frequentazione, vuole che si sappia, dello storico Giarrizzo, personalità poco corriva - lo storico, socialista, del Settecento, della Massoneria, del Meridionalismo, dello stesso Statuto eccezionale, luogotenenziale, del 1946.
L’idea-programma è dichiarata, è la “psicoanalisi di una identità”, e “l’origine continentale della Sicilia moderna”. L’origine linguistica, prima ancora che storica – Lo Piparo è linguista, prima ancora che ottantenne saggio. Forse con una evidenza trascurata: i Normanni chiamati e protetti dal papa pe latinizzare la cristianità del Sud, di rito ancora persistentemente greco-bizantino, malgrado la scomarsa dell’impero. Dopo la debolezza manifestata dai primi riconquistatori, i longobardi. Fatto più evidente forse in Puglia e in Calabria - dove i Normanni ristagnarono per un secolo, guardando la Sicilia che non gli riuciva di abbordare, da terragni, non più gente di mare.
Franco Lo Piparo, Sicilia isola continentale
, Sellerio, pp. 336 € 16

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