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giovedì 21 novembre 2024

La giustizia autonoma dei Procuratori

Non si è innocenti se non lo vuole il Procuratore della Repubblica. Che a difetto di colpe, o anche in caso di assoluzioni pronunziate, può continuare a considerarti colpevole. O forse non a considerarti, ma a dire agli amici e conoscenti, specie ai cronisti giudiziari al suo orecchio, che comunque sei un lestofante.
Il vice-presidente della Regione Liguria, nella gestione Totti e in quella nuova, votata a ottobre, Alessandro Piana, lamenta di essere stato indagato per un anno per un fatto che non ha commesso e non poteva scommettere – un giro di squillo a base di stupefacenti. “L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere”, lamenta – attendere le elezioni un mese fa.
La notizia della chiusura delle indagini e senza il suo nome fra i rinviati a giudizio, è stata data solo tre giorni fa, dopo la sua conferma alla vice-presidenza. La Procura cioè voleva non solo danneggiarlo alle elezioni, ma anche nelle nomine post-elettorali.
Il consigliere vice-presidente se ne lamenta con cautela. Senza colpa per nessuno, e anzi con professioni di stima per i giudici. Perché sa che ci sarebbero ritorsioni. Cioè, i giudici si temono. Ma questo non interessa a nessuno, nemmeno a Mattarella – ha paura pure il presidente della Repubblica?

La vita che vorremmo

Ideato, sceneggiato e prodotto dallo stesso Krasinski– attore di molti film, regista di “Un posto tranquillo”, sugli alieni senza gesta dall’udito sensibilissimo, più noto come marito di Emily Blunt - è una vita fatta come vogliamo. Come la immaginiamo.
Sul presupposto che i migliori racconti per bambini sono quelli che i bambini si fanno, Krazinski immagina una ragazza che ritorna in casa della nonna, perché la madre è morta e il padre è in ospedale, e qui, dopo aver rifiutato sdegnosa – “non sono una bambina” – lo scatolone con i suoi disegni da piccola e altri materiali religiosamente raccolti e conservati nell’armadio, finisce poi per recuperarli. Se li porta in soffitta, e vive con loro, la nonna eternamente assopita davanti alla tv, le sue piccole e meno piccole attività di ogni giorno, in ospedale e per strada, in loro compagnia  - ogni pupazzo una personalità e un linguaggio.
Semplice, e geniale. Con una resa felice, per tempi, situazioni, dialoghi. Per bambini – o forse più per adulti.
John Krasinski, IF – gli amici immaginari, Sky Cinema

mercoledì 20 novembre 2024

Problemi di base bideniani - 833

spock
 
Morire per Biden?
 
Basta
 “lo zar” Putin alla buona coscienza?

 
Perché cacciare i russi dall’Ucraina – “prima” erano ben un quinto della popolazione?
 
Biden, dopo di me il diluvio?
 
Ma la pax americana è fatta di guerra – già cinque in venti anni?
 
La guerra non ha limiti?


spock@antiit.eu

Il colpo di coda di Biden

Ieri i missili, oggi le mine, domani? È possibile che un presidente degli Stati Uniti visibilmente disturbato, incapace di memorizzare e anche di coordinare le parole, di parlare, possa decidere questioni di guerra? Evidentemente sì. E non è una novità nell’imperialismo – non lo era già nell’antico impero romano? – anche se democratico.
Da non preoccuparsi, si dice, perché su questo strano presidente vigila il deep State, l’insieme di costanti della politica americana, specie in materia di economia, di politica estera, e di difesa. Un organismo, o solo un orientamento, un sentiment?, tanto volatile quanto incongruo. Biden è pur sempre il presidente che ha preso decisioni tanto masochiste quanto bislacche – che il deep State, cioè, avrebbe dovuto impedire, o correggere. Il ritiro dall’Afghanistan all’improvviso, lasciando al terrorismo migliaia di persone che avevano lavorato con gli americani, per venti anni - e le stesse truppe americane. O le provocazioni alla Cina su Taiwan, ripetute, a nessuno scopo e a nessun effetto. O il sostengo totale a Netanyahu, che è processato al tribunale penale dell’Aja, e pure in patria – per quale guerra? per quale fine? in Israele ha lasciato che si scavasse un fossato incolmabile, per la stessa sicurezza di Israele.  
Per giustificarlo si dice che vuole solo mettere il bastone fra le ruote al successore, l’odiato Trump. Per giustificarlo?
Questo Biden sarà intellettualmente menomato, ed emotivamente scosso, ma ben il presidente degli Stati Uniti. Che agisce come da tempo i suoi avversari, nel suo stesso partito, lo descrivono: chiuso in se stesso e umorale, e intemperante. Nazionalista e nazionalizzatore come e più di Trump, in economia, nella difesa, nella politica estera. E dalla vista corta, cortissima. Assurdo, ma è quello che succede.

Cronache dell’altro mondo – bellicose (307)

Putin ha avvisato che consentire l’uso di armi americane per colpire all’interno della Russia farebbe degli Stati Uniti una parte direttamente coinvolta nel conflitto.
Le opinioni in Russia sono diversificate, sul significato della decisione di Biden – anche se tutte concludono che essa intensificherà le azioni di guerra, sul campo, e nelle relazioni bilaterali Usa-Russia. Il “confronto” cresce d’intensità, e il negoziato sarà più difficile da avviare, per un armistizio o anche un semplice cessate il fuoco.
Ma in certo modo la decisione di Biden era scontata: l’opinione in Russia è comune che la l’iniziativa di Biden mira a mettere in difficoltà il successore Trump – che nella campagna elettorale aveva promesso una soluzione al conflitto “in 24 ore”.
(“The Washington Post”)

Cronache dell’altro mondo – giudiziarie bis (306)

Nella contea californiana di Alameda (Oakland e Berkeley, con l’università di California) la Procura distrettuale per anni ha mantenuto un gruppo di élite di procuratori per giudicare “i casi capitali”, in cui chiedeva la pena di morte. Noti come Death Team. Ora si scopre che alcuni membri del Team lavoravano per escludere sistematicante certe categorie di giurati, inclusi gli ebrei e i neri.
Gli uffici delle Procure sono talvolta chiamati “scatole nere”, perché l’operato interno è tenuto al coperto dal pubblico. Ma più segni, nei documenti emersi alla Procura della contea mostrano  sentenze modificate oppure scavalcate. E i criteri come le giurie venivano assemblate nelle cause con “la posta più elevata”.
In California i processi che contemplano la pena di morte durano solitamente decenni, e le possibilità di manipolazione sono per questo ampliate.
(
The New Yorker”)

 

Cronache dell’altro mondo – giudiziarie (305)

I giudici della Suprema Corte durante la seconda guerra mondiale erano in tutto asserviti al presidente Roosevelt. Dal quale erano stati nominati, sette su nove di essi all’entrata in guerra degli Stati Uniti.
Lo studio di un costituzionalista, Ciff Sloan, “The Court at War”, trova le decisioni della Corte tutte allineate alle decisioni presidenziali, dal controllo dei prezzi all’internamento degli americani di origine giapponese. Contravvenendo al principio della divisione dei poteri, quasi tutti i giudici operarono anche come consiglieri e consulenti di F.D.Roosevelt, dalle nomine ai regolamenti e alle strategie politiche.
La concorde riconoscenza verso il presidente contrasta con le frequenti liti e i pettegolezzi che dominarono in quegli anni la vita interna della Corte Suprema. Il più litigioso sarebbe stato Felix Frankfurter, l’avvocato liberal di origine austriaca, uno dei fondatori nel 1920 dell’Aclu, American Civil Liberties Union, e negli anni 1920 costante e veemente difensore di Sacco e Vanzetti.

Com’era violento l’afroamericano, in famiglia

La storia del vecchio film di Spielberg, quasi quarant’anni fa, dallo stesso titolo, con la stessa trama, ricavata dal romanzo dallo stesso titolo dell’ora molto celebre Alice Walker, ottantenne icona della poesia americana e dei diritti civili delle donne. Ma messa in musica: il film è la trasposizione in immagini del musical che è stato tratto dalla messinscena di Spielberg.
Una storia all blacks, all women¸ di violenze familiari, di uomini neri, padri, mariti, a danno delle figlie e delle mogli. e di riscatto, tra donne. Qui con una squadra di interpreti meno spumeggiante di quella di Spielberg, che annoverava Whoopy Goldberg, Margaret Avery, Oprah Winfrey. Anche se voluta e prodotta dallo stesso Spielberg e da Oprah Wimfrey. Anzi volutamente dimessa, nei costumi e nel fisico, giri di vita larghi, seni cadenti, passo anelastico. Ma dalle belle voci, furiose o dimesse, liriche, idilliache.
Una storia di ingenuità che rasentano la stupidità. Sotto la sferza del disprezzo. Ma senza cadere nella polvere o nello squallore: un mondo tratteggia di costruttori di case e coltivatori di campi, ma avari e tignosi, anzi violenti. Una piccola borghesia nera – due o tre bianchi fanno capolino non più di un paio di minuti in tutto, il postino, il gelataio, la moglie del sindaco, tiranna sciocca. In cui la donna semplicemente non esiste: non ha dignità e non merita rispetto, perfino il nome ha incerto. Un mondo separato al contrario, senza avversione ma senza alcun rilievo: di neri che sanno essere felici e infelici per sé.
Bliz Bazawule, Il colore viola
, Sky Cinema, Now

martedì 19 novembre 2024

La destra è delle donne (anche) in Germania

La paura dell’Afd, di uno scivolone della Germania a destra, si conferma ogni giorno di più il tratto dominante di questa viglia di consultazione elettorale – il cancelliere Scholz dovrebbe dimettersi prma del voto di fiducia richiesto per metà gennaio. Alla pari, se non di più, della crisi economica.
La paura non è infondata. Anche perché il successo di Alternative für Deutschland nei Länder orientali è stato doppiato da una costola dell’estrema sinistra, il movimento creato da Sahra Wagenknecht, già animatrice di Linke, il partito scissionista a sinistra dei Socialdemocratici. Che in un’intervista all’“Economist” a fine ottobre così spiegava la sua “sinistra conservatrice”: “È semplicemente un programma che corrisponde a quello che molta gente vuole. Da una parte la giustizia sociale. Dall’altra una politica conservatrice basata sulle tradizioni culturali e la riduzione dell’immigrazione, che si pone le questioni di guerra e pace”. In comune questa sinistra e Afd hanno l’immigrazione, l’energia (meno transizione verde, meno accelerata) e la difesa. Per difesa intendendosi la “questione Russia”: niente guerra alla Russia. È per tenere conto di questa forte tendenza che Scholz non si è allineato, come Macron, alla decisione di Biden di consentire offensive ucraine in territorio russo con missili Nato a lunga gittata (e con serventi Nato) - e anzi ha provato a ristabilire i contatti con Mosca.
Su questi temi c’è stato anche, evidenziato dal crollo massiccio dei Socialdemocratici e dei Verdi nei Länder che hanno votato, un travaso da sinistra a destra. Al movimento personale di Sahra Wagenknecht, e alla stessa Afd. Che, va ricordato, è stata fondata nel 2013, e tuttora è presieduta, da una lesbica dichiarata, Alice Weidel. Una destra capitanata da due donne, e con un certo richiamo a sinistra. I Verdi sono anche fuori dai parlamentini regionali, dal 15-16 per cento essendo crollati a meno del 5 per cento.
È su questa minaccia, doppiata dalla crisi economica, che il governo Scholz si è infine diviso, avviandosi alla dissoluzione. La lettera aperta di Lindner a Scholz, col richiamo all’austerità, ai conti in ordine e senza debito, in un momento difficile dell’economia, con chiusure di fabbriche e licenziamenti, ha avuto solo il senso di anticipare il voto politico, per provare a bloccare il consenso montante per l’estrema destra, proponendo un’altra destra, quella storica dei liberali.

Lezioni all’Italia, di calcio all’italiana – o la distruzione dal basso

Lezione di calcio della Francia all’Italia, e niente, come non detto (“L’Italia è prima, ma è seconda, etc. “). Della Francia delle riserve. Compresi gli scarti francesi delle squadre italiane, Guendouzy (Lazio), Koné (Milan), e il superlativo Rabiot (regalato dalla Juventus al Marsiglia, proprio regalato, gratis…).
Una lezione all’Italia di calcio “all’italiana”, con difese dentute (il miglior attacco è la difesa) e contropiedi, oggi ripartenze, semplici, coordinati, eleganti, e fulminei. A un’Italia di passaggetti impacciati, di giovanotti che non sanno che farsene del pallone, e lo mostrano anche, l’imperizia chiamando costruzione dal basso. In una coi commentatori: “Tra le linee, cerca il controllo, controllo che non riesce….”.
La Francia non ha vinto col contropiede, ha fatto gol su calci piazzati – giusto per umiliare di più gli italiani? Ma ha vinto anche la gara dell’eleganza, dell’atletismo, del gioco di squadra. Dell’intelligenza. Ma è solo calcio?

Quando l’America era sessuomane

Il paese del puritanesimo, che si rigenera a ondate, oggi fulminante, è stato mallevadore - e vittima -della sessualità a ogni costo, in ogni libro e in ogni film, in ogni condizione e in ogni posizione, motivo delle più diverse (sfrenate? puritane?) fantasie. Insomma, del sesso libero e del free porn. Talese, oggi novantaduenne, ne fa il quadro degli anni 1970-1980 (il libro è del 1981), sull’onda della “liberazione” sessantottesca. Ma non è un libro vecchio.
Sempre leggibile, perché Talese è uno scrittore più che un reporter, questo digesto di fatti, figure, eventi è utile ora come storia. Antica e contemporanea. Della pratica semplice del pluridivorzio (vivendo in America l’impressione è che si cambi coniuge, moglie o marito, come si cambiano i mobili, ogni pochi anni – pratica che in America è una necessità, mentre noi siamo, eravamo, per i mobili antichi, comunque di famiglia), e dell’evoluzione dell’erotismo. Fino al porno, inteso come liberazione, anche della donna. Con le comuni di fine Ottocento, e poi degli hippy, il Rapporto Kinsey sul comportamento sessuale degli americani, il nudismo, l’invenzione di “Playboy” e di “Screw”, e di “Gola profonda”, il film porno che arrivò alle famiglie. Anche la folla di personaggi, minori e minimi, con cui Talese popola il racconto, è fenomenale – nel senso del fenomeno: scambisti, onanisti, nudisti, centrimassaggi, pornostar. E mancano le (tante) donne che uccidevano i mariti infedeli – per lo più con la pistola. Raccontare le pratiche erotiche, piuttosto che le filosofie, è esercizio arduo, tra il sociologismo inerte e lo scurrile, ma Talese torva sempre la misura giusta.
Un mondo ossessionato dal sesso. Altrettanto ossessionato come lo è ora dalla distanza, dall’intoccabilità – dalla frigidità? Ora sessuofobo, ieri sessuomane. Sempre nel nome della libertà - - tutto in America naturalmente è liberazione, quindi anche la sessuomania, come ora la sessuofobia, a forza di risarcimenti multimilionari in tribunale. Uno smarrito Walter Siti firma la postfazione.
Gay Talese, La donna d’altri
, Bur, pp. 668 € 16

lunedì 18 novembre 2024

Scholz al voto anticipato, contro la Cdu\Csu

Il voto anticipato in Germania che il cancelliere Scholz ha in agenda punta a bloccare l’emorragia di voti che minaccia il suo partito, la Sdp socialdemocratica – che non lo segue sulla “guerra” alla Russia e gli imputa una corresponsabilità nella crisi economica. Ma anche a mettere in imbarazzo, indebolendola, la Cdu\Csu. Il raggruppamento democristiano, o popolare, sarà più esposto, in un voto anticiapto, a subire il momento favorevole, presso l’elettorato, registrato ultimamente dalla destra di Alternative für Deutschland. Dopo il voto non ci sarà altro governo possibile se non, di nuovo, una Grande Coalizione, tra socialisti e popolari – c’è una non dichiarata conventio ad excludendum contro Afd (come in Francia per il Rassemblement lepenista). Ma, spera Scholz, con una Cdu\Csu indebolita e non rafforzata.
La corsa di Afd è stata fulminea e vigorosa. Al punto da mettere in crisi gli assetti politici tradizionali. Che ora reagiscono provando addirittura a farla dichiarare fuorilegge. Un partito anti immigrati, anti Ue e pro Russia, anti transizione verde. Un partito mezzo liberale-mezzo nazionalista fondato appena undici anni fa. Una frazione della Cdu\Csu, che virando ultimamente verso l’estrema destra, con personaggi al vertice sospetti neonazisti, è diventato il primo partito nei Länder orientali dell’ex Germania comunista dove si è votato, in Sassonia, Turingia e Brandeburgo. Un voto non decisivo ma ben indicativo: sono Länder non di peso demografico, tre Calabrie, poco di più, ma di grande tradizione, culturalmente non arretrati.
È poi sopraggiunto a fine settembre il voto austriaco, che ha fatto dell’estrema destra, Fpö, Freiheitliche Partei Österreichs, partito della Libertà, il primo partito, e i timori accessi dal voto all’Est si sono acutizzati. L’Fpö ha fatto un balzo del 13 per cento rispetto al 2019. A spese del centro democristiano: il Partito Popolare Austriaco ha perso l’11 per cento dei suffragi – mentre i socialisti hanno tenuto le posizioni, specie nelle città (compresa Graz, capoluogo della Stiria, una delle due regioni - l’altra è la Carinzia, l’Austria meridionale – roccaforti dell’Fpö). Scholz non teme Afd, se a farne le spese sarà la Cdu\Csu.

Dell’infelicità delle donne (anche attrici)

Due madri degenere: incapaci, psicotiche, alcolizzate. Di una figlia bulimica, di un figlio debole e solo. Anzi tre madri: la terza, di cui girano le ceneri, sopravvive come arpia, che martirizzava i figli. E un’amica, che vive di espedienti, e di avanspettacolo. L’unico uomo è un parroco romano, “Bill”, in vario modo intrecciato con le donne: confessore, amico di droga, fratello.
Un’occasione per Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino di esibire il lato B a sessant’anni. Le battute farfugliando come al solito. È la parte forte-debole del film, di due donne incapaci, anche nell’amicizia. Specie nell’amicizia. Mentre Alba Rohrwacher, l’altra mamma, fa Alba Rohrwacher. Debolezze – delle interpreti come dei personaggi - che il film involontariamente espone. A fronte di una Greta Scacchi, “Frances”, senza lati da mostrare, anzi imbruttita, gonfia, zitella, che da sola gestisce la parte più drammatica del film, il ricordo della madre, impositiva e anzi violenta. In duo-duello con Danny Huston, il fratello prete, canadese romanizzato – il più sciolto, credibile, meno impostato dei personaggi.
Una storia di tutte donne, buone e cattive, che fanno bene e fanno male. Di donne n famiglia – storie di famiglie. Viste a tutto tondo, nei rapporti affettivi, e nei rapporti con i figli. In reazioni e vicende che tutti (ri)conoscono ma non scontate, non sulla scena. Rappresentate e non “vissute” come falsamente il cinema spesso propone: viste onestamente, a distanza. Anche la fotografia è interessante: il taglio delle immagini, le sfumature di colore, molto fluo, e il montaggio.
Un’idea, e una resa, nuove, che faranno epoca. Della deriva della donna, in Italia, da un paio di generazioni. Che non sa cosa vuole ma lo vuole tutto e subito. Di donne in assenza di uomini, incasinate e anche cattive. E niente, il film non è piaciuto ai critici, e non ha praticamente avuto distribuzione, benché lanciato dalla serie Sky “Call my agent”. Per il nome, per essere la regista “sorella”? Ma la sorella di John o di Lapo? L’episodio più drammatico è il ricordo finale di Bill e Frances, della madre che aizzava da piccoli la sorella a bullizzare il fratello minore - poi finito nella droga, benché generoso e buono. E niente, neanche un succès de scandale.     
Uno dei tanti film che danno l’idea che i critici in realtà non li vedano – che li vedano a turno (i giornalisti amano lavorare in
pool, come dicono, uno a turno fa il lavoro, che poi condivide), e gli altri riscrivano il suo giudizio?
Ginevra Elkann, Te l’avevo detto
, Sky Cinema

domenica 17 novembre 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (576)

Giuseppe Leuzzi

“A Giarre la stessa acqua piovuta su Valencia (ma nessuno si fa male)”. Come non detto, una breve - a corredo della foto delle auto che galleggiano. Giarre è una grande cittadina, da 25-30 mila abitanti, evidentemente ben costruita – sotto l’Etna ma non sui fiumi. Dal Sud mai una buona notizia.
 
“La «processione» è il movimento grave e solenne dei piedi: lo Spirito della terra si rivela in quanto spirito della comunità” – Ernst Jünger, “Anatomia e linguaggio” (in “Il contemplatore solitario”). È per questo che è invisa ai Carabinieri?
 
Al suo primo sbarco in Sardegna Ernst Jünger nota e annota (“La Torre Saracena”) “i limoni dolci”. Un tesoro trascurato del Sud. Come le mele limoncelle – che duravano anche mezzo inverno. Il Sud non vive (male) nel bisogno, vive nella trascuratezza.
 
A proposito di autonomia differenziata, lep e lup, l’avvocato e costituzionalista Mario Esposito, “terrone per quattro quarti”, si chiede e chiede: ”Ma possiamo dire in coscienza che il Sud ha avuto pochi denari nell’Italia repubblicana o riflettere anche su come li ha spesi?” Senza risposta, ovvio.
 
Magalì, nipote di Margherita Sarfatti, ricorda con Cazzullo sul “Corriere” che la nonna si consolava così: “Ho amato solo due uomini, ma entrambi erano eccezionali”. Uno era il marito, Cesare Sarfatti, avvocato. Che, spiega la nipote, “aveva difeso pure Mussolini. Dopo i fatti di Verbicaro, in Calabria. Era il 1911, scoppiò il colera, ma si ammalavano solo i poveri, ci fu una rivolta popolare contro i notabili, tre furono linciati. Mussolini si schierò con gli insorti, fu accusato di apologia di reato, e Sarfatti lo difese”. Chi sa se Mussolini, come poi lo stravotato Salvini, sapeva dov’era la Calabria.
 
In un saggio sullo scontro tra Camus e Sartre nel 1951, “De l’assentiment au ressentiment”, la rottura brutale di un’amicizia, il filosofo Jean-François Mattéi, di origine algerina anche lui, anzi proprio di Orano, la città di Camus, trova “nell’etica di Camus…. la generosità, nel senso cartesiano del termine, cioè la stima di se stessi”. Che poi dice “fragile equilibrio – greco prima di essere francese, diciamo «mediterraneo» per seguire la lingua dell’autore – tra la virtù di una volontà giusta e la felicità della stima di sé”. Fragile evidentemente, o perduta.


Negando nell’inchiesta di Perugia coinvolgimenti nelle intercettazioni degli imputati Striano e Melillo alla Procura Nazionale Antimafia, l’ex capo della Pna Cafiero de Raho, ex Procuratore occhiuto a Reggio Calabria (“si vive soli, la nostra vita è in ufficio, la società è collusa o compiacente”, e si evitò. per tre anni, di giocare a tennis), aggiunge, con innocenza?, che “presso la Pna, quando sono stati accertati comportamenti anomali o irregolari di appartenenti al Gruppo Ricerche, si è provveduto all’allontanamento, e in un caso anche alla denuncia alla Procura competente”. Quindi i “casi” sono più di uno. Bell’ambientino, l’antimafia. 

La disparità tra il volere e i fatti
,Licenziato da Hitler il 30 gennaio 1939. da presidente della Reichsbank e ministro dell’Economia incaricato degli armamenti (licenziato per poterne intensificare la produzione, a debito), Hjalmar Schacht si prese una lunga vacanza in India, così racconta nelle memorie, “Confessions of the «Old Wizard»”, durante la quale tenne un diario – Vecchio Mago gli viene dalla fama di economista capace, salvatore della Germania dall’inflazione in due occasioni tra le due guerre. Una pagina è sull’Italia, dove si imbarcò per l’Oriente – Napoli era detta “la porta dell’Oriente”, giapponesi e cinesi arrivavano e partivano da Napoli. Politicamente critica: “I nuovi edifici a Genova e Napoli mostrano uno sforzo fallito di elaborare un nuovo stile che si sforza di creare un’impressione eroica. A mio parere, è interamente fallito. Il vero eroico non è mai vistoso. Mi manca la nobile semplicità e la quieta grandezza di Winckelmann”.
A Napoli s’imbarca la duchessa d’Aosta – “la moglie del famoso aviatore che ha assunto l’incarico di sviluppare l’Etiopia italiana”. La duchessa è “attraente allo sguardo, di grande dignità e fascino”. Esemplare “dell’influenza ancora esercitata dalle famiglie reali regnanti”.
Ma prima c’è l’Italia – “l’Italia di Mussolini”, specifica Schacht, ma si direbbe anche di dopo (dopo la guerra, mentre scriveva le memorie, Schacht sarà consulente dell’Eni, di Enrico Mattei, per la “liberazione” della Germania meridionale, che poi diventerà la regione più ricca, il “Nord” della Germania, con gli oleodotti da Genova e da Trieste): “La disparità tra il volere e i fatti è visibile in ogni aspetto della vita quotidiana. Ogni scena di strada testimonia una crudele povertà. I grandi, lussuosi albergii sono vuoti, personale e direzione indifferenti e scontenti. I più esigenti, anche se più responsabili, abitanti del Nord Italia vanno lentamente a soccombere all’avanzata dell’elemento pauperistico del Sud. Un pasto, di spaghetti, in un’ordinaria trattoria medio borghese di Napoli. costa 20 pfennig – lo stesso di un francobollo in Germania per una lettera all’estero”. 
 
Il Ponte dello sgomento
“La Lega: per il Ponte 1,2 miliardi in più”. Sgomentante. In una legge di bilancio 2025 striminzita, che ha solo 3 euro da dare in più ai pensionati scoiali. Il giorno dopo del Via-Vas, la valutazione d’impatto ambientale del Ponte, da parte della Commissione Tecnica del ministero dell’Ambiente, appositamente rinforzata alla vigilia con un nutrito gruppo di assessori comunali e circoscrizionali perdenti posto.
Si leggono con sgomento le notizie, date con nonchalance, di un’opera multimiliardaria che distruggerà buona parte della costa in Calabria prospiciente lo Stretto, e cinque o sei paesi che cominciavano a far valere la propria bellezza, Bagnara, Scilla, Cannitello, la stessa disastrata Villa San Giovanni, Catona, Gallico, che saranno trasformati in cumuli di polvere. In un mondo da day after. Perché il Ponte non si farà. Nemmeno nel 2100 – si veda dalla metro C di Roma, un’opera di tre anni che in trent’anni (non) vedrà la conclusione (i progettisti sono gli stessi, gli appaltatori pure). Altro che le Grandi Opere della Cassa del Mezzogiorno, le “cattedrali nel deserto”, che distribuivano i veleni e le puzze che non si potevano spandere altrove, della Montecatini, dell’Anic, della Montedison, dei raffinatori, della Finsider.
Il Ponte è stato finora la mangiatoia di ingegneri, architetti, sismologi, progettisti e consulenti di ogni sorta. La Stretto di Messina spa esiste da oltre quarant’anni, al costo ogni anno di decine di milioni, pagati dall’Anas, cioè dal Tesoro, qualche miliardo ormai, per consulenze, studi, relazioni, gettoni di presenza, simulazioni, progettazioni alternative. Il bengodi di quell’arte chiamata “opera pubblica”. Ora dei costruttori, al cui cospetto gli artigli dei progettisti sono, erano, zampe di gatto.
Una città verrà isolata, Reggio – più isolata di quanto essa stessa si voglia (una città che non sa nulla del suo territorio, e nemmeno di se stessa) – dove pure è necessario recarsi per molte incombenze, la questura, la prefettura, l’ospedale, l’università. E la Sicilia cortocircuitata: anni, decenni di impraticabilità dei collegamenti esistenti, ferroviari, marittimi e autostradali. Un inquinamento da pronto soccorso, da polveri non sottili. Miliardi di tonnellate di materiali da rimuovere, e da ricollocare o “trattare”. Per un’opera che non sarà conclusa mai. Ancora non si è cominciato e già fioccano le revisioni di costo – un miliardo e 200 milioni, prima dell’opera, che saranno mai?
Sgomentante perché questo governo durerà, e metterà mano al misfatto. 
 
Cronache dell’altro mondo: Milano
“17 mila bambini e adolescenti lombardi assumomno psicofarmaci. 137 mila nel 2022 si sono rivolti al servzio sanitario lombardo per problemi psichiatrici”. Sono pochi o molti? Sono moltissimi. Sono tanti perché i servizi di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza sono migliori – più diffusi, più accessibili? È possibile. Ma sono tanti ugualmente.
 
Milano è solo quinta per “reati connessi agli stupefacenti” nella classifica della criminalità del “Sole 24 Ore” nel 2023. Anche se prima (con Firenze e Roma) nella classifica generale – per numero di reati denunciati in rapporto alla popolazione. Essendo la città in Europa a maggior consumo pro capite di cocaina, si vede che il traffico lo ha “strutturato”, come tutto. È bene la capitale degli affari.
 
“La tua infamità non appartiene alla nostra umanità”, in lettere capitali, giganti, ma perfette, al normografo, e perfettamente spaziate: uno striscione professionale, attaccato a cinque cancellate di San Siro dalla Curva Nord (ora Secondo Anello Verde) dell’Inter. Milano si napoletanizza – infamità? Invidia le camorre al Sud?
 
Non piace alla milanesissima Ornella Vanoni, che se ne lamenta sul “Corriere”, intervistata da Cazzullo: “Stendhal doveva essere strafatto quando disse che il paesaggio della Lombardia era il più belo del mondo”. E Milano, “non le piace la Milano di oggi?” “Punta tutto sui soldi, e basta: non c’è altro argomento. E tutto è troppo caro – e non è Londra”.
 
“Città senza vita” la voleva Giovanni Raboni un quarto di secolo fa, poco prima di morire. Patrizia Valduga, la sua ultima compagna, cita al “Corriere della sera-Milano” questi suoi versi: “Più la gente che c’era se ne va / o si nasconde e meno avrebbe senso / lasciarla da vivo questa città / senza vita”. E aggiune: “La città, dove si ostinava a vivere, l’ha sempre amata, anche degradata, anche invivibile. Per lui era sempre bellissima”.
 
“Brebemi, Teem, Pedemontana lombarda e veneta: 5,6 miliardi di perdite e debiti per i concessionari che sono a rischio crac. E che ora battono cassa dallo Stato. Pedaggi ai privati, quindi, e costi al pubblico” – Milena Gabanelli e Massimiliano Del Barba riprendono in dettaglio l’argomento di Ferruccio de Bortoli: il “Corriere della sera” non può nascondere le vuote albagie del sistema Milano, leghista, lombardo-veneto.
 
Anche la guerra è denaro. “Così rispose il maresciallo Trivulzio al suo re, il francese Luigi XII (che voleva conquistare Milano, n.d.r.): «Per fare una guerra sono necessarie tre cose: denaro, denaro, e ancora denaro»” - Hjalmar Schacht, “Magia del denaro”.
 
Il milanese Trivulzio. dopo il successo di Carlo VIII, era passato con i francesi, distinguendosi a Fornovo (1495). Luogotenente degli eserciti del re e (1499) maresciallo di Francia, fu poi governatore di Milano riconquistata da Luigi XII. Fece prigioniero Ludovico il Moro a Novara. 
 
La segnalazione ad Amazon di una consegna mancata viene seguita, a minuti, dallo storno del pagamento addebitato sulla carta di credito. Analoga senalazione alla Ibs-la Feltrinelli, da vecchio utente da decine di migliaia di “punti platino”, richiede tre lente, lunghe, telefonate, e una corrispondenza di due mesi, col coinvolgimento di sei o sette operatori della piattaforma, per niente, nessuno storno (per una consegna addebitata ma mai effettuata - a detta dello stesso venditore….). Inefficienza? Così radicale? Malafede?
 
Milano scopre le mafie del tifo dei  suoi titolatissimi club di calcio solo quando ci può mettere al centro un Bellocco di Rosarno - “la ‘ndrangheta”: una mafia talmente organizzata che il suo uomo è ucciso da un interista, o milanista, e niente succede, nessuna vendetta. Malaparte diceva che Milano ama buttare la spazzatura sui vicini di sotto. Ma fa di più: se la tiene finché non ha un vicino di sotto.
 
Il Procuratore Capo di Milano che nella conferenza stampa per gli arresti delle mafie del tifo esibisce una cover del telefonino da tifoso dell’Inter è solo milanese – come dire: “La giustizia non ha paraocchi”. Però, si chiama Viola: che non sia calabrese anche lui – ‘ndrangheta? (no, è di Caltanissetta)
 
C’è un’agenzia a Milano che carpisce i segreti d’ufficio di qualsiasi azienda o studio professionale. Di cui molta Milano bene si è avvalsa. Il misfatto viene scoperto, ma il “Corriere della sera” lo derubrica a fatto di cronaca, col decesso per infarto di una giovane pallavolista, e i quindicenni che a Napoli duellano con le pistole. Per sapere la gravità della cosa bisogna leggere “Il Sole 24 Ore”. Milano si protegge – o la mafia è contagiosa.
 
Il fatto in sé è giornalisticamente goloso. Lo stesso “Corriere della sera” giunge a dedicargli cinque pagine o sei. Ma solo cinque giorni dopo la denuncia, quando la cosa non è più “milanese”.
Ma lo è, eccome se lo è, è uno spionaggio d’affari, non di corna e nemmeno di “controllo” politico - è come “servirsi” della politica. La cosa è chiara a tutti, anche se il “Corriere” divaga.
 
Ben milanese anche Pezzali, il supermanager di destra-e-di sinistra, ©elentano. Padrone dell’azienda di spionaggio e maggiore fruitore della stessa per spiare l’universo mondo, non solo non si dimette dagli incarichi pubblici che riveste, ma viene “protetto” da destra e da sinistra – dagli stessi che ha spiato. Poi si dice la mafia. Questa è solo più intelligente, ruba senza sparare. Senza spararsi: è autoprotettiva, come dev’essere una vera mafia.
 
Nel 2017, per la “mafia delle curve” a Torino grande clamore attorno alla Juventus allora di Agnelli e ai suoi dirigenti, anche se erano vittime, sulla “Gazzetta dello Sport” e sul “Corriere della sera” – fino a invocare, e ottenere, una ridicola convocazione in commissione Antimafia (di cui poi si sono guardati dal dare l’esito) – Milano è giudice severa. Dopo sette anni la robespierrista Procura di Milano si è decisa a indagare le mafie di Inter e Milan, dopo un paio di assassinii e non di biglietti a sconto, e molti contatti dei mafiosi con dirigenti, calciatori e allenatori dei due club. E niente, non ne sappiamo più niente. Milano si protegge – vera mafia, non quaraquaqua?


leuzzi@antiit.eu

Se il rimpianto è sterile

Un poemetto a Belluno, la “montagna” del Veneto, dove passa le vacanze estive, ma in realtà a Raboni, ala memoria di Raboni, l’amore immortale di Patrizia Valduga. Che accentua il suo ultim modo, di rimete facili in settenari, anche endecasillabi andanti. Ma qui monotoni. “Le nuove ere sono qui, lo so”, ma non per lei, “oh mio Ideale, mai ti dirò addio”. Anche gli alberi lo sanno: “I due cedri deodara\ parlano tra di loro\ - Che bella notte chiara!\ Ma il sole d’oro\ non sorgerà per loro”, i due amanti.
Con momenti vecchi, di felicità, liberamente svolti, tra “cazzi” e “culi”. E momenti nuovi, di letterine al sindao Sala, e al presidente Mattarella, che diano una medaglietta a Giovanni (Raboni). Lo spiritaccio è sempre quello, ma le rime zompettano – la morte di Raboni ha inaridito la “veletta”.
Patrizia Valduga, Belluno, Einaudi, pp.pp. 121 € 14,50

sabato 16 novembre 2024

Problemi di base di G.Greene - 832

spock0


“È agli amici che si riservano il dolore e il vuoto”?
 
“La morte è assai più sicura di Dio”?
 
“Quando non sei sicuro sei vivo”?
 
“La natura umana non è bianca e nera, ma nera e grigia”?
 
“Quando non sei sicuro, sei vivo”?
 
”I ricordi felici sono i peggiori”?

spock@antiit.eu

Napoli come Venere, marina e capricciosa

Dopo la grande bellezza di Roma, la grande bellezza di Napoli. Un omaggio alla città, con la subordinata Capri. Ma più alle persone – tipi, modi, linguaggi – che alle cose. Come nella grande bellezza originaria. Qui intervallato dal grottesco, alla vista e all’udito, come è del decamerone napoletano, “Lo cunto de li cunti” di Basile. Sempre in un caleidoscopio rutilante di immagini, la cifra di Sorrentino.
Una sorta di autobiografia anche, l’arco temporale circoscrivendosi dagli ultimi sprazzi del laurismo al campionato del 2023. È Achille Lauro, il grande armatore, che porta con cura su una zatterona il grande letto su cui verrà concepita Parthenope - che però nascerà dall’acqua, secondo la procedura ostetrica già molto in voga: come Venere, dal mare di Posillipo. E il cardinalone che svezzerà Parthenope ha molto figurativamente di Sepe, il cardinale napoletano (casertano) di Napoli ora pensionato. Ma un’autobiografia, curiosamente, “al femminile” – curiosamente perché anche la sceneggiatura è tutta di Sorrentino. O Napoli non può essere che donna, incostante, e perfino capricciosa – come si poteva dire o pensare il “femminile” qualche tempo fa?
La vena personale, un fondo di dolore nella fantasmagoria della vita, accompagna tutta la narrazione - come la vita stessa di Sorrentino: Parthenope è sbarazzina ma segnata dal lutto. Dalla morte, dall’abbandono di sé (la deriva, l’alcolismo, figurati nello scrittore americano di Roma John Cheever, una figura di “Capri” – l’isola un tempo leggenda della trasgressione), dallo sradicamento, qui addirittura a Trento, dalla vecchiaia – dall’angoscia della vecchiaia.
Ma un’avventura, sempre e solo, di immagini. Tra La Capria, “Ferito a morte”, degli anni felici giovanili, e gli eccessi di Malaparte. Degli amplessi, forse non necessari, del cardinale con Parthenope nella cattedrale, e dei figli di due cosche rivali davanti alle “famiglie” riunite per celebrare la pace mafiosa. Se non che, forse, l’uno aneddoto e l’altro, non sono veri ma tali sono stati per la città – e Napoli è una città che crede e si crede. O il figlio obeso del professore di Parthenope, che il professore nasconde ma col quale convive, un Buddha ingombrante col visino vispo di bambino.
Una prova d’attrice, offerta e raccolta, da Celeste Dalla Porta, Parthenope. Col recupero di molti nomi in ruoli di caratteristi, di personaggi a una sola faccia, Silvio Orlando, Luisa Ranieri, Gary Oldman, Isabella Ferrari, Pepe Lanzetta, Alfonso Santagata.
Il film non è piaciuto alla critica “militante”, quella delle stellette, e non si vede perché. Un monumento, come lo vuole Lanzetta.
Paolo Sorrentino, Parthenope

venerdì 15 novembre 2024

Ombre - 746

Succedono brutte cose. L’albergatore che non vuole israeliani, “colpevoli di genocidio”. Il gestore del cinema che rifiuta il film su Liliana Segre. La sordina a feste e manifestazioni ebraiche. E non è antisemitismo – in America le stesse cose sono opera e raccomandazioni di ebrei anti-sionisti. Bisognerebbe prendere atto che la legge di Msé, o del taglione, è limitata.
 
“Leoncavallo, tre milioni ai proprietari per il mancato sgombero. Paga il Viminale”. Agli eredi dell’immobiliarista Cabassi - cui al suo tempo Milano non concedeva buona fama. Non si può dire che la giustizia non sia politica, della peggiore: la sovversione. Quanto giudici (non) hanno avuto a favore gli “squadristi di sinistra” del Leoncavallo, “grande cuore” di Milano?
 
Perquisizioni e arresti in Campidoglio per gli appalti. Anche del giubileo. Anche del giubileo straordinario 2016. E niente. Poche righe sul “Corriere della sera”. Solo pagine romane per “la Repubblica”. Come non detto.
 
Morosini, il capo del Tribunale di Palermo che boccia Meloni sui paesi sicuri (paesi di provenienza degli immigrati irregolari), era il presidente di Magistratura Democratica, la corrente dei giudici del Pd. Succeduto da Albano, la giudice di Roma che per prima ha bocciato Meloni. Bianconi, “Corriere della sera”, gli chiede: “Non è legittimo il sospetto di orientamenti politici applicati ai provvedimenti?” Morosini non obietta: “In ogni caso ci sono le impugnazioni: se un provvedimento non convince si va da un altro giudice”. Ma non quello italiano, che magari, dopo qualche anno, capita che decida. No, furbo, la Corte europea, i galantuomini che si fanno un merito di non faticare.
 
C’è molto più militantismo anti-Trump sul “Corriere della sera” e “la Repubblica”, perfino sul “Sole 24 Ore”, che sui giornali americani dichiaratamente anti-Trump. Non nelle corrispondenze, nella titolazione, nell’evidenziazione. C’è un motivo?
 
Nessuno in America contesta alle futura ministra della Sicurezza Interna Kristi Noem di avere scritto nelle sue memorie che sarò al suo cane da caccia perché “non ubbidiva”. Ma è la notizia, con grande foto da cacciatrice-quasi-marine, della prima del “Corriere della sera”. E, con una foto più piccola, di “la Repubblica”. Siamo in guerra con l’America?
 
Claudio Ranieri, il terzo allenatore dell’As Roma in due mesi – tragicommedia di cui fuori Roma non si percepisce l’acuità – è lo stesso che rilevava la Roma quindici anni fa. La stessa: solo bat0oste nelle prime gare. Ma con un organico allora di campioni, Totti, De Rossi, Perrotta, tre campioni del mondo 2006, e altri ottimi centrocampisti. Una Roma presieduta da Rosella Sensi, che oggi si scandalizza. Allenata da Spalletti…
Sarà il calcio l’industria della passione? O del capriccio - indisciplina, incapacità di lavorare in gruppo?
 
Landini, araldo salottiero della “rivolta sociale”, porta a palazzo Chigi e regala a Meloni, la fascista, “L’uomo in rivolta” di Camus. Che è un lungo, circostanziato, violento atto d’accusa contro Marx e il sovietismo. Specie nel 1951, quando apparve. Landini ha regalato il titolo ma non ha letto il libro – nemmeno l’indice. Nessun giornale che lo noti: nessuno legge più Camus? nessuno legge più?
 
Oppure è peggio. Sicuramente i giornali hanno redattori e collaboratori che avranno segnalato l’equivoco. Se non altro per essere gustoso. Ma non l’hanno rilevato.
C’è ancora un comitato centrale dell’informazione – c’era, ufficiale, ancora al tempo di Veltroni alla Stampa e Propaganda del Pci, primi 1980 (riuniva una volta a settimana a Botteghe Oscure i  giornalisti compagni per le delazioni sulle redazioni)?
 
Cazzullo ha passato una settimana in America per le presidenziali e ha scoperto che tutti i tassisti di cui si è servito hanno votato Trump. Uno solo dei quali, un uzbeko, era nazista-comunista (pro Hitler e pro Stalin) - tutti eccetto un certo Lorenzo, un afroamericano, che si è fatto ingiustamente 23 anni di carcere, ha beneficiate di indulto di Trump, ma ha votato Harris per fare contenta la madre novantenne: uno eritreo, uno etiope, uno senegalese, uno ecuadoriano, uno salvadoregno. Tutti immigrati col visto, contro gli immigrati irregolari.
Cazzullo ha fatto la scoperta dell’America – ma, poi, chissà se l’America è stata scoperta davvero (chi era Colombo?).
 
Lo stesso “Corriere della sera”, il giornale di Cazzullo, scopre anche che il traffico di immigrati in America dal Messico “è controllato dai narcos, “i veri padroni della frontiera”. Ma in una minima, in fondo a una pagina, a riempitivo.
Però, comunque, perbacco!
E a quando un’analoga scoperta per i traffici su Delo, Lampedusa e Roccella Jonica? Lo deve dire il papa?
 
“Non abbiamo il Libretto di Mao né il Capitale di Marx”, dice alla tv la giudice Albano, presidente di Magistratura Democratica alle assise annuali del suo sindacato. Peccato.
Sarà la giudice solo una buona democristiana – di sinistra naturalmente, come è il Pd romano, padrone degli appalti, anche quelli delle “cooperative” e delle ong dell’accoglienza
 
Amanda Knox  sull’assassinio della sua amica Meredith Kercher ci ha fatto una piccola fortuna – tanto da consentirle di non lavorare: interviste, comparsate tv, uno o due libri, e ora un film. Che gira nei luoghi dell’assassinio. Non è stata lei ad assassinare Meredith, secondo i giudici di Firenze – o meglio secondo la sua avvocata di ultima istanza, Bongiorno. Ma sicuramente sa cosa è sucecsso. La tipica ragazza americana, una delle “innocenti all’estero” che commuovevano Mark Twain?
 
“Mi annoiano le partite di oggi. Si fanno 500 passaggi all’indietro col portiere, che ormai fa il playmaker”, sbotta l’ex allenatore Sonetti ottantenne, he vinceva col Torino i derby con la Juventus: “Vogliono tutti imitare Guardiola”. Senza che nessuno ricordi che Guardiola aveva Messi, che prendeva la palla davanti al suo portiere e in pochi secondi l’aveva portata davanti al portiere avversario. Tanti soldi, ma niente spot – niente agonismo, niente tecnica.

Gioco della torre in famiglia, tragico

Chi buttare giù dalla torre, il padre o la madre? Il vecchio gioco da salotto o da famiglia (all’origine del film è il dramma teatrale dallo stesso titolo di Filippo Gili) trasformato in un incubo familiare. Entrami i genitori vanno a sicura morte, se non per un trapianto di midollo osseo, per il quale solo la figlia è compatibile, il figlio no.  i può fare quindi solo un trapianto: a quale dei genitori?
Un non caso medico-fisiologico, e quindi logico, argomentativo. Gran successo a teatro, al cinema non offre molte immagini. Se non dolorifiche – anche litigiose, e stranianti, comunque traumatiche. Anche per lo spettatore.
L’irrealtà del caso si traduce in una visione poco partecipata? Lo spettatore non ama porsi troppi problemi? Il tema è da tragedia greca. Ma è una tragedia quanto attuale, o non, forse, solo rispettabile, come tutto ciò che è antico - “classico”. Senza la catarsi finale.
Una “rappresentazione” coinvolgente per l’appeal degli interpreti, Bonaiuto, Scalera, Leo.
Francesco Frangipane, Dall’alto di una fredda torre, Sky Cinema, Now
 

giovedì 14 novembre 2024

Fanfani, il più grande di tutti

 Tra pochi gironi, il 20 di novembre, fanno 25 anni dalla morte di Amintore Fanfani. Che nessuno ricorda, ma è quello, a uno sguardo restrospettivo, che ha fatto, l’Italia del dopoguerra, letteralmente, quale tuttora è, nelle opere e perfino nelle leggi. Anche quelle del nuovo diritto di famiglia e civili – malgardo il referendum, in cui non credeva, che pure promosse contro il divorzio. Dall’alto del suo metro e sessanta – sessantatrè per l’esattezza. Dal piano casa1949, con l’ina-Casa – che assortì nel 1963 con la Gescal. E i rimboschimnenti: negli anni 1950 dieci volte di più di tutti i rimboschimenti Pnrr. Fanfani, di cui nessuno parla, sarà stato l’uomo politico più produttivo della storia della Repubblica. Fino al voto ai diciottenni, e ai decreti delegati (le famiglie a scuola), 1974. E compresa la “piccola liberalizzazione” universitaria del Fanfani III, 21 luglio 1961, assortita del “presalario” universitario ai meno abbienti, del Fanfani IV, 14 febbraio 1963.
Prese in mano la Dc degasperiana nel 1954 e ne fece un partito movimentista. Suscitando opposizioni anche violente della destra. Capitanata da Moro. Che quando Fanfani portò la Dc al primo centrosinistra negli anni 1960, s’impose a capo del governo Dc-Psi quale garante dell’unità del partito, cioè garante del “non fare” (provocò perfino una crisi del suo stesso governo quando si provò a non aumentare i sussidi alle scuole private confessionali). I quindici anni di duello con Moro finirono per sfinirlo – ancora prima che Moro diventasse, alla morte incredibile per mano delle Br, il “santino” della sinistra, di cui pure aveva preparato il catafalco con i “non governi” di Andreotti.
Un rapido elenco lo vede all’origine di tutto ciò che si è fatto nell’Italia repubblicana: la riforma agraria, il piano casa, la liberazione delle campagne dalla mezzadria, i piani verdi, che hanno finanziato per mezzo secolo e oltre l’agricoltura con risultati ottimi, i rimboschimenti, l’Eni, l’edilizia popolare, le autostrade, Carli alla Banca d’Italia, Bernabei alla Rai, la scuola media unificata, superba istituzione, coi libri gratis, la refezione, il doposcuola e gli edifici scolastici, di cui metà degli ottomila Comuni d’Italia non disponeva, si andava a scuola dove capitava, il centrosinistra, il centrodestra, il quoziente minimo d’intelligenza per i diplomatici, che ne erano privi, la moratoria nucleare, la nazionalizzazione dell’elettricità, seppure a caro prezzo, le regioni, idem, la direttissima Roma-Firenze, col treno veloce, la fisica delle particelle sotto il Gran Sasso, il referendum popolare, gli opposti estremismi. Infine l’austerità, che dal 1974 ci governa, una genialata “marxiana”,  prontamente adottata da Berlinguer, e dal papa Polo VI alla finestra - “Affrontiamo l’austerità con animo sereno”.
E i dossier, sport nazionale, di cui montò il primo, lo scandalo Montesi, contro il venerabile Piccioni. 
La serie di realizzazioni di Fanfani, che pure, nel complesso, ha governato poco, quattro anni e sei mesi, e a capo di governi quasi tutti di brevissima durata, è sorprendente, nell’Italia delle burocrazie. Fu un innovatore in tutto, e sempre fu sconfitto dal suo partito, dai potentati Dc. Una volta gli fecero fare il governo per un solo giorno.
Con più ragione fu avversato nel suo partito dopo il referendum contro il divorzio, da lui incautamente chiamato nel 1974 – ma era un colpo di coda, già il freddissimo Moro lo aveva “segato”: se ne liberarono labellandolo aspirante dittatore.
Questo in parte è vero: lui si dichiarava per la purezza della razza al tempo del Puzzone, mentre gli altri ghignavano in pri
vato. E poi si sa che i brevilinei vanno veloci: anche Stalin era 1,60, Lenin, Napoleone.


P.S. – Un commento va aggiunto, opinabile certo, ma su informazioni certe. Il referendum Fanfani lo ha combattuto per il papa Paolo VI, il papa libertario sempre più smarrito – l’ex papa libertario, che la libertà da lui scatenata con il concilio aveva mandato in confusione, come Pio IX un secolo prima. Fanfani aveva provato l’accordo con i comunisti per superare socialisti e radicali, fermi alla legge così com’era, ma il papa non ha voluto nessun accordo. Nessun divorzio. Questo non si può dire, perché i fedeli hanno bisogno del papa, anche quelli, e soprattutto quelle, che hanno votato per il divorzio. Ma è anche vero che, per la chiesa, i papi possono essere un problema.

Di Fanfani invece non si può dire, a differenza di anti altri buoni “cattolici”, che non fosse un credente vero. Autore a soli 26 anni, nel 1934, di una refutazione fondata e provata di Max Weber, del suo spirito protestante del capitalismo che ancora si osanna, col fondamentale “Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo”.

Saltare e cadere, al cinema la saga del cinema

Un Bud Spenser e Terence Hill in salsa americana - con la minuta Emily Blunt altrettanto candida di Terence Hill. E un film sul fare film, uno dei temi che più fa mercato oggi.
Il film di cui si fa il film è del genere catastrofista: “la più grande storia d’amore interplanetaria, quando gli extra sbarcano sulla terra – di maschere e deserti che fanno il verso ai “Dune”. Con grandi interpreti, Ryan Gosling dappertutto, dalla prima all’ultima scena, un centinaio di scene, oltre a Emily Blunt. E una grande pirotecnia di atti e misfatti stunt - “quello delle cadute” del titolo è uno stuntman, uno di quelli che in realtà “fanno” il film d’azione, un inglese ricercatissimo dall’industria cinematografica, e più che altro stanco per i cambiamenti continui di fuso orario.
Tra una devastazione e l’altra alla Bud Spenser, con la solita gara all’inventiva dei colpi proibiti, bombe scoppiano di ogni tipo in ogni frangente, e incendi “uniformabili”, con un catalogo inesauribile di auto che saltano, si disintegrano, si ricompongono. Si corre molto e si casca ancora di più, si fanno i tiri più sorprendenti, anche senza le armi, e i buoni alla fine vincono. Ma – è questa la novità - i cattivi sono “Hollywood”, la produttrice di soli successi, finanziari, di trame che fanno gli incassi.
Ma: la produttrice che colpa ne ha? Alla fine si resta con l’impressione di una regista-Emily Blunt sciocchina più che Grande Artista. E allora di chi, di che, s’innamora il super-stunt Gosling? Interrogativo superfluo, il film non ne pone, solo si propone: due ore di super-immagini, di super-sorprese.
Una megaproduzione, da 150 milioni di dollari. Che è piaciuta ai critici, a otto di essi su dieci. E anche al pubblico. Che gli ha fatto incassare 200 milioni.
David Leitch, The fall guy, Sky Cinema, Now

mercoledì 13 novembre 2024

Cronache dell’altro mondo – securitarie (304)

Nuovo ministro della Sicurezza Interna, nominata da Trump, sarà Kristi Noem, la governatrice del Sud Dakota, uno degli Stati americani meno popolosi, il 46mo. Governerà, più che sui servizi di sicurezza, sugli immigrati irregolari. Che si presume siano più del milione scarso di abitanti del Sud Dakota.
Il ministero della Sicurezza Interna è stato creato un anno dopo l’attacco alle Torri Gemelle, per vigilare su possibili nuovi attacchi. Ha molte competenze, che interferiscono col resto dell’amministrazione, ed è stato in più occasioni criticato, con molte proposte di abolizione.
Noem, cinquantenne, già autrice di due libri di memorie di successo, entrambi all’insegna del “no”, “Not my First Rodeo” e “No going Back”, è appassionata di caccia e decisionista – nel secondo libro ricorda di avere ucciso un suo cane da caccia perché “non obbediva”, oltre che una capra vecchia e sporca che minacciava la sua bambina. Cresciuta in campagna, nella fattoria dei genitori, di origine norvegese, ha sempre vinto i test politici ai quali ha concorso. È stata deputata a Washington per quattro legislature. Durante le quali si è laureata, in Scienze Politiche, all’università del Sud Dakota. A febbraio del 2018 e a febbraio del 2022 è stata eletta governatrice del suo Stato.
Kristi Noem è conservatrice in tema di aborto e di diritti delle minoranze sessuali. Aderente del Tea Party, il gruppo più conservatore del partito Repubblicano prima del Maga di Steve Bannon, Make America Great Again. Su posizioni liberali e liberiste: nato contro il salvataggio delle banche con i soldi pubblici nel 2009, la sua sigla (in origine collegata allo storico Tea Party di Boston a fine Settecento, che accelerò la rivoluzione e l’indipendenza) viene ora letta come Taxed Enough Already, già troppo tassati.

Cronache dell’altro mondo – “recessionarie” (303)

Trump ha già chiesto al Congresso la facoltà di fare nomine anche nei periodi di recesso dei lavori parlamentari – salvo convalida successiva - anche in periodo di recesso del Senato stesso.
Il presidente degli Stati Uniti deve fare migliaia di nomine di funzionari, di grado elevato (a partire dai segretari della sua amministrazione – i ministri del suo governo – e dai capi dei servizi di sicurezza), e non. A incarichi ritenuti politici. Alcune di queste nomine devono avere l’approvazione del Senato.
Trump parte con un Senato a larga maggioranza repubblicano. Sul quale quindi può fare affidamento. Ma si ritiene che intenda procedere a nomine non tutte in linea col suo partito. Da qui la richiesta di poterne fare anche quando il Senato non lavora – con un’approvazione quindi successiva all’assunzione dell’incarico, più difficile da boicottare.
Il Senato Usa ha lunghi periodi di recesso, per circa due mesi lavorativi – tre da calendario: due settimane per le Feste di fine anno, il mese di agosto, e cinque-dieci giorni al mese, nei restanti mesi lavorativi per “State work”, per il lavoro negli Stati di origine, di cui sono i rappresentanti in Congresso. La Costituzione, art. II, prevede che il pr
esidente possa fare nomine anche quando il Senato è in recesso, e quindi non può riunirsi per deliberare.

Il wc al tempo del razzismo, separato fuori casa

La storia delle cameriere nere, bambinaie e cuoche, delle famiglie bianche del Mississippi, negli anni 1950-1960. Le vere mamme dei bambini, specie delle bambine, che le mamme vere non accudivano in nessun modo, nonché vestali della cucina, ma segregate: un autobus giallo le porta al lavoro ogni mattina dalle loro periferie, e al lavoro per fare pipì devono uscire di casa - il gabinetto separato è una delle gag, ripetuta in più varianti, più tristi e più godibili.
Una figlia cresciuta con la cameriera nera, e tra amicizie sceme come lei, sempre in attesa di un marito, da cercare oppure già sposato ma non presente, decide di diventare scrittrice. Non sa di che - non sa scrivere – finché non scopre che la cameriera di sua madre sa raccontare le cose. Mobilitando lei e le amiche di lei, con racconti di cose viste o vissute, ne viene fuori un libro che New York pubblica immediatamente, con grande successo. Anche a Jackson, la città superbianca, capitale del Mississippi, dove il racconto si svolge: la vena satirica o dolente delle domestiche fa da specchio alla stupidità delle signore. Le amiche della scrittrice hanno naturalmente un club delle signore bianche, la cui attività sociale è naturalmente la raccolta di fondi “per i bambini dell’Africa”.
Racconti di cose viste e vissute, eppure strabilianti. Merito anche delle attrici – è un fim all women. Emma Stone, non ancora il manichino di Lanthimos, regge tutti i registri della sciocca che diventa intelligente. Ma soprattutto tengono su il film le due domestiche che le fanno da spalla, Viola Davis e Octavia Spenser - premiata quest’ultima con l’Oscar per l’attrice non protagonista. Insieme con la superbionda Jessica Chastain, nel ruolo tragicomico della bianca snobbata dalle superbianche.
Rivisto sullo sfondo del ritorno
di Trump, del successo dell’America “perbene”, è un film pacificante, e perfino promettente: non tutto il bianco viene per nuocere.
Tate Taylor,
The Help, Rai 1, Raiplay

 

 

martedì 12 novembre 2024

Letture - 563

letterautore

Čechov – I suoi personaggi vanno visti come i viaggiatori compulsivi, secondo Graham Greene – a margine del suo “In viaggio con la zia”. Nei tanti punti morti che ogni viaggio comporta: “C’è tanta stanchezza e disappunto nei viaggi che le persone devono aspettarsi – nelle stazioni, sui ponti dei traghetti, sotto le palme nel cortile degli alberghi in un giorno di pioggia Devono passare il temo in qualche modo, e possono passarlo solo con se stesse. Come i personaggi di Čechov esse non hanno riserve, si vengono a sapere i segreti più intimi”.
L’accostamento più verosimile nella considerazione successiva: “Si riceve l’impressione di un mondo popolato di eccentrici, di strane professioni, di stupidità quasi incredibili e, per riequilibrarla, di sopportazioni sorprendenti”.
 
Danza
– È sacra e popolare – popolare per essere sacra, Ernst Jünger, “Anatomia e linguaggio”:
“La danza è strettamente legata al gioco e al canto”.
“Uomini e animali hanno in comune le danze e la melodia. Danze e canti accompagnano, in una successione naturale, il lavoro e il ciclo annuale delle feste”.
“La realizzazione più libera della vita ctonia è la danza. In essa si concentra tutto ciò che dispensa il potere della  terra – il ritmo delle semine e della mietitura, la voluttà profonda del vino e del sesso”.
 
Fantascienza
– “Venom-The last Dance” e “Il robot selvaggio” (“The Wild Robot”), due film di fantascienza, uno Marvel (azione-horror) e uno d’animazione, hanno incassato nelle due settimane tra fine ottobre e inizio novembre sei milioni di euro, l’uno - più di “Parthenope”, il film d’autore più visto, 5 milioni.
 

Indelicatezza
– Una colpa da tempo scomparsa, inattuale. L’ultimo riferimento si trova in Camus, “Il primo uomo”, al capitolo “La scuola”, a proposito del maestro di Camus alle elementari poi sempre ricordato e celebrato, Monsieur Bernard, al secolo Louis Germani: “Non condannava che con più forza ciò che non ammetteva in discussione, il furto, la delazione, l’indelicatezza, la sporcizia”.
 
Italianità – Tre musicisti del Novecento son ricordati, incidentalmente, solo dal maestro Pappano, nelle sue memorie, “La mia vita in musica”: Anton Coppola, lo zio del regista, in realtà Antonio Francesco Coppola, detto Anton, l’autore dell’opera “Sacco e Vanzetti”, e Anton Guadagno, di Castellammare del Golfo (Palermo), direttore del Metropolitan di New York e della Wiener Staatsoper per l’opera italiana, che in America, negli anni 1970-1980 “riuscivano miracolosamente a mettere su un allestimento nel giro di pochi giorni” – un allestimento d’opera, opera complessissima. E Giusy Devinu, la soprano cagliaritana che fu Violetta in mezza Europa negli anni 1980, “scomparsa troppo presto”.
 
Leggere – “Il lettore compare dell’autore” vuole E. Jünger in “Lettera dalla Sicilia all’uomo sulla luna”.
 

Libero scambio – “La libertà economica è come la libertà politica – un ideale, al quale gli uomini possono con fiducia ambire, ma impossibile da realizzare finché non tutti pensano su linee ideali. Il detto: «È bene tutto quello che fa bene al mio paese» è criminale, il diritto e la giustizia si radicano in n principio divino”., Hjalmar Schacht, “Confessions of «The Old Wizard»”: “Dopo che la Gran Bretagna ebbe completato con successo la sua grande innovazione industriale e affermato la superiorità della sua flotta mercantile, gli economisti politici britannici cominciarono a elevare la libertà di commercio, cioè la concorrenza senza limiti, a teoria economica standard, culminando con la clausola della nazione più favorita che avrebbe assicurato la supremazia economica della Gran Bretagna per sempre, se altri paesi non si fossero infine ribellati, per mera necessità”. Da Ricardo a Marx, e a Sraffa, l’amico di Gramsci?
La lamentazione è – era – corrente fra gli economisti tedeschi, ma non per questo è meno vera. Ancora oggi, sostituendo all’Inghilterra gli Stati Uniti, e alla sterlina il dollaro.
 

Minotauro – Due racconti, “La casa di Asterione”, Borges, e “Il minotauro, Dürrenmatt, e due testi teatrali, “I re”, Cortázar, e “Chi non ha il suo Minotauro?”, Yourcenar, trova Erika Filardo (online) nel Novecento: una predilezione per il “mostro”. Ma non ricorre anche in Gide,  Cvetaeva, Kazantzakis, Butor, Tammuz. E in Richard Strauss, Picasso, Masson: il Novecento ne è stato ossessionato. Dal mostro, o non piuttosto dai labirinti?
Dürrenmatt, da ultimo, 1985, subito dopo Tammuz, 1981, ne fa la sofferenza del diverso. Non sessualmente, dell’alieno, del newcomer, del solitario o abbandonato.
 
“Chi non ha il suo Minotauro?”, chiedeva Yourcenar. Rimproverando implicitamente Freud, che il lato oscuro lega a Edipo. Ma è anche vero che nessuno prima di lui se ne occupava – si occupava dell’inconscio.
 
Telefonate – Si mitizzano periodicamente i tre minuti di telefonata di Stalin a Pasternak nel giugno del 1943. La telefonata fu fatta all’indomani dell’arresto di Osip Mandel’štam. E si ipotizza che Stalin volesse il parere di Pasternak sull’arresto – si ipotizzava in regime sovietico che Pasternak, pavido, non avesse dissuaso Stalin, o non gli avesse dato buone ragioni per la liberazione. Ora un libro di Ismail Kadaré ipotizza quattordici possibili conversazioni.
È il fatto più importante della vita di Pasternak, e questo inquieta. È uno Stalin che ancora non era arrivato a concepire e comandare l’assassinio di tutti i comunisti che gli facevano ombra – cioè, più o meno, tutti: gli arresti, anche dei poeti, erano normali nella rivoluzione bolscevica. Ma era una questione di qualche mese, o di settimane – le “purghe” erano già su strada. Una telefonata per questo inquietante: Stalin, “lo” Stalin, ancora leggeva poesia. E nient’altro.

L’ossessione sulla telefonata non mostra l’irrilevanza della poesia – di Pasternak si ricorda poco o niente di altro?
 
Usa – “È un grande paese, forte e disciplinato nella libertà, ma che ignora molte cose e anzitutto l’Europa”, Albert Camus di ritorno dall’America scriveva al vecchio maestro Louis Germain ad Algeri a settembre del 1946.
 
Vocali
– “Le vocali racchiudono una determinazione sessuale segreta delle parole, più istruttiva e più necessaria che il loro genere grammaticale”, E. Jünger, “Anatomia e linguaggio” (in “Il contemplatore solitario”). Tutto il lavoro di demolizione del genere dovrà fare a meno delle vocali?

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Ma Camus critica Marx, e le rivoluzioni politiche

 “Io mi rivolto, dunque noi siamo”. La capacità – la possibilità di ribellarsi è la sola breccia nell’assurdo che avvolge l’uomo, l’esistenza umana. Questo è assioma costante della riflessione di Camus. “Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no”, è l’incipit di questo saggio: “Ma se si rifiuta, non rinuncia: è anche un uomo che dice sì, fin da suo primo movimento. Uno schiavo, che ha ricevuto degli ordini tutta la sua vita, giudica all’improvviso inaccettabile un nuovo comando”. Semplice.
Il contenuto di questo “no” è da vedere. E qui si viene a sapere molto di ciò che si vuole salvifico e non lo è - non nel senso di Camus, come uscita dall’assurdo dell’esistenza, della nascita. L’incipit vero di questo lungo saggio, che è in realtà un lungo pamphlet, le prime righe della prefazione, è devastante: “Ci sono crimini di passione e crimini di logica. Il Codice penale li distingue, abbastanza comodamente, per la premeditazione. Noi siamo al tempo della premeditazione e del crimine perfetto. I nostri criminali non sono più quei ragazzi disarmati che invocavano la scusa dell’amore. Sono adulti, al contrario, e il loro alibi è irrefutabile: è la filosofia che può servire a tutto, anche a cambiare gli assassini in giudici”.  
Il regalo di Landini, reduce dall’appello alla “rivolta sociale”, alla capo del governo Meloni, bersaglio dell’appello, è un controsenso. L’“uomo in rivolta” di Camus non è il barricadiero, stile contestazione. Sono quattrocento pagine, piene, anche troppo, martellanti, inflessibili, che mettono in discussione le rivoluzioni storiche.

Il capitolo “Le rivoluzioni storiche” prende quasi la metà della trattazione: i regicidi, il terrore, i deicidi, Hegel e Nietzsche compresi, il terrorismo individuale (Nečaev, Bakunin, nichilismo), e quello organizzato, lo “scigalevismo” di Dostoevskij (“I demoni”), il terrore di Stato (Napoleone, Stalin, Mussolini o “la santa religione dell’anarchia”, Hitler), Marx (“Il terrore di Stato e il Terrore razionale”, “Il regno dei fini”, e, sul sovietismo, “La totalità e il processo”). Il tema, del capitolo e del libro, è come l’uomo, nel nome della rivoluzione, che pure è la sua essenza, accetta e anzi propugna il crimine. Come la rivoluzione ha avuto sempre esito nel Novecento in Stati di polizia e totalitari (“concentrazionari”)? Come l’orgoglio umano ha potuto erigersi a violenza?
L’interrogativo è insistito. Ben raccontato, tanto più che se le sue derivazioni sono state tantissime, quelle di cui Camus tiene conto, ma alla fine deprimente. Come dire: meglio non essere che rivoltarsi? Meglio non rivoltarsi, non in politica.
Le parti migliori, leggibili oggi con qualche sorpresa, e anche nel senso che Landini forse intendeva facendone omaggio provocatorio a Meloni, sono la parte iniziale, “La rivolta metafisica”, e quelle finali, sotto l’insegna “Rivolta e arte”.
La pubblicazione del lungo saggio a fine 1951 fu una sorpresa nella sinistra politica in Europa, all’Ovest e all’Est, dalla Jugoslavia di Tito alla Polonia e alla stessa Russia. Aprì una contesa furibonda di buona parte dell’intellighentsia europea contro Camus. Specialmente aspra fu la polemica in Francia. Aperta da Sartre, allora in fase bolscevica, anzi staliniana - col supporto di de Beauvoir, mediatrice ma non convinta. L’amicizia tra i due si ruppe senza nemmeno una grande discussion. La discussione ci fu ma non risolutiva - e nemmeno di grande livello, col senno di poi, ma anche con quello dell’epoca: Sartre in politica si può dire che non ne azzecca una.
Albert Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, pp. 384 € 16

lunedì 11 novembre 2024

Cronache dell’altro mondo – eleggibili (302)

Le statistiche elettorali americane tengono contro di due categorie di elettori, i Vap e i Vep, la  Voting Age Population e la Voting Eligible Population – la popolazione cioè di americani provvisti di cittadinanza, e di diritti politici.
Gli statistici preferiscono i Vep per calcolare l’affluenza alle urne - come base di calcolo della percentuale di votanti. Perché molti residenti, soprattutto negli ultimi anni, non sono cittadini a tutti gli effetti, non hanno diritto di voto.
L’affluenza è in declino da oltre mezzo secolo, dal 1971 (Nixon), ed è “interamente” spiegata dall’incremento della popolazione non eleggibile. Nel 1972 la popolazione americana senza cittadinanza era meno del 2 per cento della popolazione in età di voto, nel 2004 era già dell’8,5 per cento, e successivamente è ancora cresciuta, al 10 per cento circa.
A questo 10 per cento bisogna aggiungere i condannati a pene che compartano la perdita dei diritti politici. Una percentuale ora dell’1 per cento dei Vap - era lo 0,5 per cento circa nel 1972.
Usando come base di raffronto la popolazione eleggibile, l’affluenza alle urne è tornata nel 2020 e nel 2024 ai livelli di partecipazione elevata, degli ani 1950 e 1960.
Nelle statistiche statali, comunque, la base Vap, popolazione in età di voto, non è utile (comparabile), perché gli “ineleggibili” non sono distribuiti uniformemente. In California, per esempio, quasi il 20 per cento della popolazione non è eleggibile, perché di condannati o non cittadini.

Nostalgia di Lombardia

Un tutto Gadda (un po’“tutto”) che si può dire del Gadda milanese. Di cui molto è nei racconti, e anche ne “La cognizione del dolore”, la Brianza fa bene “Milano”. Di Milano com’era, e in fondo come è, anche ora con i grattacieli.
Una sorta di baedeker Gadda per nuovi lettori, ma con questa curiosa filigrana. Forse non curiosa, l’ingegnere del romanesco era ben un lombardo a Roma, e anzi un milanese. Molte delle sue nevrosi erano di ritegno ben lombardo. Così come la permalosità. Da ultimo si preparava alla morte, ricorda Arbasino, facendosi leggere Manzoni, il romanzo.
Un’edizione curata e presentata da Dante Isella, forse il suo miglior lettore – Gran Lombardo anche lui, curatore, oltre che di Gadda, di Maggi, Parini, Porta, Dossi, Tessa, Sereni. Col saggio famoso di Gianfranco Contini, “Lo strano ingegner Gadda”. Raffaella Redondi cura “La Madonna dei filosofi” e “Il Castelo di Udine” – con un’inedita “Appendice al «Castello di Udine»”. “L’Adalgisa” ha curato Guido Lucchini, “La cognizione del dolore” Emilio Manzotti.
Carlo Emilio Gadda, Romanzi e racconti (La Madonna dei filosofi, Il castello di Udine, L’Adalgisa, La cognizione del dolore)
, Garzanti. pp. 912 € 15

domenica 10 novembre 2024

Cronache dell’altro mondo – o zero ai democratici (301)

Il conteggio preciso del voto popolare non sarà concluso prima dei primi di dicembre. Fino a ieri Trump aveva vinto con 74,1 milioni di voti. Più di Harris ma meno che nel 2020 – l’elezione contestata.
Nel 2016 Trump aveva vinto con 62.984.828 voti (il 46,1 per cento dei voti espressi) contro i 65.853.514 di Hilary Clinton (48,2 per cento). Nel 2020 aveva perso con 74,2 milioni di voti (46,9 per cento dei voti espressi), contro gli 81,1 di Biden (51,1 per cento).
Anche per la statistica, sono i Democratici che hanno perso il voto del 5 novembre. Per astensione o per un voto d’opinione sfavorevole. I calcoli variano, ma Kamala Harris non è andata oltre i 71 milioni di voti espressi. Un calo di ben 10 milioni rispetto a quattro anni fa – un’elezione, si direbbe, a voto zero.

Cronache dell’altro mondo – astensive e partecipative (300)

È dal primo dopoguerra che la percentuale dei votanti alle elezioni politiche e presidenziali americane ogni quattro anni si è ridotta, dall’80 al 50 per cento. Pert effetto dell’allargamento del diriro di voto a tutta la popolazione. Con qualche puntata al 60 per cento – 1960, effetto Kennedy.
Le ultime due elezioni con Trump hanno mobilitato l’elettorato Nel 2020, Trump-Biden, l’affluenza è risalita al 66,4 per cento, record del dopoguerra (e anche del primo dopoguerra). Il 4 novembre, secondo le proiezioni dell’università di Florida, la partecipazione si è ridotta ma è sempre alta, il 62,3 per cento - il “Washington Post” invece calcola una partecipazione al voto “vicina al record del 2020”.

Cronache dell’altro mondo – o il Trump dei poveri, anche a New York (299)

"Kamala ha perso non soltanto perché donna. Noi democratici in Pennsylvania abbiamo fatto una campagna vecchia, porta a porta. Anche nei quartieri poveri. Ma non serve: o sono già convinti o non ti votano comunque. L’unica cosa che sta loro a cuore è il prezzo della benzina”, Margherita “Magalì” Sarfatti, “Corriere della sera”.
Per la prima volta in tre elezioni Trump ha vinto anche il voto popolare – il voto nell’urna. E lo ha vinto – effetto trascinamento - anche per i candidati repubblicani al Senato e alla Camera dei Rappresentanti.
Hanno votato Trump in larga percentuale i poveri. Veri o supposti - chi ha perso potere d’acquisto per la moltiplicazione dei prezzi nel dopo-Covid, di due e anche di tre volte. E chi, nei servizi a basso valore aggiunto (domestici, pulizie, ristorazione (lavapiatti, anche camerieri), giardinaggio, guardianie, piccole riparazioni….), si è obbligato a due, anche a tre occupazioni, per guadagnare il necessario, le paghe orarie contraendosi (in termini reali ma anche, a New York, in termini monetari) per l’offerta esuberante da nuova immigrazione.
Alta la percentuale per Trump negli Stati poveri, anche se scarsamente popolati – agricoli, deindustrializzati, decentrati, del “profondo Sud”: Wisconsin, Montana, Iowa, North Carolina, Oklahoma, Mississippi, Arkansas.
Per la prima volta un repubblicano, il newyorchese Trump, è riuscito ad aumentare i voti a New York - Staten Island, Bronx, Queens, la parte meridionale di Brooklyn. Solo la ricchissima Manhattan era e resta indefettibilmente tutta Democratica – malgrado il riuscito ultimo raduno di Trump al Madison Square Garden (che ha riempito, luogo di celebrazione alto-borghese, di afro, latinos, arabi, indiani, donne grasse e magri teen-ager). Nel 2016 Hillary Clinton aveva staccato Trump nel voto popolare a New York di 63 punti. Biden nel 2020 di 54 punti. Kamala Harris ha visto il margine nella Grande Mela ridotto al 37 per cento.

Il romanzo del Vietnam prima del Vietnam

Il romanzo del Vietnam prima del Vietnam. Reporter e romanziere di tutte le guerre e guerriglie, Graham Greene non si è fatto mancare il Vietnam, quello del 1952-1955, quando la guerra era d’Indocina, della Francia che tentava di recuperare la colonia (ogni notte scoppiano bombe a Saigon, ma anche di giorno). Di cui però sapeva anche gli sviluppi futuri. Al punto da essere per questo dichiarato “persona non grata” negli Stati Uniti, niente più visto d’ingresso - criticato perfino, per leso americanismo, dal “New Yorker”, rivista progressista se mai ce ne sono state. G.Greene non sapeva di Kennedy naturalmente, ma sapeva dell’ansia “umanitaria” americana di imporsi nel resto del mondo. Cominciando col “fare le scarpe” alla Francia in Indocina, nel nome della decolonizzazione e della democrazia. In contemporanea con la guerra di Corea.
Un racconto tanto semplice, nello svolgimento, quanto intricato, perfino carognesco, nel ghiommero dei personaggi. Che poi sono semplici anche loro, sono solo tre: Pyle, l’americano del titolo, “volontario della pace”, Fowler, il giornalista inglese blasé, fra oppio e alcol, e la ragazza Phuong vietnamita, nome vero di una vecchia amica di Greene a Saigon. Con l’autore impersonato in Fowler, il narratore.
Molte bombe scoppiano, e i mortai fanno “aggiustamento”, nel capitolo centrale, al Nord, sopre le teste per tutto il girono. Ma poche scene di guerre. Anzi, solo questa, tra Hanoi e Saigon, di tipo malapartiano, dell’orrido semplice, del grottesco – il grottesco delle guerre. Il nemico è onnipresente e invisibile. I giornalisti sono cinici – gli americani e gli inglesi. Gli Stati Uniti vogliono la sconfitta della Francia.
È il racconto di un “inviato speciale”, che molto dice del cinismo del mestiere. A partire dal modo di vivere, con una ragazza vietnamita, “inviato speciale” – quale del resto era – insabbiato, a metà tra oppio e amanti. Con l’elogio della donna vietnamita.che sa anche tenere la casa – rammendare i calzini, e preparare e alimentare l’oppio la sera. In questo caso, ma come in molti altri Greene, il racocnto di una spia, tra le spie – Graham Greene fino alla fine si dilettò di fare l’informatore dei servizi segreti inglesi, ai quali lo aveva introdotto la sorella maggiore, che vi lavorava, in gioventù, quando aveva bisogno di guadagnarsi di che vivere.
Molto autocritico, l’“americano tranquillo” è di fatto un punching ball, sul quale Greene esercita autocritiche e autocommiserazioni. Compresa l’autoflagellazione di uno scrittore vecchio a cinquant’anni, traditore della moglie – qui ancora con una sola donna, a Capri, che poi lo ha abbandonato, mentre altre due successive “vite” seguiranno, a Antibes e a Montreux. Con l’orgolgio del cronista anti-solone, anti-commentatore, rivendicato a ogni passo. Il capitolo più drammatico, al centro del racconto, conclude con un: “Che strano, tiriamo fuori appena due righe d’agenzia per una notte del genere”.
Il colonialismo – storia e sistema – in due pagine, nessun particolare omesso. E una critica radicale della guerra. Ma – per questo? - sentenzioso. Prolisso a volte. Sull’inutilità della guerra, di tutte le guerre. Sui rapporti umani. Sui rapporti familiari. La storia di un amore, disperato. Con tanto di Dante, Paolo e Francesca – c’è Dante anche nel volto liberale, di “virute e conoscenza”.
E una nota singolare nella vasta produzione di G. Greene. Là dove, nell’estremo tentativo di legare a sé la ragazza Phuong, scrive alla moglie per chiedere di abiurare per una volta al principio, pure sacrosanto, dell’indissolubilità del matrimonio, che lei da buona cattolica professa. Questa è stata una costante della vita vera dello scrittore, che ebbe tre lunghe convivenze, matrimoniali, all’estero, mentre restava sposato in Inghilterra.
Un cameo è – in una delle due scene di guerra della narrazione (l’altra è il bombardamento del caccia, che punta l’obiettivo in picchiata, per non consentire all’antiaerea di puntarlo, e si risolleva avvitandosi un secondo prima dell’impatto al suolo) - la dimenticata Phat Diem al Nord, “la città più vivace dell’intero apese”: la capitale cattolica del Vietnam, un insieme di chiese, cattedrali, monasteri, costruito sugli acquitrini, come e con le stesse tecniche di Venezia.  
Zadie Smith, che presenta questa riedizone, dovendo dare a G. Greene un appellativo, è un Tolstoj?, è uno Stendhal?, lo riduce a “più grande gionalista mai esistito”. Ma è ben di più. Oltre che romanziere, è scienziato politico raffinatissimo del secondo Novecento. In questo “romanzo” come in quelli dell’Africa e dell’America Latina – sapeva di che parlava. E narratore di vasta – aperta, non conchiusa, non definita – umanità. E scrittore onesto, pur essendo in vita donnaiolo frivolo, buon bevitore dall’occhio lucido, pro-comunista larvato, al modo degli snob inglesi, cattolico non osservante ma quanto “religioso”.
Golosissima la postfazione di Domenico Scarpa. Un (piccolo-grande) monumento a G. Greene. Pieno di tagli sorprtendenti e utili al lettore. Sull’autore, e su questa opera – “tra letteratura, religione, politica e autobiografia, i cunicoli che percorrono il sottosuolo dell’‘Americano tranquillo’”.
Graham Greene, Un americano tranquillo, Sellerio, pp.360 € 16

sabato 9 novembre 2024

Secondi pensieri - 547

zeulig


Concezione
– È femminile, nell’excursus semiologico del corpo umano che E.Jünger fa in “Anatomia e linguaggio” (il saggio è ripreso nella raccolta  “Il contemplatore solitario”): “Nel campo in cui si sfiorano il tatto e lo spirito, la parola conceptio  merita una menzione particolare: designa l’impossessamento passivo, femminile, delle idee. L’organo femminile è comparato alla mano: cunno-captio. Ma bisogna ugualmente pensare al contatto rapido come il fulmine che feconda l’uovo.
Virile, al contrario, è «intuizione»”.


Heidegger
– I “quaderni neri” saranno stati i suoi “Parerga e Paralipomena”? Altrettanto pronti per la citazione - per la discussione, le contestazioni, le polemiche. Anche se non da lui stesso preparati per la pubblicazione (questo però non si sa, curatore e editori non lo spiegano). Digressioni e divagazioni, libere (non autocensurate), più spesso in forma di frammento, ma come piume dello stesso corpo.

Diritto - Vico contrappone il diritto, jus, alla aequitas. Lo jus è di diritto divino, viene da Jous, Giove, perché anticamene concepito come divino. Così come l’arte, che si riteneva decisiva, della divinazione. L’aequitas è invece il rapporto del giusto e dell’equo, nelle questioni penali e in quelle civili. Fondata sull’intelligenza dei fatti – mentre lo jus su una rivelazione. La bilancia di Temis, la personificazione della giustizia, è l’aequitas.
Aequitas è anche simmetria. Aequis è uguale, e anche amico. La giustizia non si vuole nemica.
 
Linguaggio
– Non è la forma del pensiero. Il pensiero non ordina (comanda) il linguaggio. Non necessariamente, non direttamente. Orwell immagina nel saggio “Newspeak”, in appendice a “1984”, un linguaggio nuovo, che elimina il pensiero. Su questa elementare simmetria: “Se il pensiero corrompe il linguaggio, il linguaggio anche può corrompere il pensiero”.
Internet, la “rete”, invera l’analisi di Orwell anche in assenza di una tirannia stile “1984”, della dittatura politica. La possibilità istantanea e aperta, incontrollata, ai social, alle fake news, ai falsi deliberati imposti come veri per ragioni surrettizie, pubblicitarie (di promozione commerciale), politiche,  e anche criminali. L’intelligenza artificiale moltiplica questa potenzialità del falso-vero,  all’infinito. Allentando ulteriormente la vigilanza critica. La capacità critica che si lega alla riflessione. Una forma di “azione” orwelliana autonoma, spontanea, non imposta (eterodiretta), e quindi incontrollabilmente “vera”.

Politica – Si dice che la politica non soffre il vuoto. Invece la politica è il vuoto. Un recipiente che va riempito di senso. E se non ha questi contenuti, l’indulgenza, il coraggio, la forza, la stima di se stessi, risuona spaventoso. È molto tempo ormai che la politica non è più la libertà, come vorrebbe la vecchia trattatistica della polis greca. Già tra i romani era maneggio dichiarato, attorno al potere. Platone ha portato l’agorà, il luogo in cui la libertà si fa politica, nell’accademia. Senza esito dopo duemila anni, solo chiacchiere - la logica è sterile in politica, che forse non è materia di possibile ricerca. La politica strumento di un fine elevato è del cristianesimo romano, che non la realizza ma ne ha creato le istituzioni, che oggi si chiamano democrazia. Anche di recente: la Svizzera ha avuto una intensa stagione democratica contro lo statalismo, salvata dai cattolici. La differenza nelle Alpi è stata salvata in Italia dopo l’unità dai cattolici. Funzione materiale democratica, se non ideologica, ha avuto il cattolicesimo nella Vandea. Ripetuta coi massisti in Calabria, che erano sanfedisti, per Dio e il re, ma erano eserciti a massa, di volontari veri, il popolo.
Si può preferire di vivere tra i nemici che nell’indifferenza, tanto la solitudine è desolante. Ma il potere, senza leggi e buone azioni, è tirannide. Il problema non è la politica, a quella ci pensano Arendt e Hobbes. Benché la filosofia soprattutto vi inciampi, Aristotele incluso, per non dire di Platone, che vi balbetta. L’incognita è il potere, che la politica non sa risolvere. E questo Nietzsche lo spiega. L’uomo è apolitico anche se compattato nell’umanità. La quale è tutto e quindi è niente. O è perversione, in quanto fonda la storia, la necessità storica che invece è gratuita. Ora il superuomo Nietzsche Gramsci e Eco dicono roba d’appendice, di romanzo popolare a puntate. Ma Bismarck era un Räuber per il giudice supremo Ernst Ludwig von Gerlach, fondatore del partito conservatore prussiano, un predone. Hans Frank, che comandava i lager, è il Re tedesco di Polonia in Kaputt, il viaggio nella guerra di Malaparte. Un re cattolico della cattolica Polonia, con austriaci pii per cortigiani, che il Rinascimento voleva impiantare a Cracovia, la sua capitale. Aveva per questo studiato a Roma e meditato a Firenze e Venezia, parlava un italiano perfetto, “con un lieve accento romano discesogli da Goethe e da Gregorovius”, suonava “divinamente” il piano, Schumann, Brahms, e Chopin che lo inteneriva.
 
Scienza – “La fede nella scienza è una contraddizione in termini”, E. Jünger, “Linguaggio e anatomia” (in “Il contemplatore solitario”). “Ma è fondata sulla natura umana”, continua Jünger.
E aggiunge: “È alla base dell’intolleranza della scienza”.
 
Sinossi – È metodologia di ricerca oggi in disuso. Curiosamente assente in particolare, e in maggiore misura, nella scienza, alla quale dovrebbe invece essere consustanziale, la veduta d’insieme. La scienza contemporanea si caratterizza anzi proprio per l’assenza di capacità o intenzioni sintetiche. Pregiando la specializzazione, l’atomizzazione.
Nella storiografia in particolare ciò è evidente. Nel discredito sopravvenuto “scientificamente” per le opere di sintesi totalizzanti, come Spengler, “Il tramonto dell’Occidente”, o le opere già classiche di Jakob Burckhardt che facevano testo sul “classico”, “La storia della civiltà greca”, “La civiltà del Rinascimento in Italia”.  

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