sabato 20 gennaio 2024

Secondi pensieri - 534

zeulig


Amicizia – Un rapporto gratuito - esente dal “do ut des” della socievolezza - e non imputabile. Trascurato dalla riflessione, a lungo dimenticato, c’è un perché?
Un rapporto anche non normato, in nessuna forma, a differenza di quelli che creano un legame legale tra persone, come il matrimonio o la parentela. È un legame, cioè, che non rientra in alcuna forma tra gli obblighi: interamente gratuito e libero. Nel sentire comune, peraltro, complemento necessario di tutti i rapporti interindividuali, di amore, matrimonio, parentela, anche di lavoro e sociali, o politici. Nell’amicizia essi trovano sostanza, altrimenti vagano, ondeggiano, fra attrazione e ripulsa.
È uno scambio di valore reciproco, senza valutazione – di peso, qualità, intensità, volontarietà, dedizione, sacrificio, o qualsiasi altra intenzione e situazione calcolabile.
 
Deriva autoritaria – S’intende un ritorno al fascismo, a forme fasciste di potere. Ma la deriva può di fatto annidarsi nella censura. Quando è di fatto espresso da un notabilato, che si arroga il “diritto” di decidere delle forme politiche – nella politica italiana si vuole “di sinistra”, una sorta di aeropago illuminato, protettore della democrazia, che esaurisce nel retropensiero “posso vincere (governare) solo io”, e si rafforza denunciando derive autoritarie altrui.
La deriva autoritaria si sostanzia di leggi, e\o di un uso autoritario dell’apparato repressivo – tribunal e polizie. In assenza, viene evocata per un giudizio preventivo o stigma, la cui prova è lo status autoproclamato dello stigmatizzatore.
 
Destra-sinistra – C’è confusione al riguardo, benché i concetti siano semplici,  solo in Italia. All’evidenza: già nel 1955, a nemmeno dieci anni dalla Costituzione, Scalfari e Bobbio pubblicavano requisitorie contro la democrazia italiana. Suppostamente da sinistra - il vezzo “azionista” di dire democratico il Pci, perché all’opposizione, e antidemocratica comunque la politica di governo.
Rifacendo i conti, il bilancio del primo centro-sinistra, anni 1960, è rivoluzionario rispetto a quello del secondo centro-sinistra, del “compromesso storico”, ma il primo è deconsiderato (una parentesi) quando non “liquidato”, mentre il secondo beneficia senza alcun fondamento di analisi suppostamente storiche.
 
Metafisica – È “occidentale”.
 
Pelagio - Il monaco del  IV-V secolo criticato da sant’Agostino e poi condannato dalla chiesa, per negare il peccato originale (il male originale), era un celta, di nome Morgan. Non era abbastanza latino?
 
Occidente – Improvvisamente, con le ultime guerre, in Ucraina e in Medio Oriente, si scopre una parte del mondo, non grande. Come un marchio di fabbrica – tutti i valori di cui prima si discuteva e ragionava in astratto si dicevano “occidentali”, la democrazia, i diritti umani eccetera. Ma in senso restrittivo – in rapporto sottinteso al vasto mondo.
 
Populismo – Si dibatte perché si produce in ambito democratico – consultivo, elettorale, rappresentativo.  Non è una novità, e probabilmente è la forma più antica e più diffusa della politica: l’agitazione, la politica agitatoria, mobilitante, dei poveri, dei nemici, del popolo, delle folle, delle mase. Ci sono capipopolo in Tucidide, nella storia romana in quantità, e masanielli ovunque, fino alle rivoluzioni, che sono movimenti di popolo, prima ancora di indirizzarsi a un fine – dottrinale, pragmatico, di rapporti di forza.
Nel primo dopoguerra si è mosso – ha dilagato – sull’esito della guerra stessa, delle paci dopo le sconfitte. Tra i “mutilati” della vittoria e gli sconfitti . Nel ventennio trale due guerre a un certo punto non c’erano più democrazie, se non in due o tre paesi, in tutta l’Europa – il luogo della democrazia.  
Immuni al populismo, si può osservare, sono i paesi anglosassoni, Stati Uniti, Gran Bretagna (e Australia, Canada). Si suppone per una cultura politica consolidata nei secoli, dall’“Habeas Corpus”. Di fatto, all’evidenza, per uno “Stato” consolidato in grado di assicurare la persistenza, anche contro movumenti eversivi di larga adesione- Una base su cui il voto agisce in superficie. Per aspetti anche considerevoli ma senza mettere in dubbio la struttura (il “sistema” della controinformazione). Nelle forme anche esplicite del notabilato, di affari, politico, intellettuale, sociale. Dove di fatto la democrazia governante (efficace, efficiente) s’innesta, e di cui ha bisogno, come sostegno e come guida, in ultima istanza.
 
Razionalità – È anch’essa “occidentale” – c’è relazione con la metafisica?
 
Uguaglianza – È liberale – un diritto di libertà. E va con la tolleranza.
Anche nelle forme del possesso – produzione, rendita. Il liberalismo politico si lega in affari al liberismo, la libertà di arricchimento, senza limiti. Ma il vero liberale ha come esito coerente l’anarchia – non del più forte.
È sempre individuale, anche quando è sancita (protetta) dalla legge.
La battaglia per l’uguaglianza è plurale (di massa, sindacale), lo status o effetto (ricercato) è individuale. E libero, come acquisizione e come esercizio.  

zeulig@antiit.eu

L’omaggio di Grass alla moglie, sportiva, tra le rose

Tra “La ratta”, 1986, e “Sbucciando la cipolla”, 2006, il libro di memorie, Grass vive questa avventura di fantasia. Nella scrittura e nel disegno, cui ultimamente dedicava più tempo (era “nato” scultore: facendogli difficoltà alla smobilitazione l’accademia di Düesseldorf, si era iscritto nel 1948 a Palermo).
Invitato a presentare “La ratta” nella Germania orientale, in compagnia della moglie Ute, “fuori servizio Jutta”, ha nel duomo di Naumburg, vicino Lipsia, un incontro che lo segnerà. Con Uta di Naumburg, consorte di una margravio sassone, Ekkehard II, morta in odore di stregoneria nel 1046, immortalata in una serie di figuere dei Fondatori sul lato sinistro del coro. Una visione di cui non si libererà più, molte avventure vivrà in suo nome, nel nome di Uta. Con una storia di Alì – un’altra, eco di Pasolini e Sartre?
Ura du Naumburg Grss ritrova nelle vesti di un’artista di strada, i mimi muti che usarono negli anni 1990 nelle piazze, nella piazza del Duomo di Colonia e in quella del Duomo di Milano. A Mondello, dove partecipa a un convegno, in dialogo con “l’autore di un  grande romanzo storico diventato film” – e qui non si sa se la prima idea del racconto è stata di Grass o di Eco, di cui è noto, come ricorda il risvolto (già nell’edizione originaria tedesca) che “alla domanda con quale donna della storia dell’arte avrebbe voluto cenare, rispondeva senza esitazioni con un nome: Uta di Naumburg”. Infine a Francoforte, un incontro decisivo. Ma sotto le specie di Elisabetta delle Rose – sant’Elisabetta regina del Portogallo, paese dove Grass svernava lungamente, famosa per un quadro famoso di Zurbaràn, che la mostra mentre si apre le vesti e invece dei pani che nascostamente portava ai poveri, gli inquisitori vedono fiori.
Un testo forse concepito per l’autobiografia, “Sbucciando la cipolla”, del 2006. Rimasto fuori anche dall’opera onina postuma in 26 volumi, reperito dalla collaboratrice di lungo corso di Grass, Hilke Ohsoling, tra le carte: un progetto di cui Grass ha lasciato molte tracce, dattiloscritti, piani di lavoro, litografie, un gruppo scultoreo nell’atelier. Grass pasava più tempo nel laboratorio figurativo probabilmente che alla scrivania.
Un omaggio a Ute, la seconda moglie, defintiva, dal 1977, che gli sopravviverà di qualche anno: Ute come Uta - “intorno alla metà degli anni trenta molte bambine venivano battezzate con il nome di Uta o Ute”. Come di una bellezza o attrattiva continuamente rifiorente. Il racconto si avvia con una excusatio non richiesta:  “Non mi viene in mente di paragonare quella Uta con la mia Ute: entrambe, infatti, sono uniche nel loro genere”. Se non che in tutte le foto Ute la moglie è uguale a Uta di Naumburg, viso eretto sul bavero rialzato, la margravia forse strega sicuramente sportiva.
Günter Grass, Statue viventi, La Nave di Teseo, pp. 80 € 16

venerdì 19 gennaio 2024

Appalti, fisco, abusi (238)

L’inflazione è cresciuta nel 2023 del 6 per cento (5,90), le classi di merito siano invariate, quindi migliorate, la macchina sia la stessa, la Rca aumenta del 50 per cento. Motivi? Nessuno.
L’Ivass dice che va bene così, l’autorità pubblica che regola (controlla) le assicurazioni.
 
Lo shopper, inventariato, è non si sa se una trovata commerciale deficiente o un deficiente obbligo normativo. La busta, di plastica o di carta, va inventariata, viene venduta, la vendita viene registrata, la busta viene scaricata, e sui 5 o 10 centesimi di costo probabilmente si paga l’iva, qualche decimo
di centesimo. Si dice contro lo spreco dei materiali, carta o plastica, ancorché riciclabili. Mentre s’impongono tre involucri per un po’ di ricotta.
 
Osanna, il Campidoglio avvia la rilevazione online di tutti i suoi immobili, case, terreni, negozi, laboratori, officine. Ma la rilevazione si completerà “in alcuni anni”. L’unica cosa sicura è che si è dato l’appalto, a un costo non comunicato. È il quinto o sesto appalto in quarant’anni per censire i 40 mila e passa immobili di cui il Campidoglio è titolare, di varia provenienza (anche testamentaria), anche in one pregiate, piazza Navona, Fontana di Trevi, il Celio, prospicienti il Foro e il Colosseo. Che però si fanno in quanto appalti, senza portarli a termine, altrimenti i fruitori di questi immobili dovrebbero pagare l’affitto.
 
Per usare lo scivolo mobile che consenta a un invalido l’accesso in carrozzina, il negoziante deve pagare al Comune l’occupazione di suolo pubblico, sia pure di mezzo metro quadrato, per pochi minuti. Ristoranti e bar possono invece occupare marciapiedi, piazze e giardini, a tempo indefinito, con catene, senza pagare nessuna tassa - probabilmente neanche quella sul reddito.

Il martirio di Ingeborg Bachmann

La storia di un delitto, senza vittima e senza nemmeno assassino, mancando peraltro un giudizio e perfino l’investigazione. Con una coda “in Egitto”, invereconda per la pudica vittima, ma come dire in un deserrto, in una sorta di al di là.
Un martirio, dell’autrice s’indovina, sicuramente del lettore. “Questo è un libro che parla di un delitto…”, annotava l’autrice su uno dei fogli che veniva componendo, uno di quei delitti che “sono tanto sublimi che quasi non riusciamo ad accorgercene e a comprenderli, benché vengano commessi ogni giorno nel nostro ambiente, tra i nostri vicini di casa”. “Sublimi” probabilmente nel senso di sottili, inavvertiti, senza spargimento di sangue, se non come atti perfino altruistici, disinteressati. Il riferimento è al matrimonio romano della stessa autrice, con Max Frisch, presto infelice, tra reciproche accuse (Frisch ha dato la sua versione della crisi in “Il mio nome sia Gantenbein”, anch’essa non esaltante - lei è sciatta, si alza tardi, probabilmente non si lava….). “La tenebra egizia, di questo bisogna darle atto, è perfetta”. E questo è tutto, l’ultima riga della voluminosa pubblicazione.
Il racconto, frammentario, è in realtà breve. In una precedente edizione, sempre Adelphi, 1990, s’intitolava “Il caso Franza”, era cioè il racconto in sé – e veniva pubblicato insieme con un un racconto complementare, “Requiem per Fanny Goldman”, per fare un libro. In questa edizione (il tascabile di quella del 2009)  è raddoppiato di volume. È il caso del “libro” Franza, con molta filologia, di Luigi Reitani, che ne ha curato l’adattamento,  e dei curatori dell’edizione critica originaria.
Indigesto quello, il racconto in sé, la paranoia del rapporto di coppia, questo lo è al quadrato. E per il pezzo più ripetuto, il viaggio turistico in Egitto, a potenza insostenibile – Franza-Ingeborg ci tenta pure un’“orgia” di “amore arabo, o amore greco”, di una “bianca” con tre arabi.
I materiali raccolti come “Il caso Franza” sono tra i più rifiniti dei diecimila fogli lasciati inediti da Ingeborg. Rivisto e riorganizzato dalla sua casa editrice, il lascito è stato poi pubblicato nell’interezza nel 1995, col titolo funerario “Todesarten”: cinque volumi, 2.900 pagine a stampa, di “modi di morire”. Per dire quanto ha pesato sugli ultimi dieci anni di vita di Bachmann la relazione infelice con Frisch. Ma Ingeborg è d’ingegno critico superiore: la sensazione è che i filologi dovrebbero frugare meglio tra gli inediti.
Magari l’Egitto è quello di Celan. In In Aegypten”, la poesia del loro amore, Paul Celan invitava Ingeborg a cercarlo laggiù, nel servaggio, da cui lui, ebreo, non è mai uscito. Ma lei si immagina liberata con tre uomini nel deserto, un’altra prigione, la prigione d’amore, un amore non corrisposto, l’autoesilio. Anche se, si sa, nella compagnia redentrice di Adolf Opel, finalmente un austriaco – Bachmann, che rifuggì sempre da rapporti con austriaci, con Opel fece effettivamente il viaggio in Egitto. Questa lettura sarebbe già qualcosa.
Ingeborg Bachmann, Il libro Franza, Adelphi, pp. 379, € 14

giovedì 18 gennaio 2024

Il voto europeo, una incognita per Meloni

Un successo al voto europeo aprirà una falla a Roma? È la prospettiva cui va incontro Giorgia Meloni. Se al voto europeo vince la “sua” destra, come oggi sembra, degli “Europei e Riformisti”, o “euro-realisti”, finirà lo stato di grazia di cui la presidente del consiglio ha goduto finora nella coalizione di governo: dovrà scegliere se allearsi all’assemblea di Strasburgo, qualora fosse possibile una maggioranza di centro-destra, con i Popolari, che la corteggiano con insistenza -  Ursula von der Leyer e Manfred Weber, dei Popolari tedeschi, in aggiunta a Forza Italia - e in quel caso si troverà Salvini all’opposizione.  Salvini rimane infatti ancorato al gruppo Identità e Democrazia, insieme con le destre più euroscettiche, il Rassemblement National francese di Le Pen, e l’Afd tedesca, oltre a varie formazioni in Austria, Danimarca, Olanda, Belgio fiammingo, etc.
Al passato voto europeo l’occasione fu rifiutata da Salvini. Lo schieramento europeo di Salvini vinse le elezioni, a scapito dell’altra destra, dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), e Salvini fu corteggiato dai Popolari, spinti anche da Berlusconi. Ma rifiutò il corteggiamento, preferendo restare ancorato agli euroscettici, e si è marginalizzato.
Questo precedente potrebbe ridurre le incertezze per Meloni – se al voto avrà successo. Tanto più se avrà successo anche lo schieramento cui appartiene, l’Ecr, di cui è il presidente, in Olanda, Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca, paesi baltici, la Spagna, forse l’Ungheria di Orban. Le previsioni sono che Ecr ribalterà il risultato del 2019 (grazie al previsto exploit di Fratelli d’Italia),  quando perse a vantaggio di Identità e Democrazia (grazie all’exploit di Salvini). Ci sarà allora da vedere di quanto la maggioranza di Roma potrà divaricarsi.  

Macron insegue Le Pen

Con Gabriel Attal premier, ex socialista securitario, Gérald Darmanin all’Interno e Stéphane Séjourné agli Esteri, due ex Républicains (gollisti) intransigenti, già collaboratori di Sarkozy, e il recupero di Rachida Dati, che milita tuttora nel partito di Sarkozy, Macron ha varato un governo che guarda a destra. Con l’obiettivo di fermare l’ascesa del Rassemblement National, l’ex Front National, sempre impersonato da Marine Le Pen, anti-migranti e anti-green. Lo spauracchio del voto europeo.
Il Rassemblement National cresce da mesi in tutti i sondaggi. I problemi creati dall’immigrazione incontrollata, e dalla “transizione verde” radicale decisa da Bruxelles, ne hanno allargato la paleta di riferimento. Tanto più che la sua leader, Marine Le Pen, parla da qualche tempo un linguaggio più politico, possibilista - forse sull’esempio di Giorgia Meloni.
La decisione di Macron è maturata dopo la vittoria alle elezioni in Olanda del partito euroscettico alleato del Rassemblement National. Quando sulla stampa sono apparsi apprezzamenti imprenditoriali verso Le Pen. Cauti, ma in contrasto col “patto repubblicano” che aveva finora isolato il lepenismo. Lo stesso Macron alla vigilia di Natale, per far passare in Parlamento una legge più restrittiva in materia di immigrazione, aveva fatto ricorso al Rassemblement National.

La Resistenza a Hitler in versi

Pochi versi, dieci componimenti, scritti in pochi giorni, poche ore, di una prigionia lunga ventiquattro mesi, pensando alla fidanzata Maria von Wedemayer in momenti familiari, come il Natale, e all’amico Eberhard Bethge, col quale il dialogo è quotidiano, instancabile. Componimenti brevi e lunghi, anche lunghissimi. A carattere teologico – “Ventura e sventura”, “Chi sono io?””Cristiani e pagani”.  Sull’amizicia: “L’amico”, la composizione più lunga,è la celebrazione di un “dono” – “è donato l’amico all’amico”. Ma di più sono liriche fuori registro, liriche politiche. “Le stazioni sulla via della libertà”, che sono dure: “disciplina,” “azione”, “sofferenza”, “morte”. E sulla Resistenza:  “La morte di Mosé”, “Jona”, Da forze buone”.
Bonhoeffer, una delle ultime vittime di Hitler, il 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine dello stesso Hitler, poche ore prima della liberazione di Flossenburg, il carcere dove era detenuto, fu pastore luterano, libero docente, teologo raffinato, intellettuale critico, protetto dalla chiesa, uomo  della Resistenza militare (con von Dohnanyi e Canaris). Sfuggito al carcere nel 1939 emigrando negli Stati Uniti, dopo solo sei settimane tornava in Germania, per continuare la lotta contro l’hitlerismo. Non fu poeta: questi versi, per quanto eticamente, ma anche poeticamente, notevoli sono un caso.
“La morte di Mosè” è l’accettazione responsabile della morte, in cui il singolo non guarda a se stesso ma alle generazioni future. “Jona”, il penultimo componimento, l’esumazione del racconto biblico del profeta infedele, è duramente politico – perfino cinico, “evitare di solidarizzare con i condannati, anzi evitarli senza scrupoli” nella lettura del curatore. La disperazione non è sopita, la lettura rinvia a ogni pagina al Cristo in croce. Ma sono versi accattivanti, come il corale, come il salmo, nota il curatore. “Da forze buone”, l’ultimo componimento, indirizzato a Maria per il Natale del 1944, è un addio gentile, come invito al domani. Di un ecumenismo anticipato, esteso al pagano.
In tedesco, con traduzione e a cura di Alberto Melloni. Una ri-traduzione, con attenzione al ritmo e alla metrica, tralasciando la rima. Con una introduzione critica molto circostanziata sulla vicenda umana e dottrinale di Bonhoeffer. Una raccolta, nota Melloni, curiosamente edita come testo poetico solo in Italia. In Germania le “poche pagine” sono “accantonate dagli studiosi come momenti di autoindulgenza”, come “indici generici  del dramma del prigioniero”, riprova della “posizione teologica di Bonhoeffer….incomunicabile”, o come “tentativi incerti di ridire nell’ermetismo…. ciò che è spiegato altrove e meglio”.  Sono poesie come i salmi, nota Melloni, che dota l’edizione con una introduzione, “preghiera spezzata di un credente nella distretta e nella solitudine”.
Dietrich Bonhoeffer, Poesie, Qiqajon Comunità di Bose, pp. 89 € 10  

mercoledì 17 gennaio 2024

Il voto europeo sarà sugli immigrati

Il dibattito politico in vista del voto europeo si è radicalizzato attorno alla questione immigrazione. Ma non in Italia, dove pure c’è un governo di destra: in Francia e in Germania, dopo il voto politico in Olanda, che ha visto la vittoria della destra radicale. In toni ben più nazionalisti e più aspri di quanto si tenta di imputare al governo in Italia. 
A Berlino la coalizione di sinistra al governo, che ancora in estate programmava un flusso consistente di lavoro immigrato ((almeno 400 mila lavoratori l’anno), interviene da settembre solo per annunci restrittivi: l’intensificazione dei controlli alle frontiere, espulsioni “su larga scala” di chi non ha titolo giuridico all’accoglienza né prospettiva di integrarsi in Germania, e la riduzione delle prestazioni sociali (sanitarie e monetarie) anche per chi è riconosciuto “rifugiato” politico.
In Francia l’opinione è da tempo centrata sulla questione immigrazione. E il dibattito politico è unanime nel ritenere il Rassemblement National, il partito dei Le Pen, sempre fortemente contrario all’immigrazione aperta, oggi fortemente maggioritario. Il presidente Macron, centrista, liberale, che già aveva voluto a ministro dell’Interno Gérald Darmanin, il suo politico più duro in materia di immigrazione, ha varato un nuovo governo tutto indirizzato a destra, alla rincorsa del Rassemblement lepenista.

L’Europa sopravvive (male) col lavoro immigrato

Le differenze salariali fra lavoro nazionale e lavoro immigrato continuano a essere sostanziose. Dai dati Inps di novembre, riferiti al 2022, oltre un terzo dei lavoratori extracomunitari, il 36 per cento, risulta avere una retribuzione annua inferiore ai 10 mila euro. E quasi un terzo, esattamente il 28,9 per cento, delle famiglie con almeno un componente straniero sono in “povertà assoluta”.
Andamento analogo ha la remunerazione dell’immigrazione in Germania. In entrambi i paesi si stima che ha retribuzione media del lavoratore immigrato è il 60 per cento  della retribuzione media  nazionale del lavoro salariato.
D’altra parte, se l’Europa sopravvive male, cresce cioè economicamente poco, molto meno che Stati Uniti e Cina, è perché fa affidamento su un lavoro povero, cioè a bassa produttività.

I De Filippo, una pausa nel cinema americano

Dunque, il 2021 aveva visto ben due film sulla vicenda Scarpetta-De Filippo, degli ultimi anni del grande mattatore Edoardo Scarpetta e dei primi passi in scena dei De Filippo, suoi figli “naturali” o illegittimi – nati fuori dal matrimonio, con Luisa De Filippo, e non riconosciuti. Entrambi lunghi uguale, due ore e venti minuti. Martone, “Qui rido io”, invitato a Venezia, Rubini alla scena più modesta di Roma. Anche il nocciolo della vicenda è lo stesso, il mutamento della scena teatrale, dalla sceneggiata alla commedia, alla comicità sottile, legata alla realtà del linguaggio e delle cose. Qui è più in evidenza la successione di Scarpetta, materiale e teatrale.
Sarà per questo che “I fratelli De Filippo” sono più gradevoli? Rubini, qui sintetico, ha montato la narrazione sull’eredità. Il dissidio tra i figli legittimi e quelli illegittimi (defraudati anche degli specifici legati disposti dal padre) innesta la creazione, lenta, tortuosa, della compagnia dei De Filippo. Fra i tre fratelli temperamentali, ognuno a modo suo, Eduardo prevaricatore, Peppino tra accettazione e sfida, Titina sempre in armi per avere un ruolo – “tu non sì bella”, la bolla Eduardo.
Un racconto credibile per non essere apologetico? Si tiene conoscendo la vicenda, ma anche come storia a sé. Di Napoli nel 1933, quando i film, rigorosamente americani, non si doppiavano – le scene in americano erano seguite da una pagina di didascalie esplicative – e “I De Filippo” riescono a infilarsi come pausa distensiva tra queste “visioni” impegnative.
Sergio Rubini, I fratelli De Filippo, Rai 1, Raiplay

martedì 16 gennaio 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (549)

Giuseppe Leuzzi

Si pubblica come pagina di colore il diario di Messina Denaro, che invece è agghiacciante. Un super ricercato che si muoveva continuamente e tranquillamente. “Nel Nord Italia”,  scrive Bianconi sul “Corriere della sera”, “in particolare Lombardia e Veneto”,  e “in Austria (dove tra gli anni Novanta e primi Duemila Messina Denaro ha avuto una fidanzata nota alle cronache), in Germania e in Francia”. Mah!
Una dromomania complicata, anche per un riccone non ricercato - non dalle polizie.
 
Scintille dello scintillante De Luca contro l’ex giovane Fitto ora ministro, in veste di meridionale compassato, che vuole denunciare a “ogni tribunale” per il mancato uso dei fondi europei “di sviluppo e coesione, 23 miliardi, di cui l’80 per cento riservato al Sud. Ma è vero che questi fondi non sono stati, e non sono, spesi.
 
L’amante di Messina Denaro condannata, moglie di un mafioso suo schiavo, che gli scriveva lettere da fanciulla in deliquio mentre conviveva col marito schiavo, è l’ennesima scaglia di realtà nella pittura sociologica della mafia onorata società, dei codici d’onore: niente tradimenti e niente concubinati, insieme con i bambini e le donne impunibili – quando non siamo a Robin Hood. Scaglia difforme nell’oleografia, della “moralità” dei mafiosi. Che sono, quando sono, criminali.
Si dice: le mafie sono criminalità con una certa conformazione. No, la conformazione viene data dal luogo dove agiscono: Napoli, la Sicilia, ora la Calabria – in Puglia non hanno attecchito, malgrado le attese.
 
Tra i sintomi della “sanità malata” Sabino Cassese denuncia sul “Corriere della sera” lunedì 8 la “mobilità sanitaria”, per lo più per ricoveri e trattamenti ospedalieri. E calcola: “In dieci anni il saldo negativo di tredici regioni del Sud nei confronti di quelle del Nord è ammontato a 14 miliardi”. Di tredici regioni del Sud – non basta il Muro dell’Appennino? Il Sud è contagioso, ha fatto macchia d’olio, la linea della palma sale, l’Italia si meridionalizza.
 
Il Sud scoraggia il pensiero
“Ha notato come il sole odia il pensiero”, diceva Oscar Wilde ad Algeri, in esilio volontario nel 1895 dopo la condanna e il carcere, al ventiseienne André Gide, due amici “innominabili” allora al primo incontro? Lo costringe a indietreggiare: il sole “sempre scoraggia il pensiero, che vola nell’ombra. Il pensiero un tempo abitava in Egitto; il sole conquistò l’Egitto. Visse a lungo in Grecia; il sole conquistò la Grecia. Poi l’Italia, poi la Francia. Oggi ogni pensiero è spinto lontano, nella Norvegia, nella Russia, dove il sole non arriva. Lo costringe sempre a indietreggiare…. non arriva mai”.
Quello di Algeri non era il primo, era il secondo incontro di Gide con O. Wilde. Il primo era avvenuto a Blida, ma aveva impaurito Gide – ne scrisse alla madre come di un uomo terrificante, un “pericolosissimo prodotto della civiltà moderna” (il secondo incontro rivelò a Gide – nella persona di un giovane arabo muscoloso che entrava al caffè e si sedette accanto a Wilde - l’omosessualità latente). A Blida Wilde gli aveva subito detto: “Sto correndo via dall’arte”. Ad Algeri diceva del sole che scoraggia il pensiero come un elogio, e concludeva: “Il sole è geloso dell’arte”. Dell’arte come applicazione, impegno, costanza?
 
La mafia di Chinnici, quarant’anni fa
Di mafia sembra, da qualche tempo eternamente discussa, impossibile trovare una definizione, tante se ne accavallano. In realtà una molto vera – reale - ce l’aveva un giudice, assassinato dalla mafia nel 1983 in una delle stragi, Rocco Chinnici, giudice istruttore (allora l’ordinamento era diverso: dirigeva la pubblica accusa) a Palermo. Chinnici faceva anche delle riflessioni sul fenomeno che per ufficio contrastava, la mafia come ogni altra delinquenza. Nel suo intervento, il 3 luglio 1978, a un incontro di studio promosso dal Csm a Grottaferrata, si esprimeva con semplicità:
“Riprendendo il filo del nostro discorso, prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente, premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione, non era mai esistita in Sicilia…. La mafia.... nasce e si sviluppa subito dopo l'unificazione del Regno d'Italia”.
Successivamente, in un’intervista al periodico “I Siciliani”, abbozzò una definizione: “La mafia è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione della ricchezza. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti pubblici, i mercati più opulenti, i contrabbandi che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi. La mafia è dunque tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza... La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere”. Soldi e potere, dunque.
Il potere in tutte le sue forme, intendeva Chinnici. Che nell’agenda-diario che tenne per qualche mese prima della strage di cui fu vittima, puntava il dito contro vari dirigenti dell’apparato giudiziario a Palermo, e in particolare contro Francesco (“Ciccio”) Scozzari, il vice Procuratore Capo di Palermo – e contro due aggiunti, Lo Forte e Spampinato, che diceva “servi” di Scozzari. Su questi appunti il Csm aprì un’inchiesta, che si concluse a settembre del 1983 con un nulla di fatto, eccetto il trasferimento di ufficio di Scozzari - che non accettò la sanzione, preferì lasciare la magistratura.

Cronache della differenza: Milano
I milanesi Gadda identifica (“Un fulmine sul 200220”, p. 106) come “i novecentomila discendenti di Belloveso e cugini di Viridumario” – “invasati dal demone della prosa bellica”, dalle imprese di Guerra, il ciclista (“era una guerra incruenta ed era un Guerra pedagno…”).
 
San Carlo Borromeo Gadda voleva , in nota, “eponimo della parenesi lombarda” (“I viaggi, la morte, p. 20) – della sidnrome da maestro di scuola.
 
La Lombardia lo stesso Gadda vuole longobardica, in dissenso da Cattaneo (“infeconda età longobardica”). Per un motivo semplice: “I Longobardi, allo spiccarsi dalle loro sedi e stanze, non erano forse le meno rude di tutte le schiere germaniche ( Svevi, Sassoni, Franchi….)”. Non la meno rude, cioè la più rude – gli altri “avevano forse meglio panni da vestire e meglio ragioni da raccontare”.
 
“Un’omerica mendicità” Gadda rabelaisianamente sempre lamenta, da giovane e da vecchio, pluripremiato, e di copiosi diritti. Gadda è ben milanese, e – ma? - amava gli scongiuri.
 
Non se ne parla più, ma lombardo è sempre stato l’usuraio – non solo a Londra e San Francisco, anche a Parigi , Nîmes. 
 
Vota a Monza per il Senato il 19 per cento, uno su cinque. In nessun posto del Sud si è manifestata mai una tale disaffezione dalla politica.  Se è qualunquismo, è qualunquismo solo al Sud – o concezione clientelare della politica, che è la stessa cosa? A Monza la disaffezione dalla politica è nobile.
 
“Com’è la Milano di oggi?”, chiede Cazzullo a Emilio Isgrò, immigrato. “Sempre viva. Anche se quest’anno sulla metro mi hanno borseggiato quattro volte…”. Senza mafia, tutto è possibile. “Tre volte mi hanno rubato il portafoglio”, piega Isgrò serafico, che è la cosa peggiore - una lunga sequela di denunce, pratiche, file, per bloccare e rifare tessere, carte, documenti.
 
Piove, e Milano si allaga. È il primo ricordo della città, al tempo delle medie, quando a settembre si faceva un giro d’Italia di acculturazione – piovve e si allago la dispensa del convitto che ospitava. “Dicono che la dispensa si è allagata”, si notava in un ricordo trent’anni fa (“Fuori l’Italia dal Sud”), pare che la città si allaghi sempre quando piove”.
 
Mezza città si è allagata il 31 ottobre. Il “Corriere della sera” ha ripescato una prima pagina di Walter Tobagi del 31 ottobre 1976, esattamente cinquant’anni prima, che parlava di “sistema fognario in crisi”, di “densità di sa e scarsità di vegetazione”, che annullano il “tempo di correlazione” – “il passaggio delle acque piovane dai punti di caduta ai corsi foresi di maggiore importanza (ai fiumi, n.d.r.) è tanto più rapido quanto minore è la vegetazione”. Chissà che  ne avrebbe scritto e detto Milano se fosse successo altrove. A Milan no, sono “fenomeni estremi, dovuti alle temperature” irregolari, e hanno sbagliato i meteroologi, dando un’allerta gialla.
 
Ci sono le guerre e c’è l’inflazioe, ma quello che preoccupa Milano è l’insicurezza. C’è più violenza a Milano che altrove? Non si direbbe. Ma fa lo stesso, il milanese si vuole preoccupato: ci dev'essere colpa di qualcuno. Nel caso la divide in parti eguali tra gli stranieri e il buon sindaco.
 
“Van Basten era convnto che noi italiani fossimo tutti ignoranti”, Arrigo Sacchi. A Milano. C’è sempre un Nord più a Nord.
 
“Il Giornale” e “Libero”, le bandiere della Padania. lavoratrice, antinciuci e antiRoma, sono “salvati” dalla liquidazione da un editore ben “romano” anche se di Marino, cioè ammanicato in politica, Angelucci – specie nel comparto pubblico-privato. Il leghismo è solo una battaglia per l’appropriazione.

leuzzi@antiit.eu

Horror di ghiaccio

Le scene migliori sono le tre dei titoli di testa. Dopodiché comincia la lunga notte dell’inverno in Alaska – il Paese di notte del titolo: buio e ghiaccio. Nella quale gli “scienziati” della Tsalal Arctic Research Station scompaiono, lasciando come unica traccia una lingua mozzata.
La lingua tagliata riporta a galla l’assassinio  di una giovane inuit – o qui siamo tra gli yupik, essendo vicini a Vladivostok? – militante dei diritti civili, trucidata qualche anno prima. Un caso rimasto impunito. Per cialtronaggine – almeno si suppone.
Tsalal è un omaggio a Poe, “Il racconto di Arthur Gordon Pym di Nantucket”, il nome dell’isola meta finale di una viaggio in mare che è stato una serie di disastri. O anche a Verne, “La sfinge dei ghiacci”, che in omaggio a Poe non fa finire il viaggio disastroso a Tsalal, ma lo prolunga fino a un’altra isola misteriosa, tutta ghiacci.
In scena, poliziotta capo, la minuscola Jodie Foster, affiancata dalla muscolosa Kali Reis, la pugile campionessa mondiale pesi medi: due poliziotte in lite ma efficienti. Un noir tinto di light horror, di cui è specialista la regista, la messicana López. Col necessario mix razziale, e di generi sessuali. Stimola più la curiosità – come si fa a vivere così (sarebbe un posto di minatori) - che i nervi.
Issa López, True Detective 4 – Night Country, Sky Atlantic, Now

lunedì 15 gennaio 2024

Problemi di base della navigazione - 787

spock


Ma non è interesse della Cina mantenere libera la navigazione nel mar Rosso?
 
E l’Iran, che vi esporta il suo petrolio?
 
Sarà una guerra degli sciiti Houthi contro gli sciiti iraniani?
 
Houthi, Iran, Hezbollah, Is, Fratelli Mussulmani, Salafiti, Wahhabiti, è una guerra di chi contro chi?
 
La chiusura del mar Rosso aiuta il trafficato Mediterraneo o non lo danneggia?
 
Ci vorrà un’altra crociata?

spock@antiit.eu

Il denaro ha un’anima – o come domare l’inflazione

L’invenzione del denaro è stata miracolosa, magica. Il denaro non ha buona stampa, è anzi per più ragioni contestato. Ma “una cosa è chiara anche agli inesperti: che il possesso del denaro porta con sé molti e grandi vantaggi”. Elementare Watson, si direbbe. Ma non per questo, spiega Schacht: prima che per il possesso, il denaro è magico per la possibilità d’uso, come mezzo. È col  denaro che si è avviata l’accumulazione, la moltiplicazione della ricchezza, individuale e delle comunità: “Nelle economie primitive, fondate sul baratto, era difficile accumulare ricchezza. Non si poteva infatti accumulare bestiame a volontà (pecus – pecunia), e poi le bestie morivano”. Insomma, la cosa è pacifica: “L’invenzione della moneta fu la premessa per lo sviluppo dell’economia moderna”.
Si riedita un vecchio saggio del 1966 (già tradotto nel 1968, dalle Edizioni del Borghese, nella stessa traduzione di allora, di Giorgio Zampaglione - emendata, si spera, delle varie incongruenze dell’allora composizione tipografica alla lynotipe). Si è rieditato un anno fa, quando l’inflazione sembrava minacciosa, perché Schacht è l’autorità indiscussa sui modi e sui mezzi per combattere l’inflazione – altri che la manovra del tasso di sconto, a cui le politiche monetarie si sono
ridotte negli ultimi cinquant’anni, dalla crisi del dollaro nel 1971, che è violenta e può riuscire dannosa. Ora l’inflazione non è più temibile (anche dopo gli attacchi Houthi nel mar Rosso?....), ma leggerlo è sempre interessante. E più per la figura, forse, che per le tecniche bancarie che ha inventato e che dispiega.
In Germania no, in Italia Schacht è considerato patrimonio della destra, per il ruolo che ha avuto come ministro dell’Economia di Hitler dal 1935 al 1937, mentre insieme era presidente della Reichsbank. Quando creò, letteralmente, in breve tempo, il potenziale produttivo che poi permise alla Germania di tenere testa a mezzo mondo per i cinque lunghi anni di guerra. In realtà fu da Hitler presto licenziato (come ministro, rimase ancora due anni presidente della banca centraie), e nel 1944 anche carcerato. E da ministro dell’Economia non aveva fatto che avviare un enorme programma di interventi pubblici e di incentivi all’iniziativa privata, di tipo rooseveltiano o keynesiano. Era un banchiere, nato banchiere si può dire, anche se i suoi genitori (impiegato pubblico il padre, baronessa danese la madre), memori degli anni passati negli Stati Uniti, lo avevano battezzato Hjalmar Horace Greeley in onore di Horace Greeley, il giornalista e editore americano progressista, antischiavista, che era stato il fondatore del partito Repubblicano. Un Grande Borghese thomasmanniano – si professava anche amburghese, benché nato in una località dello Jutland ora danese. Processato anche lui a Norimberga, fu assolto. E poi “denazificato” dai tribunali della neonata Repubblica Federale.
Nel dopoguerra, su consiglio, o su richiesta (“non mi crei altri problemi”), di Adenauer, si riciclò nel cosiddetto Terzo mondo: fu consulente monetario in Indonesia e nelle Filippine (i suoi “maggiori successi”), e poi anche in Siria, Iran e India. In chiave indipendentista, quando ancora prevaleva il colonialismo (politico, militare) e il neo-colonialismo (economico). Ancora al tempo in cui scriveva, 1966, considerato eversivo – di Mossadeq, il primo ministro iraniano che nel 1953 aveva nazionalizzato il petrolio (poi rovesciato dalla Cia), scrive: “Gli anglosassoni dovrebbero nel frattempo avere constatato come egli fosse in anticipo su di loro, oltre che sugli stessi suoi tempi”. Fu consulente anche dell’Eni.
Più che di filosofia sparsa sul denaro, virtù e danni, Schaht qui si difende, in filigrana, ogni poche pagine, dal sospetto di essere stato hitleriano. A metà libro spiega anche che a fino a metà 1936 (guerra di Spagna? guerra d’Etiopia?) Hitler non si occupò affatto delle basi economiche di una guerra. Ma di più e con agio spiega i suoi due interventi, risolutivi, contro l’iperinflazione in Germania, entrambi da presidente della Reichsbank, nel 1923 e nel 1933-34. E da ultimo dell’insorgenza inflazionistica a metà degli anni 1965 – inflazione “importata”, da fonti di energia e materie prime. In questo senso il denaro ha un’anima, spiega in apertura, fonte delle più svariate possibilità. Dell’iperinflazione, e dell’abbattimento istantaneo dell’iperinflazione.    
Hjalmar Schacht,
Magia del denaro, Oaks, pp. 310 € 24

domenica 14 gennaio 2024

Ombre - 702

“Il comparativista Rodolfo Sacco diceva: «In Italia il professore di diritto non ha ancora abdicato». Vale anche oggi. In Italia i giuristi, come i magistrati,  continuano a decidere quello che si può fare e quello che non si può fare, ben oltre i limiti posti dalle leggi scritte”, Luca Enriques, professore di diritto Commerciale a Oxford, a Bricco sul “Sole 24 Ore”. È  l’ancien régime, quando i parlamenti erano tribunali, di nobili e chierici. Un Medio Evo, nell’accelerazione successiva del tempo.
 
La Cina l’“Economist” incorona regina del mercato mondiale dell’auto, prima esportatrice di elettriche. In una simulazione di qualche decennio fa, all’avvio della globalizzazione, si era ipotizzata una Cina bloccata, letteralmente ferma, su strade e autostrade, da un miliardo e trecento milioni di automobili, invece delle biciclette. Che messe in fila, a due metri di distanza, minima, l’una dall’altra, facevano qualcosa come nove miliardi di km. di strade.
Ma Hegel aveva ragione, la storia va come diceva lui, da Oriente verso Occidente.
 
Si fa grande caso della lite in Sardegna fra due candidati della destra in concorrenza al voto regionale fra un mese. Mentre la vera novità – possibile, probabile - sarà che i due della destra avranno ognuno più voti dei due della sinistra. In base al voto delle politiche 2022 non sarebbe possibile: la sinistra, tra Pd e 5 Stelle, era poco sotto il 50 per cento.  Ora, dopo 15 mesi, sì: non è cambiato nulla?
 
Lunga anamnesi di Belpoliti su “la Repubblica” del saluto romano per i morti assassinati del Msi nella sezione Acca Larentia 45 anni fa. Senza ricordare che gli assassini sono rimasti impuniti – nemmeno veramente ricercati. O, in tema di reducismo, ricordare manifestazioni col pugno chiuso. Sembra  insensato, e lo è – l’antifascismo si vuole serio, altrimenti che opporsi a fare?
 
Si scopre da una votazione in Senato che Pier Ferdinando Casini fa parte del Pd. Casini, lo stesso che era vice e socio di Berlusconi? È proprio vero che la Dc non muore mai, dentro e fuori di ogni partito – manca solo Meloni (ma manca?).
 
Attal non è un cavallo, ma è più che senatore: è primo ministro di Francia, e candidato in petto a presidente della Repubblica. In Italia non sarebbe possibile – i presidenti, del governo e della Repubblica, li fa il Parlamento: è un bene o un male? Si prenda la Francia (su cui l’Italia unita si è uniformata, purtroppo – le copie vengono sempre male) di Macron, le terribili divisioni che ha vissuto e vive, il terrorismo islamico, i gilets jaunes, il razzismo, gli immigrati….: l’Italia sarebbe scomparsa, altro che Acca Larentia e abuso d’ufficio. Le istituzioni contano.
 
La novità politica del nuovo governo di Macron è ancora più curiosa. Attal primo ministro si è scelto il suo ex sposo a ministro degli Esteri. Frizzi, lazzi, ma il fatto è che Attal e l’ex sposo sono stati scelti perché macroniani di destra. Per pescare voti a destra alle Europee, assottigliando il previsto plebiscito lepenista (nazionalista, razzista). Due gay alla guida della destra-destra di governo, di che destabilizzare il militantismo dei “diritti”.
 
Chiara Ferragni suscita un po’ d’indignazione nel “Corriere della sera” di mercoledì. Ma lo stesso giornale lo stesso giorno la propone come una delle punte di diamante della sua Academy Business School, come tanti altri imprenditori di successo.
 
Se la prendono tutti con Ferragni, che sicuramente non è in malafede – non è corrotta, non è ladra. È, come ognuno online, sovrana, nel senso che dice e fa quello che le va e nessuno le dice nulla, né le Entrate, né il Parlamento, né le Autorità di controllo del mercato. Se non era per la denuncia del Codacons, non cestinata dall’Autorità Antitrust, staremmo ancora a congratularci con la diva di Sanremo.
 
Il Pd più di ogni altro partito sa, e da più tempo, almeno una quarantina danni, dal tentativo di riforma di Craxi, che il reato di abuso d’ufficio è soltanto dannoso. Si capisce il no alla sua abolizione di Conte, è avvocato ma non ha mai amministrato niente. Ma del partito degli assessori, (ex) democristiani e (ex) comunisti?
Si fa questa opposizione per non farne un’altra?
 
“Si difende”, per modo di dire, il presidente aggiunto della Corte dei conti Miele, di avere scritto sull’allora twitter sette-otto anni fa una serie di insulti contro Renzi, che non ne appoggiava la candidatura a presidente  della Corte: “Lasciavo spesso l’iPad in giro, senza password per farlo usare anche ai collaboratori”.
Bell’ambientino: se non è il presidente aggiunto sono i suoi collaboratori – che per di più si celano sotto gli alias del presidente aggiunto. Nel giudiziario il più pulito ha la rogna.
 
Muore suicida in carcere in Ancona un giovane venticinquenne. Gli “mancavano da scontare otto mesi. All’inizio aveva goduto di un regime alternativo: lavorava in una pizzeria con l’obbligo di fare rientro a casa entro un certo orario. Ma aveva violato di un’ora il rientro e per questo il giudice lo aveva mandato in carcere”.


Spregevole Rai 3. Che fa di tutto per nominare Meloni in una inchiesta di mafia. Per essere figlia di un padre che l’ha abbandonata appena nata. Finito trafficante di droga in Spagna. Senza mai dire che il padre si voleva comunista, e aveva abbandonato la famiglia per fare la rivoluzione. Poi dice che uno non vorrebbe pagare i (pochi) euro dell’abbonamento - non sentirsi complici.

È giornalismo? Di sinistra? Uno sporco giornalismo scandalistico.  

Il BarLume riapre stanco

L’atteso “ritorno” dei quattro vecchietti di Pineta, di Massimo, della Fusco, della Tizi, con Pasquali  sindaco e Tassone questore, dopo essere stato capo della polizia e ministro dell’Interno, è sfocato. Attorno a un plot consistente, la morte di un consulente finanziario di provincia, capace solo di far sparire i milioni, e alla trovate mirabolante di un concerto in piazza di Orietta Berti, il dialogo è svolto (sceneggiato? montato? recitato? ) svogliatamente.
Guzzanti ce la mette tuta – lega ogni scena, nel vecchio progetto di dare un tocco goldoniano alla pochade – ma senza un ruolo né battute di smalto. Timi si vede poco. I quattro pure, e solo attorno all’aperitivo.  Mascini compare di più, ma come Guzzanti, dice quello che deve dire, niente repartees. Solo Di Mauro ha trovare brillanti, che però è marginale al luogo e alle sue storie.
Roan Johnson, Il pozzo dei desideri, Sky