sabato 27 gennaio 2024
Il mondo com'è (470)
Berberi – Una nuova minoranza si affaccia sul Mediterraneo, non secessionista ma
abbastanza forte da ridefinire gli assetti costituzionali e la politica interna
dei due paesi maggiori del Maghreb, l’Algeria e il Marocco – e in prospettiva
la Libia: i berberi. Il re del Marocco Maometto VI ha decretato festa nazionale
il capodanno berbero il 14 gennaio, e il berbero lingua nazionale, alla pari
dell’arabo. Una decisa presa di posizione con un occhio malevolo, forse,
all’Algeria, la nemica di troppe questioni - dove le rivendicazioni della
minoranza berbera sono terreno di attriti. Ma è un fatto che il Marocco è da
qualche tempo ufficiosamente bilingue. I berberi sono stimati essere il 40 per
cento della popolazione marocchina. In Algeria, invece, le rivendicazioni berbere, che sono sempre state forti, già in epoca coloniale e nella stessa guerra di liberazione, in antitesi alla parte araba della popolazione, sono contrastate dal governo centrale, per il rischio secessionista, essendo concentrate e prevalenti soprattutto nel Nord-Est.
Darmanin – Gérald Darmanin, il ministro dell’Interno francese, riconfermato anche nella nuova compagne guidata dal giovanissimo premier Attal, che ha provocato almeno due incidenti con l’Italia con le sue critiche alla “superficialità” italiana in materia di blocco dell’immigrazione clandestina e di rimpatri, sarebbe di origine italiana. La biografia ufficiale lo vuole “di famiglia
di lavoratori, con radici algerine e maltesi”. Il padre, Gérard, gestiva un bistrò, la madre, Annie Uakid, lavorava
come colf. Più in là, la biografia si spinge solo dal lato materno: il nonno,
Mussa Uakind, era stato sottufficiale dell’esercito francese, decorato al
valore, un resistente delle Forze Francesi dell’Interno nella Francia occupata,
e un harki, un algerino lealista,
nella guerra di Liberazione dell’Algeria,1954-1962 - contro l’indipendenza
dell’Algeria).
La guerra in Ucraina come una guerra by proxy alla Russia
“La
storia di una Russia malvagia, irrazionale, intrinsecamente espansionista e con
un leader paranoico al comando, contrapposta alle virtù di Stati Uniti ed
Europa, è una costruzione strana e confusa della memoria, incoerente con tutta
una serie di eventi perfettamente consequenziali degli ultimi trent’anni;
eventi la cui importanza e il cui significato dovrebbero essere immediatamente evidenti a tutti. In
effetti, la stessa narrazione occidentale predominante può essere vista come
una forma di paranoia”. Questo forse è vero ma è inverosimile. Si spiega invece
con una “costruzione” abile dell opinione, giorno dopo giorno. Coerente con
un’altra conclusione del pamphlet, in
apertura: “La sconfitta e l’indebolimento della Russia è esattamente ciò che nuova politica statunitense mira a raggiungere”.
L’elenco
è impressionante delle “preparazioni” militari Nato, di fatto anglo-americane,
contro la Russia negli ultimi trent’anni. E delle promesse e impegni americani,
in nome e per conto della Nato, di un’estensione dell’alleanza, nominalmente
difensiva, nel cuore della Russia – come una Cuba gigantesca piantata di
missili contro gli Usa. L’elenco delle preparazioni-provocazioni: “Se gli
Stati Uniti non avessero esteso la Nato fino ai confini con la Russia; se non
avessero schierato sistemi di lancio di missili con capacità nucleare in
Romania e non li avessero messi in cantiere in Polonia e forse anche in altri paesi; se non avessero
contribuito al rovesciamento del governo ucraino democraticamente eletto nel
2014 (finanziando e sostenendo con la propaganda l’estrema destra ucraina,
n.d.r.); se non si fossero ritirati dal trattato ABM e dal trattato sui missili
nucleari a gittata intermedia, e non avessero poi ignorato i tentativi russi
di negoziare una moratoria bilaterale su tali dispiegamenti; se non avessero condotto
esercitazioni a fuoco vivo in Estonia per addestrarsi a colpire obiettivi
all’interno della Russia; se non avessero organizzato una vasta esercitazione
militare di trentadue nazioni vicino al territorio russo; se non avessero raccordato
l’esercito americano con quello ucraino, se…, se…. Se gli Stati Uniti e i loro
alleati della Nato non avessero fatto
tutte queste cose, la guerra in Ucraina probabilmente non sarebbe scoppiata.
Penso sia un’affermazione ragionevole”.
Abelow
non ha grandi credenziali. È solo un pubblicista, con studi di Storia e, si deduce,
di Medicina, attivista anti-nucleare. Ma dà informazioni riscontrabili, e usa
inquadramenti inoppugnabili. Si limita peraltro a dire le cose che si sanno ma non sono state
dette in questi due anni di guerra, ed è tanto. Anche a leggerlo come un articolo
di giornale, si capisce quanta roba ci manca, non è detta, nemmeno lasciata
intendere. Il che significa che c’è una rete molecolare – pervasiva,
insistente, accorta - di disinformazione, di “creazione” dell’informazione.
L’Ucraina
è irrilevante per gli Stati Uniti, è un altro argomento del pamphlet: per la sicurezza degli Stati Uniti,
per l’empatia degli americani – non ne sanno nulla, e non hanno imparato
nulla, la “narrazione americana della Russia” è semplicistica: è una potenza ostile agli ordini di un dittatore. L’Ucraina è solo una pedina in uno
scacchiere. Uno dei cimiteri dell’ultimo imperialismo Usa, si può aggiungere, degli ultimi trenta anni, già
sfiancato da troppe “guerre giuste” o “guerre di liberazione” dopo il Vietnam,
in Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria. Senza contare, nota il pamphlet, che Zelensky è “uomo molto legato alla famiglia Biden”.
Eletto con una vasta percentuale di voto popolare, 70 per cento, e anche con
molte risorse. Ma la guerra in Ucraina, va ancora aggiunto, è per un altro
aspetto vincente in ottica americana – il titolo dice “Occidente” ma intende
gli Stati Uniti: si distrugge l’Europa, ogni residuo velleitario di Europa unita e potente dopo il crollo del sovietismo. Si dice by proxy nel gergo diplomatico-militare per dire per procura, e se così è quella americana è piuttosto una guerra-capolavoro: una guerra contro la temuta Fortezza Europa fatta combattere alla stessa Europa. Un filo razionale insensato? La razionalità è solo conseguente alle premesse.
Benjamin
Abelow, Come l’Occidente ha provocato la
guerra in Ucraina, Fazi, pp. 81 € 10
venerdì 26 gennaio 2024
Ecobusiness
L’amministrazione Biden ferma il programma di costruzioni di
impianti di liquefazione del gas in seguito alle proteste delle comunità locali
del Golfo del Messico. Che è diventato, per la creazione di numerosi impianti
di liquefazione, destinati al mercato europeo, altamente inquinanti, una “sacrifice
zone”, un’area condannata all’inquinamento. Gli Stati Uniti sono diventati
grandi esportatori di gas liquefatto verso l’Europa, dopo l’interruzione delle
forniture di gas naturale dalla Russia.
Il governo Meloni vara, alla presenza del governatore della
Puglia Emiliano, già candidato alla segreteria del Partito Democratico, come per
una decisione di grande importanza, quattro parchi di solare agrivoltaico, impianti
di pannelli solari su vaste estensioni agricole. Sotto i quali non si potrà
coltivare niente, solo pomodori – non altri vegetali, né patate o grano.
Una nuova promozione pubblica, con sussidi fino a 12 mila euro
per vettura, si annuncia. Mentre l’auto elettrica, pur silenziosa e di guida
semplificata, risulta a chi ne faccia esperienza in taxi, di scarsa o nessuna
abitabilità, sia per i sedili anteriori, quindi per chi guida, e peggio per i passeggeri
– difficile farci entrare un piede 44.
Volponi da urlo
Un Volponi diverso - com’era
da scrittore, prima dell’impegno assiderante. Prima di Bossi, il romanzo
dell’Italia frammentata di Cattaneo e Pisacane.
Si ripubblica a cinquant’anni
dalla prima edizione, in vista del centenario della nascita, l’unico libro fra
i suoi tanti non ristampato – forse perché scorretto. Con prefazione di Paolo Di Stefano.
Una
delle prime “Riletture” di questo sito lo consigliava nel 2008, “Un Volponi da
urlo”:
“Ben prima di Bossi e Grillo, un libro cattivissimo. Grottesco
dalla prima pagina, col Professor Subissoni, anarchico di Spagna, Giocondo
Giocondini, Dc in pectore, un Sempronio Semproni subito dimenticato, e un Oddo
Oddi, sa esserlo per trecento pagine, exploit inconsueto nel
genere. In un teatro urbinate di nebbia, neve e bicchierini, dopo le bombe di
piazza Fontana. Con la misura della dismisura, con immagini feroci di Carlo Bo,
Calvino, Natalia Ginzburg. Intimidatorio anche, al punto di prendersi il premio
Viareggio, benché fosse l’anno del più corposo “Corporale”. Volponi gaddeggia,
kafkeggia, insomma si diverte e, non prendendosi sul serio, diverte ancora”.
Paolo Volponi, Il sipario ducale, Einaudi,
pp. XVIII-326 € 21
giovedì 25 gennaio 2024
Guerre des dupes tra Meloni e “la Repubblica”
È guerra aperta, tra Meloni e “la Repubblica”, che però
sembra una guerre des dupes. Meloni
dice che la Fiat è stata venduta alla Francia (in realtà all’Olanda, dove paga
le tasse), e che ha delocalizzato la produzione. Incontestabile, come sanno i
dipendenti ex Fiat, in costante diminuzione. E gli azionisti di Fiat-Stellantis,
che pagano due ritenute d’acconto sul dividendo, all’Italia e all’Olanda –
mentre la famiglia Agnelli-Elkann paga solo quella, ridotta, dell’Olanda. Ma
questo lo sa anche il governo da quando, l’altro ieri, ha provato a invitare
altre case automobilistiche ad aprire fabbriche in Italia, senza averne risposte.
“La Repubblica” difende la proprietà, Agnelli-Elkann, e
accusa Meloni di incitare il suo governo ad attaccare proditoriamente il gruppo
ex torinese, allegando la rassegna stampa incitatoria di palazzo Chigi. Se non
che, poi, si finisce per chiedersi perché Agnelli-Elkann ha comprato il gruppo “la
Repubblica”, salvo svenderne tutta la flottiglia – nella famosa metafora di Scalfari,
di cui “la Repubblica” era la corazzata: dall’“Espresso” al “Tirreno” e le
tante altre testate storiche locali. E la corazzata fa sopravvivere, con tagli e
prepensionamenti.
Guerre des dupes si traduce come guerra dei folli, ma è qualcosa di più, tra sciocco e
presuntuoso. Nella controversia tra un giornale e un potere, qui il massimo
potere politico, l’obbligo è di prendere le parti del giornale. Ma la prima carità
non comincia da se stessi? Perché è anche possibile quello che l’ex ministro Calenda va
dicendo a proposito dei “salvataggi” dei giornali, non seguiti da piani seri di
rilancio: “Il valore dei giornali è talmente sceso che
diventa un affare acquistarli per farli divenire una voce delle Relazioni
Istituzionali di un’azienda. Si pagano meno di costose campagne di marketing”.
E danno vantaggi fiscali.
Meno ore, meno giorni di lavoro
È sciopero duro, insolitamente, in Germania tra ferrovieri e
Deutsche Bahn, le ferrovie, sulla riduzione dell’orario di lavoro. Che poprio
la Germania ha avviato. In Volkswahen e altri grandi imprese.
La riduzione delle ore lavoro settimanali è una tendenza
ormai avviata. Insieme con la riduzione della settimana lavorativa da cinque a
quattro giorni. Avviata in America e Inghilterra per far fronte alla
disaffezione dal lavoro successiva al covid. Poi sempre più adottata in quanto
migliorerebbe la produttività.
Leonardo, l’ex Finmeccanica, ne ha avviato la sperimentazione,
con l’introduzione di settimane lavorative di quattro giorni alternate a quelle
di cinque. Exor-Luxottica l’ha invece già adottata. E anche, sempre in Italia,
la Lamborghini, ormai da un quarto di secolo “tedesca”, di Audi-Volkswagen.
Il colore della libertà, grigio
Se la libertà è pulire i cessi, firmati ma per questo più tristi, in albe immutabilmente livide,
di una Tokyo murata. In superotto. Con molte canzoni americane anni 1970-1980,
ma sottovoce. Per due ore, con poche intermissioni – lavarsi nudi al bagno
pubblico, di solito.
Un monumento ai nastri: che non ci sia un exploit in agguato della
musica su nastro, dopo l’improbabile 33 giri? Una cosa fa impressione: muri sgombri a Tokyo degli sgorbi dei writers - la pulizia come disegno totale.
Wim Wenders, Perfect days
mercoledì 24 gennaio 2024
Problemi di base - 788
spock
Il niente esiste, ogni giorno?
C’è più stupidità che intelligenza?
Ma non è dovere dell’intelligenza vincere la stupidità?
.
“Esistono esistenze complete nonostante i desideri
insoddisfatti”, D. Bonhoeffer?
Perché i bambini si divertono e divertono, e poi non più?
“Il ricordo è prossimo al rimorso”, Victor Hugo?
spock@antiit.eu
Alla ricerca di un neofascismo, in immagine e non
Una ricerca puntigliosa del
materiale pubblicitario figurativo, manifesti soprattutto, locandine, tessere, cartoline, film-video
propagandistici, e ora siti web, del neofascismo italiano nelle sue tre
incarnazioni, Msi, Alleanza Nazionale, Fratelli d’Italia. Con la dovuta
precisazione che An e Fdi non si richiamano come il Msi al fascismo, ma niente
di più. E questo forse è il perché tanta applicazione lascia insoddisfatti, il limite
di questa strabiliante documentazione: Cheles, specialista iconografico, di visual studies, si adagia per la lettura
sulla polemica politica. Per cui è come se avesse fatto il lavoro per niente – i
fascisti sono fascisti, lo sapevamo.
Cheles si muove su uno spettro
amplissimo. Cita Propp e Walter Veltroni, Ernst Bloch e Jean-Marie Le Pen, il
creatore nel 1972 in Francia del suo fronte nazionalista con i “messaggi” di Almirante
e del Msi, il linguista Maurizio Dardano e Umberto Eco, tra i tanti. Ma
subito, al secondo §, sulle donne “sante e\o ribelli”, si fa aprire dalla
silloge delle citazioni, di Almirante, Ernst Bloch e Eco, una pista d’indagine
nuova e fruttuosa, di cui poi non tiene conto. Almirante elogia il femminismo
come “femminilità”. E. Bloch ammonisce che “quando due uomini fanno la stessa cosa, non fanno la stessa cosa” – la ripetizione
va riletta. Eco dà il tratto più illuminante: “Poiché ogni tecnica connota
un’ideologia, se tracciate in spray anche il fascio littorio, esso non mancherà
di avere un’aria vagamente underground e un profumo di marijuana”. Che vale
anche nell’altro senso: che c’è sotto la pennellata - il disegno, i colori, la
vignetta?
La traccia che Cheles s’impone
è quella del neofascismo, del fascismo in agguato. Non nostalgico, attivo. Anche
se non ha le squadracce, siede in Parlamento, e si attiene alle leggi. E detta
così, non c’è più storia: è tutta una rincorsa a vedere, dietro ogni “saluti
da…”, e “elettore, vai a votare”, Mussolini o chi per lui – c’è anche la favola
di qualcuno che voleva Mussolini santo…..Mentre una certa grafica,
messaggistica, coloristica, visto l’incredibile repertorio di immagini recuperate,
visive e verbali (la bibliografia prende venti pagine), avrebbe meritato un
appoccio meno scontato. La novità è che c’è una destra in Italia, da almeno
trent’anni (prima era nella Dc), e che non è fascista – non ne ha bisogno, le basta
il voto. Non ha manganelli e non minaccia. Non è nemmeno populista - non tanto
quanto la cosiddetta sinistra del “reddito di cittadinanza”, del “superbonus”,
delle “lenzuolate” liberistiche a favore dei monopoli (assicurazioni, grande
distribuzione, industriali delocalizzatori, grandi capitali). È una forma di
conservatorismo.
L’appiattimento politico sminuisce
il lavoro di documentazione, 230 reperti a colori. L’analisi dei messaggi
iconografici della destra postneofascista era più sviluppata quarant’anni fa, nella
prima anamnesi curata dall’editore milanese Mazzotta. Che l’iconografia
ambientava nel tempo, gli anni 1920-1930, tra Bauhaus e Novecento, in una rete
anche non fascista o antifascista. È la nostalgia di un modo d’essere e di rappresentarsi,
più che del fascismo - della forza, dell’oppressione? Per non dire dell’ultimo
Cazzullo, del “siano tutti antichi romani”. Come i repubblicanissimi americani
del resto, pieni di Campidogli – nei quali credono. Monumentalità e romanità
non sono “fasciste”.
Da studioso della comunicazione
visiva, è curioso che l’autore non ambienti la grafica neofascista negli anni
della nostalgia, nel modo di rappresentarsi allora. Specie sull’impianto futurista,
poi evoluto in Italia in Novecento. Con ampie e diversificate ambientazioni,
“rivoluzionarie” anche di sinistra, in Germania, in Russia. Con i tratti
espressivi – i bastoni, i colori piatti, i tagli geometrici. Nei monumenti e
nei dettagli.
Un’attrattiva, per dire, perdurante
dove meno ci se l’aspetterebbe: in Inghilterra. Peter Greenway, regista
progressista, ha sentito il bisogno di un film su Boullée, l’architetto settecentesco
delle cupole e dei pantheon, della monumentalità, “Il ventre dell’architetto”,
1987 - e lo ha fatto a Roma, non facendosi mancare niente della “nostalgia”, neanche la corruzione di
uso. La serie immortale, apparentemente, dei “Poirot” della britannica
Itv, fine Novecento, è tutta Novecento,
che è anche difficile incontrare in Inghilterra - a partire dalla sigla:
esterni, interni, costumi, arredamenti, fin nei dettagli, pavimenti, infissi,
mobili, soprammobili, utensili.
Il tema è stato dibattuto
da Susan Sontag nel 1975, per il revival di Leni Riefenstahl (nel saggio “Fascino fascista”,
ora in “Sotto il segno di Saturno”), che contestava, in maniera non risolutiva.
Il film di Riefenstahl, “Il trionfo della volontà”, 1935, sul congresso di
Norimberga del partito Nazista è di propaganda, spiega lungamente Sontag. E non
ce n’era bisogno: è un film commissionato dal partito Nazista, dal governo
nazista, da Hitler. Ma poi non si spiega – non sa spiegarsi, a parte il biasimo
– perché lo apprezzassero nel 1975 nella democraticissima San Francisco, una
volta levata la censura (quello su Norimberga come il successivo della stessa
regista sull’Olimpiade di Berlino). Le immagini sono multisenso. E la nostalgia ha molti versi - tagli: Eco, p.es., in una delle sue tante interviste ricorda che inevitabilmente si commuoveva imbattendosi in una pubblicazione fascista degli anni Trenta, perché erano la sua infanzia.
Luciano Cheles, Iconografia della destra, Viella, pp.
26 € 29
martedì 23 gennaio 2024
Letture - 542
letterautore
Aciman-“Olivia”
-
Il 13 marzo 2021 la recensione su questo sito di Aciman, “Chiamami col tuo
nome”, si chiudeva con la notazione: “Curiosamente, il racconto sa di déja vu. Solo al femminile invece che al maschile. E a parti
rovesciate, di una adolescente che brama un contatto, anche solo visivo, con la
direttrice della scuola, che ne domina ogni impulso. Un racconto pubblicato una
cinquantina d’anni fa nel genere erotico (ma tradotto da Fruttero?), “Olivia”,
by “Olivia”, di autore cioè ignoto, ma femminile”. Sabato sul “Robinson” di
“la Repubblica” Aciman racconta che l’idea del suo racconto gli è venuta leggendo
“Olivia” – una lettura da sempre ricercata ma mai trovata, non in libreria né in
biblioteca, se non per caso, l’ultimo giorno vissuto a Parigi prima di partire
per l’America. E domenica l’“Alias” del “Manifesto” reca un articolo di Luca
Scarlini sul vero autore di “Olivia”, a margine della ripubblicazione del
romanzo, per Astoria Edizioni, sempre nella traduzione di Fruttero di
cinquant’anni fa: Dorothy Strachey.
Dorothy, si può aggiungere, era una della
numerosa figliolanza – dieci tra fratelli e sorelle – del luogotenente generale
Sir Richard Strachey. Tra essi Lytton, il narratore dei vittoriani e di “Ermintrude
e Esmeralda”, lei stesa parte dell’intellettualità femminista di Bloomsbury,
prima di farsi provenzale col marito Simon Bussy, il pittore, più giovane di
lei di cinque anni, restando nel mondo delle lettere quale traduttrice di Gide
in inglese, morta nel 1960. “Olivia”, informa la recensione, era uscito anonimo
nel 1949 con la Hogarth Press. Prima che con Bussy, “Olivia”-Dorothy aveva avuto
una storia con la futura Lady Ottoline Morrell, più giovane di lei di una decina
d’anni – poi famosa come animatrice di Bloomsbury, e per le sue storie d’amore – da manuale quella con Bertrand Russell, si scambiarono “oltre” 3.500 lettere.
Amicizia
–
“ Non dal greve suolo della terra\ ma da piacere libero\ e dalla libera
esigenza dello spirito\ che non abbisogna di giuramenti né di legge\ è donato
l’amico all’amico\....... Il fiore più prezioso, rarissimo -\sgorgato in un’ora
felice\ dalla libertà dello spirito giocoso\ audace, confidente -\ è l’amico
all’amico” - “L’amico”, di Dietrich
Bonhoeffer (trad. Alberto Melloni)
Bravo
– Ricorre
all’inizio di “Madame Bovary”, nello stesso senso dei “Promessi sposi”: Bovary
padre, il padre di Charles, ha “l’aspetto di un bravo”. Quello manzoniano è un
francesismo? Il Petit Robert registra “brave” ne 1549. Come derivato da
“braver”, che registra già nel 1515, dicendolo “derivazione dall’italiano”. Nel
senso di “provocare”, “sfidare”, anche le leggi
Dante – “Al noioso Tolkien preferisco Dante”, Gennaro Sasso, dantista. Tolkien?
Gadda – Fu fascista? Sì, e a lungo, secondo i suoi studiosi britannici, dell’“Edinburgh
Journal of Gadda Studies”. Valga per tutti Peter Heinsworth, “Gadda fascista”:
“Nei primi anni Cinquanta dichiarò di aver capito cosa ci fosse
dietro Mussolini dal tempo dell’omicidio Matteotti (Cattaneo 1973a: 63). Più
tardi, nell’intervista generalmente menzognera e bizzarramente nevrotica del
1968 a Dacia Maraini, rivendicò di aver avuto la prima idea della sua
principale opera antifascista, Eros e Priapo, nel 1928, e di averla scritta negli anni Trenta, sebbene
sia oggi certo che il libro è stato iniziato alla fine del 1944. In realtà, Gadda era membro del partito fascista dai
primi anni Venti. A partire dal 1939 – anno
in cui iniziò davvero la sua carriera giornalistica –
scrisse articoli in appoggio alla politica e alle istituzioni del regime,
soprattutto nei campi della scienza e dell’economia. Sono articoli seri, alcuni
piuttosto tecnici, altri più divulgativi. Alcuni possono certo essere stati
scritti con una certa rabbia e soprattutto per motivi economici, ma nessuno può essere liquidato facilmente come
un esempio di giornalismo opportunistico. Gli
ultimi due furono scritti davvero tardi. L’Istituto di Studi Romani,
un pezzo celebrativo ma meditato sulla perpetuazione della tradizione romana
grazie alle attività dell’istituto citato nel titolo, apparve su Primato il
15 agosto 1942. All’insegna dell’alta cultura, che comparve il 1
febbraio 1943, sempre su Primato, plaude alla rinascita
dell’Istituto dell’alta cultura di Milano sotto gli auspici di Bottai, e agli
eventi centrali da esso promossi: in particolare e (date le circostanze)
significativamente, concerti di musica tedesca, ungherese e italiana.
Neppure possiamo tracciare una netta distinzione fra giornalismo
fascista da una parte, e dall’altro opera letteraria non-fascista, se non
antifascista. Sebbene manchino dichiarati intenti di propaganda, i primi
romanzi – Racconto italiano di ignoto del Novecento del
1924-25, La meccanica e Dejanira Classis o Novella
seconda del 1928-29 – mostrano tutti apprezzamento per l’audacia e la
decisione del fascismo in opposizione all’opportunismo dei socialisti e
al bathos liberale. Il racconto che dà il titolo alla Madonna
dei Filosofi (1931), si svolge nel 1922 ed è quasi un’allegoria
dell’Italia del primo dopoguerra. Le sofferenze di Maria non possono essere
risolte né dalle falsità di un cosmopolitismo alla moda (rappresentato
dall’amica francese, mademoiselle Delanay) né dalla stupidità borghese (Pertusella,
che la sua famiglia spera lei sposi). La sua improbabile unione con il
tormentato Baronfo rappresenta per quest’ultimo una sorta di guarigione e un
ritorno alle sane tradizioni del passato, dopo i sacrifici della prima guerra
mondiale e la disperazione che ad essa era seguita.
Implicazioni analogiche, se non allegoriche, sono anche
nella Meditazione milanese. Il suo principale
interesse sono i problemi generali della conoscenza, brillantemente messi in
luce da Roscioni (1969); ma c’è una dimensione sociale e politica che si rivela
soprattutto nell’elaborato e sorprendente paragone che Gadda traccia per
illuminare le tesi strettamente filosofiche e che talvolta diventano argomenti
di trattazione a pieno titolo. In questi passaggi emerge una visione
ottimistica di cosa potrebbe essere una buona società, e in particolare una
buona società italiana: dinamica, avanzata, educata scientificamente e
rispettosa della conoscenza, in grado di armonizzare le proprie contraddizioni
e la ricca diversità di cultura e tradizioni, non ostacolata da regole
restrittive, libera di far valere la propria volontà; una società che dà la
priorità all’azione su riflessioni e autolegittimazioni paralizzanti. Sebbene
non si parli dell’ideologia fascista in quanto tale, la consonanza è chiara.
La Meditazione sarebbe rimasta inedita sino
al 1974. Le meraviglie d'Italia, nella versione del 1939 (quella del 1964 è un po’
diversa), cercano un’esplicita e specifica
realizzazione di queste idee nell’Italia fascista, con un aperto entusiasmo, ad
esempio, per la politica autarchica (Il carbone dell’Arsa), per i
progressi tecnologici del paese (Apologo del Gran Sasso d'Italia), per la «giovinezza
nuova d’Italia» (La funivia della neve), per la robusta vitalità delle
tradizioni locali (Delle mondine in risaia). Il tono può essere
ironico e scherzoso, possono comparire momenti di pessimismo metafisico, ma a
prevalere è un misurato ottimismo. L’ultimo pezzo (Sull’Alpe di marmo),
sulle cave di Carrara, termina con un omaggio al «coraggio» e alla «fatica dell’uomo»:
la vera ricchezza della «gente apuana», cioè l’abilità ereditata dagli avi, è
considerata, insieme alla nuova tecnologia e disciplina, come una risorsa per
il dinamismo della nuova Italia: “La qualità delle
maestranze carraresi, come un’eredità morale dei padri: la nuova tecnica; la
nuova volontà e la nuova disciplina del lavoro:
ecco i mezzi per il perfezionamento dell’impresa latòmica, che dalla Bianca
Luni ha impegnato, traverso i millenni e fino all’Italia recuperata questa
gente apuana”.
C’è però un’opera degli anni fascisti cui è stata spesso
riconosciuta una carica antifascista: La cognizione del dolore,
che apparve per la prima volta su Letteratura fra il 1938 e
il 1941. Nella già citata intervista del 1968 a Dacia Maraini, Gadda stesso
suggerì che i guardiani notturni che hanno una larga parte nel romanzo
simboleggiassero i fascisti, almeno in una certa misura, e l’equazione è stata
posta anche da alcuni critici. Ma è una
lettura difficile da giustificare. Nel romanzo è chiaro che il Nistitúo
de vigilancia para la Noche è emblematico della corruzione amministrativa. Con Mahagones/Palumbo il bersaglio di Gadda è
il reduce che pretende di essere un eroe e una vittima di guerra e che, non
essendo riuscito a ottenere una pensione, si cerca una nicchia nella polizia di
stato, sfruttandola per i suoi scopi di estorsione. È una polemica
convenzionale, in completo accordo con la politica di riforma della burocrazia
che il fascismo proclamava pubblicamente e che si conquistò un grande appoggio
popolare. Lo stesso vale per la satira antiborghese che compare nella Cognizione e
nell’Adalgisa: si trattava di un altro tema convenzionale negli
scrittori fascisti ortodossi, e continuò a essere ripetuto lungo il Ventennio,
per quanto lontano potesse essere diventato – o possa essere sempre stato –
dalla realtà”.
Il fascismo di Gadda era certo anticonformista – da
“anarchico d’ordine”, © del suo amico e mallevadore Gianfranco Contini.
Latino – Victor Cousin giovane professore di filosofia viaggia in Germania nel
1817. Non conoscendo il tedesco, spiega Armando Torno sul “Domenica” del “Sole
24 Ore”, ha letto Kant “nella traduzione latina degli scritti critici, di Friedrich
Gottlob Borne, realizzata tra il 1796 e il 1799”, gli anni del primo Napoleone,
“uscita in quattro volumi a Lipsia”. La Germania sarà stata la migliore erede
(custode) della latinità.
Manzoni – Uomo e scrittore (il romanzo, gli inni, i saggi) scuramente religioso,
buon cattolico, era avversato dalla chiesa, e fu vituperato in morte. “La
civiltà cattolica” si distinse per passarne sotto silenzio la morte, che fu un
evento epocale, a Milano e in Italia - del tipo “Manzoni santo subito” - e poi,
il mese dopo, lo attaccò sminuendolo, con una stroncatura, “Alessandro Manzoni
e Giuseppe Puccianti” – un preside pisano,
allora quarantenne, poeta, prima carducciano poi manzoniano..
Ancora nel 1941, Benedetto Croce rilevava come, a
distanza di tanti anni dopo la morte, i cattolici “intransigenti” fossero sempre
prevenuti contro Manzoni, per la penna di Giovanni Papini - in una nota sullo
scrittore fiorentino, “Il Manzoni nel cuore dei clericali”, “La Critica”, vol
1, 1941, pp. 386-387. E ne spiegava così il motivo: “Alessandro Manzoni, ricco
dei più velenosi succhi dell’illuminismo francese, non vede nel Cattolicesimo
se non un umanitarismo sociale con dei riti da godere più che da approfondire;
aspetta che sian morti tutti i giansenisti italiani per disdire le
sue prime tentazioni di schifiltoso rigorista, e nemmeno le disdice;
rappresenta un Vescovo talmente grande che è difficile trovarlo nella vita e
nella storia, fuorché nei Santi, mentre il suo santo non è; rappresenta un
frate, dissimile troppo dai suoi pari e superiori; una suora omicida,
lussuriosa e manutengola; rappresenta un parroco tanto vile che san
Giovanni Bosco non glielo perdonerà mai; non dice una parola, nella sua
lunga vita, a difesa del Pontificato romano nell'Ottocento, sfidando condanne
autentiche della Santa Sede, a cui obbedivano, pur soffrendo, Vescovi,
sacerdoti, laici; e nonostante tutto questo, tutti i cattolici lo considerano
lo scrittore cattolico per eccellenza e qualcuno addirittura lo proporrebbe
volentieri per santo”.
Fu corrispondente di mezza Francia, tra gli altri anche dello
storico Augustin Thierry, del filosofo Victor Cousin.
Meloni-Thatcher – Un improbabile consigliere di buone maniere di Margaret Thatcher, Lord Chrles
Powell, oggi ottantaduenne, scovato da Luigi Ippolito su “La Lettura”, spiega
che Giorgia Meloni da tempo studia da Thatcher: “Quando ha incontrato il
premier Rishi Sunak l’anno scorso, hanno approntato per lei lo studio della
Thatcher a Downing Street”. Questo non è vero, ma, nelle parole
dell’intervistatore, da tempo Meloni è una fan
della Lady di ferro: “Almeno cinque anni fa, Giorgia Meloni già studiava da
leader: e la «scuola» che frequentava era quella di Margaret Thatcher”. Sulla
quale avrebbe chiesto informazioni a Lord Powell. Ma Thatcher parlava – voleva,
curava – un inglese molto upper class,
stretto, accentuato, al contrario di Meloni, che invece accentua il romanesco, peggiorativo - nasale,
slabbrato, quale non si sente nemmeno più a Roma-Trastevere o Garbatella (la sorella, per esempio, Arianna, non esagera come lei).
Uno dei “problemi” di Quora è: “Come acquisì Margaret
Thatcher l’accento upper class benché
fosse di ambiente working class”, proletario?
Prese per questo lezioni di dizione.
Melon parla castigliano da castigliana, inglese corretto (non
da italo-americana), e francese passabile (buona comunque l’intonazione), solo
in italiano accentua il popolaresco.
Odio
–
“Mai”, Natalia Aspesi confidava l’altra settimana a un corrispondente sul
settimanale “Il Venerdì di Repubblica”, “neppure quando guardavo la televisione
tipo Rai, mi sono fermata più di un minuto sui canali Mediaset”. Lo confidava
in neretto - sotto un grande cuore di Mojmir Ježek.
La stessa settimana il settimanale concorrente, “La
Lettura”, dedicava cinque lunghe pagine all’odio. Con una corposa bibliografia,
e una lunga intervista allo studioso dell’odio, Frédéric Chevalier – che titolava
“Un sentimento semplice più facile dell’amore”.
letterautore@antiit.eu
Il colonialismo si assolve con il Congo
Un articolo, questo, sul voto
presidenziale del 23 dicembre a Kinshasa, truccato come ogni voto in Africa, ol
70 (o 77) per cento a favore del dittatore in carica, Félix Tshisekedi, è
rimpolpato dal periodico con una serie di articoli d’autore tratti dall’archivio
sulla storia della Repubblica Democratica del Congo. Helen Epstein su “un
secolo e mezzo di malvage interferenze delle potenze imperialiste e di vicini
saccheggiatori”. Colm Tóibin sulla “tragedia di Roger Casement”, il console
anglo-irlandese che per primo denunciò i delitti coloniali in Congo Belga – finendo
poi impiccato da Londra come patriota irlandese. Brian Urquart sulla “Tragedia
di Lumumba”, il padre del Congo indipendente, assassinato non si sa da chi: i
rivali Kasavubu, Mobutu, Moise Ciombé? Il Belgio? O non la Cia – ma questo non
si dice, non più? E naturalmente - J.H.Plumb, “A Black Hearth” - la solita
sintesi della storia: che il Congo, e solo il Congo, era una colonia trattata
schiavisticamente. Nessuno per spiegare come un territorio fra i più ricchi, minerariamente, al mondo, sia il più povero, o il secondo o terzo più povero.
Nicholas Niarchos, A
simulacrum of elections, “The New York Review”, 16 gennaio 2024
lunedì 22 gennaio 2024
Appalti, fisco, abusi (239)
Si
chiama Cvv, Corrispettivo di Commercializzazione e Vendita, che non vuole dire
niente - s’impone nel linguaggio delle “grida” manzoniane - ma è una tassa.
Anche cospicua, 11 euro al mese. Che bisogna pagare anche se in quel mese non si
è accesa la luce perché in viaggio, in ospedale o altrove: 132 euro l’anno. Una
tassa a beneficio dei privati, i gestori elettrici, una novità assoluta. Non di
scopo, per fare qualcosa, una tassa e basta. Disposta dall’Arera, che è l’Agenzia,
pubblica, dovrebbe proteggere i consumatori di elettricità e gas. Protettiva
nello stile mafioso, evidentemente.
La
Cvv non è la prima tassa sull’energia. Dagli anni di Monti, del governo Monti, si
pagano anche le tasse per il trasporto e per gli “oneri di sistema”, i regali
ai cosiddetti operatori delle energie rinnovabili. Queste sono decise dal
governo, e si chiamano “tasse di scopo”, ma mai nessun rendiconto è stato
fornito. Una bolletta a consumo zero paga 55 euro.
Ci
sono in Italia 11.060 autovelox (c’erano a luglio del 2023). Che si comparano
con i 4.7605 in Germania, e 3.698 in Francia.
L’Italia
ha una superficie di 302 mila kmq, la Germania di 368 mila, la Francia di 675
mila. L’Italia ha 407.7 mila km. di strade, la Germania di 625 mila, la Francia
dim un milione 53 mila. Autovelox come dissuasori di velocità, o agenti delle tasse,
fraudolenti?
Firenze
ha il record delle multe per autovelox, 32,2 milioni nel 2023. Milano segue,
che ha una superficie tre volte Firenze, con un terzo, 12, 9 milioni. Genova segue
con 10,7 milioni. Genovesi e fiorentini molto indisciplinati.
La corsa al Congo
Tra fine Ottocento e
primo Novecento, nel mezzo della spartizione dell’Africa – lo “scramble for
Africa”, la corsa all’Africa - tra i paesi europei, grandi e piccoli,
sanzionata da un congresso a Berlino nel 1885, dell’Inghilterra, la Francia e
l’Olanda, vecchie potenze coloniali, con le nuove entranti Italia e Germania,
una insistente e vasta campagna politica e di pubblicistica fu avviata contro
il dominio belga del Congo. Il dominio era stato acquisito a titolo personale
dal re del Belgio Leopoldo II, come impresa commerciale, lo Stato Libero del
Congo, ma presto si era rivelato fruttuoso e anzi ricchissimo – sarà poi
annesso al Belgio, nel 1908, mettendo fine alla finzione indipendentista, tipo
Liberia, alla stregua degli altri domini coloniali europei. La ricchezza
insospettata, enorme, del Congo, fece l’invidia delle potenze, che reagirono
imputando al re Leopoldo, al Belgio, tutte le nefandezze coloniali: lo
sfruttamento minerario, la tratta del lavoro, anche minorile, la miseria
indotta, le malattie, violenze senza limiti, nemmeno di fantasia (gogna,
amputazioni, esecuzioni a bruciapelo, incendi – non sfruttamento sessuale,
questo era libero anche per i virtuosi, missionati compresi).
La campagna, avviata in
Inghilterra, si estese presto agli Stati Uniti. E durerà a lungo: ancora negli
anni 1930 diventerà subito famosa la denuncia di André Gide, “Viaggio al
Congo”. Come se al Congo le condizioni coloniali fossero peggiori che in
Rhodesia o in Guinea, e perfino in India, o al tempo delle concessioni, tra
Otto e Novecento, in Cina.
L’avvio della campagna
si fece a Londra sulla base dei ricordi di un
Mr. Glave, un giovanottone “che era stato per sei anni al servizio dello
Stato”, e per due, “fra il 1893 fino alla sua morte nel 1895”, fu in Congo, che
girò liberamente, in teoria come commerciante. Con “mucchi di mani amputate… di
uomini e donne, e anche di bambini piccoli”. I ricordi di Mr. Glave furono
suffragati lo steso anno 1895, il 18 novembre, da un missionario americano, Mr.
Murphy, sempre a Londra, sul “Times”. Sempre con mucchi di mani mozzate, di
bambini. Seguono testimonianze varie, tra
cui, in una riga, il capitano Baccari, inviato dal governo italiano, un
medico-farmacologo che ebbe il sospetto che lo volessero avvelenare – ma non fu
avvelenato, farà in tempo a diventare governatore della Cirenaica a fine 1922 (succedeva a Luigi Pintor, lo zio di Giaime, e di Luigi del gruppo del Manifesto).
Lo scandalo ufficiale fu
aperto nel 1904 con un Libro Bianco sull’Africa, compilato a Londra, contenente
un rapporto del console Roger Casement, di 62 pagine. Un rapporto pieno di
mutilazioni, inflitte per “estrarre più gomma”. Il Congo era una miniera a
cielo aperto, di ogni minerale pregiato, particolarità certo non ignota a
consoli, commercianti e esploratori, ma solo la lavorazione del caucciù era
denunciata: si giocava a carte coperte.
Roger Casement, console
a Boma, la città portuale sul fiume Congo, anche questo è istruttivo per la
vicenda, entrò nel servizio pubbico britannico dopo una lunga attività
commerciale, di una decina d’anni, nell’Africa nera: comprava (a poco) e
vendeva (a molto). Dopo la pubblicazione del “Rapporto sul Congo” sarà confinato
da Londra in Perù. Nel 1916, fautore dell’indipendenza dell’Irlanda, sarà
condannato per tradimento e impiccato.
Subito dopo la
pubblicazione del Rapporto Casement, i Comuni vararono una Commissione
parlamentare d’inchiesta. Una Congo Reform Association (Cra) fu quindi presto
creata, che dispiegò un’enorme attività contro il re belga e il Belgio, tra
missioni e missionari di ogni confessione, nelle chiese episcopali e battiste,
nei giornali in Gran Bretagna e in America, in conferenze, eventi, convegni, e
in una vasta pubblicistica di gran nome: Mark Twain, Anatole France, Conrad
(“Cuore di tenebra” sarà ambientato nel Congo). E Arthur Conan Doyle; nel 1909
intraprese questa denuncia, al culmine della stagione dell’imepgno civico e
politico – prima della stagione degli spiriti.
Il libello del creatore
di Sherlock Holmes è il meglio documentato, anche se non di prima mano – il
meglio argomentato. Con misura, e quindi con durezza condivisibile. Una lunga
introduzione di Giuseppe Motta, specialista di Relazioni Internazionali, mette
il pamphlet in prospettiva, nel contesto della generale
contestazione del Belgio. Mancando però, con ogni evidenza, l’essenzale: la
speciosità della questione, sollevata a Londra tipicamente, per sgravarsi delle
proprie colpe, e insieme per insidiare un ricco, ricchissimo, immensamente
ricco, bacino minerario caduto in mano al più piccolo dei re, e al più nuovo,
piccolo e debole paese europeo, in sé e nel quadro dell’imperialismo
condiviso.
L’incriminazione di
Leopoldo II prima e poi del Belgio nel Congo rientrava scopertamente in una
strategia intesa a recuperare influenza, se non domini, sulla parte più ricca
dell’Africa. L’espansione coloniale si era fatta a caso, su disegni militari, e
casualmente le aree africane più ricche di materie prime ricche, oro, diamanti,
etc., era rimasta fuori dai disegni anglo-francesi – come poi ancora, a fine
Ottocento, da quelli italo-tedeschi. Capitando in mani belghe nel Congo e,
nella colonia del Capo (poi Sud Africa), olandesi. Contro gli olandesi del Capo
Londra dovette fare guerra, due guerre negli ultini vent’anni dell’Ottocento,
per l’oro del Transvaal. Lo stesso Conan Doyle ritiene di doversi giustificare, alla fine dalle obiezioni: quella contro il Belgio è una campagna inglese, dei mercanti di Liverpool, dei protestanti contro i cattolici.
In Belgio il re Leopoldo
II rispose, dopo una prima resistenza, con una sua propria commissione
d’inchiesta. Apparteneva allo stesso casato dei reali inglesi,
Sassonia-Coburgo-Gotha, e si pensava protetto istituzionalmente, le critiche
attribuendo agli antischiavisti – tra i quali annoverava se stesso. La
commissione non poté non constatare le pratiche vessatorie in uso. Allora Leopoldo II aprì
la colonia gli interessi americani, dapprima, e successivamente anche
britannici. Infine istituzionalizzò il Congo come colonia del Belgio, non più
Stato libero suo possedimento personale. Le polemiche continuarono. Ma gli
investimenti pure, soprattutto poi americani, e il Congo sarà uno degli ultimi
paesi africani (se si eccettuano le colonie portoghesi) a ottenere
l’indipendenza, nel 1960.
Arthur Conan Doyle, Il crimine del Congo, Bordeaux, pp. 165
€ 14
domenica 21 gennaio 2024
Ombre - 703
È
Netanyahu che ha “creato”, di fatto, Hamas nei suoi trent’anni di governo, armandolo
contro l’Olp, la vecchia organizzazione militare palestinese . Lo dice Josep
Borrell, il commissario Ue agli Esteri, che è critico della destra israeliana e
di Netanyahu in particolare. Ma è vero.
Israele
ha fatto come gli Stati Uniti con Al Qaeda in Afghanistan. Ma Netanyahu di più:
si è creato il nemico con cui sorreggersi.
“Il
Sole 24 Ore” conteggia i posti in palio al voto amministrativo di primavera,
che coinvolgerà quasi la metà dei Comuni (il 46,7 per cento), a fra essi solo poche
città, 27 su 109 capoluoghi, e non le maggiori. Sono 57.386, di cui 3.697 da sindaco,
11.030 da assessore e 42.659 da consigliere. Contando tre candidati per ogni posto,
circa 150 mila politici in lista. Nel totale nazionale, per estrapolazione, 4-500
mila “lavoratori” della politica. Il triplo degli addetti dell’automotive, il maggior settore
industriale.
70
mila euro per una licenza di taxi dal Comune di Roma, 96 mila a Milano. Contro
un media di mercato, nelle (poche) transazioni private delle licenze in essere,
di 130 e 160 mila euro rispettivamente. Come una licenza per estrarre oro. Ma il
taxi rende tanto? No, il costo della licenza è un valore di scarsezza provocato:
basta non dare licenze,e quando si danno darne poche. Lo Stato capitalista
irsuto dalle grandi fauci, nella forma all’apparenza benevola del Comune.
Bill Gates va al Quirinale col sorriso stampato, sguardo
assente, gesti frettolosi, saluta il presidente Mattarella con la mano sinistra
in tasca, fa una serie di selfie col
presidente, con lo stesso sguardo fisso sorridente (un rictus? chirurgia plastica,
come il presidente Biden?) e la testa altalenante, su e giù come se approvasse (il
palazzo? gli arredi? i corazzieri, l’interprete? ), e se ne va. Sono tour che molti tycoon americani usano fare periodicamente, per un spot gratuito sui media. L’indomani sui media grandi titoli: l’intelligenza
artificiale al Quirinale”. Ecco, Microsoft si è rilanciata in Italia – mercato piccolo
ma non disprezzabile, vale un giorno e mezzo di sorrisi.
Il
giurista e grand commis Busia (Anac)
si preoccupa: “Ma se saltano le regole si spalancano le porte alle condotte
illecite”. Bella scoperta. Ma di che regole parliamo, delle nomine inutili, mille,
diecimila, centomila, e milionarie, come quella i presidente dell’Autorità
Nazionale Anticorruzione?
“Eravamo
d’accordo (su un’intesa dopo l’occupazione della Crimea, n.d.r.), ma hanno
deciso di buttare tutto nella spazzatura, lo hanno ammesso pubblicamente. Hanno
detto: «Sì, eravamo pronti, poi è arrivato l’allora primo ministro britannico
Boris Johnson e ci ha convinti a non attuare quell’accordo»”. Lo dice Putin, per
tentare di rubare la scena a Zelensky a Davos. Il problema è che è vero – erano
gli “accordi di Minsk”, patrocinati dalla Ue, da Merkel per conto della Ue.
Una
proprietà assente, una società senza manager (dimissionari), un team gestionale e sportivo avventizio, una
squadra mezza malata, cioè la As Roma, e tutto si risolve licenziando l’allenatore.
Non è un problema romano, i supporter
della Roma sono sconcertati, è il modo d’essere del calcio, avventizio – del calcio
italiano, poco serio, tra partite fatte dagli arbitri, e squadre dai
procuratori, per il mercato delle provvigioni, sempre più ricco (si gestiscono nei
paradisi fiscali, si possono condividere tranquillamente).
La
titolare di una pizzeria, piccola, di paese, persona in età, equilibrata e
molto altruista, denuncia sui social una
recensione di disprezzo per il suo locale perché serve i disabili. La famiglia
Lucarelli fa ricerche, e denuncia la titolare di essersi inventata la
recensione per farsi pubblicità. I Carabinieri sottopongono la titolare a
interrogatorio per sapere se è vero. Il tutto in tre giorni, due e mezzo. Poi
si dice che non c’è giustizia in Italia.
O
non saranno i Lucarelli i comandanti in petto
dei Carabinieri?
Se la giustizia fa gol con gli autogol
Dalle
carte che la Procura di Roma gestisce malvolentieri sulle plusvalenze fittizie
nel calcio (bisognerebbe assolvere la Juventus, già rinviata a giudizio, oppure
perseguire altri club) si scopre che il Napoli ha comprato Osimhen dal Lille
pagando venti milioni con quattro calciatori che non hanno mai giocato –
seppure esistono. Su questo affare, si dice, la giustizia sportiva ha già
indagato il Napoli, assolvendolo. E questo è lo stato della giustizia del
calcio, tutta di parrocchia – si colpisce la Juventus perché appartiene agli
Agnelli, le sacrestie odiano i ricchi.
L’affare
Osimhen era nelle carte anche della Procura di Torino, che però ha perseguito
solo la Juventus. Anche le Procure della Repubblica sono di sacrestia?
Resta
da vedere perché il Lille si sarebbe accontentato di venti milioni falsi. O non
pagati sottobanco, con fondi neri, a presidenti e procuratori? Ma la logica è
troppo chiedere a questa giustizia.
Viene
da meravigliarsi, leggendo di queste vicende, ma anche da ridere. In fondo, è
tale l’impunità che Chiné e soci, i procuratori laici, è come se vincessero
allegramente le partite facendosi autogol: uno strapotere esibito, strafottente.
Pavese o del mal d'amore
Non è un titolo poetico postumo,
di una qualche raccolta inedita, è un verso della produzione amorosa di Pavese
poeta. Non nutrita, o forse sì, una cinquantina di testi sono compresi nell’edizioncina,
ma tutti sicuramente “ardenti”. Dell’aspetto forse più trascurato di Pavese.
Noto e celebrato filologo (anglista, traduttore, editore), classicista in petto e antropologo, perseguitato politico,
suo malgrado, suo malgrado poco impegnato politicamente, narratore regionale, e
poeta certo, idilliaco, elegiaco, mitico. Mentre visse e morì d’amore.
Proprio così, su toni melodrammatici.
Per una incomprensibile inattitudine ad amare, tanto forte e costante quanto il
bisogno. A creare una relazione, se non come possesso, esclusività. Al punto da
sfiorare, sembra da certi componimenti, l’impotenza. Proprio, quella fisica,
fisiologica - conoscendone la biografia al modo, si direbbe, di Nietzsche, che chiedeva
in sposa, esclusiva, avvinta, qualsiasi donna lo guardasse mentre gli parlava.
Tanto da morirne, suicida. Avviene di risfogliare questa pur minuscola brochure con meraviglia.
Cesare Pavese, Il desiderio mi brucia, Garzanti, pp.
92 € 4,90
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