sabato 27 gennaio 2024

Il mondo com'è (470)

astolfo


Alcmeone di Crotone – Un magno greco tanto evanescente quanto ingombrante. Di lui si sa poco – che “era giovane quando Pitagora era vecchio”, secondo Aristotele, e nulla più. Ma che avrebbe inventato la fisica - la disciplina - con un trattato “perì phiseos”, avrebbe per primo praticato l’anatomia, e avrebbe ricondotto i fenomeni mentali, e il coordinamento delle sensazioni, al cervello. Ma in un quadro di incertezza, poiché di lui si sanno poche cose, frammentarie. Si sa però che Aristotele, che lo cita, voleva invece tutte le funzioni vitali, comprese quelle mentali, ricondotte al cuore, come l’organo che è l’ultimo a morire. 


Berberi – Una nuova minoranza si affaccia sul Mediterraneo, non secessionista ma abbastanza forte da ridefinire gli assetti costituzionali e la politica interna dei due paesi maggiori del Maghreb, l’Algeria e il Marocco – e in prospettiva la Libia: i berberi. Il re del Marocco Maometto VI ha decretato festa nazionale il capodanno berbero il 14 gennaio, e il berbero lingua nazionale, alla pari dell’arabo. Una decisa presa di posizione con un occhio malevolo, forse, all’Algeria, la nemica di troppe questioni - dove le rivendicazioni della minoranza berbera sono terreno di attriti. Ma è un fatto che il Marocco è da qualche tempo ufficiosamente bilingue. I berberi sono stimati essere il 40 per cento della popolazione marocchina. In Algeria, invece, le rivendicazioni berbere, che sono sempre state forti, già in epoca coloniale e nella stessa guerra di liberazione, in antitesi alla parte araba della popolazione, sono contrastate dal governo centrale, per il rischio secessionista, essendo concentrate e prevalenti soprattutto nel Nord-Est. 
L’etnonimo “berbero” è oggi risentito negativo, in quanto derivazione da “barbaro”. E così pure Maghreb, che in arabo è “Occidente”, una regione marginale. I termini di riferimento sono ora amazigh, plurale imazighen,i liberi, per berbero-i, e Tamazgha per Maghreb. Per Tamazgha, termine  coniato cinquant’anni fa da un’Accademia Berbera a Parigi, intendendosi una vastissima area africana, comprendente, oltre il Maghreb della vecchia geografia (Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Sahara Occidentale, Mauritania), anche Egitto, Niger, Mali, Burkina Faso, Senegal e Canarie. Un’area che si vuole corrispondere alla Libia di Erodoto, e alla Barberia, Stati barbareschi, Costa berbera della geografia medievale e moderna, fino a tutto l’Ottocento. Il nome è stato coniato in riferimento ai Mazici, popolazione “libica” di Erodoto, Ecateo, Virgilio, Lucano (“Mazaci”). Pseudo-Ippolito.
Insieme a un riequilibro politico nel Nord Africa occidentale, i berberi hanno avviato anche una revisione storica. Sempre più, in particolare, prende piede l’ipotesi che l’invasione cosiddetta araba dell’Italia meridionale (emirati in Sicilia, Calabria e Puglia) e in Spagna sia stata opera di popolazioni islamiche ma prevalentemente berbere – la storia della Sicilia “araba” è ferma a Michele Amari, metà Ottocento, ma qualche aggiornamento emerge.
È storia del resto che gli Almoravidi, che regnarono sul Marocco e la Spagna musulmana a cavaliere del 1100 erano una dinastia berbera, proveniente dal Sahara. Sconfitti in Andalusia, gli Almoravidi superstiti si stabilirono nelle Baleari, dove si sono perpetuati col nome di Banu Ghaniya (banubani = figli di, denomina le tribù). Altri berberi, col nome di  Guanche – derivato da Ghaniya? – furono incontrati da Niccoloso da Recco, il primo navigatore oceanico, o uno dei primi, nel 1340 alle Canarie, dove si era spinto, con equipaggio genovese, fiorentino e spagnolo, per conto del re del Portogallo Alfonso IV - al ritorno, dopo cinque mesi, Boccaccio lo incontrò a Firenze, e ne celebrò l’avventura col trattatello “De Canaria et insulis reliquis ultra Hispaniam in Oceano noviter repertis”. 
Col nome di Murabit, come erano chiamati dagli arabi, i berberi almoravidi si perpetuano, molto diffusi, tra Calabria e Sicilia a cavaliere dello Stretto di Messina, e in Spagna, Tunisia, Marocco, Mauritania.
Che la componente berbera fosse forte tra gli islamici di Sicilia lo proverebbero le attitudini agricole, con le colture irrigue, dalle verdure agli agrumeti, e il riassestamento e il riutilizzo delle condutture dell’idraulica romana. L’invasione propriamente araba della Sicilia si tende ora a confinare a Mazara del Vallo, all’estremità occidentale dell’isola, mentre l’area meridionale, dell’agrigentino, da Castelvetrano a Gela, si ritiene abitata da berberi. Si dice ora la conquista islamica, non più araba, della Sicilia. Rimarcando che essa fu iniziata partendo da Tunisi, a Mazara. E che fu un’occupazione lenta, non d’assalto, un’immigrazione più che una conquista. Portata a compimento dopo un secolo e mezzo di tentativi, nel 965, a Rometta. E sarebbero stati berberi, indisciplinati, gli “arabi” di Sicilia che Federico II confinò a Lucera, in Capitanata, sopra il Tavoliere delle Puglie. 

“Saraceni”, il termine invalso per oltre un millennio per dire delle scorrerie e piraterie “arabe” (dei mussulmani), è termine riferibile piuttosto ai berberi. Il termine è in arabo spregiativo, derivato da saraq, rubare. Attività che si riscontra anche nei Tuareg del Sahara, cui i berberi si ricollegano, che sono predoni. In letteratura del significato e le origini di “saraceno” si danno molte letture. Saraka era una città del Sinai, secondo Tolomeo, abitata da una popolazione araba che prendeva appunto il nome di sarakenoi – lezione pi ripresa da Stefano di Bisanzio. Un’altra derivazione, passando per il latino, è dall’aramaico sarqn, che sarebbe “abitante del deserto” – che sarebbe la stessa di Tolomeo. Oppure dall’arabo sharq, oriente - e quindi “gli orientali”. Viene collegato a questa lezione il termine greco-bizantino Σαρακηνός (sarakēnós), derivato appunto dall’arabo, sharq e sharqqiyyun, oriente e orientale. Fantasiosa è ritenuta l’etimologia di Isidoro di Siviglia, poi ripresa da san Giovanni Damasceno: “«I Saraceni sono stati così chiamati o perché si proclamano discendenti di Sara, ovvero perché, come dicono i gentili, sono originari della Siria”.

L’identificazione dei saraceni con i berberi, prevalentemente, è rafforzata dal perimetro della loro attività: il Mediterraneo occidentale. Con basi nei porti del Maghreb, e attività sulle coste tirreniche, dalla Sicilia alla Liguria, la Costa Azzurra, il golfo del Leon, le Baleari. A Taranto, Bari e in alcune località calabresi ebbero basi fisse anche per periodi lunghi, mezzo secolo. A volte inoltrandosi, in Calabria,  Liguria, Costa Azzurra, in zone interne, collinari e montane, sempre raggiungibili lestamente dal mare – la pratica che più dispone per l’identificazione dei saraceni con i berberi. S opra Cannes, nella Costa Azzzura, fu berbera la località La Garde-Freinet, un tempo Le Fraissinet, frassineto, in arabo farakhshanīṭ - Frascineto è una località, oggi italo-albanese, ai piedi del massiccio del Pollino in Calabria.

(continua


Darmanin – Gérald Darmanin, il ministro dell’Interno francese, riconfermato anche nella nuova compagne guidata dal giovanissimo premier Attal, che ha provocato almeno due incidenti con l’Italia con le sue critiche alla “superficialità” italiana in materia di blocco dell’immigrazione clandestina e di rimpatri, sarebbe di origine italiana. La biografia ufficiale lo vuole “di famiglia di lavoratori, con radici algerine e maltesi”. Il padre, Gérard, gestiva un bistrò, la madre, Annie Uakid, lavorava come colf. Più in là, la biografia si spinge solo dal lato materno: il nonno, Mussa Uakind, era stato sottufficiale dell’esercito francese, decorato al valore, un resistente delle Forze Francesi dell’Interno nella Francia occupata, e un harki, un algerino lealista, nella guerra di Liberazione dell’Algeria,1954-1962 - contro l’indipendenza dell’Algeria).  
Non registrato nella biografia ufficiale, il nonno paterno era Rocco Darmanin, minatore. Nato a Béja, in Tunisia, poi migrato a Denain (Nord – Alta Francia), in prossimità del Belgio, dove lavorò come minatore. Rocco era figlio di Salvatore Costanzo Darmanin, e di Carmela Grazia Maria Caruana. Immigrati in Tunisia, lui da Malta (un nome residuo dei tanti veneti dell’isola), ma via Sicilia, lei dalla Sicilia. “Le Nouvel Observateur”, nel primo ritratto del politico in ascesa, nel 2014, li fa entrambi maltesi - su indicazione del futuro ministro?. Salvatore Costanzo e Carmela ebbero due figli, Salvatore e poi Rocco.
 
Mondovì – Si chiamava Mondovì  il villaggio-città in Algeria, ora Dréan, sulla costa orientale dell’Algeria, dove Camus è nato. Si chiamava Mondovì quando Camus è nato, nel 1913, e l’Algeria era colonia francese. Una cittadina ora di 40 mila abitanti. Che produce ancora vino, con agrumi e tabacco.

astolfo@antiit.eu

La guerra in Ucraina come una guerra by proxy alla Russia

“La storia di una Russia malvagia, irrazionale, intrinsecamente espansionista e con un leader paranoico al comando, contrapposta alle virtù di Stati Uniti ed Europa, è una costruzione strana e confusa della memoria, incoerente con tutta una serie di eventi perfettamente consequenziali degli ultimi trent’anni; eventi la cui importanza e il cui significato dovrebbero  essere immediatamente evidenti a tutti. In effetti, la stessa narrazione occidentale predominante può essere vista come una forma di paranoia”. Questo forse è vero ma è inverosimile. Si spiega invece con una “costruzione” abile dell opinione, giorno dopo giorno. Coerente con un’altra conclusione del pamphlet, in apertura: “La sconfitta e l’indebolimento della Russia è esattamente ciò che nuova politica statunitense mira a raggiungere”.
L’elenco è impressionante delle “preparazioni” militari Nato, di fatto anglo-americane, contro la Russia negli ultimi trent’anni. E delle promesse e impegni americani, in nome e per conto della Nato, di un’estensione dell’alleanza, nominalmente difensiva, nel cuore della Russia – come una Cuba gigantesca piantata di missili contro gli Usa. L’elenco delle preparazioni-provocazioni: “Se gli Stati Uniti non avessero esteso la Nato fino ai confini con la Russia; se non avessero schierato sistemi di lancio di missili con capacità nucleare in Romania e non li avessero messi in cantiere in Polonia  e forse anche in altri paesi; se non avessero contribuito al rovesciamento del governo ucraino democraticamente eletto nel 2014 (finanziando e sostenendo con la propaganda l’estrema destra ucraina, n.d.r.); se non si fossero ritirati dal trattato ABM e dal trattato sui missili nucleari a gittata intermedia, e non avessero poi ignorato i tentativi russi di negoziare una moratoria bilaterale su tali dispiegamenti; se non avessero condotto esercitazioni a fuoco vivo in Estonia per addestrarsi a colpire obiettivi all’interno della Russia; se non avessero organizzato una vasta esercitazione militare di trentadue nazioni vicino al territorio russo; se non avessero raccordato l’esercito americano con quello ucraino, se…, se…. Se gli Stati Uniti e i loro alleati della Nato  non avessero fatto tutte queste cose, la guerra in Ucraina probabilmente non sarebbe scoppiata. Penso sia un’affermazione ragionevole”.  
Abelow non ha grandi credenziali. È solo un pubblicista, con studi di Storia e, si deduce, di Medicina, attivista anti-nucleare. Ma dà informazioni riscontrabili, e usa inquadramenti inoppugnabili. Si limita peraltro a dire le cose che si sanno ma non sono state dette in questi due anni di guerra, ed è tanto. Anche a leggerlo come un articolo di giornale, si capisce quanta roba ci manca, non è detta, nemmeno lasciata intendere. Il che significa che c’è una rete molecolare – pervasiva, insistente, accorta - di disinformazione, di “creazione” dell’informazione.
L’Ucraina è irrilevante per gli Stati Uniti, è un altro argomento del pamphlet: per la sicurezza degli Stati Uniti, per l’empatia degli americani – non ne sanno nulla, e non hanno imparato nulla, la “narrazione americana della Russia” è semplicistica: è una potenza ostile agli ordini di un dittatore. L’Ucraina è solo una pedina in uno scacchiere. Uno dei cimiteri dell’ultimo imperialismo Usa, si può aggiungere, degli ultimi trenta anni, già sfiancato da troppe “guerre giuste” o “guerre di liberazione” dopo il Vietnam, in Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria. Senza contare, nota il pamphlet, che Zelensky è “uomo molto legato alla famiglia Biden”. Eletto con una vasta percentuale di voto popolare, 70 per cento, e anche con molte risorse. Ma la guerra in Ucraina, va ancora aggiunto, è per un altro aspetto vincente in ottica americana – il titolo dice “Occidente” ma intende gli Stati Uniti: si distrugge l’Europa, ogni residuo velleitario di Europa unita e potente dopo il crollo del sovietismo. Si dice by proxy nel gergo diplomatico-militare per dire per procura, e se così è quella americana è piuttosto una guerra-capolavoro: una guerra contro la temuta Fortezza Europa fatta combattere alla stessa Europa. Un filo razionale insensato? La razionalità è solo conseguente alle premesse. 
Benjamin Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, Fazi, pp. 81 € 10

venerdì 26 gennaio 2024

Ecobusiness

L’amministrazione Biden ferma il programma di costruzioni di impianti di liquefazione del gas in seguito alle proteste delle comunità locali del Golfo del Messico. Che è diventato, per la creazione di numerosi impianti di liquefazione, destinati al mercato europeo, altamente inquinanti, una “sacrifice zone”, un’area condannata all’inquinamento. Gli Stati Uniti sono diventati grandi esportatori di gas liquefatto verso l’Europa, dopo l’interruzione delle forniture di gas naturale dalla Russia.
Il governo Meloni vara, alla presenza del governatore della Puglia Emiliano, già candidato alla segreteria del Partito Democratico, come per una decisione di grande importanza, quattro parchi di solare agrivoltaico, impianti di pannelli solari su vaste estensioni agricole. Sotto i quali non si potrà coltivare niente, solo pomodori – non altri vegetali, né patate o grano.
Una nuova promozione pubblica, con sussidi fino a 12 mila euro per vettura, si annuncia. Mentre l’auto elettrica, pur silenziosa e di guida semplificata, risulta a chi ne faccia esperienza in taxi, di scarsa o nessuna abitabilità, sia per i sedili anteriori, quindi per chi guida, e peggio per i passeggeri – difficile farci entrare un piede 44.

Volponi da urlo

Un Volponi diverso - com’era da scrittore, prima dell’impegno assiderante. Prima di Bossi, il romanzo dell’Italia frammentata di Cattaneo e Pisacane.
Si ripubblica a cinquant’anni dalla prima edizione, in vista del centenario della nascita, l’unico libro fra i suoi tanti non ristampato – forse perché scorretto. Con prefazione di Paolo Di Stefano.
Una delle prime “Riletture” di questo sito lo consigliava nel 2008, “Un Volponi da urlo”:
“Ben prima di Bossi e Grillo, un libro cattivissimo. Grottesco dalla prima pagina, col Professor Subissoni, anarchico di Spagna, Giocondo Giocondini, Dc in pectore, un Sempronio Semproni subito dimenticato, e un Oddo Oddi, sa esserlo per trecento pagine, exploit inconsueto nel genere. In un teatro urbinate di nebbia, neve e bicchierini, dopo le bombe di piazza Fontana. Con la misura della dismisura, con immagini feroci di Carlo Bo, Calvino, Natalia Ginzburg. Intimidatorio anche, al punto di prendersi il premio Viareggio, benché fosse l’anno del più corposo “Corporale”. Volponi gaddeggia, kafkeggia, insomma si diverte e, non prendendosi sul serio, diverte ancora”.
Paolo Volponi, Il sipario ducale, Einaudi, pp. XVIII-326 € 21

giovedì 25 gennaio 2024

Guerre des dupes tra Meloni e “la Repubblica”

È guerra aperta, tra Meloni e “la Repubblica”, che però sembra una guerre des dupes. Meloni dice che la Fiat è stata venduta alla Francia (in realtà all’Olanda, dove paga le tasse), e che ha delocalizzato la produzione. Incontestabile, come sanno i dipendenti ex Fiat, in costante diminuzione. E gli azionisti di Fiat-Stellantis, che pagano due ritenute d’acconto sul dividendo, all’Italia e all’Olanda – mentre la famiglia Agnelli-Elkann paga solo quella, ridotta, dell’Olanda. Ma questo lo sa anche il governo da quando, l’altro ieri, ha provato a invitare altre case automobilistiche ad aprire fabbriche in Italia, senza averne risposte.
“La Repubblica” difende la proprietà, Agnelli-Elkann, e accusa Meloni di incitare il suo governo ad attaccare proditoriamente il gruppo ex torinese, allegando la rassegna stampa incitatoria di palazzo Chigi. Se non che, poi, si finisce per chiedersi perché Agnelli-Elkann ha comprato il gruppo “la Repubblica”, salvo svenderne tutta la flottiglia – nella famosa metafora di Scalfari, di cui “la Repubblica” era la corazzata: dall’“Espresso” al “Tirreno” e le tante altre testate storiche locali. E la corazzata fa sopravvivere, con tagli e prepensionamenti.
Guerre des dupes
si traduce come guerra dei folli, ma è qualcosa di più, tra sciocco e presuntuoso. Nella controversia tra un giornale e un potere, qui il massimo potere politico, l’obbligo è di prendere le parti del giornale. Ma la prima carità non comincia da se stessi?Perché è anche possibile quello che l’ex ministro Calenda va dicendo a proposito dei “salvataggi” dei giornali, non seguiti da piani seri di rilancio: “Il valore dei giornali è talmente sceso che diventa un affare acquistarli per farli divenire una voce delle Relazioni Istituzionali di un’azienda. Si pagano meno di costose campagne di marketing”. E danno vantaggi fiscali.

Meno ore, meno giorni di lavoro

È sciopero duro, insolitamente, in Germania tra ferrovieri e Deutsche Bahn, le ferrovie, sulla riduzione dell’orario di lavoro. Che poprio la Germania ha avviato. In Volkswahen e altri grandi  imprese.
La riduzione delle ore lavoro settimanali è una tendenza ormai avviata. Insieme con la riduzione della settimana lavorativa da cinque a quattro giorni. Avviata in America e Inghilterra per far fronte alla disaffezione dal lavoro successiva al covid. Poi sempre più adottata in quanto migliorerebbe la produttività.
Leonardo, l’ex Finmeccanica, ne ha avviato la sperimentazione, con l’introduzione di settimane lavorative di quattro giorni alternate a quelle di cinque. Exor-Luxottica l’ha invece già adottata. E anche, sempre in Italia, la Lamborghini, ormai da un quarto di secolo “tedesca”, di Audi-Volkswagen.

Il colore della libertà, grigio

Se la libertà è pulire i cessi, firmati ma per questo più tristi, in albe immutabilmente livide, di una Tokyo murata. In superotto. Con molte canzoni americane anni 1970-1980, ma sottovoce. Per due ore, con poche intermissioni – lavarsi nudi al bagno pubblico, di solito.
Un monumento ai nastri: che non ci sia un exploit in agguato della musica su nastro, dopo limprobabile 33 giri? Una cosa fa impressione: muri sgombri a Tokyo degli sgorbi dei writers - la pulizia come disegno totale.
Wim Wenders,
Perfect days

mercoledì 24 gennaio 2024

Problemi di base - 788

spock


Il niente esiste, ogni giorno?
 
C’è più stupidità che intelligenza?
 
Ma non è dovere dell’intelligenza vincere la stupidità?
.
“Esistono esistenze complete nonostante i desideri insoddisfatti”, D. Bonhoeffer?
 
Perché i bambini si divertono e divertono, e poi non più?
 
“Il ricordo è prossimo al rimorso”, Victor Hugo?

spock@antiit.eu

Alla ricerca di un neofascismo, in immagine e non

Una ricerca puntigliosa del materiale pubblicitario figurativo, manifesti soprattutto, locandine, tessere, cartoline, film-video propagandistici, e ora siti web, del neofascismo italiano nelle sue tre incarnazioni, Msi, Alleanza Nazionale, Fratelli d’Italia. Con la dovuta precisazione che An e Fdi non si richiamano come il Msi al fascismo, ma niente di più. E questo forse è il perché tanta applicazione lascia insoddisfatti, il limite di questa strabiliante documentazione: Cheles, specialista iconografico, di visual studies, si adagia per la lettura sulla polemica politica. Per cui è come se avesse fatto il lavoro per niente – i fascisti sono fascisti, lo sapevamo.
Cheles si muove su uno spettro amplissimo. Cita Propp e Walter Veltroni, Ernst Bloch e Jean-Marie Le Pen, il creatore nel 1972 in Francia del suo fronte nazionalista con i “messaggi” di Almirante e del Msi, il linguista Maurizio Dardano e Umberto Eco, tra i tanti. Ma subito, al secondo §, sulle donne “sante e\o ribelli”, si fa aprire dalla silloge delle citazioni, di Almirante, Ernst Bloch e Eco, una pista d’indagine nuova e fruttuosa, di cui poi non tiene conto. Almirante elogia il femminismo come “femminilità”. E. Bloch ammonisce che “quando due uomini fanno la stessa  cosa, non fanno la stessa cosa” – la ripetizione va riletta. Eco dà il tratto più illuminante: “Poiché ogni tecnica connota un’ideologia, se tracciate in spray anche il fascio littorio, esso non mancherà di avere un’aria vagamente underground e un profumo di marijuana”. Che vale anche nell’altro senso: che c’è sotto la pennellata - il disegno, i colori, la vignetta?
La traccia che Cheles s’impone è quella del neofascismo, del fascismo in agguato. Non nostalgico, attivo. Anche se non ha le squadracce, siede in Parlamento, e si attiene alle leggi. E detta così, non c’è più storia: è tutta una rincorsa a vedere, dietro ogni “saluti da…”, e “elettore, vai a votare”, Mussolini o chi per lui – c’è anche la favola di qualcuno che voleva Mussolini santo…..Mentre una certa grafica, messaggistica, coloristica, visto l’incredibile repertorio di immagini recuperate, visive e verbali (la bibliografia prende venti pagine), avrebbe meritato un appoccio meno scontato. La novità è che c’è una destra in Italia, da almeno trent’anni (prima era nella Dc), e che non è fascista – non ne ha bisogno, le basta il voto. Non ha manganelli e non minaccia. Non è nemmeno populista - non tanto quanto la cosiddetta sinistra del “reddito di cittadinanza”, del “superbonus”, delle “lenzuolate” liberistiche a favore dei monopoli (assicurazioni, grande distribuzione, industriali delocalizzatori, grandi capitali). È una forma di conservatorismo.
L’appiattimento politico sminuisce il lavoro di documentazione, 230 reperti a colori. L’analisi dei messaggi iconografici della destra postneofascista era più sviluppata quarant’anni fa, nella prima anamnesi curata dall’editore milanese Mazzotta. Che l’iconografia ambientava nel tempo, gli anni 1920-1930, tra Bauhaus e Novecento, in una rete anche non fascista o antifascista. È la nostalgia di un modo d’essere e di rappresentarsi, più che del fascismo - della forza, dell’oppressione? Per non dire dell’ultimo Cazzullo, del “siano tutti antichi romani”. Come i repubblicanissimi americani del resto, pieni di Campidogli – nei quali credono. Monumentalità e romanità non sono “fasciste”.    
Da studioso della comunicazione visiva, è curioso che l’autore non ambienti la grafica neofascista negli anni della nostalgia, nel modo di rappresentarsi allora. Specie sull’impianto futurista, poi evoluto in Italia in Novecento. Con ampie e diversificate ambientazioni, “rivoluzionarie” anche di sinistra, in Germania, in Russia. Con i tratti espressivi – i bastoni, i colori piatti, i tagli geometrici. Nei monumenti e nei dettagli.  
Un’attrattiva, per dire, perdurante dove meno ci se l’aspetterebbe: in Inghilterra. Peter Greenway, regista progressista, ha sentito il bisogno di un film su Boullée, l’architetto settecentesco delle cupole e dei pantheon, della monumentalità, “Il ventre dell’architetto”, 1987 - e lo ha fatto a Roma, non facendosi mancare niente  della “nostalgia”, neanche la corruzione di uso. La serie immortale, apparentemente, dei “Poirot” della britannica Itv, fine Novecento, è tutta Novecento, che è anche difficile incontrare in Inghilterra - a partire dalla sigla: esterni, interni, costumi, arredamenti, fin nei dettagli, pavimenti, infissi, mobili, soprammobili, utensili.  
Il tema è stato dibattuto da Susan Sontag nel 1975, per il revival di Leni Riefenstahl (nel saggio “Fascino fascista”, ora in “Sotto il segno di Saturno”), che contestava, in maniera non risolutiva. Il film di Riefenstahl, “Il trionfo della volontà”, 1935, sul congresso di Norimberga del partito Nazista è di propaganda, spiega lungamente Sontag. E non ce n’era bisogno: è un film commissionato dal partito Nazista, dal governo nazista, da Hitler. Ma poi non si spiega – non sa spiegarsi, a parte il biasimo – perché lo apprezzassero nel 1975 nella democraticissima San Francisco, una volta levata la censura (quello su Norimberga come il successivo della stessa regista sull’Olimpiade di Berlino). Le immagini sono multisenso. E la nostalgia ha molti versi - tagli: Eco, p.es., in una delle sue tante interviste ricorda che inevitabilmente si commuoveva imbattendosi in una pubblicazione fascista degli anni Trenta, perché erano la sua infanzia.
Luciano Cheles, Iconografia della destra, Viella, pp. 26
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martedì 23 gennaio 2024

Letture - 542

letterautore


Aciman-“Olivia”
- Il 13 marzo 2021 la recensione su questo sito di Aciman, “Chiamami col tuo nome”, si chiudeva con la notazione: “Curiosamente, il racconto sa di déja vu. Solo al femminile invece che al maschile. E a parti rovesciate, di una adolescente che brama un contatto, anche solo visivo, con la direttrice della scuola, che ne domina ogni impulso. Un racconto pubblicato una cinquantina d’anni fa nel genere erotico (ma tradotto da Fruttero?), “Olivia”, by “Olivia”, di autore cioè ignoto, ma femminile”. Sabato sul “Robinson” di “la Repubblica” Aciman racconta che l’idea del suo racconto gli è venuta leggendo “Olivia” – una lettura da sempre ricercata ma mai trovata, non in libreria né in biblioteca, se non per caso, l’ultimo giorno vissuto a Parigi prima di partire per l’America. E domenica l’“Alias” del “Manifesto” reca un articolo di Luca Scarlini sul vero autore di “Olivia”, a margine della ripubblicazione del romanzo, per Astoria Edizioni, sempre nella traduzione di Fruttero di cinquant’anni fa: Dorothy Strachey.
Dorothy, si può aggiungere, era una della numerosa figliolanza – dieci tra fratelli e sorelle – del luogotenente generale Sir Richard Strachey. Tra essi Lytton, il narratore dei vittoriani e di “Ermintrude e Esmeralda”, lei stesa parte dell’intellettualità femminista di Bloomsbury, prima di farsi provenzale col marito Simon Bussy, il pittore, più giovane di lei di cinque anni, restando nel mondo delle lettere quale traduttrice di Gide in inglese, morta nel 1960. “Olivia”, informa la recensione, era uscito anonimo nel 1949 con la Hogarth Press. Prima che con Bussy, “Olivia”-Dorothy aveva avuto una storia con la futura Lady Ottoline Morrell, più giovane di lei di una decina d’anni – poi famosa come animatrice di Bloomsbury, e per le sue storie d’amore – da manuale quella con Bertrand Russell, si scambiarono “oltre” 3.500 lettere.
 
Amicizia – “ Non dal greve suolo della terra\ ma da piacere libero\ e dalla libera esigenza dello spirito\ che non abbisogna di giuramenti né di legge\ è donato l’amico all’amico\....... Il fiore più prezioso, rarissimo -\sgorgato in un’ora felice\ dalla libertà dello spirito giocoso\ audace, confidente -\ è l’amico all’amico” - “L’amico”,  di Dietrich Bonhoeffer (trad. Alberto Melloni)
 
Bravo – Ricorre all’inizio di “Madame Bovary”, nello stesso senso dei “Promessi sposi”: Bovary padre, il padre di Charles, ha “l’aspetto di un bravo”. Quello manzoniano è un francesismo? Il Petit Robert registra “brave” ne 1549. Come derivato da “braver”, che registra già nel 1515, dicendolo “derivazione dall’italiano”. Nel senso di “provocare”, “sfidare”, anche le leggi
 
Dante – “Al noioso Tolkien preferisco Dante”, Gennaro Sasso, dantista. Tolkien?
 
Gadda – Fu fascista? Sì, e a lungo, secondo i suoi studiosi britannici, dell’“Edinburgh Journal of Gadda Studies”. Valga per tutti Peter Heinsworth, “Gadda fascista”:
“Nei primi anni Cinquanta dichiarò di aver capito cosa ci fosse dietro Mussolini dal tempo dell’omicidio Matteotti (Cattaneo 1973a: 63). Più tardi, nell’intervista generalmente menzognera e bizzarramente nevrotica del 1968 a Dacia Maraini, rivendicò di aver avuto la prima idea della sua principale opera antifascista, Eros e Priapo, nel 1928, e di averla scritta negli anni Trenta, sebbene sia oggi certo che il libro è stato iniziato alla fine del 1944. In realtà, Gadda era membro del partito fascista dai primi anni Venti. A partire dal 1939 – anno in cui iniziò davvero la sua carriera giornalistica – scrisse articoli in appoggio alla politica e alle istituzioni del regime, soprattutto nei campi della scienza e dell’economia. Sono articoli seri, alcuni piuttosto tecnici, altri più divulgativi. Alcuni possono certo essere stati scritti con una certa rabbia e soprattutto per motivi economici, ma nessuno può essere liquidato facilmente come un esempio di giornalismo opportunistico. Gli ultimi due furono scritti davvero tardi. L’Istituto di Studi Romani, un pezzo celebrativo ma meditato sulla perpetuazione della tradizione romana grazie alle attività dell’istituto citato nel titolo, apparve su Primato il 15 agosto 1942. All’insegna dell’alta cultura, che comparve il 1 febbraio 1943, sempre su Primato, plaude alla rinascita dell’Istituto dell’alta cultura di Milano sotto gli auspici di Bottai, e agli eventi centrali da esso promossi: in particolare e (date le circostanze) significativamente, concerti di musica tedesca, ungherese e italiana.
Neppure possiamo tracciare una netta distinzione fra giornalismo fascista da una parte, e dall’altro opera letteraria non-fascista, se non antifascista. Sebbene manchino dichiarati intenti di propaganda, i primi romanzi – Racconto italiano di ignoto del Novecento del 1924-25, La meccanica Dejanira Classis o Novella seconda del 1928-29 – mostrano tutti apprezzamento per l’audacia e la decisione del fascismo in opposizione all’opportunismo dei socialisti e al bathos liberale. Il racconto che dà il titolo alla Madonna dei Filosofi (1931), si svolge nel 1922 ed è quasi un’allegoria dell’Italia del primo dopoguerra. Le sofferenze di Maria non possono essere risolte né dalle falsità di un cosmopolitismo alla moda (rappresentato dall’amica francese, mademoiselle Delanay) né dalla stupidità borghese (Pertusella, che la sua famiglia spera lei sposi). La sua improbabile unione con il tormentato Baronfo rappresenta per quest’ultimo una sorta di guarigione e un ritorno alle sane tradizioni del passato, dopo i sacrifici della prima guerra mondiale e la disperazione che ad essa era seguita.
Implicazioni analogiche, se non allegoriche, sono anche nella Meditazione milanese. Il suo principale interesse sono i problemi generali della conoscenza, brillantemente messi in luce da Roscioni (1969); ma c’è una dimensione sociale e politica che si rivela soprattutto nell’elaborato e sorprendente paragone che Gadda traccia per illuminare le tesi strettamente filosofiche e che talvolta diventano argomenti di trattazione a pieno titolo. In questi passaggi emerge una visione ottimistica di cosa potrebbe essere una buona società, e in particolare una buona società italiana: dinamica, avanzata, educata scientificamente e rispettosa della conoscenza, in grado di armonizzare le proprie contraddizioni e la ricca diversità di cultura e tradizioni, non ostacolata da regole restrittive, libera di far valere la propria volontà; una società che dà la priorità all’azione su riflessioni e autolegittimazioni paralizzanti. Sebbene non si parli dell’ideologia fascista in quanto tale, la consonanza è chiara.
La Meditazione sarebbe rimasta inedita sino al 1974. Le meraviglie d'Italia, nella versione del 1939 (quella del 1964 è un po’ diversa), cercano un’esplicita e specifica realizzazione di queste idee nell’Italia fascista, con un aperto entusiasmo, ad esempio, per la politica autarchica (Il carbone dell’Arsa), per i progressi tecnologici del paese (Apologo del Gran Sasso d'Italia), per la «giovinezza nuova d’Italia» (La funivia della neve), per la robusta vitalità delle tradizioni locali (Delle mondine in risaia). Il tono può essere ironico e scherzoso, possono comparire momenti di pessimismo metafisico, ma a prevalere è un misurato ottimismo. L’ultimo pezzo (Sull’Alpe di marmo), sulle cave di Carrara, termina con un omaggio al «coraggio» e alla «fatica dell’uomo»: la vera ricchezza della «gente apuana», cioè l’abilità ereditata dagli avi, è considerata, insieme alla nuova tecnologia e disciplina, come una risorsa per il dinamismo della nuova Italia: La qualità delle maestranze carraresi, come un’eredità morale dei padri: la nuova tecnica; la nuova volontà e la nuova disciplina del lavoro: ecco i mezzi per il perfezionamento dell’impresa latòmica, che dalla Bianca Luni ha impegnato, traverso i millenni e fino all’Italia recuperata questa gente apuana.
C’è però un’opera degli anni fascisti cui è stata spesso riconosciuta una carica antifascista: La cognizione del dolore, che apparve per la prima volta su Letteratura fra il 1938 e il 1941. Nella già citata intervista del 1968 a Dacia Maraini, Gadda stesso suggerì che i guardiani notturni che hanno una larga parte nel romanzo simboleggiassero i fascisti, almeno in una certa misura, e l’equazione è stata posta anche da alcuni critici. Ma è una lettura difficile da giustificare. Nel romanzo è chiaro che il Nistitúo de vigilancia para la Noche è emblematico della corruzione amministrativa. Con Mahagones/Palumbo il bersaglio di Gadda è il reduce che pretende di essere un eroe e una vittima di guerra e che, non essendo riuscito a ottenere una pensione, si cerca una nicchia nella polizia di stato, sfruttandola per i suoi scopi di estorsione. È una polemica convenzionale, in completo accordo con la politica di riforma della burocrazia che il fascismo proclamava pubblicamente e che si conquistò un grande appoggio popolare. Lo stesso vale per la satira antiborghese che compare nella Cognizione e nell’Adalgisa: si trattava di un altro tema convenzionale negli scrittori fascisti ortodossi, e continuò a essere ripetuto lungo il Ventennio, per quanto lontano potesse essere diventato – o possa essere sempre stato – dalla realtà.


Il fascismo di Gadda era certo anticonformista – da “anarchico d’ordine”, © del suo amico e mallevadore Gianfranco Contini.

Latino – Victor Cousin giovane professore di filosofia viaggia in Germania nel 1817. Non conoscendo il tedesco, spiega Armando Torno sul “Domenica” del “Sole 24 Ore”, ha letto Kant “nella traduzione latina degli scritti critici, di Friedrich Gottlob Borne, realizzata tra il 1796 e il 1799”, gli anni del primo Napoleone, “uscita in quattro volumi a Lipsia”. La Germania sarà stata la migliore erede (custode) della latinità.
 
Manzoni – Uomo e scrittore (il romanzo, gli inni, i saggi) scuramente religioso, buon cattolico, era avversato dalla chiesa, e fu vituperato in morte. “La civiltà cattolica” si distinse per passarne sotto silenzio la morte, che fu un evento epocale, a Milano e in Italia - del tipo “Manzoni santo subito” - e poi, il mese dopo, lo attaccò sminuendolo, con una stroncatura, “Alessandro Manzoni e Giuseppe  Puccianti” – un preside pisano, allora quarantenne, poeta, prima carducciano poi manzoniano..
Ancora nel 1941, Benedetto Croce rilevava come, a distanza di tanti anni dopo la morte, i cattolici “intransigenti” fossero sempre prevenuti contro Manzoni, per la penna di Giovanni Papini - in una nota sullo scrittore fiorentino, “Il Manzoni nel cuore dei clericali”, “La Critica”, vol 1, 1941, pp. 386-387. E ne spiegava così il motivo: “Alessandro Manzoni, ricco dei più velenosi succhi dell’illuminismo francese, non vede nel Cattolicesimo se non un umanitarismo sociale con dei riti da godere più che da approfondire; aspetta che sian morti tutti i giansenisti italiani per disdire le sue prime tentazioni di schifiltoso rigorista, e nemmeno le disdice; rappresenta un Vescovo talmente grande che è difficile trovarlo nella vita e nella storia, fuorché nei Santi, mentre il suo santo non è; rappresenta un frate, dissimile troppo dai suoi pari e superiori; una suora omicida, lussuriosa e manutengola; rappresenta un parroco tanto vile che san Giovanni Bosco non glielo perdonerà mai; non dice una parola, nella sua lunga vita, a difesa del Pontificato romano nell'Ottocento, sfidando condanne autentiche della Santa Sede, a cui obbedivano, pur soffrendo, Vescovi, sacerdoti, laici; e nonostante tutto questo, tutti i cattolici lo considerano lo scrittore cattolico per eccellenza e qualcuno addirittura lo proporrebbe volentieri per santo”.
 
Fu corrispondente di mezza Francia, tra gli altri anche dello storico Augustin Thierry, del filosofo Victor Cousin.
 
Meloni-Thatcher – Un improbabile consigliere di buone maniere di Margaret Thatcher, Lord Chrles Powell, oggi ottantaduenne, scovato da Luigi Ippolito su “La Lettura”, spiega che Giorgia Meloni da tempo studia da Thatcher: “Quando ha incontrato il premier Rishi Sunak l’anno scorso, hanno approntato per lei lo studio della Thatcher a Downing Street”. Questo non è vero, ma, nelle parole dell’intervistatore, da tempo Meloni è una fan della Lady di ferro: “Almeno cinque anni fa, Giorgia Meloni già studiava da leader: e la «scuola» che frequentava era quella di Margaret Thatcher”. Sulla quale avrebbe chiesto informazioni a Lord Powell. Ma Thatcher parlava – voleva, curava – un inglese molto upper class, stretto,  accentuato, al contrario di Meloni, che invece accentua il romanesco, peggiorativo - nasale, slabbrato, quale non si sente nemmeno più a Roma-Trastevere o Garbatella (la sorella, per esempio, Arianna, non esagera come lei).
Uno dei “problemi” di Quora è: “Come acquisì Margaret Thatcher l’accento upper class benché fosse di ambiente working class”, proletario? Prese per questo lezioni di dizione.
Melon parla castigliano da castigliana, inglese corretto (non da italo-americana), e francese passabile (buona comunque l’intonazione), solo in italiano accentua il popolaresco.
 
Odio – “Mai”, Natalia Aspesi confidava l’altra settimana a un corrispondente sul settimanale “Il Venerdì di Repubblica”, “neppure quando guardavo la televisione tipo Rai, mi sono fermata più di un minuto sui canali Mediaset”. Lo confidava in neretto - sotto un grande cuore di Mojmir Ježek.
La stessa settimana il settimanale concorrente, “La Lettura”, dedicava cinque lunghe pagine all’odio. Con una corposa bibliografia, e una lunga intervista allo studioso dell’odio, Frédéric Chevalier – che titolava “Un sentimento semplice più facile dell’amore”.

letterautore@antiit.eu

Il colonialismo si assolve con il Congo

Un articolo, questo, sul voto presidenziale del 23 dicembre a Kinshasa, truccato come ogni voto in Africa, ol 70 (o 77) per cento a favore del dittatore in carica, Félix Tshisekedi, è rimpolpato dal periodico con una serie di articoli d’autore tratti dall’archivio sulla storia della Repubblica Democratica del Congo. Helen Epstein su “un secolo e mezzo di malvage interferenze delle potenze imperialiste e di vicini saccheggiatori”. Colm Tóibin sulla “tragedia di Roger Casement”, il console anglo-irlandese che per primo denunciò i delitti coloniali in Congo Belga – finendo poi impiccato da Londra come patriota irlandese. Brian Urquart sulla “Tragedia di Lumumba”, il padre del Congo indipendente, assassinato non si sa da chi: i rivali Kasavubu, Mobutu, Moise Ciombé? Il Belgio? O non la Cia – ma questo non si dice, non più? E naturalmente - J.H.Plumb, “A Black Hearth” - la solita sintesi della storia: che il Congo, e solo il Congo, era una colonia trattata schiavisticamente. Nessuno per spiegare come un territorio fra i più ricchi, minerariamente, al mondo, sia il più povero, o il secondo o terzo più povero.
Nicholas Niarchos, A simulacrum of elections, “The New York Review”, 16 gennaio 2024

lunedì 22 gennaio 2024

Appalti, fisco, abusi (239)

Si chiama Cvv, Corrispettivo di Commercializzazione e Vendita, che non vuole dire niente - s’impone nel linguaggio delle “grida” manzoniane - ma è una tassa. Anche cospicua, 11 euro al mese. Che bisogna pagare anche se in quel mese non si è accesa la luce perché in viaggio, in ospedale o altrove: 132 euro l’anno. Una tassa a beneficio dei privati, i gestori elettrici, una novità assoluta. Non di scopo, per fare qualcosa, una tassa e basta. Disposta dall’Arera, che è l’Agenzia, pubblica, dovrebbe proteggere i consumatori di elettricità e gas. Protettiva nello stile mafioso, evidentemente.
 
La Cvv non è la prima tassa sull’energia. Dagli anni di Monti, del governo Monti, si pagano anche le tasse per il trasporto e per gli “oneri di sistema”, i regali ai cosiddetti operatori delle energie rinnovabili. Queste sono decise dal governo, e si chiamano “tasse di scopo”, ma mai nessun rendiconto è stato fornito. Una bolletta a consumo zero paga 55 euro.
 
Ci sono in Italia 11.060 autovelox (c’erano a luglio del 2023). Che si comparano con i 4.7605 in Germania, e 3.698 in Francia.
L’Italia ha una superficie di 302 mila kmq, la Germania di 368 mila, la Francia di 675 mila. L’Italia ha 407.7 mila km. di strade, la Germania di 625 mila, la Francia dim un milione 53 mila. Autovelox come dissuasori di velocità, o agenti delle tasse, fraudolenti?
 
Firenze ha il record delle multe per autovelox, 32,2 milioni nel 2023. Milano segue, che ha una superficie tre volte Firenze, con un terzo, 12, 9 milioni. Genova segue con 10,7 milioni. Genovesi e fiorentini molto indisciplinati.

La corsa al Congo

Tra fine Ottocento e primo Novecento, nel mezzo della spartizione dell’Africa – lo “scramble for Africa”, la corsa all’Africa - tra i paesi europei, grandi e piccoli, sanzionata da un congresso a Berlino nel 1885, dell’Inghilterra, la Francia e l’Olanda, vecchie potenze coloniali, con le nuove entranti Italia e Germania, una insistente e vasta campagna politica e di pubblicistica fu avviata contro il dominio belga del Congo. Il dominio era stato acquisito a titolo personale dal re del Belgio Leopoldo II, come impresa commerciale, lo Stato Libero del Congo, ma presto si era rivelato fruttuoso e anzi ricchissimo – sarà poi annesso al Belgio, nel 1908, mettendo fine alla finzione indipendentista, tipo Liberia, alla stregua degli altri domini coloniali europei. La ricchezza insospettata, enorme, del Congo, fece l’invidia delle potenze, che reagirono imputando al re Leopoldo, al Belgio, tutte le nefandezze coloniali: lo sfruttamento minerario, la tratta del lavoro, anche minorile, la miseria indotta, le malattie, violenze senza limiti, nemmeno di fantasia (gogna, amputazioni, esecuzioni a bruciapelo, incendi – non sfruttamento sessuale, questo era libero anche per i virtuosi, missionati compresi).   
La campagna, avviata in Inghilterra, si estese presto agli Stati Uniti. E durerà a lungo: ancora negli anni 1930 diventerà subito famosa la denuncia di André Gide, “Viaggio al Congo”. Come se al Congo le condizioni coloniali fossero peggiori che in Rhodesia o in Guinea, e perfino in India, o al tempo delle concessioni, tra Otto e Novecento, in Cina.
L’avvio della campagna si fece a Londra sulla base dei ricordi di un  Mr. Glave, un giovanottone “che era stato per sei anni al servizio dello Stato”, e per due, “fra il 1893 fino alla sua morte nel 1895”, fu in Congo, che girò liberamente, in teoria come commerciante. Con “mucchi di mani amputate… di uomini e donne, e anche di bambini piccoli”. I ricordi di Mr. Glave furono suffragati lo steso anno 1895, il 18 novembre, da un missionario americano, Mr. Murphy, sempre a Londra, sul “Times”. Sempre con mucchi di mani mozzate, di bambini. Seguono testimonianze varie, tra  cui, in una riga, il capitano Baccari, inviato dal governo italiano, un medico-farmacologo che ebbe il sospetto che lo volessero avvelenare – ma non fu avvelenato, farà in tempo a diventare governatore della Cirenaica a fine 1922 (succedeva a Luigi Pintor, lo zio di Giaime, e di Luigi del gruppo del Manifesto).
Lo scandalo ufficiale fu aperto nel 1904 con un Libro Bianco sull’Africa, compilato a Londra, contenente un rapporto del console Roger Casement, di 62 pagine. Un rapporto pieno di mutilazioni, inflitte per “estrarre più gomma”. Il Congo era una miniera a cielo aperto, di ogni minerale pregiato, particolarità certo non ignota a consoli, commercianti e esploratori, ma solo la lavorazione del caucciù era denunciata: si giocava a carte coperte.
Roger Casement, console a Boma, la città portuale sul fiume Congo, anche questo è istruttivo per la vicenda, entrò nel servizio pubbico britannico dopo una lunga attività commerciale, di una decina d’anni, nell’Africa nera: comprava (a poco) e vendeva (a molto). Dopo la pubblicazione del “Rapporto sul Congo” sarà confinato da Londra in Perù. Nel 1916, fautore dell’indipendenza dell’Irlanda, sarà condannato per tradimento e impiccato.
Subito dopo la pubblicazione del Rapporto Casement, i Comuni vararono una Commissione parlamentare d’inchiesta. Una Congo Reform Association (Cra) fu quindi presto creata, che dispiegò un’enorme attività contro il re belga e il Belgio, tra missioni e missionari di ogni confessione, nelle chiese episcopali e battiste, nei giornali in Gran Bretagna e in America, in conferenze, eventi, convegni, e in una vasta pubblicistica di gran nome: Mark Twain, Anatole France, Conrad (“Cuore di tenebra” sarà ambientato nel Congo). E Arthur Conan Doyle; nel 1909 intraprese questa denuncia, al culmine della stagione dell’imepgno civico e politico – prima della stagione degli spiriti.
Il libello del creatore di Sherlock Holmes è il meglio documentato, anche se non di prima mano – il meglio argomentato. Con misura, e quindi con durezza condivisibile. Una lunga introduzione di Giuseppe Motta, specialista di Relazioni Internazionali, mette il pamphlet  in prospettiva, nel contesto della generale contestazione del Belgio. Mancando però, con ogni evidenza, l’essenzale: la speciosità della questione, sollevata a Londra tipicamente, per sgravarsi delle proprie colpe, e insieme per insidiare un ricco, ricchissimo, immensamente ricco, bacino minerario caduto in mano al più piccolo dei re, e al più nuovo, piccolo e debole paese europeo, in sé e nel quadro dell’imperialismo condiviso. 
L’incriminazione di Leopoldo II prima e poi del Belgio nel Congo rientrava scopertamente in una strategia intesa a recuperare influenza, se non domini, sulla parte più ricca dell’Africa. L’espansione coloniale si era fatta a caso, su disegni militari, e casualmente le aree africane più ricche di materie prime ricche, oro, diamanti, etc., era rimasta fuori dai disegni anglo-francesi – come poi ancora, a fine Ottocento, da quelli italo-tedeschi. Capitando in mani belghe nel Congo e, nella colonia del Capo (poi Sud Africa), olandesi. Contro gli olandesi del Capo Londra dovette fare guerra, due guerre negli ultini vent’anni dell’Ottocento, per l’oro del Transvaal. Lo stesso Conan Doyle ritiene di doversi giustificare, alla fine dalle obiezioni: quella contro il Belgio è una campagna inglese, dei mercanti di Liverpool, dei protestanti contro i cattolici.
In Belgio il re Leopoldo II rispose, dopo una prima resistenza, con una sua propria commissione d’inchiesta. Apparteneva allo stesso casato dei reali inglesi, Sassonia-Coburgo-Gotha, e si pensava protetto istituzionalmente, le critiche attribuendo agli antischiavisti – tra i quali annoverava se stesso. La commissione non poté non constatare le pratiche vessatorie in uso. Allora Leopoldo II aprì la colonia gli interessi americani, dapprima, e successivamente anche britannici. Infine istituzionalizzò il Congo come colonia del Belgio, non più Stato libero suo possedimento personale. Le polemiche continuarono. Ma gli investimenti pure, soprattutto poi americani, e il Congo sarà uno degli ultimi paesi africani (se si eccettuano le colonie portoghesi) a ottenere l’indipendenza, nel 1960.
Arthur Conan Doyle, Il crimine del Congo, Bordeaux, pp. 165 € 14 

domenica 21 gennaio 2024

Ombre - 703

È Netanyahu che ha “creato”, di fatto, Hamas nei suoi trent’anni di governo, armandolo contro l’Olp, la vecchia organizzazione militare palestinese . Lo dice Josep Borrell, il commissario Ue agli Esteri, che è critico della destra israeliana e di Netanyahu in particolare. Ma è vero.
Israele ha fatto come gli Stati Uniti con Al Qaeda in Afghanistan. Ma Netanyahu di più: si è creato il nemico con cui sorreggersi.
 
“Il Sole 24 Ore” conteggia i posti in palio al voto amministrativo di primavera, che coinvolgerà quasi la metà dei Comuni (il 46,7 per cento), a fra essi solo poche città, 27 su 109 capoluoghi, e non le maggiori. Sono 57.386, di cui 3.697 da sindaco, 11.030 da assessore e 42.659 da consigliere. Contando tre candidati per ogni posto, circa 150 mila politici in lista. Nel totale nazionale, per estrapolazione, 4-500 mila “lavoratori” della politica. Il triplo degli addetti dell’automotive, il maggior settore industriale.
 
70 mila euro per una licenza di taxi dal Comune di Roma, 96 mila a Milano. Contro un media di mercato, nelle (poche) transazioni private delle licenze in essere, di 130 e 160 mila euro rispettivamente. Come una licenza per estrarre oro. Ma il taxi rende tanto? No, il costo della licenza è un valore di scarsezza provocato: basta non dare licenze,e quando si danno darne poche. Lo Stato capitalista irsuto dalle grandi fauci, nella forma all’apparenza benevola del Comune.
 
Bill Gates va al Quirinale col sorriso stampato, sguardo assente, gesti frettolosi, saluta il presidente Mattarella con la mano sinistra in tasca, fa una serie di selfie col presidente, con lo stesso sguardo fisso sorridente (un rictus? chirurgia plastica, come il presidente Biden?) e la testa altalenante, su e giù come se approvasse (il palazzo? gli arredi? i corazzieri, l’interprete? ), e se ne va. Sono tour che molti tycoon americani usano fare periodicamente, per un spot gratuito sui media. L’indomani sui media grandi titoli: l’intelligenza artificiale al Quirinale”. Ecco, Microsoft si è rilanciata in Italia – mercato piccolo ma non disprezzabile, vale un giorno e mezzo di sorrisi.
Il giurista e grand commis Busia (Anac) si preoccupa: “Ma se saltano le regole si spalancano le porte alle condotte illecite”. Bella scoperta. Ma di che regole parliamo, delle nomine inutili, mille, diecimila, centomila, e milionarie, come quella i presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione?
 
“Eravamo d’accordo (su un’intesa dopo l’occupazione della Crimea, n.d.r.), ma hanno deciso di buttare tutto nella spazzatura, lo hanno ammesso pubblicamente. Hanno detto: «Sì, eravamo pronti, poi è arrivato l’allora primo ministro britannico Boris Johnson e ci ha convinti a non attuare quell’accordo»”. Lo dice Putin, per tentare di rubare la scena a Zelensky a Davos. Il problema è che è vero – erano gli “accordi di Minsk”, patrocinati dalla Ue, da Merkel per conto della Ue.
 
Una proprietà assente, una società senza manager (dimissionari), un team gestionale e sportivo avventizio, una squadra mezza malata, cioè la As Roma, e tutto si risolve licenziando l’allenatore. Non è un problema romano, i supporter della Roma sono sconcertati, è il modo d’essere del calcio, avventizio – del calcio italiano, poco serio, tra partite fatte dagli arbitri, e squadre dai procuratori, per il mercato delle provvigioni, sempre più ricco (si gestiscono nei paradisi fiscali, si possono condividere tranquillamente).
 
La titolare di una pizzeria, piccola, di paese, persona in età, equilibrata e molto altruista, denuncia  sui social una recensione di disprezzo per il suo locale perché serve i disabili. La famiglia Lucarelli fa ricerche, e denuncia la titolare di essersi inventata la recensione per farsi pubblicità. I Carabinieri sottopongono la titolare a interrogatorio per sapere se è vero. Il tutto in tre giorni, due e mezzo. Poi si dice che non c’è giustizia in Italia.
O non saranno i Lucarelli i comandanti in petto dei Carabinieri?

Se la giustizia fa gol con gli autogol

Dalle carte che la Procura di Roma gestisce malvolentieri sulle plusvalenze fittizie nel calcio (bisognerebbe assolvere la Juventus, già rinviata a giudizio, oppure perseguire altri club) si scopre che il Napoli ha comprato Osimhen dal Lille pagando venti milioni con quattro calciatori che non hanno mai giocato – seppure esistono. Su questo affare, si dice, la giustizia sportiva ha già indagato il Napoli, assolvendolo. E questo è lo stato della giustizia del calcio, tutta di parrocchia – si colpisce la Juventus perché appartiene agli Agnelli, le sacrestie odiano i ricchi.
L’affare Osimhen era nelle carte anche della Procura di Torino, che però ha perseguito solo la Juventus. Anche le Procure della Repubblica sono di sacrestia?
Resta da vedere perché il Lille si sarebbe accontentato di venti milioni falsi. O non pagati sottobanco, con fondi neri, a presidenti e procuratori? Ma la logica è troppo chiedere a questa giustizia.
Viene da meravigliarsi, leggendo di queste vicende, ma anche da ridere. In fondo, è tale l’impunità che Chiné e soci, i procuratori laici, è come se vincessero allegramente le partite facendosi autogol: uno strapotere esibito, strafottente.

Pavese o del mal d'amore

Non è un titolo poetico postumo, di una qualche raccolta inedita, è un verso della produzione amorosa di Pavese poeta. Non nutrita, o forse sì, una cinquantina di testi sono compresi nell’edizioncina, ma tutti sicuramente “ardenti”. Dell’aspetto forse più trascurato di Pavese. Noto e celebrato filologo (anglista, traduttore, editore), classicista in petto e antropologo, perseguitato politico, suo malgrado, suo malgrado poco impegnato politicamente, narratore regionale, e poeta certo, idilliaco, elegiaco, mitico. Mentre visse e morì d’amore.
Proprio così, su toni melodrammatici. Per una incomprensibile inattitudine ad amare, tanto forte e costante quanto il bisogno. A creare una relazione, se non come possesso, esclusività. Al punto da sfiorare, sembra da certi componimenti, l’impotenza. Proprio, quella fisica, fisiologica - conoscendone la biografia al modo, si direbbe, di Nietzsche, che chiedeva in sposa, esclusiva, avvinta, qualsiasi donna lo guardasse mentre gli parlava. Tanto da morirne, suicida. Avviene di risfogliare questa pur minuscola brochure con meraviglia.
Cesare Pavese, Il desiderio mi brucia, Garzanti, pp. 92 € 4,90