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sabato 17 febbraio 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (551)

Giuseppe Leuzzi


Napoli in Sol maggiore, Sicilia in La minore
“È la più grande città al mondo che sta sopra un vulcano e mi piace la visione magmatica dei suoi abitanti”, Rumiz spiega, a proposito del suo libro sui terremoti, “Una voce dal Profondo”, a Staglianò sul “Venerdì di Repubblica”: “Venendo da un universo molto compartimentato”, da Trieste, compartimentato fra lingue diverse, popolazioni e ceti, “mi affascina il loro, dove tutto comunica con tutto, il sopra e iI sotto, la religione e la superstizione”, Nella “porosità” che Benjamin ha coniato per Napoli.
Arrivato a Napoli nel suo viaggio nel “Profondo”, nei terremoti del Sud, Rumiz elabora un’acuta anamnesi della differenza (inconciliabilità) tra la città e la Sicilia. Perché a Napoli si canta e si balla e in Sicilia no? Differenza che sintetizza nelle tonalità musicali: Napoli è in Sol maggiore, la Sicilia, malinconica, in La minore.
Un cliente che aspetta alla cassa in libreria di pagare un libro spiega a Rumiz la “porosità” che Walter Benjamin ha individuato come il tratto di Napoli: “Solo un tedesco poteva notarlo. Nel senso che qui Kant non funziona. I tedeschi hano un bisogno patologico di perimetri e di regole. Tutte cose che da noi non esistono. Per questo Benjamin le ha notate immediatamente”.
 
Libri in Calabria
Indispettisce la designazione di Taurianova Capitale del Libro 2024. Non solo i giornali leghisti, tipo “Libero”, anche quelli progessisti, tipo “la Repubblica” e il “Corriere della sera”. Che ne fanno un caso politico, un’estensione del sottogoverno (spoil system), essendo il sindaco di Taurianova Rocco Biasi, detto Roy, ex Forza Italia, eletto (unico eletto in Calabria) sotto la faccia di Salvini. Non conta che la commissione giudicatrice sia al di sopra del sospetto, e i criteri di aggiudicazione precisi. Né vale il patrocinio del sindaco e della giunta Pd di Reggio Calabria, città “metropolitana” cui fa capo anche la Piana: “Taurianova sta raccogliendo i frutti di una programmazione che fa della cultura un autentico volano di crescita e sviluppo del territorio”.
“la Repubblica” è arrivata a fare violenza all’onesta corrispondenza dell’inviato Giuseppe Smorto. Presentandola come reportage di bieco sottogoverno: “Taurianova grazie al Ponte è capitale del Libro” è il titolo in prima pagina – senza sapere che nella Piana l’idea del Ponte è solo sulfurea, una visione di distruzione delle belle spiagge che la fanno respirare, da Palmi a Bagnara, Favazzina, Scilla, Porticello, Cannitello, Punta Pezzo (del manufatto è scontata la devastazione, mentre la costruzione nessuno pensa di vederla completata). Peggio faceva il giornale all’interno, a corpo 48: “Miracolo a Taurianova il paese senza biblioteca che con la Lega diventa Capitale del Libro”. E con la dida alla fotina del sindaco: “Festeggia la vittoria che vale 500 mila euro di rimborso spese” - un tesoro?
Taurianova è, come molti toponimi in Calabria, di conio recente. Con riferimento prevalente alla mitologia (di radice micenea?) taurina, che condivide con Gioia Tauro, Taureana e altre località). Dato da Roma nel 1928 all’assemblaggio di due distinti borghi – inzialmente tre, ma Terranova subito dopo la guerra si riprenderà l’autonomia, ribattezzandosi Terranova Sappo Minulio. I due borghi erano  Radicena (il nome comunemente usato per Taurianova fino a due-tre generazioni fa) e Iatrinoli. Toponimo, quest’ultimo, di derivazione greca, che ha attinenza con saperi o cure mediche e medicinali. Questa vocazione il nuovo paese aveva perpetuato in un ospedale. Mentre diventava, con l’unificazione dei due borghi, anche sede mandamentale di pretura. È stato quindi per tre-quattro generazioni un paesone di notabili, proprietari terrieri (Taurianova è al centro della vasta selva di uliveti di alto fusto che connota la Piana), piccoli e grandi, medici e avvocati, e di villette con la palma. Specializzato anche in mostaccioli, i biscotti al miele. Un comune molto grande, fino ai comprensori di San Martino e  Amato, incorporando quindi (in parte, con Rizziconi) l’ex feudo della principessa Acton.
Senza più pretura dal 1989, e senza più ospedale, si è riprogrammata sul commercio, una sorta di piccola Gioia Tauro. Si è costruita una circonvallazione occidentale chilometrica, di palazzoni alla calabrese (senza intonaco/ senza tetto/ senza imposte/senza marciapiedi), di piccoli-grandi magazzini - lo sviluppo della Piana si fa sul modello Gioia Tauro, tutto commercio, a Taurianova come a Rosarno. E 
si è dotata di un mercato generale dell’ortofrutta. 

Il paese è rimasto integro, di case prevalentemente a due piani, post-1908, restaurate, su strade perfino pulite. Il vecchio decoro professionale, di avvocati, medici,  sanitari e insegnanti. Ma il cambio di destinazione produttiva ha generato un radicale ribaltamento sociale. Sfociato nelle costruzioni tipo circonvallazione, e negli anni attono al 1990 in una violentissima faida, con almeno 32 morti - ma già nel 1987 aveva stabilito un primato negativo, il primo scioglimento in Italia di una Usl da parte del governo per infiltrazioni mafiose. Con episodi oltraggiosi come una testa tranciata e lanciata in aria. Per questioni di droga, si è detto – la testa mozzata rende l’ipotesi plausibile, anche se le faide, genere oggi trascurato, anche dagli studiosi, sono, erano, di ferocia illimitata. Fu sull’emozione causata da questa faida che il ministro della Giustizia Martelli dell’ultimo governo Andreotti si costrinse a rimodulare, poco tempo dopo averla decretata, la normativa sullo scioglimento d’autorità dei consigli comunali per reati amministrativi, introducendo il criterio dell’antimafia. Con il decreto legge 164, del 31 maggio 1991. Una legge importante, gestita da Falcone, allora direttore Affari Penali al ministero della Giustizia, che si intitolava “Misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso”. Ma anche una legge ad hoc: in un certo senso Taurianova è nella storia, non un borgo sonnolento.

Contemporaneamente al peso amministrativo, Taurianova perdeva anche quello politico. Con l’eclisse della famiglia Macrì, potente braccio destro nel reggino tirrenico della corrente Dc di Base, referenti di Riccardo Misasi, forti nella sanità e nei servizi pubblici (Poste, Scuola), negli anni 1960-1980. Il padre Giuseppe soprattutto, medico, che fu anche presidente della Provincia, e ha intitolata la piazza principale del paese. La figlia Olga, medico anche lei, e ufficiale sanitario del Comune, sindaco per due consiliature dal 1983, la seconda sciolta in base al decreto legge 164, pochi giorni dopo il varo del decreto – anche in questo Taurianova è nella storia: il primo Comune sciolto “per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso”.
Olga viveva nel culto del padre. Suo fratello Francesco, detto Ciccio, sarà soprannominato “a mazzetta”, e incorrerà in una condanna a quattro anni. In realtà non era corrotto, nessuno lamenta che abbia preteso soldi in cambio, ma lavorava al motto: “i soldi ci sono, spendiamoli”, o anche “nessuno resta indietro”. Insegnante di francese alle medie, è stato per una ventina d’anni presidente della Usl 27, con 1.200 dipendenti e 50 miliardi l’anno da amministrare (25 milioni di oggi, che sembrano pochi, un appalto piccolo di Roma-Giubileo, ma cinquanta, quarant’anni fa erano una cifra).  Spensierato gestore, sarà condannato perché non osservava le procedure – Olga ufficiale sanitario era alle sue dipendenze, e così altre due sorelle, una dottoressa in ospedale e una accreditata presso uno studio di analisi mediche convenzionato con la Usl.
Una breve parentesi dopo i Macrì, e il commissariamento del 1991, fu aperta da Emilio Argiroffi. Un giovale messinese, medico, arrivato a Taurianova anche lui all’ospedale, comunista, poeta, che era stato senatore Pci, votato anche da Taurianova, per tre legislature. A capo di una lista civica  Argiroffi vinse le prime elezioni dopo i commissari, ma per pochi voti, al ballottaggio, e già di settant’anni.
Al voto successivo, 1997, il Comune tornò al Centro, ora Forza Italia, nella persona del sindaco attuale. Roy Biasi, allora 33 anni, uno delle giovani leve di Berlusconi, avvocato, nato in Australia e ritornato presto a Taurianova con i genitori, avviava una sua propria epoca. Verrà rieletto una seconda volta, e ancora un terza . Dichiarato decaduto dal prefetto per avere ecceduto i due mandati, poi in crisi col suo partito, tornerà nel 2020 con Salvini. E doppierà, quasi, il candidato Pd, sindaco uscente.
In Calabria non si legge molto – anche se si scrive molto. Le librerie stentano, editori e distributori non ci puntano. Vittorio Feltri, quando era al “Giornale”, prefazionava e vantava Totò Delfino, suo   corrispondente per la Calabria, per il motivo che “mi fa vendere 400 copie”. Non molte, si direbbe, e tutte a perdere, distribuite su un territorio ampio, a demografia parcellizzata, ma facevano opinione. Fino agli anni 1970 l’unico giornale di cronaca locale si faceva a Messina, la “Gazzetta del Sud”. Poi altre cronache locali si sono succedute, attorno a Cosenza, ma sempre in difficoltà. E le librerie si chiudono, più che aprirsi. Ultima la storica “Librarsi” a Delianuova, di Caterina Di Pietro.
Che senso ha dunque la festa del Libro a Taurianova? Quello che dice Falcomatà – che dice la giuria che ha preso la decisione. Perché l’attenzione non manca, né la curiosità – “Librarsi”, una libreria specializzata in cultura locale (letteratura, saggistica, questioni calabresi), ha tenuto per molti anni, malgrado la difficile localizzazione nel cuore dell’Aspromonte, affollate presentazioni, specie nei mesi invernali. Si tratta di focalizzarla, irrobustirla.
 
La lingua napoletana, o della dispersione
“La lingua napoletana (anticamente detta lingua napolitana) è un idioma romanzo - appartenente al gruppo italo-dalmata”, intima wikipedia, come d’uso anonima ma con piglio autorevole, “attestato fin dal Medioevo nell’Italia meridionale. Per italo-dalmate s’intende, sempre wikipedia, “un sottogruppo delle lingue romanze occidentali”. E ancora: “La lingua napoletana trae le proprie origini da un insieme più o meno omogeneo di antichi dialetti italo-meridionali, noti in epoca alto-medievale con il nome collettivo di volgare pugliese; tale denominazione storica derivava dal ducato di Puglia e Calabria (comprendente in realtà vaste porzioni dell’Italia meridionale) che, in epoca normanna, gravitava su Salerno, non a caso definita «la capitale della Puglia», in quanto sede principesca nell’ambito del regno di Sicilia”.
Qui c’è uno svarione – non proprio un errore, ma si vede che il linguista non è storico. Il regno di Sicilia ancora non c’era. E il ducato di Puglia e Calabria, così come il regno di Salerno, erano longobardi. I normanni entrarono in Italia alla spicciolata, nel primo secolo del secondo millennio, piccole bande di abili combattenti chiamate da questo o quel principe, più spesso il papa. Tra essi emersero gli Hauteville (Altavilla), e tra i vari componenti, zii e fratelli, presto emerse Roberto il Guiscardo. Che nel 1059 impalmò Sichelgaita, la figlia del principe di Salerno e duca di Puglia e Calabria (oltre che di Amalfi, Sorrento e Gaeta, nonché principe di Capua) Guaimario IV oV – dopo aver ripudiato la prima moglie Alberada (non c’era il ripudio nel diritto canonico, nemmeno allora, ma Alberada era una cugina del Guiscardo, e il matrimonio era proibitissimo tra consanguinei). Il suocero Guaimario era morto sette anni prima, e il successore, il figli Gisulfo II, cercò di frapporsi ai disegni degli Altavilla. Ma Sichelgaita decise in contrario – una principessa che è all’origine della fortuna dei Normanni nel Sud, e che si trascura. La sorella minore Gaitelgrima Sichelgaita sposò a un fratellastro del Guiscardo, Drogone d’Altavilla. L’opposizione di Gisulfo alle sue proprie nozze col Guiscardo semplicemente ignorò. E prese subito possesso del ducato di Puglia e Calabria a Melfi, capitale della signoria. Dove invitò, subito dopo il matrimonio, il papa Niccolò II, che vi levò la scomunica del Guiscardo comminata per la sua politica matrimoniale. Al papa organizzò anche un sinodo dei vescovi latini del Mezzogorno, passato alla storia come Concilio di Melfi. E lo portò a conludere il Trattato di Melfi, poi Concordato di Melfi, col quale il papa, prevaricando sulla giurisdizione imperiale, passava alcuni possedimenti longobardi ai normanni: il feudo di Capua e Aversa a Riccardo I Drengot, il ducato di Puglia e Calabria, col relativo titolo diduca, al Guiscardo.
Ma è vero il prosieguo, sempre wikipedia: .
“Tuttavia, a partire dal  XIIImo secolo la parte peninsulare dell’Italia meridionale ebbe quale centro propulsore la città di Napoli, capitale dell’omonimo regno per oltre mezzo millennio!”. Con punto esclamativo - con che soddisfazione di Puglia e Calabria non si dice.
Se ne parla oggi per Sanremo. Il rapper Emanuele Palumbo, 24 anni a marzo, in arte Geolier, che dovrebbe voler dire (in francese) carceriere, ha preteso, e ottenuto, di cantare in napoletano, in quanto “lingua” – il regolamento del festival non vuole dialetti. E per questo ha suscitato malumori. Non nel pubblico, in sala stampa. La quale si è rifatta bocciandolo al concorso - schierando l’enorme peso dei suoi pochi voti a favore della giovane virtuosa Angelina Mango, 23 anni. Ma tutto questo è arcinoto. Perché parlarne? Perché Napoli ha reagito male alla provocazione: con manifestazione plebiscitaria di piazza, sindaco in testa, ha proclamato Geolier vincitore. Un vincitore che presto dimenticherà? Sì.
Napoli è una capitale. Sembrerebbe, vista da fuori. Ma, sembra, incredula di se stessa. Gioca sporco ma gioca anche pulito. Specie, per esempio, al calcio, oltre che nelle canzoni: ha sempre vinto campionati in bellezza e scioltezza, anche quado non ha vinto (con Sarri e Higuaìn). Ma subito poi si è mutilata, con Ferlaino di Maradona prima, con De Laurentiis di Higuaìn prima e poi di Spalletti. Non si crede. O non si cura di se stessa, di accumulare. Ma le lingue servono per affermare, non per negare. La lingua napoletana, o napolitana, si direbbe dello spreco.
 
Cronache della differenza: Puglia
Il Salento si pone, nella riscoperta grecità, nel culto di Minerva. Il ritrovamento a Castro, peraltro in origine Castrum Minervae, della supposta Minerva dell’“Eneide”, del terzo canto del poema, una statuetta bronzea di Atena con elmo frigio, al centro del basamento di un grande tempio, rilancia la penisola nel culto di Atena. Con una contaminazione:  Minerva celebra indistintamente come Atena. Il Salento si vuole greco, ma senza rinunciare alla latinità.
 
Anche il santuario di Santa Maria di Leuca era, come il tempio di Castro, dedicato a Minerva. E gli ulivi: sono il dono di Minerva. Questa era già la leggenda nel Salento. In competizione con Nettuno per la riconoscenza (venerazione) dei salentini Minerva donò gli ulivi, Nettuno il cavallo - Minerva vinse facilmente.
 
È singolare, sintomatica, la ricorrenza dei cognomi in Salento e nella Calabria Ulteriore, reggina, per la comune persistenza della grecità del linguaggio, nel culto religioso e nella comunicazione verbale, fino alla latinizzazione perseguita dal papato dal XIImo al XVI secolo, a aprtira dai Normani: Arcuri, Arghirò, Attanasio, Codispoti, Cannatà, Condò, Cuzzocrea, Crisafulli, Foti. Laganà, Spanò, Tripodi,  Zuccalà, Zappalà, Praticò, Romeo, Politi-o, tra i tanti.
 
Nelle campagne di Foggia grossi quantitative di ecoballe inquinanti vengono sversati da automezzi pesanti. Con danni ai terreni, al foraggio e alle coltivazioni. Rifuti che i proprietari devono poi provvedere a bonificare, con forti spese. Al punto che il Comune ha deciso di provvedere alla bonifica, sostituendosi ai proprietari – cui resta poi l’onere della riqualificazione. La cosa interessa “Striscia la notizia”, non le forze dell’ordine.
 
Le “forze dell’ordine” al Sud non proteggono il capitale? Non sono lì per questo. Come al tempo dei rapimenti di persona. Tra le tante “anonime” terribilissime. Che poi si sono rivelate bande di mezzi trogoliditi, o sbandati, gente da poco.   
 
Attraversando la Puglia per imbarcarsi a Brindisi, Corrado Alvaro annota in “Quasi una vita”: “In treno, ancora addormentato, distinguevo il Sud, il mio paese, percependo il suo silenzio, quel silenzio tutto suo, remoto, sterminato. E dal finestrino ritrovavo aspetti del mio paesaggio infantile: immutato, e come se mi si rivelasse e non volesse più sapere di me”. Come un padre di molti figli.
 
Suonano false le serie Rai “pugliesi”, o baresi. La “Lolita Lobosco” di Gabriella Genisi, che pure ha interprete Luisa Ranieri, e la regia di Miniero, e quest’anno “Il metodo Fenoglio”, che pure è tratta da Carofiglio e ha protagonista un altro divo, Alessio Boni. A differenza di “Imma Tataranni”, inverosimile serie lucana, di Matera, che invece dice quello che è. Bari viene parlata come quella di “se parigi avesse lu mèri….”, quasi cosmopolita,  senza verosimiglianza. Cioè senza “carattere”. Che è dato dal dialetto, dalla cadenza perlomeno – dalla “parlata”.
 
Due giudici antimafia di Lecce, provincia “babba”, la pm antimafia Ruggiero e la gip Mariano, sono sotto tiro. A Mariano è stata recapitata “la testa mozzata di un capretto”, racconta il “Corriere della sera”. Ruggiero doveva essere sgozzata da un finto pentito, in carcere, nell’interrogatorio di convalida del pentimento, con un’“arma rudimentale (realizzata con cocci di ceramica) precedentemente occultata nel retto”. Mafia o farsa?
Le due giudici sono “destinatarie anche di lettere minatorie, alcune delle quali addirittura recapitate a mano in ufficio, firmate col sangue, e contenenti anche riferimenti a rituali satanici”.

leuzzi@antiit.eu

L’amore è divino

“Cento versioni di una poesia di Saffo”, da Catullo a oggi, nella poesia francese, a partire dal 1556, dalla prima stampa in francese del trattato di Longino (“Del sublime”) che la trascrive – ma il sonetto IV di Louise Labé che avvia la serie è del 1555: aveva saputo di Saffo dall’edizione italiana di Longino, di Aldo Manuzio, dello stesso 1555? Da Labé a Ronsard, Boileau, Lamartine, Dumas (“Les Étoiles du monde”, “La San Felice”), Renée Vivien, Brasillach, Marguerite Yourcenar tra i tanti. Raccolte da Philippe Brunet, ellenista, cultore della commedia e la tragedia greche, specialista della fonologia del greco antico, un maschio. Che le dedica “alle ragazze, alle donne, alle femministe, agli amatori di queste tre categorie, ai misogini, alle amanti, agli amanti, ai cercatori di curiosità, agli specialisti del tema, del campo lessicale e della variante……”, a tutti e a ognuno. Ma più probabilmente alle lesbiche, di cui Saffo è celebrata portabandiera, ancorché forse senza colpa - e più quando, era ancora ieri, non se ne poteva parlare.
Il poema s’intende della “maschia Saffo” di Baudelaire, “l’amante e il poeta” – “amante” al femminile in francese. Anche se è, si vuole, giocato sull’ambiguità, evitando abilmente, quindi volutamente, il genere: tutto è possibile, che parli una donna gelosa di un uomo a un’altra donna, oppure un uomo geloso di un uomo, sempre a una donna, o una donna gelosa di una donna a un uomo. Dell’ambiguità di genere, ma anche e di più del sentimento, della sensualità, del volere e disvolere. Karen Haddad-Wotling, la comparatista, cui è affidata la prefazione, ne sottolinea il gioco con Racine, “Fedra”, atto II, sc. 2: “Presente, vi fuggo; assente, vi trovo” – “come un modo di evocare l’assenza dell’essere amato”.
Non è una raccolta sulla traduzione, sull’arte e le difficoltà del tradurre. Haddad la apre con Petrarca, il sonetto 134: “Veggo senza occhi, et non o lingua, et grido”. Sono cento testimonianze di un poema sensuale. In qualsiasi versione, e molte prendono l’originale a pretesto per divagazioni, riflessioni, esaltazioni - l’unica versione modesta della raccolta, tal quale (dopo quella parziale di Catullo, che a lungo fece testo, oscurando Saffo) è di Marguerite Yourcenar. E come tale carnale, come prima poesia del canone opera di una donna, e poesia d’amore.
L’idea della raccolta è “una sorta d’illustrazione, sempre vana, del Libro mallarmeano”, nota Haddad. O anche la realizzazione di una combinatoria cara a Valéry (che non vale spiegare). Oppure “un «oggetto» poetico” analogo alla “macchina da sonetti” di Queneau. O semplicemente “una riunione di variazioni”. Brunet, all’ultima nota dell’ultima pagina, spiega che l’idea gli è venuta da tre filologi italiani, Carlo Maria Mazucchi, Salvatore Nicosia e Salvatore Costanza – il primo per la sua edizione di Longino, “Del sublime” (“un certo Longino”….), che apre la fortuna di Saffo, e la indirizza. 
Oggi trascurata, Saffo è stata un feticcio fino a recente – i diritti lgbtqia hanno fatto irruzione da poco, anche se a grande velocità. Non molto tempo fa (2015?), alla libreria Libraccio di Roma in via Nazionale, una giovane donna di lingua spagnola al reparto poesia voleva che si confermasse alla sua amica – peraltro imbarazzata dalla foga (amica di penna? conoscenza casuale fra turiste? parentela?) – lo speciale erotismo della poesia. Nella edizione Feltrinelli (del 2015), che lo esplicita in copertina. Nella versione di Quasimodo, che è la più diretta – semplice, un calco dell’originale:
A me pare uguale agli dèi 
 chi a te vicino così dolce 
 suono ascolta mentre tu parli 
 e ridi amorosamente. Subito a me 
 il cuore si agita nel petto 
 solo che appena ti veda, e la voce 
 si perde nella lingua inerte. 
 Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle, 
 e ho buio negli occhi e il rombo 
 del sangue nelle orecchie. 
 E tutta in sudore e tremante 
 come erba patita scoloro: 
 e morte non pare lontana 
 a me rapita di mente.” 
Curiosamente, Saffo è sempre quella dell’“un certo Longino” di Brunet, del trattato “Del sublime”: “Saffo descrive ogni volta le affezioni provocate dai trasporti amorosi come ciò che li accompagna e con la verità stessa. E dove rivela la sua eccellenza? Quando è capace di riunirle e concatenarle nelle loro espressioni estreme e le loro eccessive tensioni” – “in un solo movimento va a cercare l’anima, il corpo, l’udito, le lingue, la vista, la pelle,  come altrettanti elementi estranei che si allontanano da lei, e come, contraddittoriamente, lei gela e brucia, sragiona e riflette”, in “un concorso di sentimenti”.
Sappho, L’égal des Dieux, Allia, pp. 143 € 7

venerdì 16 febbraio 2024

La Germania riarma

A lungo indifferente, e quasi ostile, all’organizzazione militare della difesa, la Germania pone il riarmo al centro del dibattito politico. Si discute la reintroduzione della ferma militare. Il ministro della Difesa, Pistorius, imbarcato al goveno solo un anno fa, oscuro ex sindaco di una media città, Osnabrück, e ministro dell’Interno della Bassa Sassonia, un medio Land, è il personaggio più popolare. Con lo stanziamentio speciale di 100 miliardi per la Difesa, la Germania rilancia gli armamento, di terra, e dell’aviazione. Per la ferma si discute del “modello svedese”: dalleleln co dei ciciotenni si scegli un certo nmer di coscritti, su base volontaria, o nn difetto epr coscrizione obbligatoria. In S vezia sonoarruoalti frai 5 e i 10 milasoldati, n Germania si discute di una cifardieci volte tanto.
Si discute anche di un riarmo atomico “europeo”. Il tema è stato posto dall’ex ministro degli Esteri, ex leader dei Verdi (ora contrari alla coscrizione obbligatoria), Joschka Fischer. “Dobbiamo ripristinare la nostra capacità di deterrenza”, sostiene Fischer, “la Ue avrà bisogno del proprio deterrente nucleare”. La Gran Bretagna ha i sottomarini nucleari, la Francia ha l’atomica, ma, si dice, userebbero questa deterrenza a difesa della Lituania, o della Polonia? Da qui il passaggio necessario a una qualche forma di “deterrenza europea”.

Amore, lo pagherai caro

Un racconto di amore e morte, è il caso di ridirlo. Di una dark lady di paese, ma decisa a tutto. Con un’apertura lussureggiante - forse la sola rappresentazione “dal vivo” di una coppia a letto, clandestina, arrapata. Ma poi stucchevole, la suspense è presto ripetitiva. Con un finale senza appello, e quasi una condanna morale – da che pulpito! - dell’amore fuori del matrimonio. Amaro, come è dei romanzi “duri” di Simenon. Ma beffardo, più che drammatico.
Dapprima coinvolgente, poi irritante. Si salva col razzismo: lui, colpevole e vittima, diventa presto in paese “quell bastardo di uno straniero”. Perché, si sa, “nessuno è più bugiardo degli italiani”. Ma questo è marginale, nella narrativa stucchevole.
Georges Simenon, La camera azzurra, Adelphi, pp. 153 € 12

giovedì 15 febbraio 2024

Problemi di base bellicosi - 790

spock


Senza Putin, e senza Netanyahu, non ci sarebbero le guerre?
 
E senza Zelensky, e Hamas?
 
“Solo la violenza può servire, dove regna la violenza”, B. Brecht?
 
“La violenza non è forza, ma debolezza”, B. Croce?
 
“Aiutano solo i forti, le lacrime;\ i deboli, li ammalano”, Dietrich Bonhoeffer?
 
La violenza fa bene, fino a un certo punto?

spock@antiit.eu



Memorie grate dell’antica Roma – in lode dell’impero

Cronache dell’antica Roma, per lo più. Nerone brutto e sciocco, battuto a Olimpia da un pastore al canto. “L’arrivo degli Unni”, nel quadro delle divisioni feroci in teologia del mite cristianesimo a metà del quarto secolo. La fine di Cartagine – “anche Roma cadrà” è la profezia di “una saggia”  delle isole Cassiteridi (o “isole dello stagno”, annota la traduttrice,”l’attuale arcipelago britannico”). Lo sbarco in Britannia dei benefici Sassoni, “gente di spada” e di buonsenso. L’incontro di un ricco mercante bizantino con Maometto, carovaniere, nel deserto africano.
La più lunga è quella dell’imperatore Massimino, Massimino il Trace, due metri e mezzo d’altezza, il primo imperatore barbaro, eletto dai suoi soldati, e poi, dopo due anni e mezzo, da loro stessi accoppato, nel campo davanti “alla città fortificata di Aquileia. Partendo dalla fine dell’impero romano, pacifico, in Britannia, abbandonata ai Picti, agli Scotii, ai pirati vichinghi.
Racconti simpatici, come un ricordo di cose note, non di avventura. Il piano, meticoloso, Conan Doyle indulge qui all’eroismo, ma in parole semplici. All’ombra dell’imperialismo saggio e benefico. Il racconto della fine di Cartagine, “L’ultima galea”, termina gnomico: “Compresero troppo tardi che la legge del cielo vuole che il mondo venga dato ai vigorosi e agli altruisti, mentre chi è pronto a rifuggire gli obblighi della virilità verrà ben presto privato dell’orgoglio, della ricchezza e del potere, che sono i premi che la virilità porta con sé”.
Una raccolta tarda, 1925, di racconti in parte già pubblicati a partire dal 1902. A cura, e con introduzione e note, di Elisa Frassinelli (con un “Sea Point” sfuggito a p, 117 - sul Bosforo, al tempo di Costantinopoli?). Che pone l’accento sull’interesse popolare per i racconti storici, dell’antica Roma e degli antichi imperi, cartaginesi, unni, romano naturalmente, nel quadro del generale furore colonialista, imperialista – il fenomeno del “jingoismo”, variamente analizzato dagli storici dell’imperialismo (John Atkinson Hobson et al.) studiato.
Arthur Conan Doyle, L’ultima legione altri racconti di tanto tempo fa, Clichy, pp. 184 € 15

mercoledì 14 febbraio 2024

Lo Stato in affari e la demolizione di Taranto

Va al Senato Lucia Morselli, amministratore delegato di Acciaierie d’Italia (l’ex Ilva di Taranto) e dice con semplicità cose semplici. L’azienda ha “un enorme eccesso di personale”. I debiti sono pochi: “Sulla stampa si parla di 3,1 miliardi. Di fatto il debito vero è un po’ meno di 700 milioni, di cui è scaduto solo la metà”. E il vero problema è che gli impianti non sono di proprietà, per cui è impossibile farsi finanziare dal sistema creditizio: “Acquistandoli, si risolverebbero tutti i problemi”.
L’informazione è superficiale, e questo è un problema (nel giornale Morselli non c'è) – è un mestiere in rapido deperimento. Non solo su Taranto e non da ora. Ma il problema vero è che tutta l’informazione sbagliata è opera e materia della politica. Che lo Stato in affari è stato, è, e sarà una catastrofe.
Si dice lo Stato, ma s’intendono i vari governi, centrali, regionali, comunali, ossia la politica. La politica sa fare i suoi affari, che però non sono quelli dello Stato, dell’interesse pubblico, della stessa fabbrica che dice di proteggere
. 

Un’Europa di nati dall’estero

Spulciando i dati demografici di Eurostat, la centrale statistica europea, la tendenza è delineata verso un’Europa sempre più abitata da immigrati, recenti. Se in Italia la percentuale di nati all’estero è limitata, nel contesto europeo, attorno al 10 per cento, la tendenza invece è forte e in  crescita in Germania, e robusta in Centro Europa: Svizzera, Austria, Belgio, Olanda, Svezia, Norvegia.
In Germania i nati all’estero sono il 19 per cento della popolazione residente, cioè oltre 15 milioni, quasi uno su cinque. Analoghe le percentuali per l’Austria (21 per cento), il Belgio (18 per cento), l’Olanda (15 per cento). In Svezia i residenti nati all’estero erano due anni fa il 20 per cento della popolazione, due milioni, uno su cinque. In Norvegia il 17 per cento. Con un record per la Svizzera, 30 per cento, quasi uno su tre.
In crescita sono i “nati all’estero” di provenienza non europea. In Germania nove milioni di nati all’estero vengono da psesi non europei, il 60 per cento. E la proporzione è in aumento: l’ultimo dato censito, il 2021, dà sulle quasi 100 mila nuove acquisizioni di cittadinanza una quota del 75 per cento di non europei.  
Negli altri paesi europei l’incidenza dei nati all’estero è minore, ma ovunque in ascesa. In Spagna sono il 16 per cento della popolazione, in Francia del 13 per cento – in Italia il 10. In tutt’e tre i paesi gli stranieri residenti non europei sono mediamene due terzi del totale, circa il 70 per cento.

La speranza nel dolore

La vicenda eroica di Luca Trapanese, giovane operatore a Napoli nel volontariato per i bambini con problemi, buon credente, ma gay, che si vede rifiutare dapprima, da una giudice sbrigativa, l’affido di una neonata down che nessuno vuole, ma finisce poi per ottenerne l’adozione, rappresentata con garbo. Il fatto è noto, ma il taglio di Mollo – la sbrigatività della giudice (Bobulova) confrontata dalla riflessività del giovane (Pierluigi Gigante) – crea la giusta tensione, non eccessiva, non scontata. Si finisce per sorridere di quel mondo drammatico, di bambini con problemi. 
Fabio Mollo, Nata per te, Sky Cinema

martedì 13 febbraio 2024

Letture - 543

letteruatore


Arthur Conan Doyle
– Scrittore da sempre: a 14 anni fondò una sua propria rivista, “The Stonyhurst Magazine”. Con propensioni presto definite: il primo racconto pubblicato, a vent’anni, s’intitola “Il mistero di Sasassa Valley”.
 
Camilleri
– Riteneva “suo” genere il romanzo storico, mentre scriveva tanto “Montalbano”. Che però considerava – così diceva – con insofferenza e perfino con irritazione. Tale e quale Conan Doyle con Sherlock Holmes e i racconti e romanzi storici. Le geremiadi dell’uno e dell’altro, pro romanzo storico e contro le loro creature sembrano però rispondere a un cliché – comprensibile in entrambi, l’uno idolatrava Walter Scott, l’altro Manzoni. Salvo compiacersi, nei momenti di disattenzione?. delle loro creature, Conan Doyle scrivendo alla madre, Camilleri specialmente nelle presentazioni televisive dei film di Carlo Degli Esposti e Alberto Sironi.
 
Dante
– La “Divina Commedia” all’opera era inevitabile, e si riprende ora a Roma, al teatro Brancaccio, “La Divina Commedia Opera Musical”. Libretto di Gianmarco Pagano e Andrea Ortis. Una composizione di Marco Frisina, il massimo compositore contemporaneo di musica sacra. Andata in scena nel 2007, e poi sempre ripresa, ogni anno, dal 2018. In spazi fuori dai teatri classici dell’opera. Esplora il viaggio di Dante come il viaggio dell’amore. Non escludendo l’Inferno. Si passa per Caronte, Ugolino, Francesca naturalmente, Pier delle Vigne, Ulisse, prima di giungere a Pia naturalmente, Guinizelli, Manfredi, Arnaut Daniel, Matelda, e poi Beatrice, Piccarda, san Tommaso, san Bernardo. Un “musical”, quindi con molte coreografie, molto ritmo-movimento.
 
Frammenti
– “Antonio Gramsci e Walter Benjamin devono non poca della loro fortuna internazionale alle forme provvisorie in cui ci sono giunti molti dei loro scritti”, Gabriele Pedullà, “Il Sole 24 Ore Domenica” 4 febbraio – “centinaia o migliaia di pagine di appunti per una o più opere da scrivere, densi di intuizioni spesso geniali ma non verificate e non sviluppate”.
 
Gattopardo – Lo storico del cinema Alberto Anile, ricordando sul “Robinson” il film che del “Gattopardo” fece Visconti, e che da allora fa testo per il romanzo, pur tradendolo radicalmente, elenca una serie impensabile di stroncature del romanzo all’uscita, come se già fosse il film dei “gelati squagliati” di Visconti, della nobiltà decrepita: “Piuttosto vecchiotto e non sufficientemente equilibrato” (Vittorni),”raffinato qualunquismo” (Sciascia), “senso generale di noia” (Dal Sasso – Severino?), “deficienza ideologica” (Alicata), “un Gattomorto, sia detto senza ironia” (Falqui), “un libro da bancarella” (Contini), “dannoso in quanto è servito alla restaurazione puristica” (Pasolini), “classico minore” (Moravia),”un libro mediocre, di secondo piano” (Asor Rosa).
 
Gesti – Il linguaggio dei gesti, venuto alla ribalta in America per l’uso che ne ha fatto in un match  un giocatore italoamericano di football molto popolare, Tommy De Vito – le dita di una mano unite, “a caciofo”, agitate per significare “ma che dici?”) – Ian Fleming, inviato speciale del “Sunday Timnes” nel 1960 a Napoli,  trova “oscuramente legato alla virilità” – la corrispondenza è ora riproposta nella riedizione di “Thrilling Cities”.
La “virilità” è, era, si può dire con altrettanta sicumera, il tormento degli scrittori inglesi.
 
Knausgård – Lo scrittore norvegese concorrente di Jon Fosse, il Nobel norvegese del 2023,  fluviale quanto lui, fece scalpore dieci anni fa al completamento di un romanzo in molti volumi, almeno sei, migliaia di pagine, che intitolava “Min Kamp”, la mia lotta, tipo Hitler, sulle pappe da bambini – così diceva la pubblicità - da lui preparate, e sui pannolini da lui cambiati. Forse per invogliare le mamme – se i lettori di romanzi sono, come si dice, soprattutto lettrici. Anche perché, testimoniava Barbara Stefanelli su “7”, il settimanale del “Corriere della sera”, si presentava “bello, norvegese, classe 1968, anno fatale, alto, capelli lunghi biondi e brizzolati insieme”. Un principe azzurro in congedo parentale.
 
Morante – Una bambina, capricciosa, nel ritratto che Dacia Maraini le ha dedicato sul “Corriere della sera” domenica 4 febbraio. Di “infantile e fantasiosa crudeltà”. Un amore vantando per un “un ragazzo bello, tossicodipendente e omosessuale”, che non la degnava, anzi non la guardava nemmeno (“oggi penso che il segreto del suo amore potesse venire da una lontana sognata discendenza provenzale”….). Un ritratto scritto in occasione dell’uscita su Rai 1 della miniserie tratta da “La storia” – che i tanti attori bravissimi e un montaggio rapido non riescono a liberare dal profuso bozzettismo.
 
Novecento – Quello letterario va riscritto, si opinava quindici anni fa su questo stesso sito. Prendendo spunto da una battuta di Cesare Cases per i suoi ottant’anni, in cui stigmatizzava sorridendo il criterio dominante della “fedeltà politica”, al Pci: stare nel partito Comunista “rappresentava una garanzia di potere, sopratutto intellettuale”.
Una fedeltà che “si nutriva di ostracismi”, si commentava. Citandone alcuni: Corrado Alvaro, Dino Buzzati, Mario Soldati, Salvatore Satta, Guido Morselli, Aldo Palazzeschi, Primo Levi, uno dei capisaldi del secondo Novecento, Giovanni Arpino, Carlo Cassola, che ne soffrì molto, Vitaliano Brancati, Paolo Monelli, Guido Piovene, Ercole Patti, Ennio Flaiano, Tomasi di Lampedusa, perfino Landolfi, e lo stesso Arbasino. “Poche le persone libere e non censurate”, si aggiungeva: “Debenedetti (che però non poté avere la cattedra, e fu precario per una vita), Contini (che però ha fatto tanti danni, dal Dante pietroso a Pasolini sopravvalutato)”.
Non c’erano, nell’ortodossia e fuori, le scrittrici. Deledda, premio Nobel e tutte le altre, Serao, Aleramo, Guglielminetti, Antonia Pozzi. E più nel secondo Novecento: Ortese su tutte, e Natalia Ginzburg, Masino, De Cespedes, Manzini, anche Anna Banti. Mentre si ridimensiona Elsa Morante. E Dacia Maraini, che non esce dall’ombra - il femminismo non basta.
 
Testori – Sempre rimosso, malgrado le recenti celebrazioni? Un incredibile scivolone lo cancella dall’intervista di Sandro Luporini, il cervello delle canzoni di Gaber, sul “Venerdì di Repubblica” – Luporini è 94nne, ma lo svarione è sfuggito sia a Riccardo Staglianò, che non è l’ultimo arrivato, l’intervistatore, sia alla redazione, che ha riletto e editato il testo. Luporini parla di Céline, “orribile persona” ma suo “autore di riferimento”, e poi continua: “Antonio Tabucchi (sic!), di cui ho ammirato Il ponte della Ghisolfa, era il suo corrispettivo moderno, con la stessa attenzione per gli ultimi”.
Oppure è a Tabucchi che Luporini si riferisce – la frase successiva è su Pessoa e Il libro dell’Inquietudne – e sbagliata è la citazione Il ponte della Ghisolfa? Ma Tabucchi non c’entra con Céliene, né con gli “ultimi”.
 
Volponi –Si recupera, si riedita, si ripropone per il centenario con l’immagine di una autore svelto, disimpegnato, poliedrico, sempre giovanile. Ma l’immagine perdura di un altro Volponi, anti-industrialista ma affannato, così descritto nel romanzo di Astolfo in via di pubblicazione “La morte è giovane”, come visto a Urbino nel 1974, in occasione di un megaconvegno organizzato dall’Eni per lanciare una politica anti-inquinamento anche in Italia – in due passi de “La morte è giovane”: “Curioso s’aggira Volponi, industrialista deluso. Che mette “gli Agnelli sotto processo”, sul Corriere. Ora che gli Agnelli non sono più padroni del giornale. Volponi traccia la storia della “famosa famiglia di Torino”, e dice: “Agnelli vuole solo buone maniere, buone notizie e divertirsi. Ascolta, capisce, rimuove, sorride e parte dopo dieci minuti”, le cose che ha scritto Scalfari nel celebre “Avvocato di panna montata”…...
“L’Avvocato Agnelli fa passerella, col figlio Edoardo e il nipote Giovannino.
Volponi immemore li precede in atto di cicerone, il testone agitando e le mani, gli occhi cerchiati, il lutto al risvolto, lucido il nodo della cravatta nera, allentato sul bottone, la camicia bianca sdrucita. Ha scritto il romanzo dell’Italia frammentata di Cattaneo e Pisacane, che intitola Il sipario ducale, spiega all’Avvocato. Che non smette l’occhio vispo, insieme hanno appena celebrato il centenario di Porta Pia e l’unità, e brunito, asciutto, claudicante, interloquisce senza affettazione. Ha rischiato di avere patrigno e mentore a quindici anni Malaparte, non fosse stato per il nonno, che saggio spiegò l’errore alla madre Virginia, inesausta malgrado i sette figli, non teme Volponi. I due cugini, ricci, smilzi, in maglietta, si divertono alle loro cose. I ruoli saranno altri, ma così appaiono: sterile l’impegno, impegnata l’aristocrazia. L’Avvocato è venuto per il presidente Leone, e i Trecentisti. Volponi ha la passione del Seicento, e la tentazione di Christie’s, a prezzi miliardari, che dice “una vertigine”. Il “poeta poetico” di Pasolini, che se ne fa maestro benché coetaneo. Ha la sindrome dell’Avvocato, che, per ironia o distrazione, si adegua al ritratto ostile. Ma poi che gusti può avere l’intellettuale se non quelli del principe, magari a debito, si è intellettuali per questo, per uscire dal fango”.


letterautore@antiit.eu

Il sogno bello dell’Italia che si avvera

I ragazzi genovesi che sognarono l’Italia. Bravi ragazzi, di buona famiglia, incoraggiati e finanziati dai coniugi Rebizzo e Raffaele Rubattino. Seguiti nella loro rapida maturazione politica, in pochi mesi, fino alla spedizione come volontari in Lombardia nel 1848 – e successivamente a Roma, con Mazzini e Garibaldi. Attorno a un Nino Bixio calamitante – uno straordinario Amedeo Gullà (una scoperta del produttore Agostino Saccà, un attore calabrese che sa essere il più “genovese” di tutti). E all’adolescente Mameli, che un amore infelice porta alla consapevolezza del bene e del male, e il lirismo indirizza al “Canto Nazionale”. Contrabbandato alla processione cittadina dell’Oregina, che trentamila persone finiranno per cantare in coro.
Eccellente anche Barbara Venturato, scelta felicissima per Geronima Ferretti, soprattutto nella drammatizzazione estrema che lo sceneggiati impone alla vicenda. Geronima e Goffredo, compagni d’infanzia, si ritrovano naturalmente innamorati quando lei esce dal collegio - impossibile non innamorarsi di lei, che sceneggiatura e interpretazione fanno irresistibile. Se non che il gesuita che domina in casa Ferretti la destina a un vecchio nobilastro. Una storia senza fine, che lo sceneggiato fa finire (melo)drammaticamente.
Un’idea e una produzione di Agostino Saccà. Una rappresentazione ordinata, semplice, che emoziona – per una volta non commemorativa, stentorea (si parla di queste cose per i centenary). Il Risorgimento è stato l’unica vera rivoluzione europea dell Ottocento, popolare cioè, unitiva e non divisiva, sentita, combattuta contro ogni handicap - fino a Teano. E tale fu vissuta in tutta l’Italia, dalle Americhe, e dall’Europa intera. Dai popoli dell’Est, in vario modo sottomessi, ma anche a Londra, negli Stati tedeschi, nella Francia non ufficiale. Mameli morirà giovane, ma resta vivo.   
Luca Lucini-Ago Panini, Mameli – Il ragazzo che sognò l’Italia, Rai 1, Raiplay

lunedì 12 febbraio 2024

Sostituzione etnica impossibile, causa burocrazia

L’assunzione di un “cervello” straniero, in un centro di ricerca, in un’azienda, richiede un anno almeno di lavoro burocratico. Se il centro, o l’imprenditore, ha le chiavi giuste per fare marciare la pratica. In Germania, che i “cervelli” stranieri anche per questo preferiscono, la procedura è più breve, ma prende comunque sei mesi, per pratiche (“Die Zeit”) “di una complesità senza pari”.
Per Eurostat, più di tre quarti delle imprese europee fatica a trovare le competenze di cui ha bisogno. Unioncamere rileva che la percentuale di assunzioni “di difficile reperimento” è stata del 49 per cento a dicembre, di una su due assunzioni da fare. Ed era del 33 percento a fine 2020, una su tre, e del 22 per cento nel 2017, una su quattro. Un deficit generato, per tre quarti, dalla “mancanza di candidati” – solo un’assunzione mancata su quattro è imputata all “preparazione inadeguata””, cioè alla scarsa formazione: per gran parte delle posizioni mancano fisicamente i candidati.
Da cinquant’anni l’Italia è diventato un paese di forte immigrazione, in analogia con quanto avveniva da tempo per i vecchi soci fondatori della Unione Europea, Benelux, Francia, Germania. Ma non si è occupata di organizzarsi. Un’analisi redatta dalle associazioni che hanno promosso la campagna “Ero straniero” documenta che nel 2022, a fronte di 209 mila domande, per i 69.700 ingressi previsti dalle “quote”, i nullaosta concessi sono stati 55 mila. E non perché le domande non avessero i requisiti necessari, ma perché non sono state “processate”.
 

Cronache dell’altro mondo - migratorie – (255)

A dicembre hanno attraversato il Rio Grande, la frontiera Messico-Stati Uniti, oltre 302 mila migranti – di cui 11.700 bambini. Numeri censiti dalla Homeland Security, sicuramente inferiori al numero reale. È il maggior numero di sempre di passaggi illegali di frontiera in un solo mese.
Il numero degli immigrati alla frontiera con il Messico è cresciuto rapidamente nel secondo semestre del 2023. A fine agosto i nuovi immigrati negli otto mesi 2024, oltre 2,5 milioni, avevano quasi pareggiato il totale del 2022, di 2,7 milioni. A fine settembre l’avevano superato, con 2,8 milioni nei nove mesi.
Il flusso è continuato a livelli alti a ottobre, con 240 mila arrivi (benché mancassero i migranti dal Venezuela, intimoriti dalla minaccia di Biden di “deportare” - rimpatriare - i “nuovi” immigrati, che non avessero alcuna relazione di parentela negli Stati Uniti da far valere). A novembre i nuovi arrivi sono stati 242 mila.
In tolate il 2023 ha registrato 3,6 milioni di immigrati, un record. Per lo più nuova immigrazione, senza più legami familiari o parentali con residenti negli Stati Unti, dopo precedenti immigrazioni.

Le città di 007, un po’ barbose

Sporcizia e disorganizzazione in Italia, a Napoli e dintorni – e un eccesso di rumorosità, “oscuramente collegato”, con la gesticolazione, “alla virilità”. E questo si può capire: la virilità ossessionava, allora, gli inglesi. Se non che il custode del lupanare di Pompei è inflessibile: la moglie di Fleming non può entrare, e anche questo irrita l’illustre visitatore. Punti d’interesse i ristoranti gestiti da un paio di gentildonne britanniche. Lucky Luciano, convocato all’Excelsior, è ininteressato e mutangolo.
Un diario di viaggio poco utile, e poco interessante. Quattordici ritratti rapidi di città, per brevi aneddoti, di cose viste – e britannici vecchio stile (con la puzza al naso), benché scritti nel 1959-1960. Un’operazione, pare, controvoglia, solo per una sorta di sdebitamento verso il  vecchio settimanale di Fleming giornalista prima di James Bond, il “Sunday Times”. Nel 1959, su insistenza del giornale, Fleming si sobbarcò a visitare otto città: Hong Kong, Macao, Tokyo, Honolulu, Los Angeles, Las Vegas, Chicago e New York. Tre gironi l’una, compresi l’arrivo e la partenza, poche ore disponibili per vedere qualcuno o qualcosa, ovunque contovoglia. L’anno successivo replica, in automobile, in mezza Europa: Amburgo, Berlino, Vienna, Ginevra, Napoli e Montecarlo.
L’edizione riprende quella proposta nel 2006 dall’infaticabile Andrea Carlo Cappi. Con una breve presentazione di Massimo Bocchiola – “Fleming era un viaggiatore ironico, distaccato, a momenti arrogante, a momenti anche pigro”, e con un occhio “di mirabile, fotografica esattezza”, ma “con un occhio un po’ cinico, un po’ spietato, un po’ sciovinista". 
Ian Fleming, Thrilling Cities, La Nave di Teseo, pp. 288 € 20

domenica 11 febbraio 2024

Ombre - 706

“Dall’inizio del conflitto arrestati oltre 6 mila abitanti della Cisgiordania”, palestinesi. Il dato è della Palestinian Prisoners’ Society, quindi di parte. Ma è un fatto che i palestinesi detenuti in Cisgiordania, 6.704 a inizio novembre nel conteggio di Ha Moked, ong israeliana che li assiste, erano per un terzo in “detenzione amministrativa”. Come è avvenuto per quasi tutti gli arresti successivi. Cioè detenuti dall’esercito, senza accusa né processo, su “informazioni segrete”, da cui il detenuto non può discolparsi. Israele precisa che la “detenzione amministrativa” la esercitano gli Stati Uniti a Guantànamo, e quindi è procedura riconosciuta di diritto internazionale.
 
Dunque, la tassa una tantum sugli extraprofitti delle banche ha fatto flop. Ma “le prime banche pagano 10 miliardi di tasse”, calcola “Il Sole 24 Ore”, il 73 per cento in più che sul 2022. Intesa paga 1.4 miliardi in più. Di più, percentualmente, cresce l’imposizione, diretta e indiretta, per Unicredit, del 120 per cento, da 819 milioni a 1,9 miliardi. La supertassa è stata un errore? Il Tesoro è - era – ritenuto la migliore amministrazione italiana, più competente ed efficace.
 
Lo stesso giornale fa il conto, allo stesso ministero, della farsa delle “imposte e contributi non riscossi”, da anni, da decenni: a fine 2022 erano 1.100 miliardi, a fine 2023 quasi 1.207. Invece che diminuire, le imposte non riscosse si moltiplicano: “L’Italia è, dopo la Grecia, il paese col più alto rapporto tra imposte non riscosse e imposte versate, vicino al 200 per cento”. Paghi uno, te ne regaliamo due? Mentre “i grandi paesi europei” hanno “tutti un rapporto inferiore al 10 per cento”.
Ma il bello, per così dire, è che non si pensa di rimediare. Al ridicolo, oltre che al danno.  
 
Si dicono le banche in ottima salute grazie al caro-denaro imposto dalle banche centrali. Così pensava anche il Tesoro, quando chiese la tassa sui superprofitti? Ma l’ottimo quadro presentato dalle banche che hanno già chiuso i conti, Unicredit, Intesa, Bpm, Mediobanca, Mps, Bper, non trova analogo riscontro in Europa. Mentre negli Usa si registra un forte calo degli utili, del 45 per cento. Merito della Vigilanza Bce specialmente occhiuta con le banche italiane, o suo malgrado?

Ad ascoltare le risposte del governo (Tajani) alle interrogazioni parlamentari su Ilaria Salis non c’era nessuno. Letteralmente. Nessuno degli interroganti, per esempio non Laura Boldrini. C’era solo Provenzano del Pd.
 
Il giorno dopo il “Corriere della sera” prova a chiedere dello scandalo Salis a Budapest. Dove non trova che nazisti. Nessuno che ne sappia nulla - anche tra i (pochi) manifestanti di sinistra.
 
Salis è stata arrestata per calci e pugni contro manifestanti isolati, un anno fa, alla commemorazione dei morti ungheresi, inquadrati nell’esercito di Hitler, per mano dell’Armata Rossa nel 1945. Erano nazisti? Non si può dire. Sicuramente ci sono neonazisti alla commemorazione di questo eccidio, a lato della cerimonia pubblica. Ma la cerimonia non si può dire nazista: solo dieci anni dopo il fatto  l’Ungheria tutta si ribellava al sovietismo. E ha continuato a pagare cara l’insurrezione, ancora per un quarto di secolo.
 
Una società inglese che gestisce una truffa contro gli automobilisti nel nome dell’ecologia – aree chiuse, senza adeguata segnaletica, ai veicoli non Euro 6 - ha fatto in poco più di due anni 320 mila multe a mezzi europei. Anche costose, di migliaia e decine di migliaia di euro. Servendosi per notificarle di un impiegato belga con accesso al data base europeo dei mezzi circolanti. Scoperto e denunciato il belga, il sistema è proseguito grazie a “una polizia italiana”, spiega il “Guardian”. Il Belgio ha mandato a processo l’impiegato e, con l’Olanda, invita i concittadini a non pagare le multe. In Italia, dove c’è pure una Autorità per la Privacy, si fa finta di nulla.
  
È instancabile, perfino noioso, l’impegno delle cronache romane, del “Corriere della sera”, “Il Messaggero”, “la Repubblica”, a legare Visco jr, figlio dell’ex ministro delle Finanze, che è entrato ed è rimasto in Invitalia per riguardo al padre, alla destra romana, ora che è sotto giudizio per vari reati.  Commessi peraltro – se commessi – con esponenti del Pd o 5 Stelle.
È l’impegno anche della Procura di Roma, dovendo evidentemente in qualche modo mandare Visco jr. a processo?
 
Si tenta perfino di nascondere il fatto che Visco jr è figlio dell’ex ministro delle Finanze, materia di cui è forse il maggiore esperto. “la Repubblica” lo fa figlio di Ignazio Visco, l’ex governatore della Banca d’Italia.
 
Con variazioni modeste tra le varie serate, la seconda (o terza?) parte di Sanremo risulta seguita da sette milioni di spettatori. Pensionati? Difficile, è la parte del festival che va dalle 11.30 alle 01.30. Bambini certamente no. Ragazzi nemmeno, il giorno dopo vanno a scuola, sveglia alle 7, al più tardi. Dunque, sette milioni di italiani lavoratori guardano la tv all’1, le 2 di notte. E il giorno dopo?
 
Gazzetta.it mette a confronto ricavi, profitti\perdite e debiti di Juventus, Milan e Inter – elencati per valore dei ricavi (comunque modesti, poco più o poco meno di 400 milioni, fra i meno performanti  in tutta Europa). Solo il Milan, di proprietà di un fondo, è gestito in attivo, e ha debiti modesti, 170 milioni. L’Inter ha debiti record, 705,4 milioni.  Col suo proprietario cinese – pagava l’8 per cento al proprietario precedente, un indonesiano?


Solo la metà dei beneficiari delle case Ater nel Lazio, le case popolari, paga il canone, per quanto modesto. L’insolvenza si può dire legale, non c’è rimedio. Infatti, quando gli affittuari sono circoli politici e sindacati la percentuale dei morosi sale a due terzi. Qui la giustizia all’italiana si manifesta come di parrocchia, politica per così dire.


“Metà delle case Ater a Roma è occupata da un moroso, con tassi elevati di evasione a Garbatella e Prati”. Nel quartiere più alla moda, e in quello più borghese. A Prati, è vero, moltissimi sono gli avvocati.
 
“Il 54nne Jacopo P., un assegnatario di alloggio popolare, moroso, gestisce in subaffitto la casa Ater al centro di Garbatella da Ibiza, dove risiede da una decina d’anni”. C’è molto rispetto per i poveri rentier di Ibiza, non sapremo mai il nome del 54nne.

Eco stripper della verità

 Nel 1990, nell’Autodizionario degli scrittori italiani, Umberto Eco presenta un interessante scorcio meta-riflessivo sul suo lavoro: «Se cerco il filo rosso che unisce le mie varie attività, mi ricordo di una frase udita, quando ero laureando, da Luigi Pareyson: a un dipresso diceva che ciascuno di noi nasce con una sola idea in testa e per tutta la vita non fa che girarvi intorno. Al momento questa mi era parsa una idea reazionaria […]. In età matura mi sono accorto che Pareyson aveva ragione, e anche io in tutta la mia vita non ho fatto che correre dietro, ossessivamente, a una stessa idea centrale»”.
“Occorrono undici anni prima che Eco espliciti chiaramente in cosa consista questa idea ossessiva che anima la sua attività, in occasione di un convegno sulla sua opera tenutosi a Cerisy: «Sospetto che l’idea abbia a che fare con la domanda se il mondo esista, e (di conseguenza) con l’altra questione, quid sit veritas».
“La semiotica, lo studio della comunicazione, le teorie della narrazione, l’estetica, I romanzi”, fino all’ultimo, “Numero Zero”, e alla lunga discussione in video che ne seguì con Eugenio Scalfari, “in tutte le sue poliedriche dimensioni Eco si è preoccupato di capire cosa sia la verità”.
Breve e corposo excursus della filosofia di Eco, della “sua” semiotica – di una studiosa del Lavoro Culturale, all’universita Cornell di Ithaca, Connecticut. Che in questo saggio rilegge saggi e narrative di Eco “alla luce del tema della verità”. Un po’ per capire in che modo Eco abbia trasposto nei romanzi temi e tesi delle sue elaborazioni teoriche.
L’esito è doppiamente elusivo. Eco non afferma, critica: “Non si può rileggerlo a prescindere dai contesti intelellettuali” nei quali opera – “il pensiero di Eco è intrinsecamente oscillatorio, congetturale e compromissorio, e perciò sviluppato in controcanto alle tendenze e alla voci che costituiscono il dibattito intellettuale del suo tempo”. Del suo lungo tempo, quasi un sessantennio.
Un filosofo non costruttivo ma de-struttivo, si direbbe. Uno stripper”, se esistesse questo termine. Per una funzione pure molto praticata, dai pittori evidentemente: che denudano la modella, nel mentre che la ingentiliscono e la imbelliscono. 
Nora Siena, Che cos’è la verità? Umberto Eco tra saggio e romanzo, academia.edu, pp. 102