Giuseppe Leuzzi
Napoli in Sol maggiore, Sicilia in La minore
“È la più grande città al
mondo che sta sopra un vulcano e mi piace la visione magmatica dei suoi abitanti”,
Rumiz spiega, a proposito del suo libro sui terremoti, “Una voce dal Profondo”,
a Staglianò sul “Venerdì di Repubblica”: “Venendo da un universo molto
compartimentato”, da Trieste, compartimentato fra lingue diverse, popolazioni e
ceti, “mi affascina il loro, dove tutto comunica con tutto, il sopra e iI
sotto, la religione e la superstizione”, Nella “porosità” che Benjamin ha
coniato per Napoli.
Arrivato a Napoli nel suo
viaggio nel “Profondo”, nei terremoti del Sud, Rumiz elabora un’acuta anamnesi della
differenza (inconciliabilità) tra la città e la Sicilia. Perché a Napoli si canta
e si balla e in Sicilia no? Differenza che sintetizza nelle tonalità musicali:
Napoli è in Sol maggiore, la Sicilia, malinconica, in La minore.
Un cliente che aspetta alla
cassa in libreria di pagare un libro spiega a Rumiz la “porosità” che Walter
Benjamin ha individuato come il tratto di Napoli: “Solo un tedesco poteva notarlo.
Nel senso che qui Kant non funziona. I tedeschi hano un bisogno patologico di
perimetri e di regole. Tutte cose che da noi non esistono. Per questo Benjamin
le ha notate immediatamente”.
Libri in Calabria
Indispettisce la
designazione di Taurianova Capitale del Libro 2024. Non solo i giornali
leghisti, tipo “Libero”, anche quelli progessisti, tipo “la Repubblica” e il
“Corriere della sera”. Che ne fanno un caso politico, un’estensione del
sottogoverno (spoil system), essendo
il sindaco di Taurianova Rocco Biasi, detto Roy, ex Forza Italia, eletto (unico
eletto in Calabria) sotto la faccia di Salvini. Non conta che la commissione
giudicatrice sia al di sopra del sospetto, e i criteri di aggiudicazione
precisi. Né vale il patrocinio del sindaco e della giunta Pd di Reggio Calabria,
città “metropolitana” cui fa capo anche la Piana: “Taurianova sta raccogliendo i frutti di una programmazione
che fa della cultura un autentico volano di crescita e sviluppo del territorio”.
“la Repubblica” è
arrivata a fare violenza all’onesta corrispondenza dell’inviato Giuseppe Smorto.
Presentandola come reportage
di bieco sottogoverno: “Taurianova grazie al Ponte
è capitale del Libro” è il titolo in prima pagina – senza sapere che nella Piana
l’idea del Ponte è solo sulfurea, una visione di distruzione delle belle
spiagge che la fanno respirare, da Palmi a Bagnara, Favazzina, Scilla, Porticello,
Cannitello, Punta Pezzo (del manufatto è scontata la devastazione, mentre la
costruzione nessuno pensa di vederla completata). Peggio faceva il giornale all’interno,
a corpo 48: “Miracolo a Taurianova il paese senza biblioteca che con la Lega diventa
Capitale del Libro”. E con la dida alla fotina del sindaco: “Festeggia la
vittoria che vale 500 mila euro di rimborso spese” - un tesoro?
Taurianova è, come molti
toponimi in Calabria, di conio recente. Con riferimento prevalente alla
mitologia (di radice micenea?) taurina, che condivide con Gioia Tauro, Taureana
e altre località). Dato da Roma nel 1928 all’assemblaggio di due distinti borghi
– inzialmente tre, ma Terranova subito dopo la guerra si riprenderà
l’autonomia, ribattezzandosi Terranova Sappo Minulio. I due borghi erano Radicena (il nome comunemente usato per
Taurianova fino a due-tre generazioni fa) e Iatrinoli. Toponimo, quest’ultimo, di
derivazione greca, che ha attinenza con saperi o cure mediche e medicinali. Questa
vocazione il nuovo paese aveva perpetuato in un ospedale. Mentre diventava, con
l’unificazione dei due borghi, anche sede mandamentale di pretura. È stato
quindi per tre-quattro generazioni un paesone di notabili, proprietari terrieri
(Taurianova è al centro della vasta selva di uliveti di alto fusto che connota
la Piana), piccoli e grandi, medici e avvocati, e di villette con la palma. Specializzato anche in mostaccioli, i biscotti al miele. Un
comune molto grande, fino ai comprensori di San Martino e Amato, incorporando quindi (in parte, con
Rizziconi) l’ex feudo della principessa Acton.
Senza più pretura dal 1989,
e senza più ospedale, si è riprogrammata sul commercio, una sorta di piccola Gioia
Tauro. Si è costruita una circonvallazione occidentale chilometrica, di palazzoni alla calabrese (senza intonaco/ senza tetto/ senza imposte/senza marciapiedi), di piccoli-grandi
magazzini - lo sviluppo della Piana si fa sul modello Gioia Tauro, tutto commercio, a Taurianova come a Rosarno. E si è dotata di un mercato generale dell’ortofrutta.
Il paese è rimasto integro, di case prevalentemente a due piani, post-1908, restaurate, su strade perfino pulite. Il vecchio decoro professionale, di avvocati, medici, sanitari e insegnanti. Ma il cambio di destinazione produttiva ha generato un radicale ribaltamento sociale. Sfociato nelle costruzioni tipo circonvallazione, e negli anni attono al 1990 in una violentissima faida, con almeno 32 morti - ma già nel 1987 aveva stabilito un primato negativo, il primo scioglimento in Italia di una Usl da parte del governo per infiltrazioni mafiose. Con episodi oltraggiosi come una testa tranciata e lanciata in aria. Per questioni di droga, si è detto – la testa mozzata rende l’ipotesi plausibile, anche se le faide, genere oggi trascurato, anche dagli studiosi, sono, erano, di ferocia illimitata. Fu sull’emozione causata da questa faida che il ministro della Giustizia Martelli dell’ultimo governo Andreotti si costrinse a rimodulare, poco tempo dopo averla decretata, la normativa sullo scioglimento d’autorità dei consigli comunali per reati amministrativi, introducendo il criterio dell’antimafia. Con il decreto legge 164, del 31 maggio 1991. Una legge importante, gestita da Falcone, allora direttore Affari Penali al ministero della Giustizia, che si intitolava “Misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso”. Ma anche una legge ad hoc: in un certo senso Taurianova è nella storia, non un borgo sonnolento.
Contemporaneamente al peso
amministrativo, Taurianova perdeva anche quello politico. Con l’eclisse della
famiglia Macrì, potente braccio destro nel reggino tirrenico della corrente Dc
di Base, referenti di Riccardo Misasi, forti nella sanità e nei servizi pubblici
(Poste, Scuola), negli anni 1960-1980. Il padre Giuseppe soprattutto, medico,
che fu anche presidente della Provincia, e ha intitolata la piazza principale
del paese. La figlia Olga, medico anche lei, e ufficiale sanitario del Comune,
sindaco per due consiliature dal 1983, la seconda sciolta in base al decreto
legge 164, pochi giorni dopo il varo del decreto – anche in questo Taurianova è
nella storia: il primo Comune sciolto “per infiltrazione e condizionamento di
tipo mafioso”.
Olga viveva nel culto del
padre. Suo fratello Francesco, detto Ciccio, sarà soprannominato “a mazzetta”, e
incorrerà in una condanna a quattro anni. In realtà non era corrotto, nessuno
lamenta che abbia preteso soldi in cambio, ma lavorava al motto: “i soldi ci sono,
spendiamoli”, o anche “nessuno resta indietro”. Insegnante di francese alle
medie, è stato per una ventina d’anni presidente della Usl 27, con 1.200
dipendenti e 50 miliardi l’anno da amministrare (25 milioni di oggi, che
sembrano pochi, un appalto piccolo di Roma-Giubileo, ma cinquanta, quarant’anni
fa erano una cifra). Spensierato gestore,
sarà condannato perché non osservava le procedure – Olga ufficiale sanitario
era alle sue dipendenze, e così altre due sorelle, una dottoressa in ospedale e
una accreditata presso uno studio di analisi mediche convenzionato con la Usl.
Una breve parentesi dopo i
Macrì, e il commissariamento del 1991, fu aperta da Emilio Argiroffi. Un
giovale messinese, medico, arrivato a Taurianova anche lui all’ospedale,
comunista, poeta, che era stato senatore Pci, votato anche da Taurianova, per
tre legislature. A capo di una lista civica
Argiroffi vinse le prime elezioni dopo i commissari, ma per pochi voti, al
ballottaggio, e già di settant’anni.
Al voto successivo, 1997, il
Comune tornò al Centro, ora Forza Italia, nella persona del sindaco attuale.
Roy Biasi, allora 33 anni, uno delle giovani leve di Berlusconi, avvocato, nato
in Australia e ritornato presto a Taurianova con i genitori, avviava una sua
propria epoca. Verrà rieletto una seconda volta, e ancora un terza . Dichiarato
decaduto dal prefetto per avere ecceduto i due mandati, poi in crisi col suo
partito, tornerà nel 2020 con Salvini. E doppierà, quasi, il candidato Pd,
sindaco uscente.
In Calabria non si legge
molto – anche se si scrive molto. Le librerie stentano, editori e distributori
non ci puntano. Vittorio Feltri, quando era al “Giornale”, prefazionava e vantava
Totò Delfino, suo corrispondente per la
Calabria, per il motivo che “mi fa vendere 400 copie”. Non molte, si direbbe, e
tutte a perdere, distribuite su un territorio ampio, a demografia parcellizzata,
ma facevano opinione. Fino agli anni 1970 l’unico giornale di cronaca locale si
faceva a Messina, la “Gazzetta del Sud”. Poi altre cronache locali si sono succedute,
attorno a Cosenza, ma sempre in difficoltà. E le librerie si chiudono, più che
aprirsi. Ultima la storica “Librarsi” a Delianuova, di Caterina Di Pietro.
Che senso ha dunque la festa
del Libro a Taurianova? Quello che dice Falcomatà – che dice la giuria che ha
preso la decisione. Perché l’attenzione non manca, né la curiosità – “Librarsi”,
una libreria specializzata in cultura locale (letteratura, saggistica, questioni
calabresi), ha tenuto per molti anni, malgrado la difficile localizzazione nel
cuore dell’Aspromonte, affollate presentazioni, specie nei mesi invernali. Si
tratta di focalizzarla, irrobustirla.
La lingua napoletana, o della dispersione
“La lingua
napoletana (anticamente detta lingua napolitana) è un idioma romanzo - appartenente
al gruppo italo-dalmata”, intima wikipedia, come d’uso anonima ma con
piglio autorevole, “attestato fin dal Medioevo nell’Italia
meridionale. Per italo-dalmate s’intende, sempre wikipedia, “un sottogruppo delle
lingue romanze occidentali”. E ancora: “La lingua napoletana trae le proprie
origini da un insieme più o meno omogeneo di antichi dialetti
italo-meridionali, noti in epoca alto-medievale con il nome
collettivo di volgare pugliese; tale denominazione storica
derivava dal ducato di Puglia e Calabria (comprendente in realtà
vaste porzioni dell’Italia meridionale) che, in epoca normanna, gravitava
su Salerno, non a caso definita «la capitale della Puglia», in quanto
sede principesca nell’ambito del regno di Sicilia”.
Qui c’è uno
svarione – non proprio un errore, ma si vede che il linguista non è storico. Il
regno di Sicilia ancora non c’era. E il ducato di Puglia e Calabria, così come il
regno di Salerno, erano longobardi. I normanni entrarono in Italia alla
spicciolata, nel primo secolo del secondo millennio, piccole bande di abili
combattenti chiamate da questo o quel principe, più spesso il papa. Tra essi
emersero gli Hauteville (Altavilla), e tra i vari componenti, zii e fratelli,
presto emerse Roberto il Guiscardo. Che nel 1059 impalmò Sichelgaita, la
figlia del principe di Salerno e duca di Puglia e Calabria (oltre che di Amalfi,
Sorrento e Gaeta, nonché principe di Capua) Guaimario IV oV – dopo aver ripudiato
la prima moglie Alberada (non c’era il ripudio nel diritto canonico, nemmeno
allora, ma Alberada era una cugina del Guiscardo, e il matrimonio era proibitissimo
tra consanguinei). Il suocero Guaimario era morto sette anni prima, e il successore,
il figli Gisulfo II, cercò di frapporsi ai disegni degli Altavilla. Ma Sichelgaita
decise in contrario – una principessa che è all’origine della fortuna dei
Normanni nel Sud, e che si trascura. La sorella minore Gaitelgrima Sichelgaita
sposò a un fratellastro del Guiscardo, Drogone d’Altavilla. L’opposizione di
Gisulfo alle sue proprie nozze col Guiscardo semplicemente ignorò. E prese subito
possesso del ducato di Puglia e Calabria a Melfi, capitale della signoria. Dove
invitò, subito dopo il matrimonio, il papa Niccolò II, che vi levò la scomunica
del Guiscardo comminata per la sua politica matrimoniale. Al papa organizzò
anche un sinodo dei vescovi latini del Mezzogorno, passato alla storia come Concilio
di Melfi. E lo portò a conludere il Trattato di Melfi, poi Concordato di Melfi,
col quale il papa, prevaricando sulla giurisdizione imperiale, passava alcuni possedimenti
longobardi ai normanni: il feudo di Capua e Aversa a Riccardo I Drengot, il
ducato di Puglia e Calabria, col relativo titolo diduca, al Guiscardo.
Ma è vero il prosieguo, sempre wikipedia: .
“Tuttavia, a partire dal XIIImo secolo la parte peninsulare dell’Italia meridionale ebbe
quale centro propulsore la città di Napoli, capitale dell’omonimo regno per
oltre mezzo millennio!”. Con punto esclamativo - con che soddisfazione di Puglia
e Calabria non si dice.
Se ne parla oggi per Sanremo. Il rapper Emanuele Palumbo, 24 anni
a marzo, in arte Geolier, che dovrebbe voler dire (in francese) carceriere, ha
preteso, e ottenuto, di cantare in napoletano, in quanto “lingua” – il
regolamento del festival non vuole dialetti. E per questo ha suscitato
malumori. Non nel pubblico, in sala stampa. La quale si è rifatta bocciandolo al
concorso - schierando l’enorme peso dei suoi pochi voti a favore della giovane
virtuosa Angelina Mango, 23 anni. Ma tutto questo è arcinoto. Perché parlarne?
Perché Napoli ha reagito male alla provocazione: con manifestazione
plebiscitaria di piazza, sindaco in testa, ha proclamato Geolier vincitore. Un
vincitore che presto dimenticherà? Sì.
Napoli è una capitale. Sembrerebbe, vista da fuori. Ma,
sembra, incredula di se stessa. Gioca sporco ma gioca anche pulito. Specie, per
esempio, al calcio, oltre che nelle canzoni: ha sempre vinto campionati in
bellezza e scioltezza, anche quado non ha vinto (con Sarri e Higuaìn). Ma
subito poi si è mutilata, con Ferlaino di Maradona prima, con De Laurentiis di
Higuaìn prima e poi di Spalletti. Non si crede. O non si cura di se stessa, di
accumulare. Ma le lingue servono per affermare, non per negare. La lingua napoletana,
o napolitana, si direbbe dello spreco.
Cronache della differenza: Puglia
Il Salento si pone, nella
riscoperta grecità, nel culto di Minerva. Il ritrovamento a Castro, peraltro in
origine Castrum Minervae, della supposta Minerva dell’“Eneide”, del terzo canto
del poema, una statuetta bronzea di Atena con elmo frigio, al centro del basamento
di un grande tempio, rilancia la penisola nel culto di Atena. Con una
contaminazione: Minerva celebra
indistintamente come Atena. Il Salento si vuole greco, ma senza rinunciare alla
latinità.
Anche il santuario di Santa
Maria di Leuca era, come il tempio di Castro, dedicato a Minerva. E gli ulivi:
sono il dono di Minerva. Questa era già la leggenda nel Salento. In competizione
con Nettuno per la riconoscenza (venerazione) dei salentini Minerva donò gli
ulivi, Nettuno il cavallo - Minerva vinse facilmente.
È singolare, sintomatica, la
ricorrenza dei cognomi in Salento e nella Calabria Ulteriore, reggina, per la
comune persistenza della grecità del linguaggio, nel culto religioso e nella
comunicazione verbale, fino alla latinizzazione perseguita dal papato dal XIImo
al XVI secolo, a aprtira dai Normani: Arcuri, Arghirò, Attanasio, Codispoti,
Cannatà, Condò, Cuzzocrea, Crisafulli, Foti. Laganà, Spanò, Tripodi, Zuccalà, Zappalà, Praticò, Romeo, Politi-o,
tra i tanti.
Nelle campagne di Foggia
grossi quantitative di ecoballe inquinanti vengono sversati da automezzi pesanti.
Con danni ai terreni, al foraggio e alle coltivazioni. Rifuti che i proprietari
devono poi provvedere a bonificare, con forti spese. Al punto che il Comune ha
deciso di provvedere alla bonifica, sostituendosi ai proprietari – cui resta
poi l’onere della riqualificazione. La cosa interessa “Striscia la notizia”, non
le forze dell’ordine.
Le “forze dell’ordine” al Sud
non proteggono il capitale? Non sono lì per questo. Come al tempo dei rapimenti
di persona. Tra le tante “anonime” terribilissime. Che poi si sono rivelate
bande di mezzi trogoliditi, o sbandati, gente da poco.
Attraversando la Puglia per imbarcarsi
a Brindisi, Corrado Alvaro annota in “Quasi una vita”: “In treno, ancora addormentato,
distinguevo il Sud, il mio paese, percependo il suo silenzio, quel silenzio
tutto suo, remoto, sterminato. E dal finestrino ritrovavo aspetti del mio paesaggio
infantile: immutato, e come se mi si rivelasse e non volesse più sapere di me”.
Come un padre di molti figli.
Suonano false le serie Rai
“pugliesi”, o baresi. La “Lolita Lobosco” di Gabriella Genisi, che pure ha
interprete Luisa Ranieri, e la regia di Miniero, e quest’anno “Il metodo
Fenoglio”, che pure è tratta da Carofiglio e ha protagonista un altro divo,
Alessio Boni. A differenza di “Imma Tataranni”, inverosimile serie lucana, di
Matera, che invece dice quello che è. Bari viene parlata come quella di “se
parigi avesse lu mèri….”, quasi cosmopolita,
senza verosimiglianza. Cioè senza “carattere”. Che è dato dal dialetto,
dalla cadenza perlomeno – dalla “parlata”.
Due giudici antimafia di
Lecce, provincia “babba”, la pm antimafia Ruggiero e la gip Mariano, sono sotto
tiro. A Mariano è stata recapitata “la testa mozzata di un capretto”, racconta
il “Corriere della sera”. Ruggiero doveva essere sgozzata da un finto pentito,
in carcere, nell’interrogatorio di convalida del pentimento, con un’“arma
rudimentale (realizzata con cocci di ceramica) precedentemente occultata nel
retto”. Mafia o farsa?
Le due giudici sono “destinatarie anche di lettere
minatorie, alcune delle quali addirittura recapitate a mano in ufficio, firmate
col sangue, e contenenti anche riferimenti a rituali satanici”.
leuzzi@antiit.eu