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sabato 9 marzo 2024

L’informazione non è ricatto

Nel mezzo dello scandalo del mercato delle intercettazioni Elly Schlein in comizio e Mattarella con i visitatori si attardano sulla libertà d’opinione.
Schlein si può capire, per inesperienza. Ma Mattarella? È come scantonare – creare un diversivo: si discetta di libertà d’opinione per coprire lo scandalo, il delitto? Perché ciò di cui si discute un bambino lo capisce: è l’uso distorto dell’informazione, per ricattare e calunniare. È lo sfruttamento della libertà a fini di ricatto e violenza. Per carrierismo o per interesse, dietro un malinteso giornalismo d’inchiesta.
O c’è un difetto culturale in questo scambio. Di chi si è avvicinato alle tematiche della libertà d’opinione marginalmente e tardivamente – non è mai stato un tema del campo confessionale, o allora per antimodernismo.
La libertà non è fare – dire, nel caso dell’opinione - tutto cò che si vuole contro qualcuno. La libertà d’opinione non è lo scandalismo – sei un farabutto, provami che non lo sei.
Lo scandalismo è genere giornalistico mainstream, bello-e-buono, giusto in Italia, paese confessionale . Giusto in Italia il capo dello Stato e la capa del maggiore partito possono confondere il malaffare con la libertà d’opinione.
Tattica politica? Può essere. Dell’insinuazione come genere giornalistico, il “tormentone”, fu maestro Claudio Rinaldi. Col quale si divertì ad affondare Craxi, D’Alema e altri minori, tra essi Sofri. Tutti di sinistra. Affondando con loro anche “L’Espresso” e “Panorama”, testate già robuste, di sano giornalismo.

Fatima ad Alcamo - la pastorella della liberazione della donna

La vicenda è nota, si sa che andrà a finire bene. La violenza, anche, è minima, il film non la esibisce. Ma il racconto di come Franca Viola, una ragazza diciassettenne, contadina, di Alcamo in provincia di Trapani, ha rifiutato il matrimonio riparatore di un fidanzatino presuntuoso e violento e lo ha denunciato e fatto condannare, nel 1965, rifiorisce e coinvolge. Merito dei tagli narrativi adottati dalla regista, che del racconto è anche sceneggiatrice. Con pochi spazi per il folklore e la violenza, anche se il ragazzo bello e stolido che la rapisce e violenta è di famiglia notabile-mafiosa. E di Claudia Gusmano che fa la ragazza, inarrivabile nel misto di leggerezza e fermezza, quando concorre al ruolo della Madonna in chiesa per la festa, o al ragazzo che è tornato dalla Germania e si fa vedere al balcone per la processione, e quando, subito, ne rifiuta la presunzione e dopo, con semplicità, il “matrimonio riparatore” – si direbbe più nel ruolo di Ornella Muti, che fu Franca (qui Lia) nel film che Damiani girò subito sulla vicenda, “La moglie più bella”. Una sorta di miracolo laico di Fatima produce, madonnina semplice e diritta. Supportata da Francesco Colella, nel ruolo difficile di Ludovico Corrao, che sarà infine l’avvocato di Franca-Lia, a lungo titubante ad assumere il ruolo perché “in difficoltà col partito” – un comunista che il Pci boicottava (“perché non sono sposato”), ma con la vittoria al processo si farà più che determinato, artefice inflessibile della ricostruzione del Belìce dopo il terremoto (1968) come luogo di arte, e a lungo senatore (Sinistra Indipendente).
Un’Italia semplicemente terrificante (il prete, il maresciallo, il machismo) non molto tempo fa, su cui ancora non sera dispiegata l’innovazione sociale e giuridica del primo centro-sinistra e del Sessantotto. La vicenda è siciliana, ma la legge era italiana – siciliana è semai la ribellione di Lia-Franca, e dei suoi giudici.
Peccato per il sonoro, a pochi mesi dall’uscita già inservibile – servirebbero dei sottotitoli.  
Marta Savina, Primadonna, Sky Cinema

venerdì 8 marzo 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (553)

Giuseppe Leuzzi
“«Troppi 100 e lode al Sud». E il governo fa integrare il diploma con i test Invalsi”. Cioè con dei test in cui Milano fa meglio del Sud alla maturità.
È un titolo di giornale che sembra uno scherzo, e invece è un decreto. Ci sono programmi per le scuole e norme per gli esami, ma il governo del Ponte fa una legge speciale razzista – l’ha fatta sabato scorso, senza dirlo a nessuno.
 
È costante nelle graduatorie della felicità (soddisfazione, benessere….), anche non settentrionali, “di organismi indipendenti”, la prevalenza dei paesi nordici – in Europa. Perché sono basate sull’autostima:  si chiede agli abitanti di ogni paese se sono soddisfatti, di questo o quel servizio, o condizione. Un olandese si dirà soddisfatto del suo sistema sanitario anche se per essere accudito da un’ambulanza o un pronto soccorso bisogna essere in fin di vita (vero). Mentre un italiano si dirà insoddisfatto. L’autostima è metà del successo – del benessere.
 
Il governo Andreotti del 1989 lo storico Barbagallo diceva (“Napoli fine Novecento. Politici, camorristi, imprenditori”, 1997) “il più meridionale” della storia d’Italia, “perché metà dei ministri sono meridionali”.  Dopo aver detto – fatto dire a Paolo Cirino Pomicino – una trentina di pagine  prima: “In cinque anni abbiamo avuto più fondi per Napoli che in cento anni di unità d’Italia”.

Il Sud non ha un centro

Il presidente della Regione De Luca il 16 febbraio porta i sindaci della Campania a Roma contro il governo: “Non ci dà i fondi Pnrr”. Il governo risponde per bocca del ministro Fitto, pugliese, che manca la lista dei progetti da finanziare, che la Regione Campania doveva fornire. Fulmini di De Luca. Che però il 29 manda infine la documentazione necessaria.
Tutto fuorché lavorare – un poco.
Sui fondi Pnrr il De Luca inadempiente però non si risparmia l’ultima parola: “Siamo in battaglia, è il  destino del Sud”. Ma è un altro equivoco: la Sicilia è difficile che si identifichi con Napoli – anche la Calabria (e forse neppure la Puglia). Anche sui capipopolo, che a Napoli invece piacciono  - un po’ smargiassi (non mandare la documentazione, e protestare).
Il Sud è molto diverso – e semmai nutre verso Napoli più rancori che verso Torino.
Napoli è una metropoli. Meridionale, è la città più grande del Sud, ma non la metropoli del Sud.
Il “Sud” è un concetto geografico, non ha un centro, sociale, politico.
 
L’amore di sé
“Pure cotali regioni sono misera stanza di sterilità e di fatica; contorte e scapigliate le arborature, umili e cadenti le case, disadorne vi appaiono le chiese, meschini e quasi accozzagli del caso  i villaggi; ma sopra tanta apparent deformità si spande invisibile, e attragge l’animo senza passare per gli occhi, una cert’aria di pace serena che non abita le champagne più ubertose e fiorenti”. Non lesina entusiasmo Ippolito Nievo, in apertura del racconto giovanile “Il Varmo”, il piccolo affluente di pianura del Tagliamento che ha formato una landa pietrosa, per la “sua” terra. Bella facendo anche la povertà, della natura.
Tutti i particolari che descrive sono poveri, e scintillanti: “Là pertanto dalla nitida ghiaia sprizzano ad ogni passo le limpid perenni fontane, e di sotto alla siepe sforacchiata dal vento effondesi un profumo di viole più delizioso che mai, e per l’aria salubre e trasparente piove da mane a sera il canto giocondo delle allodole; là pascolano armenti di brevi membra e sottili che morrebbero mugolando innanzi alle colme mangiatoie della bassa….”.
Il sottosviluppo è psicologico, prima che di risorse. Di gente in pace con se stessa.
 
La squalifica del Sud è recente, è unitaria
C’è una faglia nella letteratura del Grand Tour, dei viaggiatori in Italia che raccontavano i propri viaggi – un filone letterario cospicuo: l’unità d’Italia. Dapprima l’Italia è uguale: rovine, vino, nobiltà, avventura, se non altro un po’ di pittoresco. Con l’unità si moltiplicano i viaggiatori al Sud, soprattutto donne, attratti dall’impresa e dal mito di Garibaldi. E qui comincia, con molto buon cuore, la squalifica del Sud. Tante “milady”, anche se mezze calzette al loro paese, chaperonate normalmente da gentiluomini savoiardi, conti, prefetti, ufficiali, trasformano l’orrido, la natura selvaggia, in orrore, sudiciume e bestialità.
Al Sud era venuto anche Dumas, che ne scrive, ne continua a scrivere, come di ogni altro luogo e popolo. Ma saranno pochi come lui, due o tre, Gissing, Norman Douglas. Non ci sarà più luce al Sud.
Prima non era così. Il Sud era visto com’era, ricco e povero, abitato da gentiluomini e da diavoli, e da poveri diavoli. Pittoresco, cioè “strano”, cioè “diverso”, ma non il mondo del male. Prima si possono suddividere i viaggiatori memorialisti in tre categorie, a seconda che al Sud si trovino: come altrove (Courier, Custine, Dumas), in un mondo diverso ma stimabile (Edward Lear), a disagio. Poi, apertosi il Risorgimento, venne la squalifica del Sud. Per motivi politici, che nelle loro espressioni più alte sono palmerstoniani. Ma dopo Teano diventano imperialisti.
Il parallelo è sconvolgente fra la squalifica del Sud nel 1860-1865 e la “squalifica del negro” nel Cinque-Seicento. Le varie “Milady”, incongrue più che avventurose viaggiatrici nell’Italia del  S ud post-unitario riunisce le due esperienze: potrebbero essere palmerstoniane (oggi si direbbero – un marxista le direbbe - agenti di Palmerston, di Londra, degli Usa) riciclate – prestate ai Savoia per creare l’immagine dei Savoia, delle infuencer in concept.
La squalifica del Sud riproduce in tempi ridotti, concentrati, quasi fulminei, la squalifica del negro, se non è scorretto usare la parola – dell’africano nero. Gli africani non hanno costituito una meraviglia (una meraviglia negativa) fino a una certa epoca. Nella storia d’Europa, fino alla Bibbia compresa, s’incontrano regine nere, principi neri, amanti nere, madonne nere - di un colore diverso ma normale. La squalifica dell’Africa comincia col proselitismo (le conversion in massa, le missioni) e con le piantagioni. Con l’economia coloniale dell’America, che sfruttava i neri perché in quell’epoca  venivano razziati nel Golfo di Guinea, dal Senegal all’Angola, dagli arabi e dagli stessi potentati neri – la razzia era un’arma, a fini di riscatto o di vendita. I missionari non erano razzisti, non discutevano se gli africani avessero un’anima, e tuttavia erano corrivi.
Non furono, e non sono, i missionari le  menti e l’anima più eccelse del mondo cristiano. Normalmente erano , e sono, persone prestanti fisicamente, di spirito semplice, senza grandi bagagli o bisogni culturali. Sempre attoniti di fronte alla diversità, che non si spiegano. Sono all’origine della favola  “però, sono buoni”. Anzi, della favola dell’africano “bambino cresciuto”. Ma non sono stati i soli – con i mercanti di carne umana – a squalificare l’Africa. Con alcuni scrittori, d’inventiva corriva e ripetitiva. E qualche papa, p.es. quello delle “diez mil toneladas de negros” che si potevano commerciare, Alessandro IV Borgia.

I missionari più intelligenti, i gesuiti, nel 1575 la pensavano così – in un  rapporto citato da Tacchi Venturi, “Storia del Compagnia di Gesù in Italia”: “Le montagne della Sicilia e della Calabria sarebbero indicate come luogo di noviziato per i missionari delle Indie. Chiunque sarà riuscito nelle Indie di casa nostra (de acà nell’originale, n.d.r.) sarà eccellente per le Indie lontane”. Ancora nel Seicento il Sud fu “las Indias de por acà”. Però senza condanna, come una cosa diversa, difficile da conquistare.

Il Sud come Indie deve molto ai gesuiti, che vi s’inventarono missionari. Non avevano il coraggio d’imbarcarsi, ma non volevano restare indietro a Francesco Saverio e Matteo Ricci. “Queste Indie di qui”, si scrivevano, “queste montagne della Sicilia sono Indie”, “India italiana”, “Indie d’Abruzzo”, “Indie di Calabria”, “in queste Indie”. Ma non dissimilmente pensavano di altri luoghi e altre popolazioni – i gesuiti sicuramente sono superbi. La squalifica del Sud  altra cosa, è totale e irrimediabile, ed è recente, postunitaria.


Cronache della differenza: Napoli

In “Napoli fine Novecento” Francesco Barbagallo, che vent’anni dopo celebrerà “Napoli, Belle Époque”, nota in apertura: 1973, c’è la crisi del petrolio, a Napoli c’è il colera.

Napoli record, della Rca evasa, l’assicurazione auto obbligatoria, dei premi Rca più cari, delle liquidazioni danni automobilistici più ricche. Da un capo all’altro, non c’è limite allo spregio, col beneficio della corruzione.

Ha, da sempre, il record dei veicoli non assicurati, e il record della Rca più alta. In ragione delle tante truffe alle assicurazioni.  Si direbbe una pena autoinflitta, ma non per caso.

“Sono oltre 500 mila le imprese attive in Campania” – “Corriere della sera – Economia”. Con  eccellenze nella logistica, la farmaceutica (biotecnologie), spazio, “con un ecosistema particolarmente innovativo per il Paese”. Più i settori tradizionali, agroalimentare (“nel 2022 il valore delle esportazioni regionali ha superato i 10 miliardi, con un aumento del 30 per cento rispetto al 2012”), e turismo. Cosa manca alla Campania per definirsi una regione industriale? La cultura, si direbbe – la cultura della produzione e della promozione, invece che del “colore”, il caffè, la piazza, la canzone, e la camorra.

Il “delegato” di Polizia a Milano, napoletano, è “il mussulmano” per i personaggi milanesisssimi di Gadda, “Un fulmine sul 2002”, 21: chiamato a dirimere una confusa questione parentale, “il mussulmano inverdì, pareva un califfo che avesse colto un infedele nell’harem…Malano era più forte di lui” – Malano.


Un onorevole spara a Biella e la notizia è:  neanche a Napoli. È una notazione razzista (leghista), il presupposto. è che a Biella tutti sono belli-e-buoni, anche i fascisti. Ma è, dovrebbe essere, attestazione di uno status speciale, la metropolis Napoli, con tutti i suoi san Gennaro, e le sue baraonde per lo scudetto, è probabilmente la citta italiana più innovativa, anche tecnicamente, e cosmopolita, più capace di assorbire, e di adattarsi.

leuzzzi@antiit.eu


Gioventù in ospedale, e ritmo

I vari medici  che sui social criticano “Doc” – diagnosi azzardate, terapie sperimentali, troppe guarigioni, illude i malati, specie di tumori… - non afferrano il successo della serie. Che non sta nelle diagnosi – che nessuno capisce – ma nel ritmo (ricoveri, cure, peggioramenti-miglioramenti). limitando le vicende di contorno, personali, familiari, professionali, che invece nelle storie Rai tendono a prendere il sopravvento (“Lolita Lobosco” eccetera). E poi nel ruolo  pratico, attivo, positivo, dei giovani. E nell’ospedale come dovrebbe essere, ordinato, pulito, e in cui la malattia è una persona – il malato non è quello con cui nessuno parla, un caso senza nome. Un luogo in cui si parla. E con un minimo di riservatezza.
La salute c’entra poco – è difficile godersi come spettacolo l’ospedale e la malattia. Anche Argentero, il ”doc” risolutore e smemorato, funziona perché dà ritmo al ritmo.
Jan Michelini-Ciro Visco, Doc, Rai 1, Raiplay

giovedì 7 marzo 2024

Secondi pensieri - 528

zeulig


Incredulità – Coleridge, rivolgendosi al lettore, gli chiede “la sospensione dell’incredulità”. In letteratura lo scrittore finge una realtà, il lettore deve credergli. Al punto che, si è detto, non c’è altra realtà che quella creata dallo scrittore-poeta: narrare, immaginare. Fittizia ma accettata, una sorta di patto, autore-lettore. Ma ogni lettore non crederà a suo modo – ci sono tante realtà narrative, fittizie, quanti sono i lettori, come sappiamo? O la finzione, su cui il lettore di Coleridge deve sospendere l’incredulità, si organizza in rapporto a una non-finzione? Ma allora tutta la realtà è d’invenzione – e quella fisica, o chimica,  matematica, è solo convenzionale?
Credulità-incredulità si può repertoriare (invocare, negare) in fatto di fede – religiosa, in relazione a fenomeni intoccabili, invisibili. D i cui una forma è la fantasia, l’invenzione letteraria. E dunque la letteratura (la scrittura, la lettura) è forma religiosa, basandosi sula credulità (fede), di format e contenuti sovrapponibili.
 
Europa – “L’Europa riparta dal mito di Enea” è proposta di Fernando Gentilini. Un’Europa disancorata – benché ipotesi, spiega Gentilini, di T.S.Eliot,”in un discorso memorabile alla Virgil Society di Londra” il 16 ottobre del 1944, in piena guerra: la proposta di un patto di pace. È l’unica idea di Europa di cui si legga da qualche tempo. Mentre a Parigi di discute delle immagini proposte per propagandare l’Olimpiade, comprensive di facciate di chiese, senza la croce sopra.
L’idea di Europa e stato a lungo esercizio critico – di Carlo Curcio, A.J.P. Taylor, Chabod tra i tanti. Legata al sacro romano impero, e al cristianesimo. Hannah Arendt, sulla traccia di Alessandro Passerin d ‘Entrèves, ci lega le istituzioni democratiche moderne, le assemblee, l’elettività – la democrazia coniugata all’Auctoritas (poi trasformata, per ultimo da Foucault, in violenza del potere – ma senza anarchismo…). La commissione di Giscard d'Estaing per la costituzione europea, di cui faceva parte Giuliano Amato, altro illustre laico, ne escludeva invece le radici cristiane - progetto poi bocciato dalla Francia républicaine.  La Francia di Macron, altro laico, ora cancella la croce dalle cuspidi delle chiese.
L’Europa che rinuncia alla storia è un dei tanti aspetti della cosiddetta crisi europea, o del tramonto – non sapere più chi si è è uno dei segni della decadenza, secondo lo storico della decadenza Santi Mazzarino. Ma oggi il suo non è più un laicismo fine a se stesso - anticlericale. È un laicismo prono all’islam in tutte le assise, Fifa, Onu, Davos, Cio..... Cioè a una religione molto militante, e che, di più, vuole i suoi precetti legge dello Stato. Potenza dei petrodollari? Confreries? Seppure laica, questa Europa deve riscoprire le leggi Siccardi.
 
StoriaLa storia, si sa, è negata a Dio – anche se un Dio, si dice, la salverà. La storia è il diavolo, insegnava il papa Ratzinger quando era cardinale, protettore della fede. Kafka non la sopportava. È curiale. Tenta di rimediare agli eroi, i mostri, i giuramenti, i tradimenti, le sconfitte. Ma è piatta. E indifferente. È eterna, ma per non avere cuore, e neppure cervello. È impura. Simone Weil trova un solo caso di purezza in tutta la storia romana, del padrone, che gli schiavi salvano dalle proscrizioni nascondendolo, che si consegna ai persecutori quando questi infieriscono sugli schiavi che lo hanno salvato. Nella storia greca, che ammira, non trova, “forse”, che Aristide, Dione, l’amico di Platone, e Agis, il re socialista di Sparta, ucciso giovinetto. Nella storia della Francia, allora occupata dai tedeschi e quindi compassionata, si è no Giovanna d’Arco. Che ci troverebbe di puro nella storia d’Italia, che pure è paese antico, onusto, e libero, da pregiudizi, stereotipi, valori, grandezze? In alcuni casi la storia è più impura. 
Sul diavolo Savinio è definitivo: “Soltanto il diavolo, ossia la quintessenza del male, può pensare e ordire un inganno così radicalmente malvagio, da rendere l’umanità costantemente e irrimediabilmente infelice facendola camminare verso ciò che non esiste e allontanandola di altrettanto da ciò che esiste”. Oppure: “Credere che avanziamo quando il nostro illusorio avanzare è in realtà un «fabbricare passato»... Gli uomini, se non fossero stati ingannati dal diavolo, porterebbero ancora la loro bella faccia voltata dalla parte delle spalle”. Lo fa dire al signor Munster, “che era molto intelligente, e come tale di carattere sempre più adolescentesco, più curioso del non avvenuto che rimpiantoso dell’avvenuto”.
 
Se Freud avesse analizzato la storia avrebbe detto che l’umanità non ha smesso l’abito dell’orda.  È come per l’io, che senza emozioni e rimozioni sarebbe una canna secca, seccata anzitempo, prima d’inverdire - siamo zingari, quelli di Bachofen, ordinati e ribelli. Ma il sapere storico è antitetico al sapere intellettuale, insegna Novalis: là s’impara, qui si disimpara. Benché i due saperi siano connessi: “Poiché si comincia imparando, ne consegue debolezza d’intelletto e eccesso di fantasia”. E “di che è fatta la storia se non di me?”, scoprì Michelet dopo aver studiato e con perizia rappresentato l’insetto, l’uccello, il mare, i monti, la strega, la donna, il prete, un impegno appena alleviato dalle sveltine ancillari – giustificate col dire: “La cosa ha dei vantaggi per un uomo laborioso”.
 
Il presente come storia è saggio di ricerca marxista di Paul Sweezy. Che fa capire alcune cose. Lo storico è un profeta che guarda all’indietro, succede ai dannati di Dante, a Heine e a Friedrich Schlegel oltre che al signor Munster, e all’angelo di Benjamin e Klee: predice ciò che è accaduto. Anche il futuro non c’è, senza oggi non c’è domani, e i posteri non esistono: erano, e sono, una consolazione. Il tempo è un presente assoluto, in cui passato e futuro si fondono. Nel presente è l’immortalità. Compresa la storia se vuol’essere immortale. Compreso il futuro, che dunque esiste. O è viceversa: solo il futuro esiste, il presente non fa in tempo a vederlo, organizzarlo, se non in quanto prepara il momento dopo, il futuro.  
La nostra epoca permanente è storica, Spengler non poteva sbagliarsi. Ma dopo? E prima? E cos’è prima e cos’è dopo? Era la storia per il professore al liceo una questione di date: quando nacque e quando morì Machiavelli, incalzando, alla risposta muta, con un quando nacque e morì Guicciardini. Se non era la terza guerra\di successione\al trono\di Polonia: la veneranda “testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria” di Cicerone ridotta a una questione ordinale. Thomas Henry Huxley, che gli uomini voleva automi, aveva un ottimo argomento nella man-cata evoluzione della mente-storia, se è sempre al punto zero. E dunque la storia non esiste, si può dire anche questo. La storia è ma può non esi-stere. Milioni di persone lavorano oggi al computer, col sistema binario di calcolo che Leibniz derivò da I Ching. Ma chi ricorda Leibniz? E I Ching sono un oracolo.
Oggetto della storia è l’uomo - l’uomo e la donna. L’uomo nel tempo, la memoria quindi. La storia è autopsia, diceva Procopio. E Manzoni, che concorda: la Provvidenza arriva sempre alla fine. Anche se si può ricominciare. Forse uno dei grandi errori, dei peccati del secolo, è l’importanza che si dà alla storia, troppi lo dicono.


zeulgi@antiit.eu

L’infanzia felice fa felice la vita

Due bambini, la figlia giocosa del mugnaio e l’orfanello scontroso preso in casa, crescono insieme, di tacita intesa, l’una ricaricandosi con l’altro, nella campagna, di cui scoprono le molteplici vite. Poi vengono separati. Poi si ritrovano. Attorniati da maschere: il padre buono, la moglie e madre Santippe. Sempre attorno al Varmo, il luogo delle prime esperienze e del destino – un affluente del Tagliamento, nel Friuli di pianura, tuttora vantato come “risorgiva bellissima, molto ben popolata da marmorate, fario, iridee e temoli”.
Un racconto in pegno di amicizia: “Ispirato dalle memorie d’una passeggiata insieme godutaci”, dice Ippolito nella dedica, all’amico Francesco Verzegnassi. In “pegno d’amicizia e di morale concordia”, tra “due diversissimi d’opera e di studi”. Una trama semplice, che serve al ricamo delle forme naturali in tutte le espressioni dei suoi soggetti, acque, erbe, arbusti, alberi, animaletti: i colori, gli odori, le luci – e le funzioni, le attitudini, le metamorfosi (la deciduità).
Un racconto della natura, in realtà. Dei luoghi propri, dell’infanzia e la prima giovinezza, e della vita in campagna, per quanto povera. E un esercizio di virtuosismo linguistico. Un uso spropositato del vocabolario – non soltanto aggettivale. Godibile come reperto: come testimonianza di un uso sregolato della lingua nella narrazione, mossa per ripetizioni e accrescitivi.
“Il Varmo” è una delle otte novelle che dovevano pubblicarsi in volume, nel 1856, opera del Nievo poco più che ventenne, col titolo “Novelliere campagnuolo”. Poi stampati variamente solo in riviste, per lo più a puntate. Opera del Nievo poco più che ventenne, ispirato dai “romanzi campestri” di George Sand, di cui era ghiotto, e dalla vena localistica dei veneti Francesco Dall’Ongaro e Caterina Percoto, nonché dallo scrittore risorgimentale Giulio Carcano, a Milano - dove Nievo sta per approdare.
Un esercizio del racconto in forma poetica. Che tanto più fa capire e rivalutare l’impegno di Manzoni per una lingua attiva, marciante – e al confronto concisa: significante più che discorsiva. Nella narrativa e nella saggistica – dove l’incisione è forse ancora più drastica.  
L’edizione amazon è una stampa del caricamenteo online, solo spaziata, ma senza altro sussidio editoriale, nemmeno la numerazione delle pagine. Quella veneta, dell’editrice Tracciati, è un vero libro, e si avvale di una corposa introduzione di Mariangela Lando, dell’università Ca’ Foscari a Venezia
Ippolito Nievo, Il Varmo, amazon, pp. 74 € 4
Tracciati, pp. 96 € 12

mercoledì 6 marzo 2024

Problemi di base comici - 794

spock


“La storia di Rocco Siffredi insegna la libertà”, “la Repubblica”?
 
“La vita è l’unica «malattia» certamente mortale”, I. Svevo?  
 
“La sinistra in politica è individualista”, Marco Revelli, visto da sinistra?
 
 La notte e i gesuiti ritornano sempre?
 
Che ne sarebbe della mafia senza l’antimafia?
 
Il moralismo è una tassa sugli onesti - anonimo?


spock@antiit.eu

La sindrome Collina

 Erano passai venti minuti di Bayern –Lazio, giocati a velocità da centometristi, e l’arbitro Vincic, uno sloveno, aveva fischiato solo due punizioni. Al 21’ c’è stato una fallo da giallo, per  bloccare una “ripartenza”, ma Vincic si è limitato all’ammonizione  verbale. Al 20’ di Napoli-Juventus l’arbitro Mariani aveva già ammonito i due pilastri del club torinese,  Vlahovic e Bremer, per falli veniali e forse inesistenti; aveva “fatto” la partita.
L’ammonizione subito è un modo per mettere un calciatore fuori dal match. Ma non uno qualsiasi. Era la chiave del potere del famoso arbitro Collina, quello che “faceva” le partite, ed è il modello dell’arbitro italiano – fra le tante sue imprese, l’espulsione di un calciatore che era appena entrato (un calciatore del Bologna, la città dove era per caso). Guardando Lazio-Milan la sindrome Collina era ancora più evidente, perfino grossolana: l’arbitro Di Bello non sbagliava, voleva sbagliare. Volontà altrettanto evidente nel caso poi dell’arbitro di Inter-Genoa, Ayroldi, che faceva vincere il club milanese non per errore: dava un rigore (necessario a far vincere l’Inter) per un fallo che addirittura non c’era – menre era palese a tutti la simulazione dell’interista coinvolto, Barella.
Collina decideva le partite. Non ha inventato le ammonizioni “strategiche”. Queste erano invenzione di Concetto Lo Bello, l’assicuratore che faceva l’arbitro, e poi ha fatto anche l’onorevole Dc - non lasciando traccia a Montecitorio, salvo che nel “Transatlantico”, dove stravaccato sul divano era famoso per il racconto di come aveva fottuto Agnelli, da milanista, lo ripeteva inesausto. Collina non ha fatto l’onorevole - negli anni suoi non era più possibile. Ma ha scaat tute le psiziioni delacategoria, i match iù imortanti, desigantre arbitrale dell’Italia, pi dell’Ucraina, poi dell’Uefa, ora da molti dela Fifa. Ed è dievntato il mdello degli arbitri italiani; “fare” le aprtite invece di facilitare (consentire, … rare) il gioco del calcio.
Ps. Barella è un nazionale, e quindi si supporrebbe leale, dovendo mobilitare le simpatie di tutti. Ma quella di Inter-Genoa non è la sua prima simulazione.
Un altro Nazionale, Bastoni, è stato protagonista di un’altra vittoria rubata dall’Inter, col Verona – arbitro un Michael Fabbri. Gli arbitri hanno regalato quattro punti all’Inter, molto necessari nei momenti del regalo, e in partite casalinghe contro squadre modeste.
Questo è un altro discorso. Ma anche questo aggiunge alla sindrome Collina. Che professandosi come Lo Bello anti-juventino raccoglie le simpatie di due terzi degli italiani, e con esse la fama di onestà. Ha potuto così frequentare settimanalmente l’addetto agli arbitri del Milan, e poi farsi testimonial della Opel, sponsor del Milan. Sempre campione di onestà.
Tutto Collina ha messo a frutto, da bravo “consulente finanziario”, si capisce che sia un modello.

Una iniezione di fiducia

Margherita Hack nasce a Firenze in via di Cento Stelle, è astronoma predestinata. Una strada che finisce in campagna, dove le stelle di notte brillano di più - luogo di passeggiata serale nella buona stagione ancora dopo la guerra, del quartiere dello stadio. Il film ne traccia la vita, semplice e insieme avventurosa, da Cento Stelle a Trieste - unica astrofisica donna a ogni stadio della sua carriera, ovunque impegnata a smuovere l’inerzia burocratica - alla direzione dell’osservatorio, che ricostruisce, amplia e qualifica.   
Un racconto felice di una vita felice. Lieve e incisivo, e a ogni scena stimolante. Soprattutto rispondente alla memoria che la stessa Margherita Hack ha lasciato di sé in “Nove vite come i gatti”, quindi una vita vera, particolare come tutte le vite. Spettacolare perfino, pur nella modestia dei mezzi – location modeste, inquadrature corte e cortissime, immagini ripetute. Grazie a una resa incredibilmente felice di Cristiana Capotondi, in ogni inquadratura, della vita pure lunga e non semplice dell’astrofisica.
Una serata finalmente libera dal dolentismo di maniera – la cifra della Rai. Pur tra situazioni e  eventi drammatici, il fascismo, le leggi razziali, la guerra, il maschilismo.  
Giulio Base, Margherita delle stelle, Rai 1, Raiplay

martedì 5 marzo 2024

Letture - 545

letterautore


Autofiction
– Ha precedenti illustri, seppure mascherati. Le “Confessioni”, da sant’Agostino a Rousseau. I “viaggi” di Sterne. Le memorie romanzate di Günter Grass (proprio “Il tamburo di latta”, molto prima che “Sbucciando al cipolla”). Ma il caso esemplare, celebrato fino a qualche decennio fa e poi dimenticato, proprio in epoca di “selfie”, è Amiel, Henri-Frédéric. Il poeta-filosofo ginevrino dell’Ottocento, che racconta le sue giornate in 17 mila pagine, ora per ora – forse perché in Svizzera succede poco, benché Ginevra sia prossima alla Francia.
 
Cinema
– Oggi è un tempio di silenzio e riserbo, più raccolto di una sala di concerti malgrado il popcorn – fino agli elenchi dei titoli di coda, di centinaia di funzionari, tecnici, operatori, operai e comparse, di cui non s’è visto, e non c’è da vedere, nulla, e niente da pensare: si guarda un film come si legge un libro, da soli, seppure in sala con molti posti – si vede in sala solo per la comodità, di poltrona ampia e schermo grande. 
Un tempo, con il film a rotazione senza l’obbligo di uscire di sale, e la possibilità di entrare in sala in qualsiasi momento, la fruizione era compartecipata, in qualche modo, sia pure per l’incomodo o il disturbo che si dava agli altri spettatori entrando durante la proiezione. Non vigeva il detto: non interrompere un’emozione. Ossia, la sala-mercato era una parte dell’emozione, una forma di compartecipazione. Per un senso di comunità, e di festa – lo spettacolo, in teatro, in piazza, all’aperto, al chiuso, si vuole d’insieme.

 
Dante
– La “Commedia” come “poema dell’indugio”, la dice Eco nelle Norton Lectures (“Sei passeggiate nei boschi narrativi”). Cioè della suspense. Seppure in incongruo collegamento: “Un esempio di indugio enorme, dilatato per centinaia di pagine, che serve a preparare un momento di soddisfazione e gioia senza limiti, rispetto al quale la soddisfazione dello spettatore di un film porno è poca e miserabile cosa”.
È un racconto, da leggere come un romanzo. Giusto il consiglio di Dorothy Sayers, traduttrice del poema, nel 1949 ai suoi lettori (la giallista fu dantista emerita).
 
Identità – Roma la rafforzava aprendosi e non chiudendosi, con la mescolanza delle culture. Con l’accoglienza – con la “vendita” della propria immagine, se si vuole. Nella sintesi di Zbigniew Brzezisnkij, “La grande scacchiera”,  agli inizi, una volta fatta la tara della forza militare di Roma: “Il potere imperiale di Roma, tuttavia, era derivato anche da un’importate realtà psicologica. Civis romanus sum – sono un cittadino romano  - era l’autodefinizione più importante, una fonte d orgoglio, l’aspirazione dei molti. Poi concessa anche a persone non romane di nascita, lo status magnificato di cittadino romano era l’espressione di una superiorità culturale che legittimava il senso di missione del potere imperiale”.
 
Montague – La casata inglese di lunga nobiltà deriva il nome dall’italiano Montecchi – Romeo Montecchi sarebbe nella lingua di Shakespeare Romeo Montagu.
 
Sgangheratezza – È il segreto di “Casablanca”, “Rocky Horror Picture Show”, e secondo Eliot anche dell’“Amleto”, dice Eco nelle “Sei passeggiate nei boschi narrativi”, pp. 157 segg. Cercando di rispondere alla domanda: “Perché un film diviene un cult movie, perché un romanzo o un poema diviene un cult book? E poteva aggiungere i filmacci “Febbre di cavallo” (Proietti, Montesano) o l’improponibile (ora) “I due carabinieri” (Verdone e Montesano). Ma allora, aggiunge, è il segreto della popolarità anche della Bibbia. E si dà questa ragione: i due film e l’“Amleto” sono cresciuti giorno per giorno,”senza sapere come la storia sarebbe andata a finire” (“Ingrid Bergman vi appare  così affascinantemente misteriosa perché, recitando sul set, non sapeva ancora quale sarebbe stato l’uomo che avrebbe scelto, e quindi sorrideva a entrambi con eguale tenerezza e ambiguità”). Mentre “«Amleto» sarebbe una fusione non completamente riuscita fra tre diverse fonti precedenti, dove il motivo dominante era quello della vendetta”.
 
Stati Uniti-Russia – Gli Stati Uniti sono il “Belpaese” in cinese. La Russia “la terra affamata”.
“Il nome completo è la traduzione di Stati Uniti d’America”, Mei Li Jiang Zhong Huo. Mei Li Jiang è America. He Zhon Guo è Stati Uniti. Tuttavia, il termine comune usato per riferirsi agli Stati Uniti è la forma abbreviata Mei Guo. Mei in questo caso nel senso di “bello” e “guo” di “paese” – Mahjar Balducci, Agenzia Radicale.
La Russia è il corrispondente dell’inglese “the hungry land”.
 
Susanna – “Susanna e i vechioni”, soggetto biblico, “ignuda e belloccia mentre nel giardino di casa fa le abluzioni”, ricorda Mephisto sul “Sole 24 Ore Domenica”, è stata ”soggetto pruriginoso” dei “maggiori artisti: “Rembrandt (1636), Artemisia Gentileschi (1610) – che se ne intendeva assai –Rubens (1655), Tintoretto (1555), Paolo Veronese (1580), Palma il Giovane (1600),Tiziano (1560), il Guercino del Prado (1617), e ancora l’italico Hayez (1850). Caravaggio mai se ne occupò, per gusti alternativi”.
 
Suspense – Eco la traduce con “indugio” (“Sei passeggiate nei boschi narrativi”) – non la traduce propriamente (saprebbe di italianizzazioni mussoliniane?), utilizza indugio dove ci si aspetterebbe suspense, come artificio narrativo.
 
West – È creazione di una donna, la scrittrice Dorothy Johnson – ma non soltanto. Cominciò a “cerare” il West nel 1935, con i racconti che il “Saturday Evening Post”, la rivista popolare, le pubblicava. Dai suoi racconti sono stati tratti western di culto, se non fra i primi. “Il Wild West è figlio di una donna”, può titolare “La Lettura”, precedendo una riedizione di Dorothy Jonhson. “L’uomo che uccise Liberty Valance”.
In realtà il Wild West data dagli anni 1880, da Buffalo Bil e il suo circo, in giro per l’America e il mondo, “Buffalo Bill Wild West Show”). E molti autori hanno preceduto Johnson, non solamente americani. Le storie danno l’inizio letterario del West nel 1902, con la pubblicazione de “Il virginiano”, romanzo di Owen Wister. Ma già aveva riscosso grande successo un scrittore tedesco, Karl May, che aveva cominciato a raccontare di indiani, cowboy e saloon, nel 1875. Tra l’altro influenzando molti connazionali, dato il successo arriso al genere. Tra essi Carl Laemmie, che sarebbe poi emigrato negli Stati Uniti, e vi avrebbe fondato la Universal Pictures. May peraltro confessava di essersi ispirato a “L’ultimo dei Mohicani”, la saga di James Fenimore Cooper, del 1826.
Dopo e più di Wister portarono il genere al successo gli americani Zane Grey e Elmore Leonard. E più di tutti Louis l’Amour, che era americano, Louis LaMoore.
Poco il genere ha attecchito con gli scrittori italo-americani. Ma un nome le storie ricordano, Charles Angelo Siringo – avvocato, investigatore e cacciatore di teste (dette anche lui la caccia a Billy the Kid), figlio di genovesi (il suo primo lavoro retribuito era stato da cowboy).

letterautore@antiit.eu

La devastante “liberazione” dell’Iraq

I danni inflitti all’Iraq nelle ultime due decadi sono “quasi incommensurabili”. Almeno 210 mila morti, per la gran parte civili. La distruzione di Mossul. Masse di iracheni in cerca di una nuova vita fuori dal paese, in migrazioni avventurose. Milioni di sopravvissuti traumatizzati.
Il “caos sanguinoso” dell’occupazione americana, dopo decadi di deprivazioni, per le sanzioni internazionali e per le ruberie del regime di Saddam Hussein, ha lasciato il paese frantumato in dozzine di fazioni e sette, in uno stato prossimo alla “conflagrazione di Gaza”.
È la recensione di due libri sui vent’anni dall’occupazione americana dell’Iraq: “A Stranger in Your Own City: Travels in the Middle Est Log War", di Ghaith Abdul-Abad, e “Wounded Tigris: A River Journey through the Cradle of Civilization", di Leon McCarron.
La rivista ripubblica, con la recensione, una selezione  di “saggi sulla devastazione in Iraq”.
Joshua Hammer, Iraq's Twenty Years of Carnage, “The New York Review of Books”

lunedì 4 marzo 2024

Ecobusiness

La batteria di un’auto elettrica contiene 8 kg. di litio, 35 di nichel, 20 di manganese, 14 di cobalto. Tutti minerali di approvvigionamento limitato, a costi elevati, con procedimenti produttivi invasivi.
Per “ammortizzare” l’impatto ambientale della produzione di questi componenti e del loro utilizzo, sarebbe necessario sfruttare la batteria per tutta la sua vita utile. Che per le batterie al litio è di 750 mila km. – circa 500 km. a ricarica, moltiplicati per 1.500 ricarche, la vita di una batteria. Ma l’auto privata percore mediamente 10 mila km. l’anno.
Lo smaltimento delle batterie per auto, esauste o meno, è problema ancora non affrontato. Ma sicuramente di grade impatto ambientale.

Cronache dell’altro mondo – salutistiche (257)

Nella comunità Amish – 200-250 mila persone, sparse soprattutto in Pennsylvania e Ohio, discendenti dei mennoniti d’Olanda - i tumori sono rari.
Il motivo non è genetico. Gli Amish non praticano l’inbreeding, anche se hanno un sistema di vita comunitario, e accettano convertiti.
I motivi che si ipotizzano sono del sistema di vita.
Gli Amish coltivano la frutta e le verdure che consumano con l’esclusione tassativa di coadiuvanti chmici.
Un altro motivo che si ipotizza è che non usano le automobili, quindi sono meno esposti all’inquinamento dell’aria.
Non usano neanche l’elettricità – se non in casi rari, eccezionali . Né la tecnologia – telefoni compresi, se non in casi eccezionali. E quindi sono meno esposti a onde elettromagnetiche.

Faulkner selvaggio – contro il lettore

Una storia d’amore bohème tra adulti: privazioni, vagabondaggi, sfortune. E una di un carcerato - uno di due, un forzato basso e un forzato alto, di quello alto, il basso scompare presto nella melma – impiegato dalla polizia per i salvataggi nella Grande Inondazione del Mississippi del 1927, e poi condanato anche per evasione, per essersi perduto nel mare di acqua, e di fango. Molto gelo, anche a New Orleans, e molta fame. E acqua, molta acqua, per moltissime pagine – “uno scenario degno di un Dante di Eisenstein” .
Due racconti in parallelo, smazzati l’uno dentro l’altro. Uniti da non si sa che. Due storie di fallimenti – a un certo punto si fa una filippica contro la Rispettabilità? Un romanzo della malinconia, lungo, insistito, ripetuto? Un’antifona all’American Dream? Nel 1939, quando Faulkner stava a Hollywood? Una prova d’autore?
Curioso il comento di Kundera: «La Sonata opera 111 [di Beethoven] mi fa pensare a Le palme selvagge di Faulkner, in cui si alternano un racconto d’amore e la storia di un evaso, due soggetti che non hanno nulla in comune, non un personaggio, e neanche una qualunque percettibile affinità di motivi o di temi: una composizione che non può servire da modello a nessun altro romanziere, che può esistere una volta e basta, che è arbitraria, non raccomandabile, ingiustificabile – ed è ingiustificabile perché dietro di essa si avverte un es muß sein che rende superflua ogni giustificazione». La  una storia d’amore  non c’è .
Una prova di forza, sia per le storie, sia per il modo convulso di raccontarle – per il quale ci vogliono due traduttori, Bruno Fonzi e Mario Materassi. C’è anche, anche dichiarata, un po’ di misoginia – le donne sono strane: quando non sono cattive sono incomprensibili. I francesi della Luisiana, i cajun, parlano “facendo chiò-chiò”.
Il lettore, seppure porta a termine la fatica, fatica a capire. Forse una scommessa, dell’autore che si fa leggere anche se illeggibile? Un omaggio, ironico, a Hemingway a p. 87 lo fa supporre. Comunque a sue spese, del lettore - sembra un libro interminabile.  
William Faulkner, Le palme selvagge, Adelphi, pp. 290 € 13

domenica 3 marzo 2024

Ombre - 709

Mezza destra, da Fascina a Lollobrigida, e  mezza Juventus, da Agnelli a Ronaldo, spiata dal sottotenente (“luogotenente”?) Striano e dal dottor Laudati, giudice antimafia. Si potrebbe dire una congiura (un’antimafia?) di interisti, notoriamente di sinistra, come i Moratti, e naturalmente anti-Juventus.
Si direbbe che niente è mai serio in Italia, nemmeno lo spionaggio – nemmeno, malgrado i tanti lutti, quarant’anni fa il terrorismo.

Due ampie pagine di Candida Morvillo per Alessandro Benetton sul “Corriere della sera”, con ampi riferimenti ai tre figli, senza mai menzionare la madre dei figli, che sarebbe anche personaggio di maggiore attrattiva che Benetton, Deborah Compagnoni. Il giornalismo del mistero? Sdraiato? 

Dunque, l’inflazione secondo l’Istat in Italia nel 2013 non c’è stata – c’è stata nel 2121, per la ripresa lenta dell’agricoltura, bloccata dal covid, e nel 2022, per i rincari dell’energia e per la siccità. Le politiche monetarie delle banche centrali, come la Bce, fisse sul caro denaro, sono inutili, se non dannose?
 
È troppo tempo, in effetti, ormai un secolo, che non si ripensano le politiche delle banche centrali. Che del resto non hanno una vita più lunga. Un soggetto che si vuole decisivo, ma ha poca intelligenza, in primis di se stesso.   
 
Una politica monetaria, quella dei tassi primari al rialzo, non anti-inflazione ma pro-banche? Non per programma, ma per inerzia? L’effetto è quello, considerati i superprofitti di Intesa, Unicredit e le banche italiane in genere. Sì, ben gestite quanto si vuole, però con un 2023 eccezionale grazie a acro-denaro.
Anzi, è come se la politica monetaria Bce avesse “fatto” inflazione, attraverso il costo dei mutui e del credito bancari.
 
“«Calpestati dalla folla»”, «Spari solo alle gambe», le due versioni dei militari”. Che soldati israeliani, di leva, giovanotti qualsiasi, possano sparare col mitra sulla folla affamata, “solo” alle gambe, vuole forse dire che hanno una forza (il mitra ha un rinculo terribile) e una mira da film d’azione. Ma fa amarezza. Anzi paura.
 
“Scholz «rivela» la presenza (poco segreta) della Nato a  Kiev”. Se ne fa un giochetto tra leader, la solita manfrina celodurista franco-teedsca, mentre è la chiave della guerra in Ucraina: una sfida alla Russia, a mezza voce, facendo finta di nulla. Volendo razionalizzare, è un tentativo europeo di castrarsi. Ma è l’Europa che alimenta (difende) l’Ucraina? No, l’America.  
 
Il presidente Mattarella rimprovera la durezza del governo sulle manifestazioni anti-Isarele perché se ne è lamentato il vescovo di Pisa. È un bene o un male – i vescovi in politica?
Mattarella non sa che ha innescato una bomba – non faceva le manifestazioni nel 1969?
 
Il governo Meloni, di destra e filo-Israele, ha dato via libera a tutte le manifestazioni pro-Palestina, a differenza di Germania e Francia, p.es.. Ma sa – conosce i suo polli – che l’incidente è sempre in agguato. Al vescovo non gliene frega –ha la vita eterna.
 
Il governo ha paura delle manifestazioni anti-Israele non per i ragazzi delle scuole, i quali, indossata la kheffia e urlato gli slogan, per raccontarla ai nipoti, tornano alle cuffie e al cellulare, ma perché non si può escludere che un vecchio camerata nazificato lanci una molotov o piazzi una bomba contro un negozio o un’abitazione “antipatici” (succede in Svizzera....). Si fa tanto parlare di fascismo e neofascismo, e poi non si vuole esorcizzarlo ma rimetterlo in circolo? Tanto è l’odio verso il governo, che tenta di dissociarsene – vedeva Mattarella come il Battista.

Due matrimoni per quattro genitori

Dopo il successo otto anni fa di “Alibi.com” (non distribuito in Italia), il regista e attore (comico) Lacheau ci riprova. Con una storia di amore romantico, che dovrebbe purificarlo dagli imtrighi di alibi.com (come nascondere tradimenti e avventure al partner). Ma finisce per coinvolgere se stesso  in un’avventura da alibi.con: inventarsi dei genitori falsi per i suoceri, i suoi essendo impredentabili, un truffatore e un’attrice semi-porno. Si finisce quindi per fare due matrimoni, in contemporanea – anche la sposa è diversa,
Una pochade, a grande velocità. Di situazioni, battute, nudi in situazione anerotiche, invasioni di campo, e una buona dose di azione. Un po’ aggrovigliata.   
Philippe Lacheau, Due matrimoni alla volta, Sky Cinema