sabato 9 marzo 2024
L’informazione non è ricatto
Nel mezzo dello scandalo del mercato delle intercettazioni Elly Schlein in comizio e Mattarella con i visitatori si attardano sulla libertà d’opinione.
Fatima ad Alcamo - la pastorella della liberazione della donna
La vicenda è nota, si sa che andrà
a finire bene. La violenza, anche, è minima, il film non la esibisce. Ma il racconto
di come Franca Viola, una ragazza diciassettenne, contadina, di Alcamo in
provincia di Trapani, ha rifiutato il matrimonio riparatore di un fidanzatino presuntuoso
e violento e lo ha denunciato e fatto condannare, nel 1965, rifiorisce e coinvolge.
Merito dei tagli narrativi adottati dalla regista, che del racconto è anche
sceneggiatrice. Con pochi spazi per il folklore e la violenza, anche se il ragazzo bello
e stolido che la rapisce e violenta è di famiglia notabile-mafiosa.
E di Claudia Gusmano che fa la ragazza, inarrivabile nel misto di leggerezza e
fermezza, quando concorre al ruolo della Madonna in chiesa per la festa, o al
ragazzo che è tornato dalla Germania e si fa vedere al balcone per la
processione, e quando, subito, ne rifiuta la presunzione e dopo, con
semplicità, il “matrimonio riparatore” – si direbbe più nel ruolo di Ornella Muti,
che fu Franca (qui Lia) nel film che Damiani girò subito sulla vicenda, “La
moglie più bella”. Una sorta di miracolo laico di Fatima produce, madonnina
semplice e diritta. Supportata da Francesco Colella, nel ruolo difficile di
Ludovico Corrao, che sarà infine l’avvocato di Franca-Lia, a lungo titubante ad
assumere il ruolo perché “in difficoltà col partito” – un comunista che il Pci
boicottava (“perché non sono sposato”), ma con la vittoria al processo si farà
più che determinato, artefice inflessibile della ricostruzione del Belìce dopo
il terremoto (1968) come luogo di arte, e a lungo senatore (Sinistra Indipendente).
Un’Italia semplicemente
terrificante (il prete, il maresciallo, il machismo)
non molto tempo fa, su cui ancora non sera dispiegata l’innovazione sociale e
giuridica del primo centro-sinistra e del Sessantotto. La vicenda è siciliana,
ma la legge era italiana – siciliana è semai la ribellione di Lia-Franca, e dei
suoi giudici.
Peccato per il sonoro, a pochi
mesi dall’uscita già inservibile – servirebbero dei sottotitoli.
Marta Savina, Primadonna, Sky Cinema
venerdì 8 marzo 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (553)
Giuseppe Leuzzi
“«Troppi 100 e lode al Sud». E il governo fa integrare
il diploma con i test Invalsi”. Cioè con dei test in cui Milano fa meglio del
Sud alla maturità.
È un titolo di giornale che
sembra uno scherzo, e invece è un decreto. Ci sono programmi per le scuole e
norme per gli esami, ma il governo del Ponte fa una legge speciale razzista –
l’ha fatta sabato scorso, senza dirlo a nessuno.
È costante nelle graduatorie della felicità
(soddisfazione, benessere….), anche non settentrionali, “di organismi indipendenti”,
la prevalenza dei paesi nordici – in Europa. Perché sono basate sull’autostima:
si chiede agli abitanti di ogni paese se
sono soddisfatti, di questo o quel servizio, o condizione. Un olandese si dirà
soddisfatto del suo sistema sanitario anche se per essere accudito da
un’ambulanza o un pronto soccorso bisogna essere in fin di vita (vero). Mentre
un italiano si dirà insoddisfatto. L’autostima è metà del successo – del
benessere.
Il governo Andreotti del 1989
lo storico Barbagallo diceva (“Napoli fine Novecento. Politici, camorristi,
imprenditori”, 1997) “il più meridionale” della storia d’Italia, “perché metà
dei ministri sono meridionali”. Dopo
aver detto – fatto dire a Paolo Cirino Pomicino – una trentina di pagine prima: “In cinque anni abbiamo avuto più
fondi per Napoli che in cento anni di unità d’Italia”.
Il Sud non ha un centro
Il presidente della Regione
De Luca il 16 febbraio porta i sindaci della Campania a Roma contro il governo:
“Non ci dà i fondi Pnrr”. Il governo risponde per bocca del ministro Fitto,
pugliese, che manca la lista dei progetti da finanziare, che la Regione
Campania doveva fornire. Fulmini di De Luca. Che però il 29 manda infine la documentazione
necessaria.
Tutto fuorché lavorare – un
poco.
Sui fondi Pnrr il De Luca
inadempiente però non si risparmia l’ultima parola: “Siamo in battaglia, è
il destino del Sud”. Ma è un altro
equivoco: la Sicilia è difficile che si identifichi con Napoli – anche la
Calabria (e forse neppure la Puglia). Anche sui capipopolo, che a Napoli invece
piacciono - un po’ smargiassi (non
mandare la documentazione, e protestare).
Il Sud è molto diverso – e
semmai nutre verso Napoli più rancori che verso Torino.
Napoli è una metropoli.
Meridionale, è la città più grande del Sud, ma non la metropoli del Sud.
Il “Sud” è un concetto geografico,
non ha un centro, sociale, politico.
L’amore di sé
“Pure cotali regioni sono
misera stanza di sterilità e di fatica; contorte e scapigliate le arborature,
umili e cadenti le case, disadorne vi appaiono le chiese, meschini e quasi
accozzagli del caso i villaggi; ma sopra
tanta apparent deformità si spande invisibile, e attragge l’animo senza passare
per gli occhi, una cert’aria di pace serena che non abita le champagne più
ubertose e fiorenti”. Non lesina entusiasmo Ippolito Nievo, in apertura del racconto
giovanile “Il Varmo”, il piccolo affluente di pianura del Tagliamento che ha formato
una landa pietrosa, per la “sua” terra. Bella facendo anche la povertà, della
natura.
Tutti i particolari che
descrive sono poveri, e scintillanti: “Là pertanto dalla nitida ghiaia
sprizzano ad ogni passo le limpid perenni fontane, e di sotto alla siepe sforacchiata
dal vento effondesi un profumo di viole più delizioso che mai, e per l’aria
salubre e trasparente piove da mane a sera il canto giocondo delle allodole; là
pascolano armenti di brevi membra e sottili che morrebbero mugolando innanzi
alle colme mangiatoie della bassa….”.
Il sottosviluppo è
psicologico, prima che di risorse. Di gente in pace con se stessa.
La squalifica del Sud è recente, è unitaria
C’è una faglia nella letteratura
del Grand Tour, dei viaggiatori in Italia che raccontavano i propri viaggi – un
filone letterario cospicuo: l’unità d’Italia. Dapprima l’Italia è uguale:
rovine, vino, nobiltà, avventura, se non altro un po’ di pittoresco. Con l’unità
si moltiplicano i viaggiatori al Sud, soprattutto donne, attratti dall’impresa
e dal mito di Garibaldi. E qui comincia, con molto buon cuore, la squalifica
del Sud. Tante “milady”, anche se mezze calzette al loro paese, chaperonate normalmente da gentiluomini
savoiardi, conti, prefetti, ufficiali, trasformano l’orrido, la natura selvaggia,
in orrore, sudiciume e bestialità.
Al Sud era venuto anche
Dumas, che ne scrive, ne continua a scrivere, come di ogni altro luogo e popolo.
Ma saranno pochi come lui, due o tre, Gissing, Norman Douglas. Non ci sarà più luce
al Sud.
Prima non era così. Il Sud
era visto com’era, ricco e povero, abitato da gentiluomini e da diavoli, e da poveri
diavoli. Pittoresco, cioè “strano”, cioè “diverso”, ma non il mondo del male.
Prima si possono suddividere i viaggiatori memorialisti in tre categorie, a
seconda che al Sud si trovino: come altrove (Courier, Custine, Dumas), in un
mondo diverso ma stimabile (Edward Lear), a disagio. Poi, apertosi il
Risorgimento, venne la squalifica del Sud. Per motivi politici, che nelle loro espressioni
più alte sono palmerstoniani. Ma dopo Teano diventano imperialisti.
Il parallelo è sconvolgente
fra la squalifica del Sud nel 1860-1865 e la “squalifica del negro” nel
Cinque-Seicento. Le varie “Milady”, incongrue più che avventurose viaggiatrici
nell’Italia del S ud post-unitario riunisce
le due esperienze: potrebbero essere palmerstoniane (oggi si direbbero – un marxista
le direbbe - agenti di Palmerston, di Londra, degli Usa) riciclate – prestate ai
Savoia per creare l’immagine dei Savoia, delle infuencer in concept.
La squalifica del Sud
riproduce in tempi ridotti, concentrati, quasi fulminei, la squalifica del
negro, se non è scorretto usare la parola – dell’africano nero. Gli africani
non hanno costituito una meraviglia (una meraviglia negativa) fino a una certa
epoca. Nella storia d’Europa, fino alla Bibbia compresa, s’incontrano regine
nere, principi neri, amanti nere, madonne nere - di un colore diverso ma
normale. La squalifica dell’Africa comincia col proselitismo (le conversion in
massa, le missioni) e con le piantagioni. Con l’economia coloniale dell’America,
che sfruttava i neri perché in quell’epoca
venivano razziati nel Golfo di Guinea, dal Senegal all’Angola, dagli
arabi e dagli stessi potentati neri – la razzia era un’arma, a fini di riscatto
o di vendita. I missionari non erano razzisti, non discutevano se gli africani
avessero un’anima, e tuttavia erano corrivi.
Non furono, e non sono, i missionari le menti e l’anima più eccelse del mondo cristiano.
Normalmente erano , e sono, persone prestanti fisicamente, di spirito semplice,
senza grandi bagagli o bisogni culturali. Sempre attoniti di fronte alla
diversità, che non si spiegano. Sono all’origine della favola “però, sono buoni”. Anzi, della favola dell’africano
“bambino cresciuto”. Ma non sono stati i soli – con i mercanti di carne umana –
a squalificare l’Africa. Con alcuni scrittori, d’inventiva corriva e ripetitiva.
E qualche papa, p.es. quello delle “diez mil toneladas de negros” che si potevano
commerciare, Alessandro IV Borgia.
I missionari più intelligenti, i gesuiti, nel 1575
la pensavano così – in un rapporto
citato da Tacchi Venturi, “Storia del Compagnia di Gesù in Italia”: “Le montagne
della Sicilia e della Calabria sarebbero indicate come luogo di noviziato per i
missionari delle Indie. Chiunque sarà riuscito nelle Indie di casa nostra (de acà nell’originale, n.d.r.) sarà
eccellente per le Indie lontane”. Ancora nel Seicento
il Sud fu “las Indias de por acà”. Però senza condanna, come una cosa diversa,
difficile da conquistare.
Il Sud come Indie deve molto ai gesuiti, che vi
s’inventarono missionari. Non avevano il coraggio d’imbarcarsi, ma non volevano
restare indietro a Francesco Saverio e Matteo Ricci. “Queste Indie di qui”, si scrivevano, “queste
montagne della Sicilia sono Indie”, “India italiana”, “Indie d’Abruzzo”, “Indie
di Calabria”, “in queste Indie”. Ma non dissimilmente pensavano di altri luoghi
e altre popolazioni – i gesuiti sicuramente sono superbi. La squalifica del
Sud altra cosa, è totale e irrimediabile,
ed è recente, postunitaria.
Cronache della
differenza: Napoli
In “Napoli fine Novecento” Francesco Barbagallo, che vent’anni dopo celebrerà “Napoli, Belle Époque”, nota in apertura: 1973, c’è la crisi del petrolio, a Napoli c’è il colera.
Napoli record, della Rca evasa, l’assicurazione auto obbligatoria, dei premi Rca più cari, delle liquidazioni danni automobilistici più ricche. Da un capo all’altro, non c’è limite allo spregio, col beneficio della corruzione.
Ha, da sempre, il record dei veicoli non assicurati, e il record della Rca più alta. In ragione delle tante truffe alle assicurazioni. Si direbbe una pena autoinflitta, ma non per caso.
“Sono oltre 500 mila le imprese attive in Campania” – “Corriere della sera – Economia”. Con eccellenze nella logistica, la farmaceutica (biotecnologie), spazio, “con un ecosistema particolarmente innovativo per il Paese”. Più i settori tradizionali, agroalimentare (“nel 2022 il valore delle esportazioni regionali ha superato i 10 miliardi, con un aumento del 30 per cento rispetto al 2012”), e turismo. Cosa manca alla Campania per definirsi una regione industriale? La cultura, si direbbe – la cultura della produzione e della promozione, invece che del “colore”, il caffè, la piazza, la canzone, e la camorra.
Il “delegato” di Polizia a Milano, napoletano, è “il mussulmano” per i personaggi milanesisssimi di Gadda, “Un fulmine sul 2002”, 21: chiamato a dirimere una confusa questione parentale, “il mussulmano inverdì, pareva un califfo che avesse colto un infedele nell’harem…Malano era più forte di lui” – Malano.
Un onorevole spara a Biella e la notizia è: neanche a Napoli. È una notazione razzista (leghista), il presupposto. è che a Biella tutti sono belli-e-buoni, anche i fascisti. Ma è, dovrebbe essere, attestazione di uno status speciale, la metropolis Napoli, con tutti i suoi san Gennaro, e le sue baraonde per lo scudetto, è probabilmente la citta italiana più innovativa, anche tecnicamente, e cosmopolita, più capace di assorbire, e di adattarsi.
leuzzzi@antiit.eu
Gioventù in ospedale, e ritmo
I vari medici che sui social criticano “Doc” – diagnosi
azzardate, terapie sperimentali, troppe guarigioni, illude i malati, specie di
tumori… - non afferrano il successo della serie. Che non sta nelle diagnosi –
che nessuno capisce – ma nel ritmo (ricoveri, cure,
peggioramenti-miglioramenti). limitando le vicende di contorno, personali,
familiari, professionali, che invece nelle storie Rai tendono a prendere il sopravvento
(“Lolita Lobosco” eccetera). E poi nel ruolo
pratico, attivo, positivo, dei giovani. E nell’ospedale come dovrebbe
essere, ordinato, pulito, e in cui la malattia è una persona – il malato non è
quello con cui nessuno parla, un caso senza nome. Un luogo in cui si parla. E con un minimo di riservatezza.
La salute c’entra poco – è difficile
godersi come spettacolo l’ospedale e la malattia. Anche Argentero, il ”doc”
risolutore e smemorato, funziona perché dà ritmo al ritmo.
Jan Michelini-Ciro Visco, Doc, Rai 1, Raiplay
giovedì 7 marzo 2024
Secondi pensieri - 528
zeulig
Incredulità –
Coleridge, rivolgendosi al lettore, gli chiede “la sospensione dell’incredulità”.
In letteratura lo scrittore finge una realtà, il lettore deve credergli. Al
punto che, si è detto, non c’è altra realtà che quella creata dallo
scrittore-poeta: narrare, immaginare. Fittizia ma accettata, una sorta di patto,
autore-lettore. Ma ogni lettore non crederà a suo modo – ci sono tante realtà narrative,
fittizie, quanti sono i lettori, come sappiamo? O la finzione, su cui il lettore
di Coleridge deve sospendere l’incredulità, si organizza in rapporto a una
non-finzione? Ma allora tutta la realtà è d’invenzione – e quella fisica, o
chimica, matematica, è solo convenzionale?
Credulità-incredulità
si può repertoriare (invocare, negare) in fatto di fede – religiosa, in relazione
a fenomeni intoccabili, invisibili. D i cui una forma è la fantasia, l’invenzione
letteraria. E dunque la letteratura (la scrittura, la lettura) è forma
religiosa, basandosi sula credulità (fede), di format e contenuti sovrapponibili.
Europa –
“L’Europa riparta dal mito di Enea” è proposta di Fernando Gentilini. Un’Europa
disancorata – benché ipotesi, spiega Gentilini, di T.S.Eliot,”in un discorso memorabile
alla Virgil Society di Londra” il 16 ottobre del 1944, in piena guerra: la proposta
di un patto di pace. È l’unica idea di Europa di cui si legga da qualche tempo.
Mentre a Parigi di discute delle immagini proposte per propagandare l’Olimpiade,
comprensive di facciate di chiese, senza la croce sopra.
L’idea di Europa e stato a
lungo esercizio critico – di Carlo Curcio, A.J.P. Taylor, Chabod tra i tanti.
Legata al sacro romano impero, e al cristianesimo. Hannah Arendt, sulla traccia
di Alessandro Passerin d ‘Entrèves, ci lega le istituzioni democratiche moderne,
le assemblee, l’elettività – la democrazia coniugata all’Auctoritas (poi
trasformata, per ultimo da Foucault, in violenza del potere – ma senza anarchismo…).
La commissione di Giscard d'Estaing per la costituzione europea, di cui faceva
parte Giuliano Amato, altro illustre laico, ne escludeva invece le radici cristiane
- progetto poi bocciato dalla Francia républicaine.
La Francia di Macron, altro laico, ora
cancella la croce dalle cuspidi delle chiese.
L’Europa che rinuncia alla
storia è un dei tanti aspetti della cosiddetta crisi europea, o del tramonto –
non sapere più chi si è è uno dei segni della decadenza, secondo lo storico della
decadenza Santi Mazzarino. Ma oggi il suo non è più un laicismo fine a se
stesso - anticlericale. È un laicismo prono all’islam in tutte le assise, Fifa,
Onu, Davos, Cio..... Cioè a una religione molto militante, e che, di più, vuole
i suoi precetti legge dello Stato. Potenza dei petrodollari? Confreries? Seppure laica, questa Europa
deve riscoprire le leggi Siccardi.
Storia
– La storia, si sa, è negata a Dio – anche
se un Dio, si dice, la salverà. La storia è il diavolo, insegnava il papa Ratzinger
quando era cardinale, protettore della fede. Kafka non la sopportava. È curiale. Tenta di rimediare agli eroi, i mostri, i giuramenti,
i tradimenti, le sconfitte. Ma è piatta. E indifferente. È eterna, ma per non avere cuore, e neppure
cervello. È impura. Simone Weil trova un solo caso di purezza in tutta la
storia romana, del padrone, che gli schiavi salvano dalle proscrizioni nascondendolo,
che si consegna ai persecutori quando questi infieriscono sugli schiavi che lo
hanno salvato. Nella storia greca, che ammira, non trova, “forse”, che Aristide,
Dione, l’amico di Platone, e Agis, il re socialista di Sparta, ucciso
giovinetto. Nella storia della Francia, allora occupata dai tedeschi e quindi
compassionata, si è no Giovanna d’Arco. Che ci troverebbe di puro nella storia
d’Italia, che pure è paese antico, onusto, e libero, da pregiudizi, stereotipi,
valori, grandezze? In alcuni casi la storia è più impura.
Sul diavolo Savinio è definitivo:
“Soltanto il diavolo, ossia la quintessenza del male, può pensare e ordire un
inganno così radicalmente malvagio, da rendere l’umanità costantemente e
irrimediabilmente infelice facendola camminare verso ciò che non esiste e
allontanandola di altrettanto da ciò che esiste”. Oppure: “Credere che
avanziamo quando il nostro illusorio avanzare è in realtà un «fabbricare
passato»... Gli uomini, se non fossero stati ingannati dal diavolo, porterebbero
ancora la loro bella faccia voltata dalla parte delle spalle”. Lo fa dire al
signor Munster, “che era molto intelligente, e come tale di carattere sempre
più adolescentesco, più curioso del non avvenuto che rimpiantoso
dell’avvenuto”.
Se Freud avesse analizzato la storia
avrebbe detto che l’umanità non ha smesso l’abito dell’orda. È come per l’io, che senza emozioni e
rimozioni sarebbe una canna secca, seccata anzitempo, prima d’inverdire - siamo
zingari, quelli di Bachofen, ordinati e ribelli. Ma il sapere storico è
antitetico al sapere intellettuale, insegna Novalis: là s’impara, qui si
disimpara. Benché i due saperi siano connessi: “Poiché si comincia imparando,
ne consegue debolezza d’intelletto e eccesso di fantasia”. E “di che è fatta la
storia se non di me?”, scoprì Michelet dopo aver studiato e con perizia rappresentato
l’insetto, l’uccello, il mare, i monti, la strega, la donna, il prete, un
impegno appena alleviato dalle sveltine ancillari – giustificate col dire: “La
cosa ha dei vantaggi per un uomo laborioso”.
Il
presente come storia è saggio di ricerca marxista di Paul Sweezy. Che fa capire
alcune cose. Lo storico è un profeta che guarda
all’indietro, succede ai dannati di Dante, a Heine e a Friedrich Schlegel oltre
che al signor Munster, e all’angelo di Benjamin e Klee: predice ciò che è accaduto.
Anche
il futuro non c’è, senza oggi non c’è domani, e i posteri non esistono: erano,
e sono, una consolazione. Il tempo è un presente assoluto, in cui passato e
futuro si fondono. Nel presente è l’immortalità. Compresa la
storia se vuol’essere immortale. Compreso il futuro, che dunque esiste. O è viceversa:
solo il futuro esiste, il presente non fa in tempo a vederlo, organizzarlo, se
non in quanto prepara il momento dopo, il futuro.
La nostra epoca permanente è storica, Spengler non poteva sbagliarsi.
Ma dopo? E prima? E cos’è prima e cos’è dopo? Era la storia per il professore
al liceo una questione di date: quando nacque e quando morì Machiavelli,
incalzando, alla risposta muta, con un quando nacque e morì Guicciardini. Se
non era la terza guerra\di successione\al trono\di Polonia: la veneranda
“testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria” di Cicerone
ridotta a una questione ordinale. Thomas Henry Huxley, che gli uomini voleva
automi, aveva un ottimo argomento nella man-cata evoluzione della mente-storia,
se è sempre al punto zero. E dunque la storia non esiste, si può dire anche
questo. La storia è ma può non esi-stere. Milioni
di persone lavorano oggi al computer,
col sistema binario di calcolo che Leibniz derivò da I Ching. Ma chi ricorda
Leibniz? E I Ching sono un oracolo.
Oggetto della storia è l’uomo - l’uomo e la donna. L’uomo nel
tempo, la memoria quindi. La
storia è autopsia, diceva Procopio. E Manzoni, che concorda: la Provvidenza
arriva sempre alla fine. Anche se si può ricominciare. Forse uno dei grandi
errori, dei peccati del secolo, è l’importanza che si dà alla storia, troppi lo
dicono.
zeulgi@antiit.eu
L’infanzia felice fa felice la vita
Due bambini, la figlia giocosa
del mugnaio e l’orfanello scontroso preso in casa, crescono insieme, di tacita intesa,
l’una ricaricandosi con l’altro, nella campagna, di cui scoprono le molteplici
vite. Poi vengono separati. Poi si ritrovano. Attorniati da maschere: il padre
buono, la moglie e madre Santippe. Sempre attorno al Varmo, il luogo delle
prime esperienze e del destino – un affluente del Tagliamento, nel Friuli di
pianura, tuttora vantato come “risorgiva bellissima, molto ben popolata da marmorate,
fario, iridee e temoli”.
Un racconto in pegno di
amicizia: “Ispirato dalle memorie d’una passeggiata insieme godutaci”, dice
Ippolito nella dedica, all’amico Francesco Verzegnassi. In “pegno d’amicizia e
di morale concordia”, tra “due diversissimi d’opera e di studi”. Una trama
semplice, che serve al ricamo delle forme naturali in tutte le espressioni dei
suoi soggetti, acque, erbe, arbusti, alberi, animaletti: i colori, gli odori,
le luci – e le funzioni, le attitudini, le metamorfosi (la deciduità).
Un racconto della natura, in realtà.
Dei luoghi propri, dell’infanzia e la prima giovinezza, e della vita in
campagna, per quanto povera. E un esercizio di virtuosismo linguistico. Un uso
spropositato del vocabolario – non soltanto aggettivale. Godibile come reperto:
come testimonianza di un uso sregolato della lingua nella narrazione, mossa per
ripetizioni e accrescitivi.
“Il Varmo” è una delle otte
novelle che dovevano pubblicarsi in volume, nel 1856, opera del Nievo poco più
che ventenne, col titolo “Novelliere campagnuolo”. Poi stampati variamente solo
in riviste, per lo più a puntate. Opera del Nievo poco più che ventenne,
ispirato dai “romanzi campestri” di George Sand, di cui era ghiotto, e dalla
vena localistica dei veneti Francesco Dall’Ongaro e Caterina Percoto, nonché
dallo scrittore risorgimentale Giulio Carcano, a Milano - dove Nievo sta per
approdare.
Un esercizio del racconto in
forma poetica. Che tanto più fa capire e rivalutare l’impegno di Manzoni per
una lingua attiva, marciante – e al confronto concisa: significante più che
discorsiva. Nella narrativa e nella saggistica – dove l’incisione è forse
ancora più drastica.
L’edizione amazon è una stampa
del caricamenteo online, solo spaziata, ma senza altro sussidio editoriale, nemmeno
la numerazione delle pagine. Quella veneta, dell’editrice Tracciati, è un vero libro, e si avvale
di una corposa introduzione di Mariangela Lando, dell’università Ca’ Foscari a
Venezia
Ippolito Nievo, Il Varmo, amazon, pp. 74 € 4
Tracciati, pp. 96 € 12
mercoledì 6 marzo 2024
Problemi di base comici - 794
spock
“La storia di Rocco Siffredi insegna la libertà”, “la
Repubblica”?
“La vita è l’unica «malattia» certamente mortale”, I. Svevo?
“La sinistra in politica è individualista”, Marco Revelli,
visto da sinistra?
La notte e i gesuiti
ritornano sempre?
Che ne sarebbe della mafia senza l’antimafia?
Il moralismo è una tassa sugli onesti - anonimo?
spock@antiit.eu
La sindrome Collina
Erano passai venti minuti di
Bayern –Lazio, giocati a velocità da centometristi, e l’arbitro Vincic, uno
sloveno, aveva fischiato solo due punizioni. Al 21’ c’è stato una fallo da giallo,
per bloccare una “ripartenza”, ma Vincic
si è limitato all’ammonizione verbale. Al
20’ di Napoli-Juventus l’arbitro Mariani aveva già ammonito i due pilastri del
club torinese, Vlahovic e Bremer, per falli
veniali e forse inesistenti; aveva “fatto” la partita.
L’ammonizione subito è un modo per
mettere un calciatore fuori dal match.
Ma non uno qualsiasi. Era la chiave del potere del famoso arbitro Collina, quello
che “faceva” le partite, ed è il modello dell’arbitro italiano – fra le tante
sue imprese, l’espulsione di un calciatore che era appena entrato (un
calciatore del Bologna, la città dove era per caso). Guardando Lazio-Milan la
sindrome Collina era ancora più evidente, perfino grossolana: l’arbitro Di
Bello non sbagliava, voleva sbagliare. Volontà altrettanto evidente nel caso poi
dell’arbitro di Inter-Genoa, Ayroldi, che faceva vincere il club milanese non
per errore: dava un rigore (necessario a far vincere l’Inter) per un fallo che
addirittura non c’era – menre era palese a tutti la simulazione dell’interista
coinvolto, Barella.
Collina decideva le partite. Non ha
inventato le ammonizioni “strategiche”. Queste erano invenzione di Concetto Lo
Bello, l’assicuratore che faceva l’arbitro, e poi ha fatto anche l’onorevole Dc
- non lasciando traccia a Montecitorio, salvo che nel “Transatlantico”, dove
stravaccato sul divano era famoso per il racconto di come aveva fottuto Agnelli,
da milanista, lo ripeteva inesausto. Collina non ha fatto l’onorevole - negli anni
suoi non era più possibile. Ma ha scaat tute le psiziioni delacategoria, i
match iù imortanti, desigantre arbitrale dell’Italia, pi dell’Ucraina, poi dell’Uefa,
ora da molti dela Fifa. Ed è dievntato il mdello degli arbitri italiani; “fare”
le aprtite invece di facilitare (consentire, … rare) il gioco del calcio.
Ps. Barella è un nazionale, e
quindi si supporrebbe leale, dovendo mobilitare le simpatie di tutti. Ma quella
di Inter-Genoa non è la sua prima simulazione.
Un altro Nazionale, Bastoni, è
stato protagonista di un’altra vittoria rubata dall’Inter, col Verona – arbitro
un Michael Fabbri. Gli arbitri hanno regalato quattro punti all’Inter, molto
necessari nei momenti del regalo, e in partite casalinghe contro squadre
modeste.
Questo è un altro discorso. Ma
anche questo aggiunge alla sindrome Collina. Che professandosi come Lo Bello
anti-juventino raccoglie le simpatie di due terzi degli italiani, e con esse
la fama di onestà. Ha potuto così frequentare settimanalmente l’addetto agli
arbitri del Milan, e poi farsi testimonial
della Opel, sponsor del Milan. Sempre
campione di onestà.
Tutto Collina ha messo a frutto, da
bravo “consulente finanziario”, si capisce che sia un modello.
Una iniezione di fiducia
Margherita Hack nasce a
Firenze in via di Cento Stelle, è astronoma predestinata. Una strada che finisce
in campagna, dove le stelle di notte brillano di più - luogo di passeggiata
serale nella buona stagione ancora dopo la guerra, del quartiere dello stadio.
Il film ne traccia la vita, semplice e insieme avventurosa, da Cento Stelle a
Trieste - unica astrofisica donna a ogni stadio della sua carriera, ovunque
impegnata a smuovere l’inerzia burocratica - alla direzione dell’osservatorio, che
ricostruisce, amplia e qualifica.
Un racconto felice di una vita
felice. Lieve e incisivo, e a ogni scena stimolante. Soprattutto rispondente
alla memoria che la stessa Margherita Hack ha lasciato di sé in “Nove vite come i
gatti”, quindi una vita vera, particolare come tutte le vite. Spettacolare
perfino, pur nella modestia dei mezzi – location
modeste, inquadrature corte e cortissime, immagini ripetute. Grazie a una
resa incredibilmente felice di
Cristiana Capotondi, in ogni inquadratura, della vita pure lunga e non semplice
dell’astrofisica.
Una serata finalmente libera
dal dolentismo di maniera – la cifra della Rai. Pur tra situazioni e eventi drammatici, il fascismo, le leggi
razziali, la guerra, il maschilismo.
Giulio Base, Margherita delle stelle, Rai 1, Raiplay
Un racconto felice di una vita felice. Lieve e incisivo, e a ogni scena stimolante. Soprattutto rispondente alla memoria che la stessa Margherita Hack ha lasciato di sé in “Nove vite come i gatti”, quindi una vita vera, particolare come tutte le vite. Spettacolare perfino, pur nella modestia dei mezzi – location modeste, inquadrature corte e cortissime, immagini ripetute. Grazie a una resa incredibilmente felice di Cristiana Capotondi, in ogni inquadratura, della vita pure lunga e non semplice dell’astrofisica.
Una serata finalmente libera dal dolentismo di maniera – la cifra della Rai. Pur tra situazioni e eventi drammatici, il fascismo, le leggi razziali, la guerra, il maschilismo.
Giulio Base, Margherita delle stelle, Rai 1, Raiplay
martedì 5 marzo 2024
Letture - 545
letterautore
Autofiction – Ha precedenti illustri, seppure mascherati. Le “Confessioni”, da sant’Agostino
a Rousseau. I “viaggi” di Sterne. Le memorie romanzate di Günter Grass (proprio
“Il tamburo di latta”, molto prima che “Sbucciando al cipolla”). Ma il caso
esemplare, celebrato fino a qualche decennio fa e poi dimenticato, proprio in
epoca di “selfie”, è Amiel, Henri-Frédéric. Il poeta-filosofo ginevrino dell’Ottocento,
che racconta le sue giornate in 17 mila pagine, ora per ora – forse perché in Svizzera
succede poco, benché Ginevra sia prossima alla Francia.
Cinema – Oggi è un tempio di silenzio e riserbo, più raccolto di una sala di concerti
malgrado il popcorn – fino agli elenchi dei titoli di coda, di centinaia di
funzionari, tecnici, operatori, operai e comparse, di cui non s’è visto, e non
c’è da vedere, nulla, e niente da pensare: si guarda un film come si legge un
libro, da soli, seppure in sala con molti posti – si vede in sala solo per la
comodità, di poltrona ampia e schermo grande.
Un tempo, con il film a rotazione senza l’obbligo di uscire
di sale, e la possibilità di entrare in sala in qualsiasi momento, la fruizione
era compartecipata, in qualche modo, sia pure per l’incomodo o il disturbo che
si dava agli altri spettatori entrando durante la proiezione. Non vigeva il
detto: non interrompere un’emozione. Ossia, la sala-mercato era una parte dell’emozione,
una forma di compartecipazione. Per un senso di comunità, e di festa – lo spettacolo,
in teatro, in piazza, all’aperto, al chiuso, si vuole d’insieme.
Dante – La “Commedia” come “poema dell’indugio”, la dice Eco nelle Norton Lectures
(“Sei passeggiate nei boschi narrativi”). Cioè della suspense. Seppure in incongruo collegamento: “Un esempio di indugio
enorme, dilatato per centinaia di pagine, che serve a preparare un momento di
soddisfazione e gioia senza limiti, rispetto al quale la soddisfazione dello spettatore
di un film porno è poca e miserabile cosa”.
È un racconto, da leggere come un romanzo. Giusto il consiglio
di Dorothy Sayers, traduttrice del poema, nel 1949 ai suoi lettori (la giallista
fu dantista emerita).
Identità – Roma la rafforzava aprendosi e non chiudendosi, con la mescolanza delle
culture. Con l’accoglienza – con la “vendita” della propria immagine, se si
vuole. Nella sintesi di Zbigniew Brzezisnkij, “La grande scacchiera”, agli inizi, una volta fatta la tara della
forza militare di Roma: “Il potere imperiale di Roma, tuttavia, era derivato
anche da un’importate realtà psicologica. Civis
romanus sum – sono un cittadino romano
- era l’autodefinizione più importante, una fonte d orgoglio, l’aspirazione
dei molti. Poi concessa anche a persone non romane di nascita, lo status magnificato
di cittadino romano era l’espressione di una superiorità culturale che legittimava
il senso di missione del potere imperiale”.
Montague – La
casata inglese di lunga nobiltà deriva il nome dall’italiano Montecchi – Romeo
Montecchi sarebbe nella lingua di Shakespeare Romeo Montagu.
Sgangheratezza – È il segreto di “Casablanca”, “Rocky Horror Picture Show”, e secondo Eliot
anche dell’“Amleto”, dice Eco nelle “Sei passeggiate nei boschi narrativi”, pp.
157 segg. Cercando di rispondere alla domanda: “Perché un film diviene un cult movie, perché un romanzo o un poema
diviene un cult book?” E poteva aggiungere i filmacci “Febbre
di cavallo” (Proietti, Montesano) o l’improponibile (ora) “I due carabinieri” (Verdone
e Montesano). Ma allora, aggiunge, è il segreto della popolarità anche della
Bibbia. E si dà questa ragione: i due film e l’“Amleto” sono cresciuti giorno per
giorno,”senza sapere come la storia sarebbe andata a finire” (“Ingrid Bergman
vi appare così affascinantemente
misteriosa perché, recitando sul set, non sapeva ancora quale sarebbe stato
l’uomo che avrebbe scelto, e quindi sorrideva a entrambi con eguale tenerezza e
ambiguità”). Mentre “«Amleto» sarebbe una fusione non completamente riuscita fra
tre diverse fonti precedenti, dove il motivo dominante era quello della
vendetta”.
Stati Uniti-Russia – Gli Stati Uniti sono il “Belpaese” in cinese. La Russia “la terra
affamata”.
“Il nome completo è la traduzione di Stati Uniti
d’America”, Mei Li Jiang Zhong Huo. Mei Li Jiang è America. He Zhon Guo è Stati
Uniti. Tuttavia, il termine comune usato per riferirsi agli Stati Uniti è la
forma abbreviata Mei Guo. Mei in questo caso nel senso di “bello” e “guo” di
“paese” – Mahjar Balducci, Agenzia Radicale.
La Russia è il corrispondente dell’inglese “the hungry
land”.
Susanna – “Susanna e i vechioni”, soggetto biblico, “ignuda e belloccia mentre nel
giardino di casa fa le abluzioni”, ricorda Mephisto sul “Sole 24 Ore Domenica”,
è stata ”soggetto pruriginoso” dei “maggiori artisti: “Rembrandt (1636), Artemisia
Gentileschi (1610) – che se ne intendeva assai –Rubens (1655), Tintoretto
(1555), Paolo Veronese (1580), Palma il Giovane (1600),Tiziano (1560), il Guercino
del Prado (1617), e ancora l’italico Hayez (1850). Caravaggio mai se ne occupò,
per gusti alternativi”.
Suspense – Eco la traduce con “indugio” (“Sei passeggiate nei boschi narrativi”) –
non la traduce propriamente (saprebbe di italianizzazioni mussoliniane?),
utilizza indugio dove ci si aspetterebbe suspense,
come artificio narrativo.
West – È creazione di una donna, la scrittrice Dorothy Johnson – ma non soltanto. Cominciò a “cerare” il West nel 1935, con i racconti
che il “Saturday Evening Post”, la rivista popolare, le pubblicava. Dai suoi
racconti sono stati tratti western di culto, se non fra i primi. “Il Wild West
è figlio di una donna”, può titolare “La Lettura”, precedendo una riedizione di
Dorothy Jonhson. “L’uomo che uccise Liberty Valance”.
In realtà il Wild West data dagli anni 1880, da Buffalo
Bil e il suo circo, in giro per l’America e il mondo, “Buffalo Bill Wild West
Show”). E molti autori hanno preceduto Johnson, non solamente americani. Le
storie danno l’inizio letterario del West nel 1902, con la pubblicazione de “Il
virginiano”, romanzo di Owen Wister. Ma già aveva riscosso grande successo un
scrittore tedesco, Karl May, che aveva cominciato a raccontare di indiani,
cowboy e saloon, nel 1875. Tra l’altro
influenzando molti connazionali, dato il successo arriso al genere. Tra essi Carl
Laemmie, che sarebbe poi emigrato negli Stati Uniti, e vi avrebbe fondato la
Universal Pictures. May peraltro confessava di essersi ispirato a “L’ultimo dei
Mohicani”, la saga di James Fenimore Cooper, del 1826.
Dopo e più di Wister portarono il genere al successo gli
americani Zane Grey e Elmore Leonard. E più di tutti Louis l’Amour, che era americano,
Louis LaMoore.
Poco il genere ha attecchito con gli scrittori italo-americani.
Ma un nome le storie ricordano, Charles Angelo Siringo – avvocato,
investigatore e cacciatore di teste (dette anche lui la caccia a Billy the
Kid), figlio di genovesi (il suo primo lavoro retribuito era stato da cowboy).
letterautore@antiit.eu
La devastante “liberazione” dell’Iraq
I
danni inflitti all’Iraq nelle ultime due decadi sono “quasi incommensurabili”.
Almeno 210 mila morti, per la gran parte civili. La distruzione di Mossul.
Masse di iracheni in cerca di una nuova vita fuori dal paese, in migrazioni
avventurose. Milioni di sopravvissuti traumatizzati.
Il
“caos sanguinoso” dell’occupazione americana, dopo decadi di deprivazioni, per
le sanzioni internazionali e per le ruberie del regime di Saddam Hussein, ha
lasciato il paese frantumato in dozzine di fazioni e sette, in uno stato
prossimo alla “conflagrazione di Gaza”.
È la recensione di due libri sui vent’anni dall’occupazione americana
dell’Iraq: “A Stranger in Your Own City: Travels in the Middle Est Log
War", di Ghaith Abdul-Abad, e “Wounded Tigris: A River Journey
through the Cradle of Civilization", di Leon McCarron.
La rivista ripubblica, con la recensione, una selezione di “saggi
sulla devastazione in Iraq”.
Joshua
Hammer, Iraq's Twenty
Years of Carnage, “The New York Review of Books”
lunedì 4 marzo 2024
Ecobusiness
La batteria di un’auto elettrica
contiene 8 kg. di litio, 35 di nichel, 20 di manganese, 14 di cobalto. Tutti
minerali di approvvigionamento limitato, a costi elevati, con procedimenti produttivi invasivi.
Per “ammortizzare” l’impatto
ambientale della produzione di questi componenti e del loro utilizzo, sarebbe
necessario sfruttare la batteria per tutta la sua vita utile. Che per le batterie
al litio è di 750 mila km. – circa 500 km. a ricarica, moltiplicati per 1.500
ricarche, la vita di una batteria. Ma l’auto privata percore mediamente 10 mila
km. l’anno.
Lo smaltimento delle batterie per
auto, esauste o meno, è problema ancora non affrontato. Ma sicuramente di grade
impatto ambientale.
Cronache dell’altro mondo – salutistiche (257)
Nella comunità Amish – 200-250 mila
persone, sparse soprattutto in Pennsylvania e Ohio, discendenti dei mennoniti d’Olanda
- i tumori sono rari.
Il motivo non è genetico. Gli Amish
non praticano l’inbreeding, anche se hanno
un sistema di vita comunitario, e accettano convertiti.
I motivi che si ipotizzano sono
del sistema di vita.
Gli Amish coltivano la frutta e
le verdure che consumano con l’esclusione tassativa di coadiuvanti chmici.
Un altro motivo che si ipotizza è
che non usano le automobili, quindi sono meno esposti all’inquinamento dell’aria.
Non usano neanche l’elettricità –
se non in casi rari, eccezionali . Né la tecnologia – telefoni compresi, se non
in casi eccezionali. E quindi sono meno esposti a onde elettromagnetiche.
Faulkner selvaggio – contro il lettore
Una storia d’amore bohème tra adulti: privazioni,
vagabondaggi, sfortune. E una di un carcerato - uno di due, un forzato basso e
un forzato alto, di quello alto, il basso scompare presto nella melma – impiegato
dalla polizia per i salvataggi nella Grande Inondazione del Mississippi del
1927, e poi condanato anche per evasione, per essersi perduto nel mare di
acqua, e di fango. Molto gelo, anche a New Orleans, e molta fame. E acqua, molta
acqua, per moltissime pagine – “uno scenario degno di un Dante di Eisenstein” .
Due racconti in parallelo,
smazzati l’uno dentro l’altro. Uniti da non si sa che. Due storie di fallimenti
– a un certo punto si fa una filippica contro la Rispettabilità? Un romanzo
della malinconia, lungo, insistito, ripetuto? Un’antifona all’American Dream? Nel
1939, quando Faulkner stava a Hollywood? Una prova d’autore?
Curioso il comento di Kundera: «La Sonata opera 111 [di Beethoven] mi fa pensare
a Le palme selvagge di Faulkner, in cui si alternano un racconto d’amore e la storia di un evaso, due soggetti che
non hanno nulla in comune, non un personaggio, e neanche una qualunque
percettibile affinità di motivi o di temi: una composizione che non può servire
da modello a nessun altro romanziere, che può esistere una volta e basta, che è
arbitraria, non raccomandabile, ingiustificabile – ed è ingiustificabile perché
dietro di essa si avverte un es muß sein che rende superflua
ogni giustificazione». La una storia d’amore non c’è .
Una prova di forza, sia per le
storie, sia per il modo convulso di raccontarle – per il quale ci vogliono due
traduttori, Bruno Fonzi e Mario Materassi. C’è anche, anche dichiarata, un po’
di misoginia – le donne sono strane: quando non sono cattive sono incomprensibili.
I francesi della Luisiana, i cajun,
parlano “facendo chiò-chiò”.
Il lettore, seppure porta a
termine la fatica, fatica a capire. Forse una scommessa, dell’autore che si fa
leggere anche se illeggibile? Un omaggio, ironico, a Hemingway a p. 87 lo fa
supporre. Comunque a sue spese, del lettore - sembra un libro interminabile.
William Faulkner, Le palme selvagge, Adelphi, pp. 290 €
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domenica 3 marzo 2024
Ombre - 709
Mezza
destra, da Fascina a Lollobrigida, e
mezza Juventus, da Agnelli a Ronaldo, spiata dal sottotenente (“luogotenente”?)
Striano e dal dottor Laudati, giudice antimafia. Si potrebbe dire una congiura
(un’antimafia?) di interisti, notoriamente di sinistra, come i Moratti, e
naturalmente anti-Juventus.
Si
direbbe che niente è mai serio in Italia, nemmeno lo spionaggio – nemmeno, malgrado
i tanti lutti, quarant’anni fa il terrorismo.
Due ampie pagine di Candida Morvillo per
Alessandro Benetton sul “Corriere della sera”, con ampi riferimenti ai tre
figli, senza mai menzionare la madre dei figli, che sarebbe anche personaggio
di maggiore attrattiva che Benetton, Deborah Compagnoni. Il giornalismo del
mistero? Sdraiato?
Dunque,
l’inflazione secondo l’Istat in Italia nel 2013 non c’è stata – c’è stata nel
2121, per la ripresa lenta dell’agricoltura, bloccata dal covid, e nel 2022,
per i rincari dell’energia e per la siccità. Le politiche monetarie delle
banche centrali, come la Bce, fisse sul caro denaro, sono inutili, se non dannose?
È
troppo tempo, in effetti, ormai un secolo, che non si ripensano le politiche
delle banche centrali. Che del resto non hanno una vita più lunga. Un soggetto
che si vuole decisivo, ma ha poca intelligenza, in primis di se stesso.
Una
politica monetaria, quella dei tassi primari al rialzo, non anti-inflazione ma
pro-banche? Non per programma, ma per inerzia? L’effetto è quello, considerati i
superprofitti di Intesa, Unicredit e le banche italiane in genere. Sì, ben gestite
quanto si vuole, però con un 2023 eccezionale grazie a acro-denaro.
Anzi,
è come se la politica monetaria Bce avesse “fatto” inflazione, attraverso il costo
dei mutui e del credito bancari.
“«Calpestati
dalla folla»”, «Spari solo alle gambe», le due versioni dei militari”. Che soldati
israeliani, di leva, giovanotti qualsiasi, possano sparare col mitra sulla folla
affamata, “solo” alle gambe, vuole forse dire che hanno una forza (il mitra ha un
rinculo terribile) e una mira da film d’azione. Ma fa amarezza. Anzi paura.
“Scholz
«rivela» la presenza (poco segreta) della Nato a Kiev”. Se ne fa un giochetto tra leader, la
solita manfrina celodurista franco-teedsca, mentre è la chiave della guerra in
Ucraina: una sfida alla Russia, a mezza voce, facendo finta di nulla. Volendo razionalizzare,
è un tentativo europeo di castrarsi. Ma è l’Europa che alimenta (difende)
l’Ucraina? No, l’America.
Il
presidente Mattarella rimprovera la durezza del governo sulle manifestazioni anti-Isarele
perché se ne è lamentato il vescovo di Pisa. È un bene o un male – i vescovi in
politica?
Mattarella
non sa che ha innescato una bomba – non faceva le manifestazioni nel 1969?
Il
governo Meloni, di destra e filo-Israele, ha dato via libera a tutte le manifestazioni
pro-Palestina, a differenza di Germania e Francia, p.es.. Ma sa – conosce i suo
polli – che l’incidente è sempre in agguato. Al vescovo non gliene frega –ha la vita eterna.
Il
governo ha paura delle manifestazioni anti-Israele non per i ragazzi delle
scuole, i quali, indossata la kheffia
e urlato gli slogan, per raccontarla ai nipoti, tornano alle cuffie e al cellulare,
ma perché non si può escludere che un vecchio camerata nazificato lanci una
molotov o piazzi una bomba contro un negozio o un’abitazione “antipatici” (succede in Svizzera....). Si
fa tanto parlare di fascismo e neofascismo, e poi non si vuole esorcizzarlo ma
rimetterlo in circolo? Tanto è l’odio verso il governo, che tenta di dissociarsene
– vedeva Mattarella come il Battista.
Due ampie pagine di Candida Morvillo per
Alessandro Benetton sul “Corriere della sera”, con ampi riferimenti ai tre
figli, senza mai menzionare la madre dei figli, che sarebbe anche personaggio
di maggiore attrattiva che Benetton, Deborah Compagnoni. Il giornalismo del
mistero? Sdraiato?