In Spagna, 57 milioni di abitanti, due
meno dell’Italia, il quotidiano “El Paìs” ha iniziato il 2024 con 350 mila abbonati.
Il quotidiano di Barcellona, “La Vanguardia, con 125 mila. “La Voz de la Galicia”,
altro quotidiano regionale, con un numero di lettori superiore a “La Vangaurdia”,
anche se con appena 20 mila abbonati. Il quotidiano “El Mundo”, anch’esso di Madrid,
nazionale come “El Paìs”, di proprietà di Rcs Mediagroup (Urbano Cairo), con 123
mila abbonati. Abbonamenti pagati.
In Italia, due milioni di abitanti più
della Spagna, dove tutti i quotidian perdono copie costantemente, e tutti,
eccetto il “Corriere dela sera”, vendono sotto le 100 mila copie, le maggiori vendite
per abbonamento (il giornale digitale si legge in abbonamento) sono: “Corriere
della sera” 45 mila, “la Repubblica” 26 mila, “Sole 24 Ore” 23 mila, “Fatto
quotidiano” 19 mila.
La diffusione della stampa spagnola, online,
è privilegiata dall’uso ampio del castigliano in America: l’America ispanica
conta 400 milioni di persone. Ma è un mondo poco alfabetizzato e poco
esercitato all’informazione o opinione pubblica. Il problema è italiano. Gli italiani
leggono poco? Ma in sei milioni compravano il giornale venti anni fa – “Corriere
della sera” e “la Repubblica” vendevano più di 600 mila copie al girono. Sono i
giornali non appetibili?
La Procuratrice della Georgia che vuole
incarcerare Trump per tentato colpo di Stato, Fani Willis, può continuare a
farlo, anche se dell’indagine a carico di Trump aveva incaricato un avvocato
suo amante, Nathan Wade. Un giovanissimo giudice, Sott McAfee, cui è toccato di deliberare sul caso di incompatibilità, ha espresso qualche perplessità, a
futura memoria: la condotta di Willis, in tribunale e fuori, ha giudicato “non
professionale”, e la relazione con l’amante “un terribile errore di valutazione”.
Ma salomonicamente ha solo deciso che uno dei due deve lasciare l’incarico, per
“evitare l’apparenza di un conflitto d’interesse”. Una condanna molto
dispiaciuta.
McAfee ha deciso dopo un’indagine di due
mesi, in udienze pubbliche in tv. Una serie di udienze per accertare se Willis
e Wade erano amanti prima dell’incarco, oppure lo erano diventati dopo. E chi
dei due manteneva l’altro (conti d’albergo, ristorante, vacanze, noleggio).
Netildex, un collirio antibiotico che si
usa per dieci applicazione post-cataratta, si vende in confezione di 60 fiale,
ognuna delle quali serve per tre applicazioni. Si compra in 60 fiale, di cu se
ne utilizzano tre-quattro, solo per pagare 25 euro invece di due o tre? Per poi
buttare le restanti 57 fiale – non è che si faccia una cataratta ogni poche settimane.
Il costo dei medicinali è artefatto non solo
per le grandi e grandissime specialità, ma anche, tramite le pratiche
commerciali, per la medicina ordinaria.
La spesa sanitaria delle famiglie si aggira
sui 42-44 miliardi (l’Istat non se ne occupa: l’ultima rilevazione è del 2021,
e stimava 38 miliardi). Di cui un terzo per medicinali, 14-15 miliardi. Che, nel
caso del Natildex, si potrebbe ridurre di nove decimi, diciannove ventesimi per
esser precisi. I prezzi dei medicinali
sono controllati ma la confezione base – la spesa obbligata – no.
Il costo dei medicinali resta praticamente
tutto a carico privato, mediante la riqualificazione di molte specialità in parafarmaci.
Un espediente semplice, che consente alle assicurazioni di non coprirne il
costo. E anche allo Stato, di non accettare la spesa in detrazione d’imposta.
Furbi.
Una casa, un appartamento, qualsiasi
fabbricato che abbia bisogno dell’elettricità ma venga utilizzato uno-due mesi l’anno
paga per i restanti dieci mesi € 55,68 a bimestre per zero consumi. Un regalo
nei dieci mesi di € 278,40, allo Stato (di chi?), e anche, senza nessun costo operativo, all’azienda elettrica. A gratis?
La vita e l’opera di Alda Merini, una rievocazione
basata soprattutto sul rapporto che negli ultimi anni intraprese con Arnoldo
Mosca Mondadori, giovane pronipote dell’editore, uno di convinzioni religiose
forti, come Alda (ma di questo non c’è traccia). E un dei fiduciari dell’ultima
poesia di Alda, che usava telefonare i suoi versi, apparentemente all’impronta,
a due o tre persone – un altro che ne registrò molte, anche di più e più
variate di Mosca Mondadori, è Alberto Casiraghy – che tra l’altro avrebbe bene
figurato nel racconto, un poeta anch’esso “naturale”, e pittoresco, ma qui nemmeno
si cita.
Una rievocazione commovente, conoscendo la vita
e l’opera di Alda Merini. Anche se girata, seppure da un regista molto colto,
con approssimazione: Laura Morante, che impersona Merini vecchia, non
abbandona la sua cadenza toscana, poco o minimo ricorso alla poesia, ai suoi temp, ai suoi tempi, ai riconoscimenti. E con taglio singolare, segmentato: il ruolo
di Giacinto Spagnoletti, il rapporto tempestosissimo con Giorgio Manganelli, il
lungo corteggiamento telefonico e poi il matrimonio con Albino Pierro, un altro
mondo. Molto anche manca: Casiraghy, gli amori senili, l’editore Scheiwiller, l’invasione
di ammiratrici, soprattutto, e ammiratori nel suo modesto riparo, i locali dei
Navigli per i quali si trascinava. Prodotto dalla Rai, evidentemente, che pure
fa grandi produzioni per niente, con la lesina: tre o quattro scene, pochi giorni
di lavorazione, e via al montaggio.
Una seconda consolazione è che molti hanno continuato
a vedere il docufilm, malgrado lo scarso appeal. Non un grande successo
ma tre milioni di spettatori per la vita di un poetessa, senza grandi colpi di scena,
eccetto quello, non attraente, del manicomio, non sono pochi.
Roberto Faenza, Folle d’amore, Rai 1,
Raiplay
spock
Il giornalismo è
meglio che lavorare?
Spiegare quello
che non si sa e non si è capito?
Celebrare un
morto di cui non si sapeva che fosse vivo?
Dire la verità
oppure occultarla?
Scoop nel
senso di scopare (spazzare) o di scoppiare?
La verità che
non ti ho mai detto?
spock@antiit.eu
La sanità pubblica è in difficoltà dappertutto.
Si dice a causa dell’aggravio della “crisi fiscale degli Stati” per effetto
della crisi bancaria (moltiplicazione del debito per salvare le banche, minori
capacità di spesa). Ma questo è vero solo in parte: le spese militari sono
cresciute, per la guerra in Ucraina e anche prima, mentre quelle sanitarie non
si sono incremetarte o si sono ridotte.
La pandemia ha mostrato ovunque, secondo
i rapporti unanimi delle commissioni internazionali, un sottofinanziamento
diffuso dei sistemi sanitari (s’intende pubblici). Con gli effetti noti sui
bisogni terapeutici ordinari: visite, accertamenti, interventi, e anche sulle
prime cure ospedaliere (pronto soccorso).
Anche la causa è nota. A seguito della crisi
la spesa pubblica per il personale è stata bloccata: niente assunzioni, e niente
aumenti. L’effetto è la carenza di personale. A fronte di abbandoni senza nuove
assunzioni. E per l’aumento dela domanda
La carenza di personale affligge molti paesi
europei e gli Stati Uniti. L’Italia è uno di questi. Secondo le statistiche Ocse,
l’Italia ha 6,5 infermieri praticanti ogni mille abitanti, la Germania il
doppio, 12,8. L’Italia ha 1,5 infermieri per medico ospedaliero, la Germania e
la Francia ne hanno 2,7.
Un libro curioso
per due ragioni, anzi per tre. La terza essendo che è una critica letteraria a
più mani, come in conversazione. Ma non in contemporanea, di persona. Per
iscritto, attraverso uno scambio di lettere - da qui il titolo. Per
sperimentare una forma di critica co-dipendente, una forma di “intelligenza
collettiva”. Come è di tutte le forme culturali. Per questo esperimento quattro
giovani accademiche americane hanno scelto Elena Ferrante, il Quartetto
Napoletano, perché la stessa autrice ha posto il suo metodo di lavoro, di creatività,
in questa prospettiva: “Non c’è lavoro di letteratura che non sia il frutto di
tradizioni, di molte capacità, di una sorta di intelligenza collettiva” (intervista
a “The Paris Review”). Queste sensibilità e questo metodo applicando nella
quadrilogia, con le compenetrazioni fra i due caratteri, Lenù e Lila, l’una
antitesi dell’altra. Una compenetrazione che Lenù, la scrittrice, dichiara
scoprendo il quadernetto di Lila alle elementari: “Le pagine infantili di Lila
erano il cuore segreto del mio libro” – un’amicizia stretta che fa il
libro, lo scrive.
Le altre due curiosità
sono che il libro è di quattro anni fa e non è stato tradotto, nemmeno citato. La seconda è che su “Elena Ferrante” non c’ è
in Italia una mobilitazione critica pari solo anche a una frazione di questo
libro e al dibattito che ha acceso. Non c’è più la critica?
Sarah Chihaya-Merve
Emre-Katherine Hill-Jill Richards, The Ferrante Letters, Columbia University
Press, pp. 288 $ 25
La spesa sanitaria “catastrofica” è
crescente in tutti i Paesi europei, compresa l’Italia.
S’intende per “spesa sanitaria catastrofica”
quella che assorbe il 40 per cento del reddito familiare una volta detratte le
spese necessarie. Per spese necessarie s’intendono alimentazione, abitazione e
utenze – non l’abbigliamento, per esempio, o gli svaghi, sport etc., per quanto
anch’essi necessari. La crescita di questa spesa è il segnale del ricorso, più
o meno obbligato, alla sanità privata. Anche se con gli obblighi fiscali si è
finanziata la sanità pubblica.
L’ultima
rilevazione Ue di questo indicatore è pre-covid e non è buona – anche perché si
sa che è peggiorato con la pandemia. La quota di famiglie oberate da “spesa
catastrofica” era mediamente il 7 per cento di tutta l’Unione. Con una
variabilità ampia, dal 15 per cento (Romania) al 2 per cento (Islanda). L’Italia
era sopra la media, al 9,4 per cento – un famiglia su dieci ha una spesa medica
catastrofica”.
Ci sarà ancora Putin a capo della Russia
per san Giuseppe, il voto di quest’anno è scontato. Anche la partecipazione al
voto è scontata, superiore alle medie occidentali. Ma non ci sarà più Putin fra sei anni: la previsone è scontata alla Farnesina e nelle altre cancellerie europee. A fine mandato Putin avrà eguagliato, forse superato di qualche mese, come uomo solo al comando, al governo o alla presidenza, il lungo potere di Stalin - dietro la recordwoman Caterina II di tre anni. E non potrà carcerare, esiliare o uccidere chiunque faccia politica. Per un’inquieudine
crescente tra le sue stesse file, anche se l’opinione a lui contraria in Russia
è ancora minoritaria – urbana e professionale. E prima o poi l’errore della “guerra
lampo” contro l’Ucraina peserà.
L’opinione è invece generale in Russia che
il futuro del più grande paese del mondo è in Europa e con l’Europa. Malgrado
lo stato di quasi guerra attuale. Tutti i think-tank di politica estera,
a Mosca e San Pietroburgo, centri studi o centri universitari, nelle esercitazioni
di questi due anni di guerra hanno solo rilevato l’impossibilità per la Russia
di asiatizzarsi, malgrado i cerimoniali Brics – che non sono un’alternativa
all’Occidente, non avendo strumenti monetari propri, e restando produttivamente
e finanziariamente connessi a Usa e Ue - e comunque sono a trazione cina. La quale non è e non può essere un alleato
militare. E come partner economico apre poche prospettive: ha bisogno di
petrolio e gas, ma di nient’altro dalla Russia, che quindi non può comprare
molto in Cina. Inoltre, la lunghissima frontiera che corre tra i due paesi non
è tranquilla - l’ex impero russo-sovietico sopravvive solo in Asia, lungo la
Cina.
Il regime sembra seguire un disegno opposto,
ma in chiave contingente, della guerra in corso. “L’obiettivo della Russia nel
2024”, ha statuito a inizio anno il ministro degli Esteri Lavrov, “è di eliminare
qualsiasi forma di dipendenza dall’Occidente, sia in termini finanziari che di catene
di approvvigionamento”. Ma lo stesso ministro in interventi meno ufficiali si richiama
spesso alla necessità – “non in questo momento” – di tornare alle “virtù del
multipolarismo”.
La vita della famiglia
Höss, del carceriere capo di Auschwitz, nella villa accanto al lager,
dotata di un grande giardino, dove i figli giocano con i figli degli altri carcerieri,
e le mogli passano le giornate facendo le signore, servite a tavolino, quando
non usano la piscina, o pareggiano un rampicante. O fanno i romantici sul Soła,
che costeggiava il campo, prima della confluenza nella Vistola. In una eterna
primavera: non piove mai e non nevica, né c’è l’afa con le msche, nel terribile
clima continentale che aveva promosso la scelta di Auschwitz-Oświęcim.
In una scena Höss,
promosso capo dei carcerieri del Governatorato Generale, è in conferenza con i
suoi capi, grigi e molli come lui, per discutere l’arrivo di 700 mila ebrei
dall’Ungheria. Senza pathos – forse per sottolineare la “banalità del male”. In
un’altra riceve in ufficio una giovane – una prostituta (troppo in carne e ben
vestita per essere una prigioniera)? – e poi passa qualche minuto a ripulirsi
lo scroto.
Un onesto film da
Giorno della Memoria, ma spento. In una scena si adombra un istante una nuvola
di cenere, e poi si discute ingegneristicamente come va migliorato il forno crematorio.
Ma la specificità dell’Olocausto non è il forno crematorio, quello è una misura
d’igiene, è come ci si arriva.
Niente a che vedere
col romanzo di Martin Amis da cui si vuole tratto, che è tutt’altra storia, e
comunque vive di un linguaggio brioso. La simulazione placida è stupidità. I
tedeschi erano stupidi? Qui sono massicci e pallidi, come malati, specie le donne.
E parlano poco, non sapendo che dire, se non la loro mediocrità quotidiana. Con
due o tre serve che non parlano (saranno polacche?), solo ingombrano la scena
andando avanti e indietro, come in un vaudeville. E forniture quotidiane
di ogni ben di Dio. Perfino i ragazzi, i figli del carceriere, sono inautentici
– è difficile farli scemi?
Una produzione
abborracciata. Un minuto di schermo grigio apre e chiude il film. Che scorrerà
però anch’esso grigio e piatto – nemmeno arrabbiato. Il tempo primaverile non è
l’unica incongruenza. Le immagini, anche, sono grigie, come sfocate, riprese a
malincuore – e montate peggio. Oscar miglior film e migliore musica – inavvertita
– forse in omaggio alla Memoria.
Jonathan Glazer, La
zona d’interesse
Un
quarto degli italiani paga tre quarti di tutte le tasse (“Libro Blu”
dell’Agenzia Dogane e Monopoli). Esattamente, il 22,5 per cento paga iil 74,26
per cento delle Entrate, cioè tutta l’Irpef, e e la maggior parte di Irap,
Ires, imposte sostitutive, imposte indirette.
L’evasione
dell’Iva, elevata, al 22 per cento, è la parte maggiore dell’evasione fiscale. L’ineludibilità
dell’Iva è infatti anche la causa maggiore dell’evasione Irpef, che è dovuta
soprattutto ai fornitori di servizi (elettricisti, idraulici, meccanici,
carrozzieri, etc.): evitando la fatturazione, molto onerosa per l’utente, evitano
ii denunciare il reddito maturato.
La
bolletta del gas è pià che raddoppiata.
444 mc l’anno scorso tra dicembre e gennaio hanno pagato € 217, quest’anno
nello stesso periodo 321 mc rilevati pagno 333 euro.
Cento
euro sono di spesa da trasporto e gestione contatore – 100 euro per due mesi di
trasporto, e una sola lettura del contatore. Altri 100 di tasse, metà Iva e
metà “oneri di sistema”, finanziamenti a fondo perduto alla fonti di energia
cosidette “pulite”.
Gli
“oneri di sistema” – una tassa di scopo – sono l’abuso maggiore della
“transizione verde”. Un caso fra i tanti della disonestà statale – tante
piccole patrimoniali camiffate variamente, di “boli”, “tasse di scopo”, etc.
Con un distinto odore di sottogoverno, cioè di corruzione. Si prendono soldi
sui consumi irrinunciabili per regalarli, senza controlli, ai cosiddetti
gestori di energia verde (essenzialmente pale eoliche e pannelli solari) senza
alcun controlo sugli investimenti effettivi, e sula, resa di questi investimenti.
Da un paio d’anni anche ai fabbricanti di auto elettriche. Un obolo ai ricchi.
Umiliato dalla violenza paterna, che lo costringe alla sedia a rotelle, ma aiutato dai cani, di cui
condivide la vita (che il padre invece sfruttava per le corse), finito
disabile in un orfanotrofio-casa di correzione, impara a leggere e vivere con
Shakespeare, grazie a una insegnante di sostegno che vive e fa vivere di
teatro, fa vita comune con i cani, dapprima in un canile protettivo dello stato di New Jersey di cui ha la gestione, poi da solo, malgrado
tutto si diverte, e diverte. E quando alla
fine decide di lasciarsi andare, regala un’iniezione di fiducia alla psichiatra
cui la Polizia aveva dato l’incarico di analizzarlo.
Nulla a che vedere col
“Dogman” italiano - il delitto del “Canaro”. Tra horror e mélo, sul filo
dell’inverosimile, Besson costruisce una serie di sequenze tutte accattivanti,
rapide e lente, repulsive e commoventi, tragiche e ridicole. Imperdibili le
serate nel locale dragqueen. O i cani
ladri di notte. Con la violenza americana, tutta benedizioni e invocazioni
divine.
Una prova mostruosa di Caleb
Landry Jones – per questo non premiato a Venezia? Se poi è lui che canta al
club dragqueen (rifà Piaf e Marlene
Dietrich), e non mima il playback,
diventa memorabile. Anche la psichiatra non è male: sfiduciata,
divorziata-con-madre-e-neonato, è Jojo T. Gibs, un’attrice comica. Cosa
condividono i due? Il dolore. Ma non lo fanno pesare.
Luc Besson, Dogman, Sky Cinema
Prima Trump, poi Putin, con la
Cina naturalmente, nuova grande potenza, e Giappone e Germania progettano
l’atomica. Abbandonando le preclusioni che si erano imposte, politiche o
costituzionali.
Senza censure, senza neppure
annunci espressi, il panorama è passato dalla rigida non-proliferazione, il
trattato con cui le potenze nucleari hanno escluso fino ad ora la
disseminazione dell’armamento atomico, alla proliferazione libera. Con Giappone
e Germania, anche la Corea del Sud valuta l’ipotesi. Tutt’e tre i Paesi si
ritiene che potrebbero sviluppare l’armamento atomico in poco tempo.
In Giappone e in Corea del Sud
l’ipotesi è stata avanzata dai primi ministri. In Germania il cancelliere Scholz
è personalmente impegnato a tenere il paese fuori dal nucleare (“il governo non
valuta altra ipotesi se non quella di continuare la partecipazione nucleare con
gli Stati Uniti all’interno della Nato”). Ma tra i Liberali, che sono parte del
governo Scholz, e tra i media, specie la “Frankfurter Allgmeine Zeitung”, il
“Corriere della sera” tedesco, e “Handelsblatt”, l’equivalente del “Sole 24 Ore”,
l’ipotesi viene discussa, con favore.
La transizione energetica
(risparmi, nuove tecnologie) si fa in parallelo con lo sviluppo di tecnologie
e mercati altamente tossici.
L’intelligenza artificiale è ad elevatissimo
consumo di elettricità. La sola ChatGPT consuma oltre mezzo milione di kWh al
giorno. Una sola transazione di bitcoin consuma più energia del consumo medio
giornaliero familiare in America.
Il mining di Bitcoin (la rete globale di computer che opera per
garantire che le transazioni siano legittime, e siano aggiunte correttamente
alla blockchain della criptovaluta) si
alimenta con 145 miliardi di hWh l’anno – che è un po’ più del consumo annuo
dell’Olanda. E la dispersione di due biliardi di litri d’acqua, per il
raffreddamento dei server –venti miliardi
di ettolitri.
Produrre l’energia necessaria ad
alimentare il mining di Bitcoin
implica la produzione anche di 85 milioni di tonnellate di anidride carbonica,
che è più di quanto tutto il Maroco immette nell’atmosfera in un anno.
Una
lunga serie di riscritture, diciassette, di altrettante fiabe dei Fratelli Grimm.
Comprede le più note, “Cappuccetto rosso”, “Biancaneve”, “Cenerentola”,
“Hânsele e Gretel”. Qualcuna aggiornata: “Comare morte” diventa “Padrino
morte”, il godfather di Mario Puzo.
Tutte rivestite di un nuovo linguaggio, un po’ insolente. Un po’ sbugiardate, specie
le inverosimiglianze, un po’ arricchite, anzi parecchio, rispetto agli
originali.
Una
scrittura divertita, e anche divertente. Dell’autrice e della traduttrice, un vulcanica
Rosaria Lo Russo. Anne Sexton, lei stessa “strega di mezza età” al secondo
verso della raccolta, le pubblicò nel 1971, quando era, a 43 anni, all’apice
della fama, come poetessa, già premio Pulitzer, e come performer – in parte già pubblicate su riviste di largo consumo, “Playboy”
e “Cosmopolitan”. Con la presentazione di Kurt Vonnegut, per sancire lo spirito
irriverente o ludico dei rifacimenti. Uno scherzo più che una cattiveria, di
spirito lieve – anche se tre anni dopo l’autrice si suiciderà.
Originali
con traduzione.
Anne
Sexton, Trasformazioni, La nave di
Teseo, pp. 196 € 19
“Guerra
nel mar Rosso”. Si fa anche degli Huthi (Houthi?) un nemico terribilissimo. Mentre
sono formazioni terroristiche. Come Al Qaeda, di cui sono nemici radicali. In
territorio limitato, anche se sul mar Rosso. Indigesti anche all’Iran,
che li ha armati contro i sauditi. L’Arabia Saudita ci ha fatto
pace, in qualche modo, benché siano sciiti, quindi nemicissimi. Biden ci fa la
solita guerra aerea. Coi soliti “volenterosi” a terra, qui in mare - tra cui
sempre l’Italia. A quando lo sbarco, una guerra di Grenada ci vuole ogni tanto?
Entrate
e Guardia di Finanza “mettono nel mirino” le\gli influencer - che già pagano le tasse,
c’è un legge specifica, dal 2016 - e
tutti siamo contenti, giustizia è fatta. La giustizia fiscale è sempre alla
Loren in carcere, invece di far pagare le tasse, seriamente, con applicazione.
Che non è un fatto impossibile, contrariamente a quanto si fa credere - solo in
Italia succede, fra i paesi che non sono paradisi fiscali.
Però:
dopo tante “giustizie fiscali”, proliferano come le gr ida dei “Promessi sposi”,
perché non fare dell’Italia un paradiso?
“Il
contributo statale che Roma riceve per il trasporto pubblico locale”, lamenta
il sindaco Gualtieri, “è tra i più bassi in Italia in proporzione alla superficie, 85 euro per
cittadino contro i 191 di Milano”. Che
bisogno c’è dell’Autonomia differenziata”?
Al Pigneto, quartiere già di artigiani (falegnami,
meccanici, idraulici…), da molti anni ormai uno dei centri della movida giovanile a Roma, si spaccia liberamente.
Un problema? No, assicura una coppia al “Corriere della sera-Roma”. “Nostro
figlio”, dice lui, “può andare a scuola da solo e a giocare al calcio al campetto
che noi genitori spesso ripuliamo armati di guanti e bastoni: gli artigiani lo
conoscono e lo controllano. Certo di sera le cose cambiano, lo spaccio è
palese, ti fermano anche per offrirti droga, ma basta dire «no grazie» e tirare
dritto”.
Si
fa strame di tutti, non appena uno antipatico abbia solo preso una multa per
divieto di sosta, ma non del sottotenente
(luogotenente?) Pasquale Striano, l’intercettatore dei conti correnti. Di lui
solo il nome. Non sappiamo nemmeno che grado ha nella Guardia di Finanza, se è
sempre in servizio e dove, l’età, la provenienza, la famiglia, la militanza,
una foto, anche solo la fotina della patente.
La discrezione in questo caso è assoluta. Chi ha paura di Pasquale
Striano?
Crolla
Tim in in Borsa. Non è una novità, ma complotti si evocano, anche se solo tecnologici
– colpa dell’algoritmo. Un’azienda già monopolista che lotta per la
sopravvivenza, anche fuori della Borsa. Ma nel peggiore dei modi. Senza un
servizio agli utenti. Con canoni non competitivi. Che per di più fa propagandare a un costo: chiamate
multiple, ogni giorno, da anni, ai non clienti. La tecnica peggiore per allargare
l’utenza. Che, seppure in automatico, ha un costo. Un’azienda che si continua a
depredare, ancora, dove venticinque anni?
Alessandro
Borghi: “In questo paese bigotto Siffredi significa libertà”. Ne è davvero
sicuro, che “questo Paese” (l’Italia) sia bigotto? Per gli inglesi, maschi e
femmine, è, era, un paese di mandrilli (anche per le americane): ci facevano il
Grand Tour apposta, e spesso si insabbiavano.
L’Italia
è, per gli italiani (per i media), un paese di stereotipi.
“Le
19 donne miliardarie. L’Italia è quarta al mondo”. Alla faccia del patriarcato.
L’Italia
è seconda in Europa: ospita 19 donne miliardarie, “solo poche in meno della Germania”.
È difficile, si direbbe
impossibile, per un israeliano elaborare il lutto del 7 ottobre. Dell’attacco a sorpresa e della carneficina
di Hamas, della profanazione del sabato. Una guerra, benché non dichiarata, fuori
dal diritto di guerra, su suolo israeliano – o “dichiarata” dal 1948. Grossman
ci riesce, trascurando i sentimenti e i risentimenti (l’oltraggio, lo
smarrimento, la paura) per mettere i fatti in prospettiva storica e politica.
La sensazione di vivere in Israele non come in una casa, in casa propria, ma come
in una fortezza, assediata. Per una guerra lunga ormai ottant’anni, e senza
sbocco. Sì nel senso comune – non si vive in guerra permanente – non nella realtà,
la “strana attrazione verso l’autodistruzione” in Israele, “verso la
distruzione della nostra stessa casa”.
Grossman, per quanto onesto,
non arriva al nucleo della questione. Come mai i palestinesi, sempre sconfitti
e per lo più inermi, sono sempre in armi, e anche pericolosi. Come ma Israele
sempre vincente, è insicuro e si costringe alla violenza. Gli Stati nascono e
s’impongono lottando. Contro i padroni, contro i nemici, anche contro i vicini.
Ma non si ricorda uno Stato, un popolo, che si sostituisce a un altro. Gli
ultimi furono gli Unni, che però occuparono ma non governarono – o per poco. Ci
prova ora Putin, che dice l’Ucraina russa, ma – se poi lo dice – per ubbie di
onnipotenza.
Grossman però individua, e
pone bene in chiaro, conciso e preciso, anche se retoricamente, come considerazione,
il problema persistente dell’ebraismo, anche dopo o malgrado il sionismo, malgrado
Israele: “Il punto più vulnerable e fragile del popolo ebraico, il suo senso di
estraneità fra i popoli, la sua solitudine esistenziale”. Un privilegio, e un’afflizione:
“Quel punto dal quale gli ebrei non trovano rifugio, che spesso li condanna a commettere
i loro errori più fatali e distruttivi,
sia per i loro nemici che per loro stessi”. L’ostacolo alla pace, l’unico esito
ragionevole, non sono i coloni o Netanyahu, è questa estraneità – i Netanyahu
passano.
David Grossman, La pace è l’ultima strada, Mondadori,
pp. 96 € 16