sabato 13 aprile 2024
Cronache dell’altro mondo - asocial (265)
“Tra il 2020 e il 2019 il tasso di depressione e ansia negli Stati Uniti è aumentato di più del 50 per cento.
Contro l’obesità mentale
Si nutre il corpo, “esagerando: colazione, pranzo, cena, the, spuntino di
mezzanotte e tisana prima di andare a letto”, e perché non la mente? Molto breve
ma sempre paradossale il reverendo Charles Lutwidge Dodgson, “Lewis Carroll”. Non
è facile, “nutrire la mente” sembra cosa ovvia e invece è rischiosa: ci vorrebbe
un cibo leggero e insieme nutriente, e cosa succede? Tra astinenza totale e “mente
obesa” - “continuiamo a ingurgitare romanzi poco salutari, ancora e ancora, pur
sapendo che risveglieranno la solita serie di sintomi depressivi, svogliatezza,
malessere esistenziale”. E qui non c’è bicarbonato di sodio che aiuti. È questione
anche di corretta mescolanza di nutrimenti. E, ancora, di “corretto intervallo
fra un pasto e l’altro, e masticare bene prima di ingoiare”.
Brani non sintetizzabili, solo da leggere. Di arguzie, filanti, sorprendenti
– genere si direbbe molto inglese, che Stevenson praticherà con gusto, Beerbohm,
Chesterston, Orwell, “Nutrire la mente” è il più breve ma il più pieno di
curiosità. Il più lungo è “Il nuovo campanile di Oxford”, in originale “The New
Belfry of Christ Church” – il college di Oxford dove il futuro reverendo entrò
studente e ci restò tutta la vita, coinquilino della famiglia del decano
Liddell: il nuovo manufatto è sottoposto a triplice sillogismo di condanna, in “barbara”,
in “celarent” e in “festino”, nonché a processo “amletico”, e variamente ridotto
a “un quadrangolo”, un cubo, un dado, un incubo per i residenti di fronte, del
Christ Church.
Tre testi brevi, inediti in Italia - il terzo, “Wilhelm von Schmitz”, è
una satira del giovane poeta romantico, pseudonimo tedesco in carattere, che
corona il suo sogno d’amore al pub, con la servente. Fra i tanti poco noti,
anche lasciati inediti, del reverendo. Di tempi e temi diversi ma inequivocabilmente
“carrolliani”. Verbali, tutti parola. Anche in traduzione, per un esercizio divertito
e divertente di Giuliana Bendelli, l’anglista della Cattolica – ma più
specificamente irlandesista, allenata alla fantasia verbale, da Swift a Joyce.
Notevole exploit traduttivo, notevole grafica della piccola
pubblicazione.
Lewis Carroll, Il nuovo campanile
di Oxford, Lemma Press, pp. 91 € 9,50
venerdì 12 aprile 2024
Problemi di base bellicosi bis - 799
spock
“L’odio è
paura”, Edgar Wallace?
Si fa la
guerra perché non si sa fare la pace?
S i fa la
guerra perché si ha paura della pace?
“Il senso della
distinzione tra una violenza legittima e una illegittima non è affatto
evidente”, W. Benjamin?
“Non serve –
non basta – la distinzione tra fini giusti (la legittima difesa, p.es.) e fini ingiusti”,
id.?
È un fatto che
la violenza, che il diritto attuale, in tutti i campi dell’azione, tenta di
sottrarre all’individuo, costituisce ancora una minaccia e, anche vinta, continua
a risvegliare le simpatia della folla contro il diritto”, id.?
spock@antiit.eu
Germania nucleare
“Proprio perché la bomba atomica è così
terribile, si dovrebbe evitare che solo i nemici ne dispongano”. È il tema – nelle
parole un mese fa della “Süddeutsche Zeitung”, il quotidiano di Monaco di
orientamento socialdemocratico - che alimenta un dibattito sempre più animato in
Germania. Un dibattito nato sulla convinzione generale che gli Stati Uniti, con
Trump o con qualsiasi altro presidente, non intendano più garantire il presidio
nucleare dell’Europa. Dando per scontato che la bomba francese non sarebbe d’aiuto:
“Nessun capo di Stato fracese sacrificherebbe Parigi per difendere Vilnius o
Berlino”. In un teatro bellico ridotto, quale sarebbe quello europeo, solo la protezione
intercontinentale si penserebbe efficace, o allora nazionale.
L’opinione, nel dibattito, è ora prevalentemente
per il no. Ma sono solo poche settimane che se ne parla. E il presidente della
Cdu, Friedrich Merz, che se si votasse oggi sarebbe il nuovo cancelliere, non esclude
nulla. Alla “Franfurter Allgemeine Sonntagszeitung”, il “Corriere della sera”
tedesco, che gli poneva il quesito (“se necessario, la Germania dovrebbe
pensare ad avere anche armi nucleari?”), ha risposto: “Due anni fa non avremmo
potuto immaginare di cosa avremmo parlato oggi. E non possiamo immaginare oggi
di cosa dovremo parlare domani”.
Merz non ha escluso la possibilità. Ma la
Germania sembra compatta piuttosto nell’incremento del riarmo convenzionale. Il
settimanale filosocialista “Die Zeit”, contrarissimo al nucleare, si dice a
favore di un aumento della spesa militare al 2 per cento del pil, e anche di
più, anche al costo di una riduzione della spesa sociale.
Cronache dell’altro mondo – etnogiudiziarie (264)
O.J.Simpson, il campione di football
americano ora morto, a 76 anni, era stato condannato nel 2008 a 31 anni per
rapina a mano armata, ma ne aveva scontati nove.
Da giovane proclamava suo ideale “le
bianche californiane”, si scoloriva la pelle, e prendeva lezioni di dizione,
diceva, “per non sembrare un nero”. Aveva sposato in seconde nozze nel 1985 una
bionda californiana, Nicole Brown, con la quale aveva fatto due figli, malgrado
le ripetute confessate infedeltà, e dalla quale aveva divorziato nel 1992.
Nel giugno 1994, dopo l’assassinio nella
ex casa coniugale della ex moglie, Nicole Brown, e di un cameriere del bar
vicino casa che le aveva riportato gli occhiali dimenticati sul bancone, convocato
dalla Polizia con l’accusa di duplice omicidio, inscenò per le strade di Los Angeles,
una lunga fuga in automobile, inseguito dalle volanti lampeggianti a sirene
spiegate, da elicotteri, e dalle videocamere in diretta. Al processo, dopo nove
mesi, la giuria lo assolse, benché la colpevolezza fosse provata.
Una giurata, afroamericana, dichiarò all’epoca:
“Abbiamo fatto la cosa giusta”. Un’altra giurata spiegò: “Noi neri non vogliamo
O.J. in prigione, né ci interessa sapere se è colpevole, perché se facciamo il
conto totale delle vittime siamo sempre noi a pagare. Bisogna fare attenzione a
buttare giù i simboli, anche se sono violenti, prepotenti, assassini. Perché
vorrebbe dire non avere più la possibilità di sognare un futuro”.
L'infelicità della stupidità
Un sogno irraggiungibile, naturalmente, la felicità Anche se ricercata
con amore, da una sorella per il fratello più giovane, e forse più incapace. Ma
Ramazzotti, al debutto come regista, riesce a farne una storia non scontata –
per un racconto che ha anche sceneggiato, insieme con Isabella Cecchi e
Alessandra Guidi.
Intanto l’ambientazione, il mondo dei piccoli trucchi e le tante
illusioni dei poveracci, tanto furbi quanto fiduciosi. Senza privarsi di mettere
in scena le limitazioni personali. A partire dal ruolo che si è scelto per sé,
della truccatrice cinematografica imbambolata dal set. Nel ruolo dell’amante in
età della giovane truccatrice ingenua, Sergio Rubini fa da cartina di tornasole
dell’insieme, coatto perché stupido.
Un racconto didascalico, scorretto politicamente il giusto, oltre che gradevole.
Micaela Ramazzotti, Felicità, Sky Cinema, Now
giovedì 11 aprile 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (556)
Giuseppe Leuzzi
Trent’anni fa, quando l’Istat registrava per la prima
volta il calo demografico nazionale, l’entità del calo era ammortizzata dalla prolificità
del Sud – rispetto, p.es., alle quasi zero nascite di Genova o Trieste. Ma
subito poi la ripresa delle migrazioni interne ha ridotto la natalità al Sud
rapidamente, al punto che dieci-dodici anni più tardi, nel 2006 per l’esattezza,
l’Istat documentava una natalità al Sud, come macro-regione, più bassa del
Centro e del Nord. Cosa è cambiato? La prospettiva: i venti-trentenni hanno la prospettiva
al Sud o dell’emigrazione, che comporta molti costi, oppure della “restanza”,
alla Vito Teti, ma senza prospettive. Non tali da consentire di avere dei
figli.
Si colpisce all’improvviso a
Bari il “mercato delle influenze”, della politica, delle giunte di sinistra al
Comune e alla Regione – probabilmente perché a Roma c’è un governo di destra. Perché
“all’improvviso”? Perché a Bari è notorio, come in Sicilia e in Calabria, e a
Napoli, la politica non c’è all’infuori del “mercato” – il mercato della politica
è normale, è la normalità della politica. E della sua poca rilevanza.
Antropologia del Sud
Andrea Zavattini, fotografo, figlio di
Cesare, iniziò l’attività per caso, nel 1952, al seguito di Ernesto De Martino.
“Lo conobbi nella nostra casa romana”, racconta ad Antonio Gnoli su “Robinson”:
“Avendo saputo che ero interessato alla fotografia mi invitò a unirmi a lui e
al suo gruppo per un viaggio di studio al Sud”. Non fu una grande esperienza (“Come
fu il vostro rapporto?” “Abbastanza inesistente. Venni lasciato a me stesso”).
Ma di una cosa Zavattini jr. ebbe chiara percezione.
“Dopo tante esitazioni”, ricorda, “la
scelta cadde su Tricarico, il paese di Rocco Scotellaro. De Martino alloggiò nella
casa dei genitori di Scotellaro, dove qualche anno prima aveva dormito anche Fosco
Maraini….”. E alla domanda successiva, “che cosa rappresentava Tricarico per De
Martino”, riponde netto: “Doveva simboleggiare il Sud. L’inizio di un altrove
segnato dai tratti primigeni di una società «autentica», rituale, premoderna. Quel
che trovò fu un mondo di inaudita durezza abitato da vinti, un mondo dove era
stata cancellata la speranza. Nel cercare le radici di una storia antica trovò
dolore e solitudine. Era il muto racconto di gente che non aveva più voce a
colpirlo, a smuovere i sensi di colpa dell’intellettuale che improvvisamente
scopriva tutta la sua impotenza”.
Scopriva il Sud, che per un napoletano è
terra incognita. Il Sud in realtà è sfuggito a De Martino - che l’antropologia
ricorda per tre cose, non le spedizioni al Sud.
Il
Sud vuole lo Stato
Gaetano Salvemini, come
storico, insieme al suo maestro Pasquale Villari, e come polemista politico
all’origine della “questione meridionale”, da sempre critico dei Savoia,
dell’unificazione-annessione, e dei governi”sabaudi”, fino a Giolitti, l’anno
stesso in cui, dopo le bastonature squadriste subite da Gobetti, decideva di
esiliarsi, contribuiva con un lungo saggio a un volume collettaneo organizzato
dall’università di Padova, sull’unità d’Italia, nell’ambito di un progetto di storia
dell’Europa (L’italia politica nel secolo XIX,
in L’Europa nel secolo XIX, 1mo vol., a cura di Donato Donati, Filippo
Carli, Padova 1925, pp. 323-401), in cui poneva
considerazioni di altro tipo: “Ma ci si lamenta dei piemontesi. Ma cosa
dovevano fare i piemontesi?, arrivavano in un Meridione dove non c’erano
strade, non c’erano acquedotti, non c’erano scuole, dove la piccola e media
borghesia erano talmente deboli che potevano essere protette soltanto da un
forte esercito e da uno Stato moderno”.
Un concetto - la salvezza
attraverso lo Stato - che già aveva abbozzato nel 1922, introducendo la sua
antologia “Le più belle pagine di Carlo Cattaneo”, l’amato (fino alla svolta
mazziniana, sempre repubblicana ma unitaria) federalista: l’ipotesi federalista
non poteva fare l’unità, l’unità si poteva solo con un sistema politico e
istituzionale accentrato, sul modello francese. Per la ragione che il Nord
avrebbe potuto, sì, permettersi forme di autogoverno, avendo una borghesia
numerosa, attiva e florida, mentre al Sud l’arretratezza economica e sociale,
il legittimismo clericale, il brigantaggio – e persino l’orientamento hegeliano
prevalente nei gruppi liberali e patriottici – spingevano verso, e forse
necessitavano, uno Stato centralista. Non solo, anche monarchico, non più
repubblicano quale Salvemini aveva postulato fino ad allora.
L’antimafia
paga
Il
giudice Luca Tescaroli, di Adria, in provincia di Rovigo, ora Procuratore di
Prato, aveva fatto l’agognato
balzo in carriera, dopo trent’anni, vice-Procuratore a Firenze, nel 2018 grazie all’“interessamento”
di Luca Palamara, l’aggiusta-carriere dei giudici al Csm, ora radiato dai
ruoli. Era stato
variamente bocciato in precedenza, allora si rivolse a Palamara, e il Csm lo
designò all’unanimità.
Il neo
Procuratore non era stato promosso prima, spiegò a Perugia, al processo contro
Palamara, perché
vittima dei poteri occulti: “Avevo gestito
determinati procedimenti particolarmente sensibili che
avevano inciso nei confronti dei detentori del potere”. Questi poteri occulti
erano la la mafia. Che però poi non gli ha impedito di arrivare al
vertice a 59 anni, fatto insolito nella magistratura.
A
Firenze il giudice Tescaroli ha coordinato l’indagine su Kata, la bambina
peruviana “scomparsa”
il 10 giugno, riuscendo a non combinare nulla. In compenso ha “lavorato” sei
anni per dimostrare
che Berlusconi e Dell’Utri hanno organizzato le stragi del 1993, a Roma,
Firenze e Milano.
E una fallita allo stadio Olimpico di Roma a gennaio del 1994 (Roma-Udinese?
Roma-Genoa?
non si sa ancora bene, il vangelo qui è Spatuzza, che ha molti assassinii,
almeno un centinaio,
ma poca memoria, dipende dai giudici). Come li abbiano organizzati non si sa.
Il motivo invece
è certo: “Per
indebolire il governo Ciampi”, dice il giudice Tescaroli, e per “diffondere il panico e la paura tra i cittadini, in modo da
favorire l’affermazione del progetto politico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri”. Cioè
di Forza Italia, che doveva sostituire Ciampi.
Ogni
paio di mesi in questi anni il giudice Tescaroli ha confidato a un suo cronista
una pagina sulle “nuove
carte” che, insomma, stanno per arrivare, e accusano Dell’Utri e accusavano
Berlusconi. E nessuno
ha osato dirgli niente. Anzi, carriera fatta.
Le assicurazioni
“napolitane”
Lamenta un lettore di Napoli,
Elia Molfini, sul “Corriere della sera”, che le assicurazioni gli fanno pagare le
polizze auto “tre o quattro volte in più rispetto ai milanesi, torinesi, genovesi,
etc.”, giustificando il sovraccarico “con un maggior numero di sinistri al Sud”.
Obbietta giustamente che “la reponsabilità deve essere individuale”. Ma il fatto
non è questo: è che a Napoli tutto concorre, chi denncia un sinistro, l’agente
assicuratore, e il perito, per “dividere” il maggior risarcimento possibile.
Come dire: “Denunciate, l’assicurazione pagherà”.
È Napoli, si dice. Ma le
compagnie di assicurazione, che sono lombarde, torinesi e da qualche tempo
bolognesi, stanno al gioco. Tanto, poi si rifanno, imponendo polizze tre e quattro
volte la “perizia”.
Sembra impossibile, tanta
corruzione, ma è così: due ricorsi all’Ivass contro l’imputazione di incidenti “napoletani”
mai avvenuti, da parte di assicurazione primaria, se non la più grande nel ramo
danni, hanno dato esito negativo: la compagnia ha preso le parti di agenzia e
perito.
Sembra impossibile – va
contro l’interesse della compagnia – ma è così. È anche una sorta di tassazione
che mette l’assicurato nell’impossibilità di cambiare compagnia, perché nel
registro nazionale della classe di merito risulterà di sinistrosità elevata,
mentre la compagnia della “pastetta” può non tenerne conto. “Napolitane” sono
le assicurazioni, che non sono di Napoli.
Cronache
della differenza: Milano
È
curioso leggere sul “Corriere della sera”, un giornale che alle elezioni si
dichiara per il Pd, l’entusiasmo
per Sinner, Jacobs, Iapichino, Howe, Mahmood, non per il loro atletismo o la
loro musicalità
(e la fatica e l’applicazione oltre alla genialità), ma perché “portano in alto
il tricolore”. Milano ingorda
non si perde nulla: si vuole progressista e ruba la scena anche a Meloni.
Celebra Radetsky, che per ogni aspetto si
considererebbe un nemico, e manda deserto il ricordo ogni anno dele Cinque
Giornate, che si penserebe ne abbiano fatto la gloria. In fondo è provinciale,
voleva solo essere la periferia dell’impero.
Sulle Cinque Giornate, che fecero centinaia
di morti, ricchi e poveri, e molte donne, ha fatto un film Dario Argento, con
Adriano Celentano. Un romano con un pugliese.
“Cristina
di Belgioioso, la nobildonna milanese tra le cui braccia spirò Goffredo Mameli,
parlava con accento
napoletano”, Alzo Cazzullo. Magari sarà vero: si vergognava di essere milanese?
“L’Ottocento a Milano fu grandioso”, sempre
Cazzullo sul “Corriere della sera”. Ma “paradossalmente ha custodito di più la
memoria del Risorgmento Roma, dal teatro al cinema, da Rugantino al film di
Magni” – Roma dove “nell’Ottocento non accadde quasi nulla”, a parte “la preziosa
ma effimera Repubblica”.
Il maggiore studioso di Carlo Cattaneo nel
Novecento, l’ideologo lombardo del
federalismo, dela democazia diffusa, è stato e resta un meridionale, Gaetano
Salvemini, di Molfetta.
“Il contributo statale che Roma riceve per
il trasporto pubblico locale”, lamenta il sindaco Gualtieri, “è tra i più bassi
in Italia in proporzione alla superficie, 85 euro per cittadino contro i 191 di Milano”. Che bisogno c’è dell’autonomia differenziata? Alla Lega non
basta mai.
Però, la denuncia del sindaco di Roma
Gualtieri è un giornale di Milano che la raccoglie, “Il Sole 24 Ore”. C’è
intelligenza nella prepotenza, l’egemonia non nasce dal nulla.
Negò prima e oscurò dopo, per oltre
un secolo, la “Storia della colonna infame”, benché opera storica di autore considerevole e considerato
- e appendice (omessa) del Romanzo Nazionale. Qui non si poteva nemmeno dare la colpa
alla Spagna.
La polemica è vecchia di quasi trent’anni,
per la ripresa nel 1996, il 7 dicembre, in apertura di stagione alla Scala, dell’“Armide”
di Gluck, l’opera preferita dal compositore ma non popolare, basata sulla “Gerusalemme
liberata”. Il “Times” di Londra si disse scandalizzato nella corrispondenza per il costo: “Hanno
speso in una rappresentazione gli interi bilanci annuali del Covent Garden e del Coliseum”. La
Scala si difese: “I bilanci chiudono in pareggio dal 1984”. Il giornale ribatté: con 78 miliardi
dello Stato, più del doppio del Covent Garden, che ci fa una stagione, tra opere, balletti e
concerti, di 300 giorni, contro i 50 scarsi della Scala.
All’epoca le polemiche erano violente
contro il porto di Gioia Tauro, “inventato”, cioè interamente scavato in mare. Ma l’autostrada
del Fréjus, 96 km., era costata 4 mila miliardi di lire. Quattro volte più dei 5 km. di banchine
attrezzate del porto canale di Gioia Tauro.
Ogni giorno
un pezzo forte del “Corriere della sera” contro i fratelli Elkann – che non si
riesce a leggere,
scontato l’odio della madre per questi tre figli, ma questo si sa da anni. Rei?
Ma non si sa ancora, non di che cosa. Odio degli Elkann per il salvataggio del gruppo “la
Repubblica” – ma non è un
relitto, da diritto della navigazione? Odio degli Elkann ebrei? Impossibile.
No, è solo che gli Elkann
non fanno affari a Milano. Ne fanno molti, e danarosi, ma altrove: a Amsterdam,
a New York, in
Asia perfino, ma non a Milano. Che ha spogliato da quarant’anni Torino di
tutto, banche, tecnologie, potere politico, ma evidentemente non del tutto.
Niente
mafia, niente caporalato a Milano per il gruppo Armani, che fa lavorare le borse
da 1.800 euro per
75 euro di costo, da un opificio cinese di Lombardia, con poca igiene,
stipato di maestri cinesi
di taglio e cucito pagati quattro ore per dieci di lavoro.
“L’emissione
complessiva di CO2 continua ad aumentare, però Pechino spesso ha un’aria meno inquinata
di Milano” – Federico Rampini, “Corriere della sera”.leuzzi@antiit.eu
La sessuazione del mondo
“I corpi insorgono sul piano materiale e su quello simbolico, sul piano
locale e su quello globale. Di fronte allo strapotere del mercato, e alla crisi
delle istituzioni classiche, ci sono corpi che prendono spazio e non temono di giocare
su fronti differenti e strategicamente efficaci” – “anche le rivendicazioni sul
terreno dei diritti”. Per una conclusione forse ottimista: “”Un enorme processo
è in atto, dilagante. Sta dando forma a un nuovo ordine simbolico della
politica, mai univoco, antigerarchico”. Ma che sicuramente “ha immesso nel
circolo delle significazioni la presenza attiva dei corpi”.
La Nobel Annie Ernaux, nell’ultimo racconto prima del premio, “Memoria di
ragazza”, in cui da ottantenne ricostruisce la sua estate da diciottenne, ingenua
o stupida che si lascia manipolare da uno “bello come Marlon Brando” che la usa
mentre la disprezza, a un certo punto, dopo aver ricordato il primo corso di
filosofia, annota con qualche ironia: “È folle quanto la filosofia può renderci ragionevoli.
A forza di ripetere, di scrivere che l’Altro non deve servirci da mezzo ma da
fine, che siamo razionali e che, pertanto, l’incoscienza e il fatalismo sono
degradanti, mi ha tolto il piacere di flirtare”. Dopo aver raccontato, dopo l’infatuazione,
una pausa nella vita, sempre da diciottenne, mesi di
bulimia e menorragia. “due limiti legati al cibo e al sangue, i limiti del
corpo”.
Per i
più, anche per i più pensosi, il corpo è quello dei sensi, della trasgressione,
del millenario peccato per il confessionale, e peggio, ancora fino a qualche
anno fa, dell’innominabile sesso, riproduttivo e non, roba da sottacere. Del
peccato. La scoperta del corpo, della materialità era già avvenuta con Spinoza,
ben chiara e anche ben detta – anche se, pure lui, un po’ al confessionale, in
appendice all’“Etica”, alla seconda appendice. Poi, per altri percorsi,
rilanciata o riscoperta da Nietzsche, uno dei tanti razzi della sua pirotecnia.
Il
lettore qui ci arriva a metà percorso. Prima Stimilli lo induce a liberarsi
dell’insidia persuasiva della teleologia, del percorso umano ordinato a un
fine, libero e insieme razionale, ragionevole. Anche se, epitomizzato nella
coscienza di sé dell’“uomo bianco”, del caucasico, dell’europeo, un po’
supponente, e conquistatore-dominatore – “la tua libertà è la mia”. Il
razionalismo ultimo, della “Scuola di Francoforte”, della “dialettica della
ragione”, collegando ad Aristotele, e poi a Kant – con la coda supernumeraria
di Hegel, del tutto va bene, tutto essendo stato ordinato, “sistemato”. Una
larga sinossi, preceduta da due avvertenze.
Una è
programmatica: individuare,”portare alla luce”, il ruolo che svolgono i “mezzi”
nel discorso filosofico, non necessariamente finalistico. Il come è anche
presto detto: “L’ipotesi è che tale concetto rinvii al problema e al campo di
esperienze che si origina dalla relazione con il corpo, dalla sessuazione del
mondo”. Che sembra ovvio, infine, ma non è semplice: è “processo complesso e
mai definitivo”, per un’ardua razionalizzazione, concettualizzazione, “come
ambito di un predominio perpetrato e sostanzialmente rimosso”. “Dominio”
suonerebe più appropriato, ma il senso è chiaro. Rimosso si sa perché: “È il
luogo di insorgenza di differenze anatomiche e sociali, di razza e di classe,
di sesso e di genere”, per cui il “discorso” resta “fondamentalmente teso a
oscurare i corpi”.Troppe concrezioni nel tempo, in assenza di un’anamnesi, come
avviene di ogni tabù.
La
seconda avvertenza è un’evidenza. La scoperta nel 1856 del primo esemplare di
Uomo di Neanderthal, la rivelazione di un essere ancora “sottosviluppato” -
allora si poteva ancora dire - che però usava utensili umani. “Troppo umani”
per uno la cui scatola cerebrale era “una sfida per l’umanità”, nella sintesi
recente di Leroi-Gourhan, “Il gesto e la parola”. Cioè che non avrebbe dovuto
essere in grado di concepire, di realizzare quegli strumenti, nonché di capire
come utilizzarli. Questo tre anni prima del Darwin canonico, de “L’origine
della specie”, ma il canone era già “darwiniano”, positivista, evoluzionista.
Oppure che aveva realizzato dei “mezzi” per cui il suo cervello non era adatto
- termine darwiniano.
Politica
dei corpi
“Per un nuova politica dei corpi”, come da sottotitolo,
si direbbe “vasto programma”. E invece è di più, è per molti aspetti la fondazione
di un nuovo percorso, perché, ignobile dictu, il corpo, la materialità,
è trascurata dalla filosofia. Anche da quella “naturale” - quella dei filosofi
“meridionali”, direbbe Biagio De Giovanni, Campanella, Bruno, Telesio, Vico.
Solo recentemente avviata, di sbieco, tangenzialmente a ricerche storiche, da
Foucault. E dai vari indirizzi, di ricerca e di rivendicazione, di orientamento
femminista, sul lavoro della donna, specie quello domestico. Il concepimento e
il parto compresi, che Eschilo, nota Stimilli, nella “Medea” assimila alla
guerra.
Semplificando, la rimozione è come dice
Anna Bravo, la storica: “Corpo = vergogna”. Col sottinteso “donna =
sprovvedutezza” - al meglio, o altrimenti esibizione-stranezza-svagatezza. La
rimozione è cioè del femminile in specie, del corpo che è invece il motore
dell’umanità.
Un’appendice s’imporrebbe evidente, che
Stimilli ci risparmia: la rimozione della fisicità, del corpo, va – è andata -
in parallelo con la filosofia genere maschile, anche se maneggiata da
donne.
Stimilli dapprima sottopone a dissezione l’idea di scopo, di
finalizzazione o finalismo - la teleologia. A favore della pluralità delle
possibilità. Che sono, si direbbe, la libertà, ma in quanto occasioni
(inciampi, stimoli) per la ragione, per l’esercizio del giudizio, e quindi
della scelta, tra una gamma molto più vasta di possibilità – della libertà. Per
una comprensione anche più allargata della vita, e quindi della verità della
storia.
Un progetto, un trattato in realtà, che origina dal progetto di
“Politica” di W. Benjamin, 1921, poi non sviluppato, “Sulla critica della
violenza”: liberare la politica dal nesso senso-scopo (ma: “liberare” la
politica?). Benjamin, analizzando la violenza, scopriva preliminarmente che “il
diritto naturale si sforza di «giustificare» i mezzi della giustizia dai fini;
il diritto positivo si sforza di «garantire» la giustizia dei fini dalla
legittimità dei mezzi”. In questo modo circoscrivendo la sua indagine: esclude
“il campo dei fini, e di conseguenza anche la questione di un criterio di
giustizia”, per concentrarsi sul “problema della legittimità di certi mezzi che
costituiscono al violenza”.
La cura e l’uso di sé
Una riflessione militante, anche nella scrittura. Una ricerca a un fine
anche pratico, per l’editore, nella “nuova sessuazione del mondo” – ammesso che
sia nuova, e che sia in atto (certo, in Cina, in India non si espongono più le
neonate, però….). E per l’autrice, per uscire dal vacuum politico – o
dallo svuotamento della politica tradizionale, montesquieuviana – le “visioni”
ci sono, manca il “senso”, quello illuministico, della
razionalità\organizzazione del cosmo. Per ridare “senso” alla politica – “più
che un recupero di fini perduti, decisiva è una indagine sui mezzi”.
Buona parte del lavoro, spiegherà Stimilli in fine, è stato fatto da
Heidegger (“cura”) e da Foucault (“uso di sé”). Ma molto resta da fare:
“Ampliare lo spettro dei bisogni ai desideri, estendere le forme del lavoro
salariato a quelle (sottopagate o non pagate) di cura è stata la forza
dell’ordine spontaneo mercato”. Ma con soluzioni insoddisfacenti – come Martha
Nussbaum poteva rilevare in “Giustizia sociale e dignità umana”, a proposito
della cura domestica, dell’accudimento o “tempo obbligato”, che più
occupa gli esseri umani, le donne in particolare, più del lavoro per un salario:
la cura dei non autosufficienti, i bambini, gli anziani, i portatori di
handicap, gli ammalati.
Elettra Stimilli, Filosofia dei
mezzi, Neri Pozza, pp. 223 € 18
martedì 9 aprile 2024
Secondi pensieri - 532
zeulig
Democrazia – È espansiva, fino allo spreco, e per questo trionfa. L’ordine è
repressivo-recessivo, consuma meno.
La cosa, volendolo, si sa da tempo. Erodoto sa che la
democrazia è l’opera di un’oligarchia, insomma una banda, che “prese il popolo
nella sua clientela, o meglio eterìa”.
Ecco perché ci vuole la rivoluzione, per fare la democrazia democratica. La
libertà. Che è borghese: è ordinata in un progetto. E progressista, secondo una
logica cioè costruttiva, di accumulo.
La democrazia di massa è cosa totalitaria, roba da
megafono agli incroci, con adunate, labari e slogan, l’opposto della civiltà,
questo lo sapevano pure in Germania, alla scuola di Francoforte.
Freud – Un pasticcione? Un cattivone? “La padronanza degli istinti
diventa opera propria dell’individuo: autonomia”. Dlin, dlin, dlin! (campanello
d’allarme). “La libertà è una forma di dominio”. Amen! Esegeta della
rivoluzione, Marcuse ne ha detta con Freud la messa, e tutti mandato a casa.
Nodo
della teoria freudiana degli istinti è il dominio, ecco perché le rivoluzioni
s’incartano. Poco male, si penserebbe, l’istinto va educato. E invece no: da
sempre l’individuo riproduce dal suo seno il dominio, e questa partenogenesi
alimenta la conservazione. È quanto Freud insegna. Peggio: “La libertà
individuale non è un beneficio per la civiltà”. E “più la civiltà progredisce,
più si restringe la libertà”. D’un colpo solo il Doktor si eleva, austriaco e
ebreo, all’empireo dei Grandi Spiriti tedeschi che si posero reazionari a
maestri dell’umanità corrotta - Furio Jesi lo spiega in “Germania segreta”. E non è tutto: l’infelicità sta nella libertà, il
dominio nell’autonomia, la reazione nel progresso. Bisogna dunque stare in
carcere per essere liberi, in servitù per essere padroni, sugli alberi per fare
la rivoluzione.
“Il
principio non repressivo del progresso è, in un senso decisivo, conservatore”:
Marcuse ha fatto l’analisi alla rivoluzione e ha scoperto che non c’è niente da
fare, “gli istinti sono conservatori”. Lo schema è semplice, articolato in due
fasi che tornano costanti. La rivoluzione vince. Allora determinate forze la
spingono all’estremo. Con un segnale forte: l’occasione di finirla con la
storia – economia, progresso – e l’attesa del nuovo mondo. Freud insegna alla
rivoluzione il perfetto harakiri.
Si
dice la fine della storia pensiero utopico, ma è una paraculata. A questo punto
infatti il dominio è interiorizzato, restaurato, estremizzato. E la rivoluzione
è sradicata. Si può scusare Freud, tutto è in lui repressione, per via della
dittatura del padre e del suo assassinio, che ne perpetua il dominio. Uomo
coraggioso, perfino temerario, con “Mosè
e il monoteismo” sradica perfino la purezza della razza, e amabile, ma
casinista. Scopre l’inconscio che era stato già scoperto da Janet. E non sa che
le parole non sono inoffensive, dopo avere inventato le parole ponte e le
decomposizioni significative – dal francese déconner,
sbarellare? Marcuse ne conosce il trucco: “Della natura dell’eros Freud mise
sempre in rilievo il carattere amorale e asociale, anzi antimorale e
antisociale”.
Il
Doktor è pure autoritario: “Il programma che il principio del piacere impone,
di essere cioè felici, non può essere attuato”. Meglio allora, se Platone è
impossibile, la libertà come costrizione morale di Kant, o del confessore: il controllo
dell’istinto quale condizione di libertà. È idealista ma ben detto. La
disciplina e la rinuncia aprono spazi alla libertà, nella cella del monaco e
fuori, danno più piacere che non la merda di Freud. Il quale si giustifica con
l’aver visto che “il progresso della civiltà ha portato il senso di colpa a
gradi d’intensità a malapena tollerabili”. Non aveva gli occhiali? Ma è lecito
liberare l’istinto, è un dovere e non un peccato.
Libertà
– Alla Scuola di Francoforte Marcuse
fece la scoperta che “la civiltà deriva dal piacere”. Che è in Platone, nelle “Leggi” totalitarie: “In guerra non
c’è divertimento né nulla da imparare”, c’è da “respingere i nemici” e
“imparare a vivere divertendosi, con giochi, sacrifici agli dei, canti, danze”.
Ma a Freud non piace.
Imparare a divertirsi, questa è la libertà, che non è
dominio. Ci fu invece una fioritura in Francia di manuali sull’onanismo, prima
dell’‘89 e del ‘48. Non si è cantato per caso nel ‘68.
Neofascismo – Il
saluto romano, gli eia eia alalà, vincere e vinceremo, le celebrazioni dei
propri “caduti”, in camicia nera e con i gagliardetti patacca, è di più: è
anche l’esito-rimasuglio di un vecchio neofascismo, vecchio ormai di
ottant’anni, che vive nel cultp dei morti: si dice nostalgico, ma di poche,
limitate, nostalgie, la camicia nera, il casino, il militarismo per burla.
Nei
fatti, in Italia, la coreografia fascista non è neo, è proprio fascismo: è prerogativa
di ceti popolari che si direbbero piccolo borghesi, ma sono generalmente
commercianti, artigiani e operai, non impiegatizi. Esemplificati dalle
tifoserie sportive. Lunedì gruppi di tifosi della Lazio si sono recati a Monaco
di Baviera, al costo di alcune centinaia di euro, per cantare nella “birreria
di Hitler”, l’Hofbraühaus, col saluto hitleriano e per concludere l’urlo fascista
“me ne frego” - cori insistititi, da ubriachi, che hanno obbligato la polizia a
interenire. Sabato i tifosi della Rma si sono esibiti in treno con un inno della
sqaudra”, “Nell’As Roma non ci sono ebrei”. Presentato e commentato poi come “una
goliardata, un momento di svago”. Per il derby, laziali e romanisti s insultato
reciprocamente come “ebrei”.
Cori,
saluti e atteggiamenti comuni a molte tifoserie “in trasferta” – fuori casa,
domesticità, mogli, genitori: il fascismo è un modo per passare il tempo della
festa. Per ricaricarsi anche, prima del match per timorte della sconfitta,
dopo per prolungare la vittoria. Come se il fascismo fosse un elisir del
popolo.
E la
violenza? Fascismo è violenza, senza più
Ma con
una funzione politica attiva: è un neofascismo – la nostalgia – che sterilizza
l’antifascismo. Lo reduce, comprime, condensa, in un passato anch’esso “inesistente”,
non più attivo – se non al modo dei tifosi “in trasferta”. E in nessun modo
cercato, nemmeno nelle forme della nostalgia (un comunista non celebrerà mai i
fratelli Rosselli – non celebra oggi nemmeno Matteotti, che il vezzo dele
ricorrenze e gli storici ripropongono). In questo senso ha funzione politica
attiva.
Storia-
“Una caratteristica piacevole della storia è che essa si ripete” – Getrude
Stein, “Le guerre che ho visto”, 112.
È anche bello non avere
storia – il “ducunt fata volentem, nolentem trahunt”, di
Cleante-Epitteto-Seneca: chi vuole compie il suo destino, chi no lo stesso, va
al traino. È bello essere infanti, o anche non essere nati. Ma c’è confusione.
“Dove va il passato quando diventa passato, e dov’è il passato?” è uno dei
problemi di Wittgenstein. Mentre è qui, lo sanno tutti che il passato non
passa, che siamo accumuli, concrezioni, sorite più o meno coscienti, noi e il
tempo, che si pavoneggia tra passato, presente e futuro – benché presenza poco
filosofica, questo essere presente, che si risolve nel napoletano gliommero.
È vero che la memoria è ordine. I pazzi si
coordinano, ragionano cioè, ma non ricordano, e quindi eccedono, o ripetitivi o
vaghi. Ed è regola proustiana che solo il ricordo involontario dia all’artista
materia per l’opera – allo storico per la memoria. Per il noto precetto di
Bergson: “Ciò che abbiamo sentito, pensato, voluto fin dalla prima infanzia è
sempre là, chino sul presente che va ad aggiungervisi, e preme contro la porta
della coscienza che vorrebbe lasciarlo fuori”. E perché la memoria sa scegliere
meglio, è l’autore più rifinito. Ma resta un passato di mistero.
La storia a volte è impossibile. “La
storia svisa l’uomo: lo coglie nella dispersione, nella estrinsicità, non
coglie ciò che lui è, il suo non essere ancora”, il filosofo Banfi avverte.
Bisogna dunque fare a meno della storia, o dell’uomo? Senza contare che ci
aspetta un Hitler II, se quello vero non c’è stato – se la consolazione è
per Gertrude Stein che la storia si ripete.
È
Clio, cioè è quella che chiude, sorride Savinio. Da klion,
chiudere: chiude il passato, fissa la storia. La storia è un mattone messo
sopra. O così piacerebbe agli storici.
Tempo - Il problema è stabilire cos’è il
presente-per-il-futuro. Si insiste a valutare il tempo in termini di progresso,
e viceversa. Per cui il tempo in città, minimizzato rispetto al tempo in villa,
si dice più intenso e produttivo perché il progresso è urbano e non agreste. Il
tempo si vuole in crescita: una curva che sale all’infinito, il progresso nel
quale il presente si an-nulla. Il passato se ne sta lì accucciato e il presente
è incompiuto. In questa corsa in avanti l’attesa, l’adempimento, la soddisfazione,
o la pausa e la pace, diventano rinunce religiose, superstizione, animalismo.
Ma si ve-de che è un trucco, sia per il terzomondista, che crescita e sviluppo
affliggono, che per ogni altro.
Verità - La
Verità scoperta dal Tempo, nel Seicento, è vana rincorsa – se non tema
pittorico che consente d’accostare
committenti vegliardi a rosse in carne.
zeulig@antiit.eu
Lo Sputtanamento Globale (della sinistra) cinquant’anni fa
Una raccolta, la prima di molte altre, di interventi sparsi su settimanali e quotidiani, operata da Eco cinquant’anni fa, nel 1973, “che hanno
come tema comune aspetti del costume italiano”, culturale e non – “con qualche
sguardo sua aspetti del costume internazionale”. In realtà, inconsciamente?, il
primo di una serie di testi agguerriti contro la pratica (italiana) del giornalismo,
la deriva del giornalismo. Anche di quello allora più titolato, Piero Ottone,
che aveva spostato il “Corriere della sera” verso il Pci e insieme, mirabile
dictu, verso la “rivoluzione”, appellandosi alla “obiettività”.
L’obiettività è un tema che Eco riprenderà spesso, da studioso, dei segni e
della comunicazione - senza esito, non pratico. Ma la ripetitività mostra il suo
sincero disagio verso l’Italia della “doppia” verità”, anche se non confessato,
non a se stesso - mai una critica a sinistra (alla sinistra politica, per il
resto no, ce n’è anche per “i reazionari di sinistra”, quelli che poi
diventeranno in Usa i radical chic).
Con conclusioni anche contestabili, se non per la polemica implicita, non
detta, contro Ottone, vecchio liberale finto pcista, dovendo fare del “Corriere
della sera”” il giornale del “compromesso storico” (sostituendo “Paese Sera”
come giornale fiancheggiatore, a nessun costo per il Pci): “Il giornalista non
ha un dovere di obiettività, ha un dovere di testimonianza”. La critica sui
vezzi della sinistra in Italia è però implacabile. “I modi della moda culturale”, uno dei primi
elzeviri della raccolta, apre un filone interminabile. Un po’ gli tiene testa
la curiosità, sempre forte in Eco, per il sottobosco della letteratura, le
riviste come “Il pungolo verde” di Campobasso o “La disfida” di Corato, per le
poetesse che hanno sempre cognomi doppi – mentre i poeti maschi vanno spesso
col “De”- De Robertis, De Romanis.
L’informazione sarà stata la passione dominante di Eco, la comunicazione,
e il suo principale tema di riflessione e di svago. La prima e più lunga sezione
del volume, un terzo delle pagine, “Italia nostra”, gira anch’essa, più che sui
“costumi”, sull’informazione, Dall’“Aralado di sant’Antonio” a McLuhan. La stampa
agiografica lo alluzza molto, specie la disamina della messaggistica “per
grazia ricevuta”, i differenti formulari.
Il tono è contro, ma con juicio, salottiero. “Il gioco dell’occupazione”
è un editoriale anonimo scritto per “Quindici”, n.11, nel 1968, contro la mania
delle “occupazioni”, dopo l’occupazione della Triennale di Milano. Nel numero
successivo Sanguineti e Davico Bonino gli rispondono “Vietato vietare”. Eco risponde
a sua volta alla contestazione con tredici pagine, “Vietando s’impara” - in cui
molto si argomenta con un avvocato
Dominuco, “vecchio anarchico inquieto”, difensore di Cavallero, un gangster
pluriassassino, artefice della tecnica che Eco chiama dello “Sputtanamento
Globale” – della sinistra, cioè, ma senza dirlo, sempre girandoci intorno.
Il tono prevalente si direbbe semiserio. Mentre “il povero pescasserolese
(Coce. N.d.r.) proprio non ne aveva azzeccata una”. O “la ‘Renovatio Diaboli’”
operata da Paolo VI, “quel diavolo di un uomo”. Valpreda è il Franci del
“Cuore”: anche se non lancia palle di neve, sicuramente “lo metteranno all’Ergastolo”.
E “chi sono i grandi reazionari dei nostri giorni? L’ultimo Joyce per esempio”,
per via del tempo (della storia) circolare - “con l’altro grande reazionario,
Nietzsche, quello che “curvo è il sentiero dell’eternità” e “il Centro è dappertutto”.
E analogamente Borges. Ma anche Hegel. “un grande pensatore reazionario”,
maestro di tutti i sovversivi. Per non dire di Dante, “grandissimo reazionario
se mai ve ne furono”. Insomma, i reazionari in libertà, per parafrasare lo
stesso Eco, quando ancora non era filosofo. La noterella “Il pettegolezzo come
virtù politica” rivaluta paradossalmente le donne in politica, da cui sono
tenute in soggezione per il vetero motivo che la dona è pettegola, e quindi non
ha la necessaria riservatezza. C’è già anche, in un lampo, la tecnica dello Sfruttamento
Globale”, quando ancora la globalizzazione era di tipo dichiaratamente imperialista,
con le multinazionali, angloamericane.
La lettura di questa prima collettanea del poligrafo in fieri Eco si
rifà tutto sommato con profitto dopo cinquant’anni. Da profeta nel deserto?
Debole? Superficiale? Sbagliato? A volte no. “I mezzi di massa non trasportano
ideologia, sono essi stessi ideologia”. Un’arma sensibile. Eco la critica, ma
riconosce che “ciò che conta è il bombardamento graduale e uniforme dell’informazione,
dove i contenuti diversi si livellano e perdono le loro differenze”. Virtù e vizi
non si pareggiano, se non altro perché hanno diversa durata: le virtù possono
morire all’improvviso, i vizi si riproducono, infestanti – si direbbero immortali,
per la nostra concezione del tempo vivibile.
Un Eco anche eretico, a volta. Nella sezione “L’uomo nero”, sulle destre
politiche in Italia, si evoca “il gran reazionario Spinoza”. Spinoza, l’uomo
prima che il filosofo della libertà di pensiero? Ma poi per chiarire che, “buono,
dolce e perseguitato che fu”, si batteva sì per la libertà, ma “non perché dalla
discussione dovesse nascere un mondo diverso”, la rivoluzione. Teorico e
pratico del Gruppo 63, l’avanguardia letteraria, mette anche in berlina
“l’accademismo del Gruppo 63”. Uno dei pochi a capire all’epoca, 1967, il
semiologo canadese Marshall McLuhan, che aveva capito i media, i mezzi
d’informazione, prima di internet e dei social: “Come ha suggerito il
Professor McLuhan l’informazione non è più uno strumento per produrre beni economici,
ma è diventato esso stesso il principale dei beni. La Comunicazione si è trasformata
in industria pesante”. Mentre in precedenza, in una satira feroce scritta per
“Quindici”, n. 5, 15 ottobre-15 novembre 1967, in forma di recensione di Sedlmayr,
“Perdita del centro” (1948) e di McLuhan, “Gli strumenti del comunicare” (qui
omessa, ma che riprenderà nella raccolta successiva, “Dalla periferia dell’impero”,
lo stronca, come uno che “offre brani da citare per un marxista cinese che
voglia mettere sotto accusa la nostra società, e argomenti dimostrativi per un teorico
dell’ottimismo neocapitalista” – o è ambigua la semiotica? Poi molto sull’attualità.
Il “televisionaro”. Il pettegolezzo come virtù politica… Svaghi intelligenti –
sul solco scalfariano all’“Espresso” delle “vacanze intelligenti”.
Evidenze e misteri della ideologia italiana, il sottotitolo della riedizione, non aiuta - ideologia italiana? L’impianto ironico, scherzoso, dell’Eco minisaggista diverte ma non aiuta. C’era
già una “letteratura” polemica, di interventi brevi e minimi, portata ai fasti,
se non inventata. da Malaparte con i “Battibechi”. Eco la pratica con
naturalezza. Adattandola al modello avviato da Roland Barthes nel 1957 con le
“Mitologie”, la raccolta di divagazioni pubblicate negli anni 1964-1966 sul
settimanale “Les Lettres Nouvelles”, il settimanale di Maurice Nadeau. Malaparte e Barthes di cui Eco non fa menzione.
Test per lo più scritti per “L’Espresso”. Alcuni per “Quindici”, il quindicinale
della cosiddetta neo-avanguardia, il Gruppo 63. Con incursioni sul “Girono”,
“Il Manifesto” “Paese Sera”. Testi riuniti per capitoli contenutistici: il Gruppo
63, l’Italia (“Italia Nostra”), la destra, compresi “I reazionari di sinistra”,
il kitsch, allora concetto e termine di moda, l’avanguardia letteraria, di
cui Eco è stato aedo e becchino – poi. figurarsi, col dumasiano “Il nome della
rosa” - e un gruppo più marcatamente rolandbarthesiano, “I segni e i miti”.
Umberto Eco, Il costume di casa, La Nave di Teseo, pp. 448 € 18
lunedì 8 aprile 2024
La politica è l’antipolitica
Quanto vale un voto? 50 euro. O una bombola
del gas – ma qui non si capisce: la bombola, che costa meno di 50 euro, procura
in cambio anche i voti degli amici del figlio….
È la Puglia, si dice, si pensa. Il Sud.
Gente fuori dallo Stato, ancora “napoletani”. Ma due italiani su cinque non
sono andati a votare ultimamente, in tutta Italia. Valutano cioè il voto meno
di 50 euro.
Anche l’astensione è zavorrata dal Sud, da
emigrati che mantengono la residenza. Ma anche il Nord latita: rispetto al 2018
ha fatto mancare un 10-12 per cento del voto.
Il film che ha segnato il 2023, “C’è
ancora domani”, di Paola Cortellesi, sul diritto di voto alle donne nel 1946, si
chiude con questa bella frase: “Stringiamo le schede come biglietti d’amore”. C’è
voluto poco perché tanto amore scemasse. E senza traumi: è la politica stessa che
disamora?
Problemi di base stupidi bis - 798
spock
La negazione della stupidità è una delle grandi
colpe della contemporaneità: ha reso la vita – già gaudiosa – impossibile agli
stupidi?
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Il calore umano scalda il ghiaccio – e la montagna si ripopola
Un maestro, stanco
di (non) insegnare a bambini disattenti al cellulare, estranei, irrispettosi,
con genitori ingombranti e anche violenti, chiede il trasferimento in una sede
disagiata che nessuno vuole, uno dei paesini che si svuotano sull’Appennino, in
Abruzzo, nella Marsica. Nell’inverno interminabile sotto la neve fitta, anche
se ravvivato dai lupi in branco, perfino dai cervi – un’orsa perfino s’intravvede,
con gli orsetti. Un’avventura. C’è anche da salvare la scuoletta, che va chiusa
se non raggiunge il numero minimo di dieci bambini – si rimedierà con i bambini
di immigrati e di profughi ucraini.
Milani ripete, sulla
neve, il miracolo di “Benvenuti al Sud”, di Luca Miniero, l’altro dominus
della commedia all’italiana, il clash di culture, tra il forestiero e i
locali, di linguaggi e riti diversi. Un racconto semplice nel registro dell’avventura,
piena di atmosfere. Grazie anche alla
misura dei due protagonisti, che resistono alla tentazione di fare i comici brillanti,
per cui sono famosi, Albanese e Virginia Raffaele – basta i linguaggi vocali, i
suoni. Con l’idea pagante di avere comprimari i locali, gente comune di Viletta
Barrea e di Pescasseroli. Specie i bambini della scuola – da cui Milani sa
estrarre., con luci, inquadrature, tempi, mille sfumature, di personalità,
interessi, e ancora una volta linguaggi.
Si
direbbe il racconto dei linguaggi. Curati anche nelle sfumature. Albanese
arriva con l’italiano lombardo. Raffaele, vice-preside di una scuola elementare
di un sola classe di pochi bambini, è sempre sul ciglio di quella che si prende
sul serio e anche no. Con un solo errore: in montagna non si cammina con le mani
in tasca, specie d’inverno – fa freddo ma non si va sul ghiaccio con le mani
infilate nel giaccone.
Riccardo Milani, Un mondo a parte
domenica 7 aprile 2024
La guerra è europea
La Russia non è un
nemico americano. Non c’è paura, non è più la Russia che minacciava la proprietà,
non interessa all’opinione. Sui media la guerra c’è poco o niente – le cronache,
rare e distanti, per lo più sceneggiano confidenze dei vari servizi di intelligence. Sui social è assente. La guerra non c’è neanche nella campagna
elettorale. In Congresso c’è stallo sui finanziamenti. Ma non perché i
Repubblicani mettono in difficoltà la presidenza Biden: molti Repubblicani sono
a favore, molti Democratici sono contro.
Biden ha fatto
molto per sostenere l’Ucraina. Il pacchetto di aiuti inceppato al Congresso ammonta
a 60 miliardi di dollari. Ma nei due anni passati gli aiuti militari Usa hanno
ammontato quasi al doppio, 110 miliardi. E una dozzina di gruppi militari,
americani soprattutto e inglesi, con i francesi, secondo il “New York Times”,
hanno operato da una decina d’anni, dopo l’annessione russa della Crimea, in territorio ucraino, per gestire
l’armamento Nato più sofisticato.
La tela di fondo è
comunque chiara. L’America First, di Biden più che di Trump, è stata assertiva,
allargando il fossato con la Cina in campo economico e militare, e con l’Europa,
con la Russia ma anche con la Ue, ancora più profondamente in entrambi i campi.
La sfida alla
Russia viene da lontano, dalle presidenze Bush jr., e poi con Obama. Per un
canone evidentemente nazionale, bi-partisan.
Per iniziativa diretta americana, tenendo
poco conto degli alleati Nato, cioè dell’Europa. Se non con i paesi dell’Est
europeo invitati alla Nato, Polonia, Romania, i Baltici. La pace post-sovietica
è durata poco. Ma per un disegno di confronto-contenimento (containment-confrontation)di
cui fa le spese l’Europa, più che la Russia, contro cui in teoria è diretto.
Il mondo torna piramidale, o fine del multilateralismo
L’accerchiamento
della Russia (prima che Mosca capovolgesse la manovra assediando l’Ucraina - ci
provasse) è la fine del multilateralismo. Della dottrina americana degli ultimi
cinquant’anni, dal tempo di Kissinger, che ne è stato sempre il teorico e il
primo applicatore, e più dopo il crollo del sovietismo. Della diplomazia invece della guerra. E di un
ordine mondiale garantito dagli interessi convergenti di potenze localizzate.
Tra queste un polo europeo - seppure sempre all’interno della Nato,
dell’alleanza atlantica.
Il ritorno
bellicoso degli Stati Uniti - di Bush jr., e poi di Biden più che di Obama - in
Afghanistan, Iraq, Siria, Libia in questi primi anni 2000 si poteva assumere un
argine al terrorismo islamico. L’allargamento della Nato fin sotto Mosca e San
Pietroburgo è un abbandono del multilateralismo. Anche a rischio di alienare la
Russia, a fianco della Cina – che è l’antagonista “storico” (del momento) della
strategia americana. La triarchia potrebbe diventare una diarchia, Usa contro
Cina e Russia – benché un asse Russia-Cina sia improbabile, per la storia, per
la politica, e anche per l’economia.
Il crollo dell’Urss aveva lasciato gli Usa
unica grande potenza. La globalizzazione ha fatto emergere la Cina. L’allargamento
della Nato ha costretto la Russia a darsi un assetto e un’economia di guerra.
Una forma ristretta di multilateralismo, se si vuole, che non è più però quello
di Kissinger, una forma non costosa e non violenta di controllare l’assetto del
mondo – del multilateralismo come assetto armonioso della pax americana sola al
mondo.
Ombre - 714
“Mi chiedo cosa sia
successo all’inventiva americana: nel 1944 per il D -Day costruimmo un molo in
due giorni, adesso a Gaza ci vogliono settimane”, Michael Walzer – D-Day è in angloamericano
il giorno di un’operazione militare decisiva, nel 1944 lo sbarco in Normandia
il 6 giugno 1944.
Il “Corriere della
sera-Roma” riesce a fare la cronaca delle condanne per il fallito progetto di
stadio della As Roma a Tor di Valle senza mai dire che i condannati erano del Pd,
sia il costruttore che il referente, il presidente del consiglio municipale, e
dei 5 Stelle, il “consigliori”. Evidenziando in foto dei personaggi della Lega
che non c’entrano. Senza malizia, è solo incapacità o stupidità?
Nelle due pagine sui voti
comprati a Bari e provincia, lo stesso giornale lo stesso giorno, coi suoi
maggiori nomi delle cronache politiche, prima di spiegare e denunciare nomi e
fatti, evoca Tatarella, un parlamentare di destra del tempo del Msi, quindi di trenta-quarant’anni
fa, e della sua teoria dell’“armonia”. Ma questo Tatarella non è masi stato colpevole
di nessun voto comprato. Sono giornalisti e giornali di sinistra o sono amici
del giaguaro?
A Torino un dirigente pubblico, a 85
anni, esponente de Pd, Salvatore Gallo, col figlio consigliere comunale o regionale
del Pd, incriminato per frode elettorale, è presentato dallo sesso giornale, “Corriere
della sera”, come “socialista amico di Craxi”. Il quale è morto 25 anni fa, o
24, solitario in Tunisia. Preceduto dal partito Socialista di un decennio. Ma
non era morto anche il Pci, quello della la “doppia verità” – o tripla, o
quadrupla?
La guerra in Ucraina va
avanti con annunci di perdite gravi, navi, aerei, e soprattutto uomini, della Russia,
e perdite minime dell’Ucraina, malgrado i bombardamenti massicci russi, che fanno
una-due vittime al giorno. Mentre
l’Ucraina si dice inerme, a meno di nuove forniture belliche. Sarà un errore di
gestione delle “notizie di guerra”. Gestione che non si fa a Kiev ma nella City
e a Madison Avenue. Amici del giaguaro anche qui, a pagamento?
“Su 206 indagini avviate dalla Procura
europea, 179 riguardano il nostro Paese”. Per ben sei miliardi, un decimo o
poco meno dei fondi europei (Pnrr) erogati. L’Italia è più corrotta – il solo
paese corrotto nella Ue? Possibile. Ma perché i controlli arrivano a babbo
morto – la Guardia di Finanza ci arriva dopo che ci è arrivata l’Antitruffa Ue,
pochi funzionari?
È curioso un papa come
Bergoglio, che si professa umile e amorevole e ha nominato cento cardinali (99
per l’esattezza), numero abnorme, in soli dieci anni, spettegola coi
giornalisti, condanna (Bertone, Ganswein, i capi dei vescovi italiani eccetto
il suo, Zuppi), e spettacolarizza qualsiasi cosa faccia. “Professarsi”, poi,
quanta supponenza – l’umile è, non si professa.
È straordinario vivere
col papa argentino il trionfo del gossip, come la chiacchiera veniva
chiamata a fine Novecento, prima dei social. Con giornalisti di fiducia,
e anche in discorsi pubblici. Il gossip, che ha ucciso il giornalismo,
dissolverà anche la chiesa?
Si pubblicano le
richieste specifiche dell’Antitrust europeo a Ita-Lufthansa, e si conferma la
prima lettura: la Commissione, cioè la commissaria Vestager, fa di Ita, una
compagnia già fallita due o tre volte, una supercompany, se per fondersi con
Lufthansa deve abbandonare 39 collegamenti. Per caso, i più proficui – o gli
unici proficui.
Si dice: fondendosi con
Lufthansa, si creano per Ita posizioni monopolistiche. Che però, per caso?, non
si sono create nelle precedenti fusioni in Lufthansa, della ex Swissair
(Swiss), della vecchia Sabena (Brussels Airlines), di Austrian Airlines. di
Eurowings, di Air Dolomiti.
Curioso, si sono moltiplicati in queste Pasqua
anticipata i segni di anticlericalismo in Europa, in area culturale “germanica”
(anglosassoni, scandinavi, tedeschi), Passioni, Resurrezioni, veglie, e di celebrazione
invece del Ramadan, in spazi pubblici, a spese pubbliche, luminarie, festoni, pranzi
serali, perfino sospensioni delle partite di calcio post-tramonto per consentir
e agli atleti islamici di rifocillarsi. Un caso, un disegno, e di che natura?
La religione al servizio di che?
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Una festa del cinema nel Polesine pulp
Un pulp nel Polesine, un crescendo di violenza. Che non ha girato in sala, il genere non è popolare. Invece nasce da un’idea semplice e
geniale. E ha immagini indelebili.
L’idea è collocare una famiglia rumena di bracconieri della pesca nel
Danubio, latitanti, nel delta aggrovigliato del Po. Al servizio di un oste, che
li sfrutta perché semiclandestini. Mentre ospita nei suoi locali
la locale associazione a protezione del delta. Che periodicamente vi si riunisce,
constatando e denunciando la presenza di questi irregolari della pesca.
Restano le immagini del delta senza la poesia d’obbligo: un acquitrino,
una palude, di mangrovie, o arbusti del tipo mediterraneo altrettanto intricati, chiuso, cupo, senza orizzonte.
Di Alessandro Borghi, il fratello giovane della famiglia rumena, che crea un
mondo col solo volto, e pochi monosillabi. Della carpa da un quintale. Della “festa”
per la carpa da un quintale con vodca a fiumi. Della violenza degli umili.
Michele Vannucci, Delta, Sky Cinema, Now
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