sabato 4 maggio 2024
La Francia e l’Europa che non c’è
Cinque anni fa, nella campagna per il voto europeo, Macron proponeva un Rinascimento. Quest’anno, con la stessa scadenza, a un mese e mezzo dal voto, spiega alla Sorbona e all’“Economist” che “l’Europa può morire” – non dice che rischia di morire, ma aggiunge che le fini degli imperi sono “brutali”, improvvise cioè e disastrose.
Tutto per il meglio, anche Palermo
I soliti
ingredienti delle produzioni Bernabei, ma in un racconto gradevole. Location
mozzafiato, la famiglia, genitori e figli, l’innamoramento, felice e infelice,
o incerto, il lavoro, sempre periclitante - tanto più se è quello della stella
della ditta, Francesca Chillemi, ormai abbonata al ruolo della bella un po’
sventata – e la giustizia, tempestiva ma clemente.
Una storia di
attualità nei primi due episodi della nuova serie: le avventure social di uno
sfruttatore di donne, con la ricetta collaudata di guadagnarsi la fiducia
pagando tutto ai primi incontri, per poi farsi bonificare una somma ingente, e
scomparire. Due le storie: quella che legherà gli episodi è una paternità complicata,
per il noto detto sapienziale che la paternità è sempre incerta.
Tutto molto ordinario,
quotidiano, di ognuno. Tenuto su dai dialoghi, vivaci. In una Palermo da cartolina,
specie nelle trasparenze del mare.
Alexis Sweet,
Alexis Sweet, Viola
come il mare, Canale 5, Infinity
venerdì 3 maggio 2024
Problemi di base pessimisti - 803
spock
“La memoria è
il dono speciale della vergogna”, A nnie Er naux?
“Ognuno è solo”,
Herman Hesse?
“Ognuno sta
solo sul cuor della terra”, Salvatore Quasimodo?
Alla nascita e
alla morte ognuno è solo?
“Pure i
ricordi svaniscono”, Michail Bulgakov?
“So che sembra
assurdo, ma per favore ditemi chi sono io”, Roger Hodgson (“The logical Song”)
spock@antiit.eu
La peste dei "Promessi sposi", dal vivo
Molto citato e poco letto (non pubblicato, da almeno un secolo) la
revocazione di Milano nel primo Seicento alla base della parte storica dei “Promessi
sposi” - anzi, la fonte unica, per quanto ricca. Si ripropone con una nuova traduzione.
Ripamonti, brianzolo, di famiglia povera, sacerdote,
fu scelto dal cardinale Federigo Borromeo come direttore della Biblioteca
Ambrosiana. Insegnò letteratura latina ed eloquenza sacra nel Seminario di
Milano. Fu nominato cronista della città dai decurioni di Milano e storiografo
regio dal governatore spagnolo. Autore delle “Historiae Ecclesiae Mediolanensis”,
pubblicate fra il 1617 e il 1628, di “Historiae Patriae” pubblicate postume tra
il 1643 e il 1648. E di questo “De peste Mediolani quae fuit anno 1630”, pubblicato
nel 1640, tre anni prima della morte. Molto dettagliato, e ben costruito, ma rimasto
praticamente ignoto prima del romanzo – fu tradotto solo nel 1841.
La cronaca è voluminosa ma non noiosa. È divisa in
cinque libri: la carestia e la peste; gli untori; le gesta del cardinale Federico
Borromeo e del clero durante il contagio; le “grida” della sanità e delle varie
altre magistrature; un parallelo fra gli antecedenti contagi e la peste del
1630. Fra le tante storie di peste successive, da Defoe fino a Camus, è questa
forse quella più vivace, e meglio argomentata.
Sono qui i capitoli XXI e XXII del romanzo di Manzoni.
Che non nascose la fonte, anzi: cita Ripamonti spesso, lo dice anche sua
principale fonte storica, per tutto, compresi i “bravi”. Ma tutto il romanzo, e
molto Manzoni, si direbbe “ripamontiano”, dolente e inflessibile – non c’è
debolezza che eviti o nasconda.
Giuseppe Ripamonti, La
peste di Milano del 1630, Luni, pp. 432 € 128
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giovedì 2 maggio 2024
Il calcio asociale – o un calcio ai presidenti
(Semi)finito il campionato si riempiono le
cronache degli allenatori da cacciare via, dalla Juventus, dal Milan, dal Napoli.
Allenatori tutti di carriere onorate. Effetto di un giornalismo ormai asfittico,
ripetitivo, senza fantasia, quelo sportivo forse peggio di quello politico. Ma
senza dire mai l’evidenza, che il calcio è malato in Italia nella proprietà, di
morbo societario. Del Napoli con la massima evidenza, di un presidente che non
vuole una società e caccia gli allenatori con una frequenza nevrotica, anche chi
gli ha vinto uno straordinario scudetto. Del Milan e dell’Inter che hanno proprietà
assenti – sono solo gadget finanziari. Nel Milan sostituita prima da Boban, poi
da Maldini, ora da Ibrahimovic – da teste di legno. Nell’Inter sostituita da Marotta,
il dirigente che fu l’artefice delle fortune della Juventus e altrettanto sta
facendo all’Inter, praticamente da solo (con un altro dirigente come lui cacciato
come dalla Juventus, Ausilio) – dove paga i suoi prolifici calciatori 117
milioni, contro i 130 degli astinenti juventini. Della Juventus che ha accumulato
perdite e debiti per un miliardo se non di più senza vincere niente, e anzi penando.
Cambiando allenatori in serie. Con dirigenze di avvocati che non sanno nemmeno fare gli
avvocati – il club torinese è probabilmente il più perseguito in giustizia al
mondo, anche da giudici di poco conto, ordinari e sportivi, come quello che si
dichiara interista, e l’incredibile Chiné della giustizia sportiva, quello che punisce
per la stessa accusa fra sei o sette società solo la Juventus.
Mentre resta sempre il dubbio sul ruolo
dei procuratori, se non dividano la torta. La Juventus p.es. paga 2,5 milioni un calciatore che non ha mai
giocato, Djalo. Tanti quanti ne paga a Kostic, che gioca ogni partita, a Kean,
un nazionale, a McKennie, un nazionale americano. E 1,5 a De Sciglio, il terzino
che ha giocato pochi minuiti, tanti quanti ne dà a Gatti, che è invece terzino fisso.
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Quel Manzoni (di Gadda) è un po’ Caravaggio
“Egli disegnò con un disegno segreto e non appariscente gli
avvenimenti inavvertiti: tragiche e livide luci d’una società che il vento del
caso trascina”….
“La
mescolanza degli apporti storici e teoretici più disparati, di cui si plasmò e
si plasma tuttavia il nostro bizzarro e imprevedibile vivere, egli ne avvertì
le deviazioni contaminantisi in un’espressione grottesca”….
“Scrittore
degli scrittori….Volle poi che il suo dire fosse quello che veramente ognun
dice, ogni nato della sua molteplice terra e non la trombazza roca d’un idioma
impossibile che nessuno parla, non solo, e sarebbe il male minore, ma che
nessuno pensa né parlando a sé o al suo amico, né alla sua ragazza, né a
Dio”…..
“Quello stesso amore per cui disegnò la dolce figura d’una
popolana, sia pur graveolente, lo condusse a dire le cose vere delle anime con
le vere parole che la stirpe mescolata e bizzarra usa nei sogni, nei sorrisi e
dolori. Dipinse d’altronde anche marchesi, conti e duchi, sia nazionali che
esteri, e non meno bene che quelli dal ciuffo”…. – i “bravi”.
Il
collegamento discende poi spontaneo, immediato, tra Manzoni, il romanzo, e
Caravaggio. È la notazione forse più sorprendente del saggio, un’illuminazione,
ma argomentata – “il barocco lombardo di quel tempo ha tenuissimi tocchi e una grandiose
tristezza”. Un mondo di “atroci silenzî”, dove “la legge si fa irreale, perché nessun
termine di giusto riferimento le è conceduto. Nulla esiste più. Nulla è più possible
socialmente: soltanto sono reali gli impulsi di una fuggente individualità”..
Uno scritto breve di
Gadda, sei cartelle, uno dei suoi primi, trascurato ma che dice molto di sé,
del suo futuro. “Manzoni – Fichte – idea della immediatezza necessaria del linguaggio”
è il titolo. Ma più che Fichte c’è “Michelangelo Amorigi” (Merisi, “Caravaggio”),
che “veste da bravi i compagni di gioco”. E poi Gerolamo Cardano. E “i lividori
dello Spagnoletto”. Una sintesi visiva. E lombarda: dai posti del future “dolore”,
dei dolori estivi – “Longone. Finito questa riesumazione Manzoniana il 4 agosto
1924”.
Un breve saggio
del manzoniano di ferro Gadda, da studioso di filosofia dopo la guerra e la
prigionia, dopo gli studi accademici-alimentari di ingegneria. In cui ha già
precisa la cifra della sua propria scrittura. Aderente alle cose e insieme
inventiva. Con molti furori contro “gli asini che fanno da sei secoli i
rigattieri degli umanisti a freddo” - “L’Italia liberata dai Goti! Ah! Peccato
che mentre un così nobile poema in endecasilabi, santissimo sacramento, veniva
dato alle stampe un sifilitico la conquistasse con ottanta cavalli” (Trissino e
Carlo VIII). Con un omaggio commosso a Leopardi.
Carlo Emilio
Gadda, Apologia manzoniana, “The Edinburgh Journal of Gadda Studies”,
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mercoledì 1 maggio 2024
Letture - 549
letterautore
Americani - “Gli americani
non sono inglesi, per niente”, Gertrude Stein – che non era anglofila - se lo
fa dire da militari americani alla liberazione in Francia, che sono passati per
l’Inghilterra, (“Guerre che ho visto”, 259), facendoli argomentare: “Non siamo
andati mai completamente d’accordo con gli inglesi fino a quando non si furono
ficcati in testa che noi non siamo cugini ma stranieri, una volta che lo ebbero
capito, tutto andò liscio come l’olio”.
Amore e morte – “Amore e morte, Eros e Thanatos: un binomio
molto presente nella letteratura mondiale” lo vuole wikipedia. Che subito cita Leopardi:
“Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ ingenerò la sorte», etc. – “Nasce
dall'uno il bene,/ nasce il piacer maggiore/ che per lo mar dell'essere si
trova;/ l’altra ogni gran dolore,/ogni gran male annulla”. Ma il binomio
si può dire germanico. La morte è la cosa
di cui meno si parla al mondo, se si eccettua la Germania. Anche questo
Stendhal dice meglio: “La morte è una parola senza senso per la maggior parte
degli uomini. È solo un attimo, e in genere non lo si avverte”. Ma si può
farsene una grandezza, proiettando quell’attimo su tutta la vita, e in questo
l’amore teutonico è insuperato, Freud non inventa nulla, amore e more è marchio
di fabbrica. Sommo di-letto è in Schlegel fantasticare la morte dell’amata
Lucinde, straziarsi per lei. O nel giovane Kleist, e in Rilke. In Kafka non si
muore per accidente, malattia o vecchiaia, ma inevitabilmente per amore.
L’amore biedermeier muore anch’esso
giovane, sui vent’anni, nella penombra. Lo stesso olimpico Goethe fa morire
tutte le eroine d’amore nel Wilhelm Meister, il romanzo dell’“arte di
vivere”: Sperate, Mariane, Mignon, Aurelia, l’ar-pista. Tristano e Isotta si
amano per morire. “La notte appartiene alla morte”, sussurra la Sibille
thomasmanniana al fratello Wiligis per incitar-lo all’incesto – col quale, prima
di farlo, dialoga in occitano, oh sublime ridicolo. Da qui il verso celebre di Celan: “La morte è un maestro della Germania”. I tedeschi sono, padri o figli di
Freud, in sonno, in partibus, in
incognito, igienisti. Dei sentimenti, delle passioni e della ragione.
Anche Leopardi per
la verità è del parere: “Quando novellamente\ nasce nel cor profondo\ un
amoroso affetto\…\ un desiderio di morir si sente”. E Foscolo – ma da lombardo
di adozione, con parentele prussiane, per essere à la page, della moda
romantica, cioè tedesca.
Equilibrio europeo – La dottrina dell’“equilibrio
europeo”, poi balance of power, nasce in Europa con la nascita degli
Stati. Nasce in Italia – Federico Chabod, “Storia dell’idea di Europa”, p. 54:
“Sbocciata la prima volta in Italia, e proprio essenzialmente nell’età del
Machiavelli e del Guicciardini, con le considerazioni sulla bilancia d’Italia,
accortamente tenuta in bilico da Lorenzo il Magnifico, ma poi trapassata nella
pubblicistica europea con Francia e Spagna «piatti» ed Inghilterra «ago della
bilancia»…. Ripresa, portata al suo massimo sviluppo dalla pubblicistica
inglese nell’età della regina Anna, quando il principio dell’equilibrio viene
anteposto al medesimo principio di giustizia, poiché, afferma il Defoe: «La
pace del Regno unito, la tranquillità generale dell’Europa devono prevalere su una considerazione di pura giustizia»;
fino a pervenire alla considerazioni del Lehman, nel 1716, sull’equilibrio come
una specie di «costituzione» dell’Europa, o alla categorica dichiarazione di
Voltaire che tra i principi di diritto pubblico e di politica, tipici dell’Europa
e sconosciuti alle altre parti del mondo, è quello, saggio, di mantenere tra i
vari Stati una bilancia uguale di poteri, a mezzo di incessanti trattative
diplomatiche, anche durante le guerre”.
L’abate di Mably constatava “che proprio
per avere attuato pienamente il sistema dell’equilibrio, l’Italia del ‘400 «è
stata un’immagine ik ciò ch’è oggi l’Europa, la quale costituisce un tutto
politico., in cui una parte è necessariamente legata alle altre da un reciproco
e benefico influsso” (ib.).
L’Europa si è costituita, ha prosperato, è
sopravvissuta sulla base dell’equilibrio dei poteri, dell’incessante ridefinizione
degli interessi e i limiti dei suoi regni e poi delle repubbliche.
Femminismo – “La nostra servetta ci diceva oggi che in una famiglia operaia
è meglio avere delle femmine anziché dei maschi”, G. Stein, “Guerre che ho
visto”, 93: “Perché il maschio da ragazzo non è di nessun aiuto e quando è grande
penserà a se stesso, alla fidanzata, al matrimonio, ai suoi figli. Obbligando
la madre a lavorare fuori, magari, “per contribuire a mantenere la famiglia”, e
tornando la sera sbrigare tutte le faccende domestiche. Mentre con le figlie
tutto è più facile.
Francesi – “I francesi
amano la varietà, è questo che li rende simpatici a viverci insieme”, G. Stein,
“Guerre che ho visto”, 87-88: “In poco più di cent’anni hanno avuto tre diverse
repubbliche, due specie di monarchie, una comune, una dittatura e l’attuale
governo 1943 (Vichy) e già si preoccupano di quello che sarà il loro prossimo governo”
– quello poi di De Gaulle, la Quarta Repubblica (a cui lo stesso generale farà
succedere nel 1958 una Quinta, l’attuale).
Hitler – “Antitedesco” lo vuole G. Stein, “Guerre che ho visto”, p.
237, per essere austriaco. L’ho detto già nel 1935, annota, alla “gente a
pranzo”, a un pranzo in cui aveva degli ospiti: “Dissi che era intenzione di Hitler
distruggere la Germania perché egli era austriaco e un austriaco nel profondo del cuore nutre un odio verso la
Germania così grande anche se inconscio che se potesse distruggerebbe la
Germania Hitler può e lo farà” - gli amici pensarono che “volessi fare dei
paradossi” e invece ecco qui: “È un po’ come Napoleone che essendo italiano era in fondo indifferente
al numero di francesi che potevano morire”. Però, “cosa strana il mostro
straniero esercita un fascino arcano sulla nazione che sta distruggendo”. Stein
si meravigliava all’epoca, 1944 avanzato, che in Germania la gente credesse sempre
nella vittoria: “Un fascino che un mostro nato in Germania non avrebbe potuto
avere. E così Hitler si adagia nell’attesa dell’ultimo battaglione che
combatterà per vincere o restare ucciso, presumibilmente per restare ucciso, ma
lui li ha convinti tutti alla sua idea perché è uno straniero”.:
Italia – Sono stati italiani
l’umanesimo, nota Chabod nella “Storia dell’idea di Europa”, il concetto politico
di “equilibrio” (balance of power) in Europa. A opera di Machiavelli,
nel “Principe”, nei “Discorsi” e nell’“Arte della guerra”, nell’insieme e nelle
sua articolazioni¨: Occidente e Oriente, e nella parte occidentale tra la “Magna”,
che Machiavelli privilegia, e gli altri, che invece biasima, italiani, francesi
e spagnoli, i “latini”.
Nella prosa dello scrittore franco-algerino Yasmina Khadra – un francese “popolare”,
con molti gerghi algerini - affiorano sempre parole italiane: “cantina”, “ponte”, “omertà”,
“mollo”, “porcherie”, “capo”. Anche Camus ne usava nei primi racconti,
ambientati a Orano- C’era molta Italia
in Tunisia e Algeria orientale prima dell’occupazione francese, e anche dopo.
Occidente - Nasce come opposto
all’impero d’Oriente (Bisanzio), ma in collegamento (in subordine) a Europa. “Il
termine Occidente, Abendland, è stato più e più volte assunto come
equivalente di Europa, soprattutto nella storiografia tedesca, la quale ha pure
messo in voga un’altra e consimile espressione, anch’essa come equivalente d’Europa,
e cioè la comunità dei popoli romano-germanici” – Federico Chabod, “Storia dell’idea
di Europa”, 40.
Restano fuori gli Slavi, dei cui assetti l’Europa ancora oggi non si cura.
In Jugoslavia, fra Ucraina e Russia – ma
sono innumeri le questioni aperte, anche dove sembrano dismesse o risolte, p.es.
tra Polonia e Ucraina, in Serbia, nella stessa “pacificata” Bosnia.
letterautore@antiit.eu
Sesso memorabile, nel fango
Rivisto dopo trent’anni,
il film superpremiato di Jane Campion sorprende par la selettività del ricordo.
Racconta di coloni inglesi in Nuova Zelanda a metà Ottocento, affaticati, imbruttiti,
dalle poche, pochissime risorse, in un mondo di piogge, fango, assi e tronchi d’albero
per casa, attorniati da nugoli di Maori chiacchieroni e ridanciani, dall’umore
costante anche nelle avversità. Di un colono abbandonato dalla moglie, e di un
altro che ha sposato per procura una vedova di cui nulla sa. Racconta di un
mondo grigio, sradicato, primitivo (violento). Ma si rivede - classificato peraltro
dall’emittente come “romance” - sulla memoria di un amplesso, due amplessi che
fecero epoca. Filmati da Campion con luci e tagli d’immagine, di Holly Hunter e
Harvey Keitel, da restare indelebili nella memoria – un minuto, due minuti,
sulle due ore e passa di film? Sulle note di Nyman, il maggior compositore americano
di fine Novecento, sul tema conduttore del film, che il compositore dice “The
Heart asks Pleasure First”, il cuore vuole il piacere.
Il ricordo è
selettivo, ma quanto?
Jane Campion, Lezioni
di piano
martedì 30 aprile 2024
Problemi di base ecologici - 802
spock
Se si riducono i ghiacciai e c’è la siccità perché crescono e esondano
i fiumi?
Perché l’olio
evo non unge?
Perché gli asparagi
sanno di zolfo?
Perché la
bistecca si scioglie in bocca?
Non ci sono
più le fragoline o non ci sono più i boschi?
Perché l’auto
elettrica pesa di meno e costa il doppio?
Perché l’acqua
viene in bottiglia – per produrre più plastica?
spock@antiit.eu
Quando liberammo la Jugoslavia con l’uranio impoverito
Si fa scandalo di
Franco Di Mare, cui la Rai, per la quale lavorava, non avrebbe prestato l’assistenza
necessaria dopo il cancro preso in Bosnia e nel Kossovo per le bombe a grappolo, a uranio
impoverito. Senza dire chi le ha usate in quelle guerre: noi, la Nato, i
liberatori. In Bosnia nel 1994 e nel 1995, in Kossovo nel 1999, quando già era
noto l’effetto radioattivo (peraltro noto dagli usi sperimentali). La stupidità in
gara con l’ipocrisia?
Si compiange Di
Mare per farne un motivo contro la Rai, a favore della 7, del Nove e di chi
altri paga in questa fase? Senza nemmeno dire che molti soldati italiani del
Kfor, che l’Italia volenterosa ha mandato
a bonificare le aree che avevamo infettato, ne sono stati vittime prima di Di
Mare.
Gertrude Stein fu hitleriana, anzi no
Gertrude Stein è periodicamente accusata di simpatie fasciste (Mussolini,
Vichy) se non naziste. Da ultimo dalla storica Barbara Will, “Unlikely Collaboration:
Gertrude Stein, Bernard Faÿ and the Vichy Dilemma”. Dove documenta che Stein tradusse in inglese
32 discorsi del maresciallo Pétain, il capo della repubblica collaborazionista
di Vichy. Will avrebbe trovato in archivio i manoscritti delle traduzioni, di
mano di G. Stein. Compresi quelli “che annunciavano la decisione di escludere
ebrei e altri ‘elementi stranieri’ da posizioni di potere nella sfera pubblica”.
Inoltre, Stein avrebbe presentato Pétain come il George Washington della
Francia.
La questione è controversa. Il sospetto di collaborazionismo fu avanzato
alla fine della guerra e subito lasciato cadere. G. Stein e la sua compagna, Alice
Toklas, benché ebree e americane, scelsero nel 1940 di restare nella Francia occupata
dalla Germania, sfollando da Parigi nell’area di Sud-Est della repubblica di
Vichy, vicino alla Savoia, e alla zona occupata dall’Italia. Oltre questa
scelta, ha fatto dubitare delle inclinazioni politiche di G.Stein il fatto che,
benché ebrea, non sia mai stata non solo perseguitata ma in nessun modo
incomodata, neanche quando, a fine 1942, Vichy divenne di fatto anch’essa zona
d’occupazione tedesca. Che non abbia sofferto di nessuna privazione, alimentare,
di mobilità, durante i quattro anni dell’occupazione. Che la sua collezione d’arte,
importante e ricca, sia rimasta a Parigi ben protetta dall’occupate tedesco –
senza furti né manomissioni.
Charles Bernstein ha argomentazioni contro ognuno di questi sospetti.
Poeta per molti versi innovativo negli anni 1970, Bernstein spiegava un anno fa
in un’intervista con “Il Manifesto” di essersi formato sulla morfologia del
linguaggio parlato introdotta e sperimentata da Gertrude Stein. Alla protezione
della sua memoria politica ha dedicato un sito. In molti interventi, Bernstein
contesta uno per uno i sospetti avanzati su G.Stein, e ne mette in rilievo
invece gli interventi anti-Hitler. La protezione di cui godette nel regime di Vichy
mette in relazione col rapporto di amicizia da Stein intrattenuto con Bernard
Faÿ, uno storico del Collège de France che fu collaborazionista, esponendosi
personalmente nella caccia ai massoni – al “complotto ebraico-massonico” - anche lui omosessuale. Faÿ, condannato
ai lavori forzati dopo la guerra, si rifugiò in Svizzera, continuando a insegnare
in istituzioni religiose (sarà uno dei “lefebvriani” nel 1969), e nelle memorie
si dirà grato a G.Stein, che nel processo per collaborazionismo scrisse al
tribunale in suo favore, spiegando di averla protetta presso il regime negli anni della repubblica di Vichy, anche per le occorrenze materiali.
In proprio la scrittrice, nel memoriale “Guerre che ho visto”, scritto nel
1943-44 e pubblicato all’inizio del 945, critica a ogni pagina i soldati
tedeschi (apprezza gli italiani), e la leva del lavoro obbligatorio in
Germania. La storia della seconda guerra mondiale è ancora da scrivere.
Charles Bernstein, Gertrude Stein’s
war years: setting the record straight, free online
lunedì 29 aprile 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (557)
Giuseppe Leuzzi
Resta incerto, benché acclarato, e poco studiato il rapporto,
perfino troppo intenso, di Amelia Rosselli con Rocco Scotellaro. Della poetessa
cosmopolita per eccellenza e del poeta contadino. La morte giovane di Rocco, a
trent’anni, tre dopo la conoscenza e l’infatuazione reciproche, lascerà per sempre
Amelia “vedova”, di un radicamento. Il radicamento che soprattutto trovava in
Scotellaro, uomo del Sud, di paese.
Chi è provinciale
È il provincialismo, modo di
essere, o di esserne tacciati, oggi in disuso ma serpeggiante, la pratica o l’uso
di modi e temi locali in una lingua alta, durevole, o di temi internazionali,
cosmopolitici, in chiave bozzettistica – come oggi molto della chiacchiera
“verde”, “ecolo”, “di transizione”.
Fa la grande differenza fra
Nord, Toscana compresa (Fucini, Rosai, Enrico Pea, lo stesso Papini, Fabio Genovesi…)
e il Sud: la durevolezza di Verga, Pirandello, Alvaro, Eduardo, lo stesso
Tomasi, non locale, etnica, tribale.
Non c’è nulla di più
provinciale di Montanelli, anche nel giornalismo, al paragone con le corrispondenze
di Alvaro. È una metropoli Napoli, benché “napoletanissima”, e non Milano,
benché parli inglese, si adorni di grattacieli alla Manhattan, e sia piena di cinesi e sudamericani.
Cronache della differenza – 2
“Dopo tutto ogni essere vivente è come la sua
terra, come il clima, come le montagne o i fiumi o come sono i suoi oceani come il vento e la pioggia
e la neve e il ghiaccio e il caldo e l’umidità, ognuno è così e questo fa sì che ognuno abbia il
suo modo di mangiare il suo modo di bere il suo modo di comportarsi il suo modo di pensare il suo
modo di essere scaltro e anche se le linee di demarcazione sono fatte col compasso dopo tutto
quello che è dentro a quegli angoli retti è diverso da quello che è fuori da quegli angoli
retti…” – Gertrude Stein, “Guerre che ho visto”, 251-152,
allo sbarco degli americani in Francia nel 1944.
“È proprio così, non so perché ma l’Arkansas mi
commosse particolarmente, qualsiasi cosa ora che sia americana mi commuove
particolarmente. C’è qualcosa in questa terra nativa commerciale e
non si può sottrarvisi. In tempo di pace non sembra che ve ne accorgiate molto soprattutto se
vivete all’estero ma quando c’è una guerra e siete soli ed esclusi da qualsiasi contatto con la vostra
terra ebbene ecco la vostra terra nativa è la vostra terra nativa, è così”.
P.es. dopo la guerra leghista.
La morte
repubblicana
Si porta a Napoli, al Vomero,
quartiere alto-borghese, una scuola media a vedere il film su Giancarlo Siani,
il giovane giornalista ucciso dalla camorra nel 1985. Molti applausi durante il film, “qualcuno
applaude ancora”, scrivono le cronache, mentre scorrono le immagini
dell’assassinio – le immagini finali. Scandalo, dei media, della scuola, del
ministero. Mentre potrebbe essere – sicuramente è – il solito applauso di
maniera oggi ovunque, anche ai funerali. Ma piace pensare a un gruppetto stanco,
se l’antimafia diventa retorica – il film, “Fortapàsc”, di Marco Risi, è di
quindici anni fa.
La scena centrale di “Fortapàsc”,
prima del’assassinio di Siani, è la “strage di
Torre Annunziata”, o “strage del Circolo dei pescatori” o “strage
di Sant'Alessandro”, a Torre Annunziata, in cui un clan di camorra, i Gionta,
ebbe otto morti e sette feriti, a opera di un commando di quattordici killer,
armati di fucili a pompa, AK-47 e Uzi, del clan Bardellino, o Alfieri, o
Fabbrocino, o tutt’e tre. Nel film la strage viene ambientata in un bar di Torre
del Greco, avendo il quartiere Carceri di Torre Annunziata impedito le riprese
nei luoghi dell’eccidio. Si dice, si suppone, perché così vuole la camorra. Ora,
il nome del quartiere non depone bene, ma piace pensare a una ribellione contro
il “tutto è camorra”: essere schiacciati sotto i cartelli “qui è mafia” è la
morte civile – una specie di “morte repubblicana”, quella che i rivoluzionari
del 1789 praticavano per risparmio, la morte in serie per annegamento di un vivo
legato a un morto.
Cronache
della differenza: Milano
È prima,
primissima per depositi bancari liquidi. Da sola a fine 2023 ne raccoglieva per
234 miliardi di euro.
Più di Lazio e Campania messe assieme, con rispettivamente 121 e 105 miliardi.
Un primato importante
anche pro capite, 23,6 mila in media per abitante, contro i 21,2 mila per il
Lazio e i 18,8 per la Campania.
Trionfo Inter e città in estasi per l’allenatore Inzaghi. Che dodici mesi
prima si dava per bollito, inconcludente, da cacciare. La città è capricciosa, era il tema di
Camila Cederna- ci ha giocato una vita.
È europea,
internazionale e tutto, ma feroce. Con Giusepe Prina, che il “Mephisto” del “Sole
24 Ore” ricorda
- pur deprecando, da milanese - come più tardi a piazzale Loreto. Ma si assolve.
Perde
popolazione anche la Lombardia. Meno che nella media nazionale: registra un – 0,8
per cento dall’1
gennaio 2020, contro un – 1,3 per cento nazionale. Ma è la destinazione principale dell’emigrazione
interna, dal Sud e anche da Roma e la Toscana, e degli immigrati.
Nell’inverno, “a cavallo tra 2022 e 2023 abbiamo trovato un livello di
sostanze tossiche e cancerogene nell’aria di Milano e Lombardia quattro
volte superiore a quello di Los Angeles, dove ogni giorno circolano nove milioni di auto e mezzo
milione di camion diesel”, Costantinos Sloutas, fisico ambientale. Come non detto, il
lombardo la sporcizia la butta di sotto, diceva Malaparte.
Si fanno storie e
romanzi di ogni evento anche effimero, ma non c’è una ricerca storica documentaria
sui “bravi” in Lombardia nel Cinque-Seicento. Una storia lombarda che a Milano,
il cuore della lettura in Italia, scalerebbe subito le classifiche. Ma la mafia
è solo altrove.
Se si pensa che ha votato in blocco Bossi, e i bossiani, al Parlamento e
al Comune, perché alcuni immigrati chiedevano l’elemosina ai semafori. Ma Milano dimentica
facile – ha memoria selettiva.
“Un paese ci vuole”, dice con Pavese Graziano Gala, scrittore salentino
che vive a Milano, presentando (elogiando) il Salone del Mobile, la nuova grande fiera di una
città per un millennio centro di grandi fiere. Quando la città si riempie di diecine, centinaia
di migliaia di buyer di tutto il mondo. Milano paese?
Gala ricorda però Verga che già nell’Ottocento diceva “che qui, in
questi posti, si prova davvero la febbre del fare”.
leuzzi@antiit.eu
L’amore a Ciudad Juarez, la città più violenta del mondo
La storia di una ragazzina violentata da un balordo alla presenza del suo
ragazzo, per questo delusa, poi scomparsa, e della sua ricerca da parte del
ragazzo, tra le mafie, i “cartelli” della droga e dello sfruttamento. Una
storia non violenta alla maniera dei film d’azione, rumorosa, veloce, ma
ugualmente tetra e disturbante.
L’unico racconto che l’editore italiano di Yasmina Khadra, Sellerio, non
traduce, è anche il più circostanziato e veritiero della personale etnografia
degli “ultimi” (Palestina, Iraq, Africa) cui l’ex colonnello dell’esercito
algerino, noto creatore del commissario di Algeri Loeb, si è dedicato da
qualche tempo. Ombra o riflesso di fatti realmente avvenuti. Il più truce dei
quali, all’origine probabilmente del racconto, è un fatto di cronaca, uno dei tanti
che fanno del Messico il paese col più gran numero di morti assassinati: la
scomparsa trent’anni fa, ne 1993, di 4.500 donne giovani, operaie. Nella stessa
città in cui è ambientato il racconto, Ciudad Juarez, la capitale dello stato
desertico settentrionale del Chihuahua, considerata la città più pericolosa del
mondo, per il traffico dei narcotici e degli emigranti, la terza delle grandi
città messicane a ridosso della frontiera con gli Stati Uniti, qui con il
Texas, con El Paso – è la “Santa Teresa” di Bolaño, “2666” (“La parte dei delitti”).
Letto in originale, Yasmina Khadra (lo pseudonimo è il nome della moglie
dell’autore) mantiene, anzi ora accentua, benché da molti anni francese a tempo
pieno, anche come residenza, una scrittura franco-algerina. Nei riferimenti, nella
terminologia (usa anche parole italiane, “cantina”, “capo”, “ponte”, “omertà”, “mollo”, “porcherie” - anche Camus ne usava nei
primi acconti, ambientati a Orano: c’era molta Italia
in Tunisia e Algeria orientale prima dell’occupazione francese, e anche dopo),
nei modi di dire, e naturalmente nelle tematiche. Una lingua che caratterizza
molto la narrazione, in senso diverso, come di un gergo popolare, di mondi marginali,
ma non l’impoverisce. Qui trasferisce nel deserto messicano i modi di dire e di
fare del douar algerino: l’isolamento e insieme il radicamento, la coetaneità,
il sentimento collettivo.
Con un finale che non è la fine - non si esce dalle mafie se non da morti (anche viventi, ora che vanno i pentiti). O dal male: le violenze subite non si rimarginano.
Yasmina Khadra, Pour l’amour d’Elena, Pocket, pp. 302 € 8
domenica 28 aprile 2024
Ombre - 717
Confindustria trionfale: “Arriva
il superbonus del lavoro: deduzione al 120 per cento per chi assume”. Anche al
130 “per specifiche categorie, i giovani, le donne e i soggetti già beneficiari
del reddito di cittadinanza”. Sembra un’economia dei puffi, fare impresa
(assumere un rischio) e andare in credito d’imposta, ma non lo è. E non è che
non si sappia, poiché si naviga sulla voragine aperta dal 110 edilizio. Ma nessuna
obiezione: non si premia più il buongoverno, si premia che ha la pensata più assurda – “Quos vult Iupiter perdere, dementat prius”, folli per
essere già stati lasciati da Dio.
Si dimenticano per la
Liberazione la chiesa e gli americani. Non è una novità quest’anno, è sempre
stato così. È una festa di propaganda (degli avanzi della propaganda), non nazionale,
non storica.
Che la Liberazione, “questa”
Liberazione, non sia stata terapeutica, lenitrice, curatrice, come avrebbe
dovuto, come è nella natura di una vera liberazione, si ha a Civitella in Val
di Chiana, nell’aretino, dove solo quest’anno, a tre generazioni di distanza, le
famiglie hanno smesso gli odi. Si è potuto passare sopra a una “liberazione” contestata
da molte famiglie, quelle degli ostaggi trucidati, anche in Tribunale, in accanimenti
giudiziari, contro i gappisti.
Allarme a tutta pagina
“la Repubblica”: “Auto, Paolo Berlusconi apre la strada dell’Italia ai cinesi
di Dongfeng”, di Df Italia, la società che vende le auto del fabbricante cinese
- “che tratta con il governo per aprire una fabbrica”. Dei Berlusconi Paolo è
uno dei tanti milanesi ricchi, che non contano nulla. Ma basta il nome, come
nella pubblicità, per i lettori del giornale che fu di Scalfari.
Elkann, il nuovo padrone
del giornale, chiude gli impianti Fiat ma continua a impedire che qualcun altro
investa in Italia.
“Secondo Eurostat il
debito pubblico italiano è cresciuto dal 2019 al ’23 del 18,8 per cento. Il testo
dell’Europa ha registrato un + 27,8 per cento”. Si direbbe una buona notizia, ma
ne parla solo il giornale “di settore”, “Il S ole 24 Ore”.
Cronache ampie ogni
giorno su “Corriere della sera” e “la Repubblica” del processo che si tiene a
New York contro Trump. Senza mai dire che la Procura che ha istruito il
processo e il giudice che lo presiede sono Democratici, nominati partiticamente.
E utilizzano procedure penali irrituali e anche illegali. Trump è inverosimile
come presidente. Ma questi suoi giudici? E i giornali italiani “d’informazione”?
Lo stesso giorno in cui
l’“inchiesta internazionale indipendente” dice che “non c’è nessuna prova delle accuse israeliane all’Unrwa” di proteggere
nei suoi uffici e dispensari a Gaza i terroristi, si dimettono il capo dello
spionaggio israeliano e il comandante dell’esercito in Cisgiordania, dove
avevano concentrato truppe e spie a sostegno dei coloni che ne cacciano i
palestinesi. Duecento giorni dopo il 7 ottobre. È chiaro che in Israele la
democrazia non c’è, o non funziona. C’è un regime? Quello dei coloni
sicuramente sì.
Si sono trovate a Gaza
fosse comuni, con centinaia di cadaveri. Donne per lo più, bambini e vecchi.
Attorno ai due ospedali distrutti dall’esercito israeliano. Distrutti con applicazione,
pezzo dopo pezzo. Roba da non credere – manca solo il forno crematorio.
Schlein rinuncia al suo nome
nel logo elettorale. Come una concessione, mentre era un segno chiaro, e un
errore – personalizzare la sinistra. Non rinuncia a Berlinguer nel tesserino di
partito. Ma ormai il Pd non è un partito di opinione?
“Gorbaciov padre
dell’Europa”, lo incorona “La Lettura”, il settimanale del “Corriere della sera”,
sulla base degli appunti presi da Andrea Manzella al seguito di De Mita in
visita a Mosca il 14 ottobre 1988 (quando De Mita “dimise” l’ambasciatore
Sergio Romano): “Il leader della perestrojka parla di «casa comune» e di un
continente che non può espellere l’Urss”. Cosa è successo dopo, chi ha espulso la
Russia?
“Quasi la metà, il 41,9
per cento, dei lavoratori dei supermercati e degli ipermercati del Lazio nn
riceve la paga regolare. E se si tratta di donne la percentuale sale al 61,4
per cento”, etc. Uno degli aspetti misurabili, tra i tanti, della devastazione
introdotta con la grande distribuzione dall’ex Pci di Bersani venticinque anni
fa - le “liberalizzazioni” per cui lo stesso è tuttora celebrato padre morale della
sinistra. Con l’assurda crociata contro i negozi di prossimità, a qualità e
prezzo controllabili, per il consumismo più assurdo, e inflazionistico.
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Perché in Italia non c’è stato il socialismo
Perché l’Italia è l’unico pase europeo a non avere sperimentato
la socialdemocrazia al governo – rispetto a Gran Bretagna, Germania, Francia,
Spagna, Scandinavia, Olanda, Belgio, Portogallo….? Perché negli anni in cui la
socialdemocrazia era maggioritaria, si infangò nel “massimalismo”. Nella velleità
di riprodurre in Italia la rivoluzione bolscevica subito dopo il 1918, che si
risolse nello scontro perdente con l’ex socialista (ex massimalista, anche lui)
Mussolini. E nell’Italia repubblicana per analoghe preclusioni del Pci.
Questo Niceforo non lo dice - e non c’è storia che lo registri:
non si può ancora fare la storia dell’Italia repubblicana, seppure già molto
lunga. Ma lo spiega la storia della pubblicazione della sua analisi.
Il libro che ora si pubblica è la tesi di laurea in Filosofia
presentata dall’autore nell’ottobre del 1966 alla Statale di Milano, e non apprezzata
dalla Commissione. “La maggior parte dei componenti della Commissione”, spiega
l’autore, “a quel tempo sensibili all’egemonia culturale del PCI, giudicò
negativamente la rivalutazione, contenuta nella tesi, dell’interpretazione
della rivoluzione russa allora sviluppata dai socialisti riformisti (in
particolare da Filippo Turati e Rodolfo Mondolfo) e la parallela analisi
critica di quella fornita dai socialisti «rivoluzionari» (in particolare da
Antonio Gramsci), negli anni 1917-1919”.
Erano gli anni in cui il Pci post-Togliatti cercava
nuovo spessore in Gramsci, nel “rilancio del pensiero di Gramsci, attraverso la
rilettura dei Quaderni del carcere, volta a dare basi teoriche alla togliattiana
«via italiana» al socialismo”. Che di lì a poco finirà nell’infausto, per il Pci
e per la sinistra italiana nel suo complesso, “compromesso storico” – di cui
anche non si può fare la storia, e nemmeno una valutazione politica.
Orazio Niceforo, I socialisti
italiani e la rivoluzione bolscevica (1917-1919), Biblion, pp. 176 € 18
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