sabato 4 maggio 2024
La Francia e l’Europa che non c’è
Cinque anni fa, nella campagna per il voto europeo, Macron proponeva un Rinascimento. Quest’anno, con la stessa scadenza, a un mese e mezzo dal voto, spiega alla Sorbona e all’“Economist” che “l’Europa può morire” – non dice che rischia di morire, ma aggiunge che le fini degli imperi sono “brutali”, improvvise cioè e disastrose.
Tutto per il meglio, anche Palermo
I soliti
ingredienti delle produzioni Bernabei, ma in un racconto gradevole. Location
mozzafiato, la famiglia, genitori e figli, l’innamoramento, felice e infelice,
o incerto, il lavoro, sempre periclitante - tanto più se è quello della stella
della ditta, Francesca Chillemi, ormai abbonata al ruolo della bella un po’
sventata – e la giustizia, tempestiva ma clemente.
Una storia di
attualità nei primi due episodi della nuova serie: le avventure social di uno
sfruttatore di donne, con la ricetta collaudata di guadagnarsi la fiducia
pagando tutto ai primi incontri, per poi farsi bonificare una somma ingente, e
scomparire. Due le storie: quella che legherà gli episodi è una paternità complicata,
per il noto detto sapienziale che la paternità è sempre incerta.
Tutto molto ordinario,
quotidiano, di ognuno. Tenuto su dai dialoghi, vivaci. In una Palermo da cartolina,
specie nelle trasparenze del mare.
Alexis Sweet,
Alexis Sweet, Viola
come il mare, Canale 5, Infinity
venerdì 3 maggio 2024
Problemi di base pessimisti - 803
spock
“La memoria è
il dono speciale della vergogna”, A nnie Er naux?
“Ognuno è solo”,
Herman Hesse?
“Ognuno sta
solo sul cuor della terra”, Salvatore Quasimodo?
Alla nascita e
alla morte ognuno è solo?
“Pure i
ricordi svaniscono”, Michail Bulgakov?
“So che sembra
assurdo, ma per favore ditemi chi sono io”, Roger Hodgson (“The logical Song”)
spock@antiit.eu
La peste dei "Promessi sposi", dal vivo
Molto citato e poco letto (non pubblicato, da almeno un secolo) la
revocazione di Milano nel primo Seicento alla base della parte storica dei “Promessi
sposi” - anzi, la fonte unica, per quanto ricca. Si ripropone con una nuova traduzione.
Ripamonti, brianzolo, di famiglia povera, sacerdote,
fu scelto dal cardinale Federigo Borromeo come direttore della Biblioteca
Ambrosiana. Insegnò letteratura latina ed eloquenza sacra nel Seminario di
Milano. Fu nominato cronista della città dai decurioni di Milano e storiografo
regio dal governatore spagnolo. Autore delle “Historiae Ecclesiae Mediolanensis”,
pubblicate fra il 1617 e il 1628, di “Historiae Patriae” pubblicate postume tra
il 1643 e il 1648. E di questo “De peste Mediolani quae fuit anno 1630”, pubblicato
nel 1640, tre anni prima della morte. Molto dettagliato, e ben costruito, ma rimasto
praticamente ignoto prima del romanzo – fu tradotto solo nel 1841.
La cronaca è voluminosa ma non noiosa. È divisa in
cinque libri: la carestia e la peste; gli untori; le gesta del cardinale Federico
Borromeo e del clero durante il contagio; le “grida” della sanità e delle varie
altre magistrature; un parallelo fra gli antecedenti contagi e la peste del
1630. Fra le tante storie di peste successive, da Defoe fino a Camus, è questa
forse quella più vivace, e meglio argomentata.
Sono qui i capitoli XXI e XXII del romanzo di Manzoni.
Che non nascose la fonte, anzi: cita Ripamonti spesso, lo dice anche sua
principale fonte storica, per tutto, compresi i “bravi”. Ma tutto il romanzo, e
molto Manzoni, si direbbe “ripamontiano”, dolente e inflessibile – non c’è
debolezza che eviti o nasconda.
Giuseppe Ripamonti, La
peste di Milano del 1630, Luni, pp. 432 € 128
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giovedì 2 maggio 2024
Il calcio asociale – o un calcio ai presidenti
(Semi)finito il campionato si riempiono le
cronache degli allenatori da cacciare via, dalla Juventus, dal Milan, dal Napoli.
Allenatori tutti di carriere onorate. Effetto di un giornalismo ormai asfittico,
ripetitivo, senza fantasia, quelo sportivo forse peggio di quello politico. Ma
senza dire mai l’evidenza, che il calcio è malato in Italia nella proprietà, di
morbo societario. Del Napoli con la massima evidenza, di un presidente che non
vuole una società e caccia gli allenatori con una frequenza nevrotica, anche chi
gli ha vinto uno straordinario scudetto. Del Milan e dell’Inter che hanno proprietà
assenti – sono solo gadget finanziari. Nel Milan sostituita prima da Boban, poi
da Maldini, ora da Ibrahimovic – da teste di legno. Nell’Inter sostituita da Marotta,
il dirigente che fu l’artefice delle fortune della Juventus e altrettanto sta
facendo all’Inter, praticamente da solo (con un altro dirigente come lui cacciato
come dalla Juventus, Ausilio) – dove paga i suoi prolifici calciatori 117
milioni, contro i 130 degli astinenti juventini. Della Juventus che ha accumulato
perdite e debiti per un miliardo se non di più senza vincere niente, e anzi penando.
Cambiando allenatori in serie. Con dirigenze di avvocati che non sanno nemmeno fare gli
avvocati – il club torinese è probabilmente il più perseguito in giustizia al
mondo, anche da giudici di poco conto, ordinari e sportivi, come quello che si
dichiara interista, e l’incredibile Chiné della giustizia sportiva, quello che punisce
per la stessa accusa fra sei o sette società solo la Juventus.
Mentre resta sempre il dubbio sul ruolo
dei procuratori, se non dividano la torta. La Juventus p.es. paga 2,5 milioni un calciatore che non ha mai
giocato, Djalo. Tanti quanti ne paga a Kostic, che gioca ogni partita, a Kean,
un nazionale, a McKennie, un nazionale americano. E 1,5 a De Sciglio, il terzino
che ha giocato pochi minuiti, tanti quanti ne dà a Gatti, che è invece terzino fisso.
Quel Manzoni (di Gadda) è un po’ Caravaggio
“Egli disegnò con un disegno segreto e non appariscente gli
avvenimenti inavvertiti: tragiche e livide luci d’una società che il vento del
caso trascina”….
“La
mescolanza degli apporti storici e teoretici più disparati, di cui si plasmò e
si plasma tuttavia il nostro bizzarro e imprevedibile vivere, egli ne avvertì
le deviazioni contaminantisi in un’espressione grottesca”….
“Scrittore
degli scrittori….Volle poi che il suo dire fosse quello che veramente ognun
dice, ogni nato della sua molteplice terra e non la trombazza roca d’un idioma
impossibile che nessuno parla, non solo, e sarebbe il male minore, ma che
nessuno pensa né parlando a sé o al suo amico, né alla sua ragazza, né a
Dio”…..
“Quello stesso amore per cui disegnò la dolce figura d’una
popolana, sia pur graveolente, lo condusse a dire le cose vere delle anime con
le vere parole che la stirpe mescolata e bizzarra usa nei sogni, nei sorrisi e
dolori. Dipinse d’altronde anche marchesi, conti e duchi, sia nazionali che
esteri, e non meno bene che quelli dal ciuffo”…. – i “bravi”.
Il
collegamento discende poi spontaneo, immediato, tra Manzoni, il romanzo, e
Caravaggio. È la notazione forse più sorprendente del saggio, un’illuminazione,
ma argomentata – “il barocco lombardo di quel tempo ha tenuissimi tocchi e una grandiose
tristezza”. Un mondo di “atroci silenzî”, dove “la legge si fa irreale, perché nessun
termine di giusto riferimento le è conceduto. Nulla esiste più. Nulla è più possible
socialmente: soltanto sono reali gli impulsi di una fuggente individualità”..
Uno scritto breve di
Gadda, sei cartelle, uno dei suoi primi, trascurato ma che dice molto di sé,
del suo futuro. “Manzoni – Fichte – idea della immediatezza necessaria del linguaggio”
è il titolo. Ma più che Fichte c’è “Michelangelo Amorigi” (Merisi, “Caravaggio”),
che “veste da bravi i compagni di gioco”. E poi Gerolamo Cardano. E “i lividori
dello Spagnoletto”. Una sintesi visiva. E lombarda: dai posti del future “dolore”,
dei dolori estivi – “Longone. Finito questa riesumazione Manzoniana il 4 agosto
1924”.
Un breve saggio
del manzoniano di ferro Gadda, da studioso di filosofia dopo la guerra e la
prigionia, dopo gli studi accademici-alimentari di ingegneria. In cui ha già
precisa la cifra della sua propria scrittura. Aderente alle cose e insieme
inventiva. Con molti furori contro “gli asini che fanno da sei secoli i
rigattieri degli umanisti a freddo” - “L’Italia liberata dai Goti! Ah! Peccato
che mentre un così nobile poema in endecasilabi, santissimo sacramento, veniva
dato alle stampe un sifilitico la conquistasse con ottanta cavalli” (Trissino e
Carlo VIII). Con un omaggio commosso a Leopardi.
Carlo Emilio
Gadda, Apologia manzoniana, “The Edinburgh Journal of Gadda Studies”,
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mercoledì 1 maggio 2024
Letture - 549
letterautore
Americani - “Gli americani
non sono inglesi, per niente”, Gertrude Stein – che non era anglofila - se lo
fa dire da militari americani alla liberazione in Francia, che sono passati per
l’Inghilterra, (“Guerre che ho visto”, 259), facendoli argomentare: “Non siamo
andati mai completamente d’accordo con gli inglesi fino a quando non si furono
ficcati in testa che noi non siamo cugini ma stranieri, una volta che lo ebbero
capito, tutto andò liscio come l’olio”.
Amore e morte – “Amore e morte, Eros e Thanatos: un binomio
molto presente nella letteratura mondiale” lo vuole wikipedia. Che subito cita Leopardi:
“Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ ingenerò la sorte», etc. – “Nasce
dall'uno il bene,/ nasce il piacer maggiore/ che per lo mar dell'essere si
trova;/ l’altra ogni gran dolore,/ogni gran male annulla”. Ma il binomio
si può dire germanico. La morte è la cosa
di cui meno si parla al mondo, se si eccettua la Germania. Anche questo
Stendhal dice meglio: “La morte è una parola senza senso per la maggior parte
degli uomini. È solo un attimo, e in genere non lo si avverte”. Ma si può
farsene una grandezza, proiettando quell’attimo su tutta la vita, e in questo
l’amore teutonico è insuperato, Freud non inventa nulla, amore e more è marchio
di fabbrica. Sommo di-letto è in Schlegel fantasticare la morte dell’amata
Lucinde, straziarsi per lei. O nel giovane Kleist, e in Rilke. In Kafka non si
muore per accidente, malattia o vecchiaia, ma inevitabilmente per amore.
L’amore biedermeier muore anch’esso
giovane, sui vent’anni, nella penombra. Lo stesso olimpico Goethe fa morire
tutte le eroine d’amore nel Wilhelm Meister, il romanzo dell’“arte di
vivere”: Sperate, Mariane, Mignon, Aurelia, l’ar-pista. Tristano e Isotta si
amano per morire. “La notte appartiene alla morte”, sussurra la Sibille
thomasmanniana al fratello Wiligis per incitar-lo all’incesto – col quale, prima
di farlo, dialoga in occitano, oh sublime ridicolo. Da qui il verso celebre di Celan: “La morte è un maestro della Germania”. I tedeschi sono, padri o figli di
Freud, in sonno, in partibus, in
incognito, igienisti. Dei sentimenti, delle passioni e della ragione.
Anche Leopardi per
la verità è del parere: “Quando novellamente\ nasce nel cor profondo\ un
amoroso affetto\…\ un desiderio di morir si sente”. E Foscolo – ma da lombardo
di adozione, con parentele prussiane, per essere à la page, della moda
romantica, cioè tedesca.
Equilibrio europeo – La dottrina dell’“equilibrio
europeo”, poi balance of power, nasce in Europa con la nascita degli
Stati. Nasce in Italia – Federico Chabod, “Storia dell’idea di Europa”, p. 54:
“Sbocciata la prima volta in Italia, e proprio essenzialmente nell’età del
Machiavelli e del Guicciardini, con le considerazioni sulla bilancia d’Italia,
accortamente tenuta in bilico da Lorenzo il Magnifico, ma poi trapassata nella
pubblicistica europea con Francia e Spagna «piatti» ed Inghilterra «ago della
bilancia»…. Ripresa, portata al suo massimo sviluppo dalla pubblicistica
inglese nell’età della regina Anna, quando il principio dell’equilibrio viene
anteposto al medesimo principio di giustizia, poiché, afferma il Defoe: «La
pace del Regno unito, la tranquillità generale dell’Europa devono prevalere su una considerazione di pura giustizia»;
fino a pervenire alla considerazioni del Lehman, nel 1716, sull’equilibrio come
una specie di «costituzione» dell’Europa, o alla categorica dichiarazione di
Voltaire che tra i principi di diritto pubblico e di politica, tipici dell’Europa
e sconosciuti alle altre parti del mondo, è quello, saggio, di mantenere tra i
vari Stati una bilancia uguale di poteri, a mezzo di incessanti trattative
diplomatiche, anche durante le guerre”.
L’abate di Mably constatava “che proprio
per avere attuato pienamente il sistema dell’equilibrio, l’Italia del ‘400 «è
stata un’immagine ik ciò ch’è oggi l’Europa, la quale costituisce un tutto
politico., in cui una parte è necessariamente legata alle altre da un reciproco
e benefico influsso” (ib.).
L’Europa si è costituita, ha prosperato, è
sopravvissuta sulla base dell’equilibrio dei poteri, dell’incessante ridefinizione
degli interessi e i limiti dei suoi regni e poi delle repubbliche.
Femminismo – “La nostra servetta ci diceva oggi che in una famiglia operaia
è meglio avere delle femmine anziché dei maschi”, G. Stein, “Guerre che ho
visto”, 93: “Perché il maschio da ragazzo non è di nessun aiuto e quando è grande
penserà a se stesso, alla fidanzata, al matrimonio, ai suoi figli. Obbligando
la madre a lavorare fuori, magari, “per contribuire a mantenere la famiglia”, e
tornando la sera sbrigare tutte le faccende domestiche. Mentre con le figlie
tutto è più facile.
Francesi – “I francesi
amano la varietà, è questo che li rende simpatici a viverci insieme”, G. Stein,
“Guerre che ho visto”, 87-88: “In poco più di cent’anni hanno avuto tre diverse
repubbliche, due specie di monarchie, una comune, una dittatura e l’attuale
governo 1943 (Vichy) e già si preoccupano di quello che sarà il loro prossimo governo”
– quello poi di De Gaulle, la Quarta Repubblica (a cui lo stesso generale farà
succedere nel 1958 una Quinta, l’attuale).
Hitler – “Antitedesco” lo vuole G. Stein, “Guerre che ho visto”, p.
237, per essere austriaco. L’ho detto già nel 1935, annota, alla “gente a
pranzo”, a un pranzo in cui aveva degli ospiti: “Dissi che era intenzione di Hitler
distruggere la Germania perché egli era austriaco e un austriaco nel profondo del cuore nutre un odio verso la
Germania così grande anche se inconscio che se potesse distruggerebbe la
Germania Hitler può e lo farà” - gli amici pensarono che “volessi fare dei
paradossi” e invece ecco qui: “È un po’ come Napoleone che essendo italiano era in fondo indifferente
al numero di francesi che potevano morire”. Però, “cosa strana il mostro
straniero esercita un fascino arcano sulla nazione che sta distruggendo”. Stein
si meravigliava all’epoca, 1944 avanzato, che in Germania la gente credesse sempre
nella vittoria: “Un fascino che un mostro nato in Germania non avrebbe potuto
avere. E così Hitler si adagia nell’attesa dell’ultimo battaglione che
combatterà per vincere o restare ucciso, presumibilmente per restare ucciso, ma
lui li ha convinti tutti alla sua idea perché è uno straniero”.:
Italia – Sono stati italiani
l’umanesimo, nota Chabod nella “Storia dell’idea di Europa”, il concetto politico
di “equilibrio” (balance of power) in Europa. A opera di Machiavelli,
nel “Principe”, nei “Discorsi” e nell’“Arte della guerra”, nell’insieme e nelle
sua articolazioni¨: Occidente e Oriente, e nella parte occidentale tra la “Magna”,
che Machiavelli privilegia, e gli altri, che invece biasima, italiani, francesi
e spagnoli, i “latini”.
Nella prosa dello scrittore franco-algerino Yasmina Khadra – un francese “popolare”,
con molti gerghi algerini - affiorano sempre parole italiane: “cantina”, “ponte”, “omertà”,
“mollo”, “porcherie”, “capo”. Anche Camus ne usava nei primi racconti,
ambientati a Orano- C’era molta Italia
in Tunisia e Algeria orientale prima dell’occupazione francese, e anche dopo.
Occidente - Nasce come opposto
all’impero d’Oriente (Bisanzio), ma in collegamento (in subordine) a Europa. “Il
termine Occidente, Abendland, è stato più e più volte assunto come
equivalente di Europa, soprattutto nella storiografia tedesca, la quale ha pure
messo in voga un’altra e consimile espressione, anch’essa come equivalente d’Europa,
e cioè la comunità dei popoli romano-germanici” – Federico Chabod, “Storia dell’idea
di Europa”, 40.
Restano fuori gli Slavi, dei cui assetti l’Europa ancora oggi non si cura.
In Jugoslavia, fra Ucraina e Russia – ma
sono innumeri le questioni aperte, anche dove sembrano dismesse o risolte, p.es.
tra Polonia e Ucraina, in Serbia, nella stessa “pacificata” Bosnia.
letterautore@antiit.eu
Sesso memorabile, nel fango
Rivisto dopo trent’anni,
il film superpremiato di Jane Campion sorprende par la selettività del ricordo.
Racconta di coloni inglesi in Nuova Zelanda a metà Ottocento, affaticati, imbruttiti,
dalle poche, pochissime risorse, in un mondo di piogge, fango, assi e tronchi d’albero
per casa, attorniati da nugoli di Maori chiacchieroni e ridanciani, dall’umore
costante anche nelle avversità. Di un colono abbandonato dalla moglie, e di un
altro che ha sposato per procura una vedova di cui nulla sa. Racconta di un
mondo grigio, sradicato, primitivo (violento). Ma si rivede - classificato peraltro
dall’emittente come “romance” - sulla memoria di un amplesso, due amplessi che
fecero epoca. Filmati da Campion con luci e tagli d’immagine, di Holly Hunter e
Harvey Keitel, da restare indelebili nella memoria – un minuto, due minuti,
sulle due ore e passa di film? Sulle note di Nyman, il maggior compositore americano
di fine Novecento, sul tema conduttore del film, che il compositore dice “The
Heart asks Pleasure First”, il cuore vuole il piacere.
Il ricordo è
selettivo, ma quanto?
Jane Campion, Lezioni
di piano
martedì 30 aprile 2024
Problemi di base ecologici - 802
spock
Se si riducono i ghiacciai e c’è la siccità perché crescono e esondano
i fiumi?
Perché l’olio
evo non unge?
Perché gli asparagi
sanno di zolfo?
Perché la
bistecca si scioglie in bocca?
Non ci sono
più le fragoline o non ci sono più i boschi?
Perché l’auto
elettrica pesa di meno e costa il doppio?
Perché l’acqua
viene in bottiglia – per produrre più plastica?
spock@antiit.eu