sabato 11 maggio 2024
Il mondo com'è (475)
L’amore nel lager – tedeschi non esclusi
Una storia d’amore tra i lager di Auschwitz, tra due internati
slovacchi. Da un romanzo di successo, autrice Heather Morris, che si sarebbe basata
su una storia vera – nel film la racconta lui, sopravvissuto.
Lui è un internato che fa il tatuatore, quello che incide il numero di matricola
al polso dei compagni di sventura. Lo fa anche con le internate, e questo favorisce
l’incontro. Mediato dalla guardia tedesca, un giovane violento ma nevrotico, cioè
imprevedibile.
L’Olocausto, come
l’hitlerismo, non finisce di fornire materia a film di genere horror che siano
anche compassionevoli. Passando dai personaggi e gli eventi storici (Schindler,
Höss) a quelli di contorno: il tatuatore, il pianista, l’interprete (a quando i
kapò, i Sondernkommando del Crematorio, gli infermieri….?). A
rischio banalizzazione. La miscela è di richiamo, le platee dei due generi messe
assieme fanno larga parte del pubblico, ma non si parlerà dell’Olocausto come
del West, un fatto vicino che è un mito remoto? Questa si salva con la figura nuova del tedesco, anche lui giovane, crudele ma controverso, che media l’incontro fra gli internati. La storia è in realtà del rapporto ambiguo tra i due, guardia e tatuatore: omoerotico, da parte
del tedesco? di colpevolizzazione inconscia?
Tali Shalom-Ezer, Il tatuatore di Auschwitz, Sky Atlantic
venerdì 10 maggio 2024
Letture - 550
letterautore
Austria – Il Nemico fu
eretto arbitro. Di calcio, nel 1956. Lo ricorda Gabriele Romagnoli, nella presentazione
degli scritti calcistici di Pasolini (Il mio calcio”): “Nel girone di ritorno,
a garanzia d’imparzialità, le gare furono affidate a arbitri austriaci”.
Cina – Fu “scoperta”
da Montaigne, e poi da Voltaire, come una sorta di paradiso terrestre. Montaigne
ha “la superiorità morale dei cinesi” – ma nel quadro della sua apologia del “buon
selvaggio”. Da Voltaire nel “Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni”,
1756 - ma già nel “Secolo di Luigi XIV”,1738-1751 – come luogo di tutte le virtù,
le buone leggi, il buon governo, e anche la buona letteratura.
Cina-Europa - “Cina pacifica e
saggia – Europa guerriera e folle, sarà il gran motivo svolto a piena orchestra
dall’Illuminismo settecentesco” – Federico Chabod, “Storia dell’idea di E
uropa”,80-81. Ma il tema era già svolto da Montaigne, e prima ancora (Chabod
omette i gesuiti) da Botero, Francesco Carletti, Ludovico Guicciardini.
Don Ferrante - Un grande
giornalista dice Gadda l’aristotelico di Manzoni, del romanzo, nel saggio “Apologia
manzoniana”, una riflessione, una delle sue prime, non pubblicata, del 1924: “È
una persona colta. Guida l’opinione. Se vivesse molte redazioni di quotidiani
se lo contenderebbero”.
Germania – Le minoranze
sparse in mezza Europa, causa (una delle cause) della seconda guerra mondiale,
danno al tedesco una sorta di primato letterario diffuso tra le nazioni – Alessandra
Iadicicco su “La Lettura”, 5 maggio: “Sotto un profilo strettamente letterario
è interessante ricordare che tra i 14 premi Nobel per la letteratura di lingua
tedesca, dal primo, il tedesco Theodor Mommsen all’ultimo, l’austriaco Peter
Handke, che da oltre trent’anni vive in Francia, ci sono due svizzeri, Carl Spitteler
e Hermann Hesse (tedesco di nascita naturalizzato elvetico), un bulgaro, Elias
Canetti, e una rumena, Hertha Müller”. Senza dimenticare “due tra gli autori
più grandi dell’Europa e del mondo”, Rilke e Kafka, della “comunità minoritaria
di lingua tedesca – parlante un tedesco purissimo, cristallino, musicale,
intatto da influssi dialettali – dell’allora Cecoslovacchia”.
Gramsci – È sardo,
perché sarcastico. Tale lo dice Emilio Lussu in “L’avvenire della Sardegna”,
1951- “espressione” invece “estranea alla Deledda”. Per “quella nostra
ironia che appare disarmata ma che ferisce, e che fa del sarcasmo la nostra
naturale impronta”. La cattiveria del servo (captivus), continua Lussu, “non
differente neppure oggi da quella che Cicerone vedeva negli schiavi sardi venduti
sul mercato di Roma”.
Italia – Manca di
filosofia, scriveva Leopardi a Igino Giordani il 13 luglio 1821: “Chiunque
vorrà far bene all’Italia, prima di tutto dovrà mostrarle una lingua
filosofica, senza la quale io credo ch’ella non avrà mai letteratura moderna
sua propria, e non avendo letteratura moderna propria, non sarà mai più
nazione.” – l’Italia necessita, concludeva, di “filosofi inventivi, e
accomodati al tempo”.
“Paese dalle mille città”, Federico Chabod, “Storia dell’idea di Europa”,
74, “ognuna ricca di una sua tradizione culturale e politica”.
Italia-Germania – Non ci
sono solo la storia, da Arminio all’Unione Europea, e l’economia (il
quadrilatero Lombardo-Veneto\Baviera-Baden) a unire Italia e Germania, c’è anche la lingua, “dei bavari e degli
alemanni penetrati attraverso le Alpi in Veneto, Trentino, Valle d’Aosta,
Friuli Venezia Giulia: la lingua cimbra, l’idioma walser, la lingua móchena e di Sappada, il saurano, la
lingua della Val Canale o del Timau, tutte di origine medievale” - Alessandra
Iadicicco, “La riscossa del tedesco” (“La Lettura” 5 maggio). In aggiunta all’Alto
Adige-Sud Tirolo, dove è lingua nazionale.
Lutero – “Lutero vive
come un idolo di santo cattolico nell’anima dei riformati” – C.E .Gadda nella “Apologia
manzoniana” del 1924, da poco dismesso dal campo di Celle in Germania,
prigioniero di guerra.
Manzoni – “Scrittore
degli scrittori” lo nomina Gadda, manzoniano fervente, nella “Apologia manzoniana”,
1924.
Oriente – È “superiore”,
di gran lunga, nel Settecento francese, e soprattutto in Voltaire, un secolo e
mezzo dopo la sua “scoperta” – la sua formulazione – da parte di Guillaume
Postel e dei gesuiti. In termini ammiratissimi, che contraddicono. “I cinesi
sono superiori a tutte le altre nazioni dell’universo” è Voltaire nel prospetto
di “Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni” (1756). Per un lungo elenco di primati: religione,
giustizia, moralità, saggezza del governo – un governo dei dotti, dei “mandarini”.
Voltaire scriveva in polemica (non dichiarata) con Montesquieu, che invece, sia
nelle “Letere persiane” sia nello “Spirito delle leggi”, faceva dell’Europa la patria
della libertà e del progresso, e dell’Asia un mondo immobile e dispotico, la
Cina più che l’India. Ma l’opinione prevalente era in Francia, e anche in
Italia, con Voltaire, spiega Chabod nella “Storia dell’idea di Europa”.
Roma – Wladimir
d’Ormesson, per un breve periodo nel 1940 ambasciatore francese alla Santa Sede, cita a proposito dell’entrata
in guerra dell’Italia, contro la Francia, il cardinale de Retz, potente del
Seicento, che ammoniva: “Vi sono molte persone a Roma che amano uccidere chi è
già a terra. Non cadete”.
Vendetta – Quella sarda
Emilio Lussu (“L’avvenire della Sardegna”) vuole speciale (“noi siamo tutti piuttosto cattivi, a
freddo, senza trasporti sentimentali”): “Essa non esplode immediata e pubblica,
come in Corsica, incontenibile risposta all’offesa. La vendetta sarda è covata
lungamente, silenziosa e clandestina, per anni, spesso per tutta la vita; e
colpisce calcolatamente, solo nel giorno più propizio, sì che alla strage del
nemico corrisponda l’incolumità propria e, possibilmente, l’ergastolo per
il nemico numero due, verso cui devono convergere tutti gli elementi di
accusa. Vendetta, come ognuno vede, impeccabilmente razionale”.
letterautore@antiit.eu
Il giallo donna
Un killer di professione in fuga. Un lupo
solitario, cattivo e brutto, ora cacciatore ora cacciato, con un po’ di luce
alla fine del tunnel. Il “giallo” forse più semplice e diretto di G. Greene, il
suo secondo dopo “Il treno per Istanbul” – e un paio di romanzi caduti nel
nulla - ma già magistrale. Subito prima del più famoso “La roccia di Brighton”,
ma al contrario di quello filato, tutto fatti. La prima letteratura è a p. 39,
mentre il killer braccato fugge calandosi da una finestra, ed è breve, tre
righe – peraltro fattuale, non “poetica”: “Le nuvole coprivano la luna, e la
terra parve muoversi con loro, una sfera ghiacciata e senza vita nella tenebra
immensa”. In una Nottwich che è Nottingham, dove Greene aveva vissuto e lavorato.
Attorno a un traffico d’armi che prepara la guerra – l’ha già pronta. Su un’idea
strepitosa: i due destini s’incrociano, del killer e del poliziotto che gli dà
la caccia. Con un brillante, mai scontato, personaggio femminile tra i due. Con
punte qui e là farsesche - come una messa in posa del genere, che comunque va
al lieto fine. In ballo è nientemeno che la guerra mondiale - quella che dopo qualche anno sarà effettivamente combattuta.
Nell’Inghilterra pullulante di gialli whodunit,
della caccia al colpevole, Greene introdusse il noir americano, azione e
violenza. Subito già perfezionato, fin dalla prima pagina. E con un personaggio
singolare di donna, non più ripetuto nei romanzi di Greene ma poco praticato
nel genere, molto femminile e molto pratica, anzi risolutiva.
Una promozione elegante: una riedizione
di lusso, carta, rilegatura, copertina, a prezzo popolare – la casa editrice si
vuole qualificare per la narrativa di qualità. De Cataldo ricorda nella presentazione
lo sceneggiato che la Rai ne ricavò nel 1970, di qualità - quando le serie
(“sceneggiati”) erano curate e non tirate via, come ora usa, sotto l’impulso
delle major americane che fanno il mercato dell’immagine, nelle pose, nei
dialoghi, nei ritmi. Domenico Scarpa, che ha curato la riedizione nel 2020, la
dota di un saggio sul taglio e la fortuna dell’opera.
Graham Greene, Una pistola in vendita,
Sellerio, pp. 315, ril., 1 +1 due libri € 10
giovedì 9 maggio 2024
La Cina rimbalza
Si svolge nella disattenzione la visita
in Europa del presidente cinese Xi. Qualche foto per l’incontro con Macron a Parigi,
e poi poche righe, per dire che è rimasto solo con qualche dittatorello, in
Serbia e in Ungheria – i governanti eletti sono detti dittatorelli perché non
condannano la Russia nella guerra.
Non è così in Cina ovviamente – che è un
paese pluralista, direbbe Bobbio, ma non è democratico: il mini tour
europeo di Xi è reputato importante. Se ne possono cogliere gli umori attraverso
il “Global Times”, il quotidiano cinese online in inglese. Xi arriva con un aprile
in netta ripresa negli scambi commerciali internazionali, sia esportazioni che
importazioni, Un incremento tale da classificare il primo quadrimestre come uno
dei migliori delle ultime annate economiche - il rilancio di aprile è stato di
tale ampiezza da compensare il calo di marzo, e quindi dare al quadrimestre un
forte segno positivo. Con celebrazione in parallelo dell’Unione Europea, secondo
partner commerciale della Cina dopo l’Asean, il Sud-Est asiatico (comprensivo
di Giappone e Sud Corea).
A margine, si può anche leggere nel “Global
Times”, a proposito dell’Europa, che la guerra ha “frammentato” l’Ucraina, e
ha indebolito l’Unione Europea, complicando le relazioni atlantiche – le sanzioni
hanno danneggiato la parte europea della Nato più della Russia.
Ecobusiness
Ford perde 130 mila dollari ogni auto elettrica
venduta?
Per il secondo anno consecutivo le vendite
di auto elettriche sono in calo, in Italia e in Europa. In asenza di cotributi
pubblici: se non paga lo Stato non si possono comprare. In Italia se ne ne vendono
circa 200 al mese Tesla, altrettante Jeep Avenger, e un centinaio di 500e.
Le vendite di auto elettriche si fanno
peraltro in perdita per le case automobilistiche, malgrado il costo elevato. Di
quanto esattamete non si sa, per i regolamenti borsistici europei che consentono
ai fabbricanti di non far sapere il costo\prezzo unitario del prodotto. Ma
negli Stati Uniti i ricavi di Tesla, fabbricante unicamente elettrico, sono
quest’anno in calo, per la prima volta da quatro anni - di un 9 per cento. Molto più marcato il calo
dei profitti, del 55 per cento. Il che significa che Tesla vende alcuni modelli
in perdita.
Di Ford si può anche calcolare la perdita
media per auto elettrica venduta: 130 mila dollari. Una cifra enorme. Ma
evidente. La trimestrale registra un utile netto di 1,3 miliardi di dollari.
Scontando una perdita di ammontare uguale, 1,3 miliardi di dollari, nel settore
elettrico. Poiché Ford ha venduto nel trimestre 10 mila auto elettriche, il conto
è presto fatto.
Mobbing di gruppo a Taranto, un po’ per ridere
La storia di un “reparto confino”. All’acciaieria
di Taranto, un'ottantina di impiegati da liquidare confinati nella palazzina
del titolo, senza alcuna incombenza – hanno pagato lo stipendio in attesa che
si dimettano.
La storia anche di una privatizzazione
mal congegnata, e poi (fino ad oggi) amaramente fallita – è successo per l’acciai
come per i telefoni. I primi padroni, la famiglia Riva, oltre a commettere vari
reati per i quali finiranno condannati, intesero la privatizzazione solo come
un taglio del personale (l’analogo fatto in Sip-Stet, altro gioiello
privatizzato male e finito peggio. Sullo sfondo di una politica compromissoria,
che trascina nell’inettitudine anche il sindacato – sarà la Procura della Repubblica,
su segnalazione anonima, a denunciare e perseguire il fatto: il primo caso di mobbing
di gruppo.
Sui toni della commedia, per le tante gag e i personaggi da
ridere. Ma episodicamente, la sceneggiatura non è unitaria. Molto documentato, è
alla fine una sorta di cinema-verità, seppure a distanza di anni dal fatto. Costruito
sulla figura di un contadino inetto e borioso. Uno che vive di un po’ di galline
e qualche pecora, a cui la fidanzata albanese deve correggere l’ortografia, che
ritiene la fidanzata e il di lei fratello spregiativamente “zingari”. Un
funzionario del Personale dell’acciaieria, conoscente della famiglia, lo assume
come operaio per dargli uno stipendio. Per poi gradatamente, essendo del tutto
incapace come operaio, assegnare anche lui alla palazzina dei reietti nullafacenti,
ma in qualità di spia del Personale stesso. Un cretino, che poi farà crollare
per stupidità l’azienda in Tribunale.
Un bel personaggio, da grande commedia grottesca. Che però Riondino, che
è l’interprete principale, per questo premiato, confonde con gigionerie di
troppo – sono la sua maschera? non si ricorda interpretazione cui ci rinunci. Opera, come soggetto e anche in parte sceneggiatura, di Alessandro Riogrande, che la vicenda dei confinati ex Italsider aveva portato alla luce - a Riogrande, morto prima della lavorazione, il film è dedicato.
Michele Riondino, Palazzina Laf,
Sky Cinema, Now
mercoledì 8 maggio 2024
Problemi di base bellicosi ter - 804
spock
Che fine ha fatto la flotta europea nel mar
Rosso?
E gli Huthi?
“Ci sono guerre giuste, ma non ci sono eserciti
innocenti”, André Malraux?
“I funzionari governativi credono quello che da loro
ci si aspetta che credano”, Gertrude Stein?
E i giornalisti?
“È questo che
fa la guerra e poi il fallimento della guerra”, G. Stein?
“Terribile è
vivere la caduta degli imperi”, Michail Bulgakov?
spock@antiit.eu
L’assalto della Germania alla Bce
Nella lunga
intervista con Aldo Cazzullo sul “Corriere della sera” sabato,
https://www.corriere.it/cronache/24_maggio_04/mario-monti-intervista-c2400489-c714-4082-9c1a-93009d772xlk.shtml
Monti dice tra
l’altro: “Il “whatever it takes”
di Draghi ci aiutò; ma non sarebbe bastata una frase a salvare l’euro e il
nostro Paese, se non avessimo cambiato noi gli equilibri politici in Europa,
togliendo l’assedio tedesco alla Bce”. Un po’ presuntuoso il “noi” di
Monti che cambia “gli equilibri politici in Europa”, ma un’ammissione
terrificante: c’è stato un “assedio tedesco alla Bce”. Con l’Italia vittima dopo
la Grecia? La Bce del governo Monti era quella di Draghi in coabitazione col
francese Trichet, e subito dopo.
Non se ne parla – la stessa testimonianza di Monti è caduta
nell’indifferenza. Ma il fatto, che ha avuto larga parte nella crisi del debito
italiano, era noto - e nel nostro “Gentile Germania” è anche diffusamente raccontato.
A inizio 2011 Deutsche Bank si era liberata dei titoli italiani del debito in
ottica ribassista, per ricomprarli a termine. A luglio lo aveva fatto sapere al
“Financial Times”. Si spiega in “Gentile Germania”: “A ottobre 2011,
per riaccendere la crisi che si affievoliva dopo la vendita dei Btp, il capo
economista della Deutsche Bank, Thomas Mayer, pubblicamente aveva ammonito
contro ogni aiuto all’Italia. In una col presidente del Ces-Ifo di Monaco,
rinomato istituto di studi sulla congiuntura, Hans Werner Sinn, che aveva
redatto e pubblicizzato una serie di note contro l’Italia, sul debito e le
banche. Con l’effetto non casuale di
mettere nel mirino le banche italiane, meglio gestite e capitalizzate delle
tedesche, elevando una cortina di fumo su quest’ultime, che erano tutte un
colabrodo, Deutsche inclusa. «Offrire un’assicurazione di prima categoria sui
titoli contro il fallimento dell’Italia ci colpisce come offrire
un’assicurazione sulla cristalleria al padrone di una casa prossima a un
impianto nucleare che sta per collassare», scrisse Mayer online nel bollettino
della banca. Neppure con la garanzia del Fondo europeo di stabilizzazione: «Né
il padrone di casa né il detentore di titoli italiani si sentirebbero molto
sollevati da questa assicurazione». Con spreco di distinzioni fra germanici e
latini”. E senza risparmiare il salvataggio italiano, da parte di Unicredit, la
prima grande banca europea allora crossborder, della maggiore banca
bavarese, Hypovereinsbank – come se fosse stato un atto di pirateria, mentre la
banca era un colabrodo.
Sinn è dimenticato, e l’istituto per
la congiuntura di Monaco, che allora era autorevolissimo e lui indirizzò contro
l’Italia. Ma Monti ha un secondo retroscena importante con Cazzullo, proprio su
questo: “Il
Papa mi aiutò. Ero angosciato
dalla frattura che si era aperta tra la Germania, in particolare i bavaresi, e
i popoli del Sud Europa, in particolare i greci e noi italiani. Gliene parlai,
e Benedetto scrisse all’arcivescovo di Monaco, Reinhard Marx. Quell’intervento
ebbe un certo effetto sulla Cdu tedesca e sulla Csu bavarese”.
La stupidità è più intelligente
Il bello scemo, candidato per questo a fare il sindaco dai poteri forti,
e il carcerato in affido al parroco animatore inventivo vanno avanti con una
serie di gag. Del genere “rovesciamenti”: non tutto è come appare. Non tutte
efficaci. Ma c’è una sorpresa finale. Anzi una sorpresa doppia, che ispessisce
il plot e lascia con gusto piacevole.
Nunziante prosegue con Pio e Amedeo la comicità fine a se stessa avviata
con tanto successo con Checco Zalone: qui pro quo, giochi linguistici, ribaltamenti
continui – il nobile è malfattore, la verginella è un po’ sgualdrina, il delinquente
è amorevole, è sdrucito ma inventivo, confusionario ma manageriale. Non con la
stessa naturalezza, anzi di comicità un po’ imposta, gridata, ma la stupidità
vince lo stesso.
Gennaro Nunziante, Come può uno
scoglio, Sky Cinema, Now
martedì 7 maggio 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (559)
Giuseppe Leuzzi
Nella personalissima
etnografia che da qualche tempo ha avviato sui mondi “altri”, non europei, non
europeizzanti, lo scrittore Franco-algerino Yasmina Khadra, una lunga personale
esperienza della
violenza in qualità di colonnello dell’esercito negli anni delle sanguinosissime
guerre civili mussulmane, conclude il romanzo dei cartelli messicani
a Ciudad Juarez, la città più pericolosa del mondo, con un finale che non è la
fine - lui che si è intrufolato nei cartelli per ritrovare lei, ne uccide il protettore
e la ritrova, ma per una fuga senza scampo. Non si esce dalle mafie se non da morti
(anche morti viventi, ora che vanno i pentiti). O dal male: le violenze
subite non si rimarginano.
Salvatore Baiardo si propone
a sindaco di Bagheria - dopo essersi candidato, sempre in proprio, alle
Europee. Non di un paesano: di una capitale dell’arte e dela cultura. Un
personaggio assurdo, non fosse per un giornalismo cialtrone e l’antimafia del
meglio-che lavorare. Che ha fatto Baiardo, a settant’anni, per meritare la
ribalta? A parte i gelati, che erano il suo mestiere? Promettere foto di
Berlusconi con Riina, o altri mafiosi. Il ludibrio della Sicilia, del Sud.
La Sicilia non ha in uggia
questo “trattamento”, mediatico e giudiziario. C’è un perché? In fondo,
l’antimafia è molto “siciliana” - riesce difficile immaginare un’antimafia come
la nostra in Lombardia o in Emilia. Manzoni, per es., liquida la mafia come un
fenomeno limitato, anche se oscuro. E malgrado la diffusione, se i “bravi” sono
stati contati in 30 mila dallo storico Ripamonti - o in 60 mila?
Si fa scandalo per il giovane
italiano “incaprettato” dalla polizia a Miami. Si direbbe che la mafia faccia “cultura”
anche in America – la vittima legata le mani ai piedi dietro la schiena come il
capretto destinato allo scuoiamento, la pena dei traditori. Se la polizia si
vuole mafiosa.
Si sottovaluta l’America,
anche nel parco divertimento che per gli italiani sarebbe Miami – come se fosse
un’altra Europa. Ma è vero che anche Miami è Sud. E le immagini
dell’“incaprettamento”, diffuse dalle stesse bodycam dei poliziotti, mini
videocamere indossabili, mostrano senza vergogna mani nere e brune.
Il Nord è piramidale
“Nelle regioni italofone della
Svizzera, ovvero Canton Ticino e parte del Cantone dei Grigioni, il termine
lombardo terùn/terone è utilizzato in tono dispregiativo per
indicare, senza alcuna distinzione geografica o regionale, i citadini di nazionalità
italiana” - wikipedia.
Il Nord è come l’impiccato,
ha bisogno di elevarsi.
Il Canton Ticino è
spregiativamente colonizzato dagli svizzeri tedeschi, per vie del sole: si
comprano le case migliori e fanno vita isolata dai terùn ticinesi –
impiegati, avvocaticchi, mestatori, parolai.
Gli svizzeri tedeschi non sono
simpatici ai tedeschi di Germania.
Neanche i tedeschi austriaci
lo sono, in Germania.
La filosofia è meridionale
Tirando le fila, a 93 anni,
di una lunga pratica di pensiero, Biagio de Giovanni parte da una constatazione:
la filosofia è meridionale – la riflessione intitola “Giordano Bruno
Giambattista Vico e la filosofia meridionale”, ma la congiunzione è di fatto una
copula: il titolo è un’affermazione, la filosofia è meridionale. In antico e
nella modernità. “La filosofia occidentale
nasce … in Magna Grecia, e si diffonde ad Atene”. Modernamente, “per citare i
sommi, Telesio, Campanella e Bruno sono disseminati tra Calabria e Campania. E
poi viene il Vico napoletano”. E ancora, parlando dell’Italia unita, “i primi
«hegeliani» d’Italia e d’Europa sono i napoletani, Bertrando Spaventa su tutti,
che era di Bomba, in Abruzzo, ma napoletano nella sua vita filosofica. E infine
i grandissimi del Novecento: Croce e Gentile”.
Certo, dice, al Nord non mancano
i filosofi, “da Marsilio Ficino ad Antonio Rosmini”. Ma, se si parla di
“filosofi che hanno contribuito a cambiare la storia e la logica del pensiero
umano, il Mezzogiorno resta un confine abbastanza solido e sicuramente carico di
nomi”.
È come diceva l’Avvocato
Agnelli sprezzante nei confronti di De Mita? “Un intellettuale del Mezzogiorno.
Di quel pensiero tipico della Magna Grecia”. Ineffettuale cioè, chiacchierone –
lo stesso si era detto per decenni di Aldo Moro, poi risparmiato dopo la
tragica fine, dell’inafferrabilità, o incongruità, del suo dialogare. De Giovanni
non contesta l’Avvocato: “La maggioranza dei filosofi citati, i massimi,
manifestavano tutti qualche diffidenza critica verso l’irrompere della rivoluzione
scientifica, quella iniziata da Galilei”. Compreso Campanella, che pure, benché
in carcere, lo difese, facendo pubblicare una “Apologia di Galileo”. Fino alla
“violenza polemica di Federico Enriques contro Croce che invitava gli
scienziati a calcolare, non a pensare”. O quella anti-cartesiana di Vico,
altrettanto violenta, contro “una razionalizzazione che disprezzava la storia”,
contro il cogito-ergo-sum, “una ragione che dubitava del mondo, ma non di
sé”. Vuole però salvare la metafisica, contro “l’equazione
filosofia-metafisica-arretratezza”: la metafisica è “un tratto decisivo per fondare
l’Europa quale continente della libertà”. Senza contare, “e non è cosa da poco,
che nel Mezzogiorno d’Italia si afferma la statualità, e in Europa non c’è
filosofia che conti senza Stato”.
Per motivare “l’arretratezza
del Sud rispetto al Nord si dovranno trovare altre ragioni”. La filosofia non
ne ha colpa, è solo titolo di merito.
Resta inspiegato perché tanta
filosofia sia ineffettuale. Se non per le ragioni note – cui il filosofo
indirizza di sbieco, a proposito della statualità: “L’esperienza «spagnola» di
«Napoli capitale» contiene un elemento di modernità statuale, con un forte
ordinamento forense, cui le larghe zone di arretratezza sociale ed economica (le
analisi sono già in Antonio Genovesi, si può dire che con lui nasce la
«questione meridionale») fanno solo relativamente ombra”.
“Relativamente” nel senso di
poco? Poco no. Relativamente rispetto al Nord, al circuito virtuoso dello
svluppo, economico e civile.
Al Sud lavorano gli
immigrati
“Lavoratori extra Ue, arriva
dal Sud il 54 per cento delle domande”, calcola “Il Sole 24 Ore” sui dati del
ministero dell’Interno, aggiornati al 24 aprile. Delle domande presentate da
imprenditori e famiglie negli ultimi click day del 18,21 e 25
marzo “relativi agli ingressi del 2024.
Un terzo della popolazione,
un quarto (un po’ meno) del pil, presentano “il 54 per cento delle domande” di
regolarizzazione: 380 mila da Sud e Isole, 224 mila dal Nord, 99 mila dal
Centro.
In particolare le domande
sono arrivate dalla Campania. Il 33 per cento delle domande, oltre il triplo
della Lombardia, 10,7 per cento, che ha più abitanti. In testa Napoli, con 120
mila domande, seguita da Caserta , 53 mila, e Salerno, 43 mila – Milano è a
quota 36 mila.
In totale 231 mila domande in
Campania, sei milioni di residenti, dove il tasso di disoccupazione è al 17,8
per cento. E 75 mila in Lombardia, dieci milioni di residenti, con un tasso di
disoccupazione al 4,1 per cento.
L’emigrazione ha prosciugato il Sud, non c’è più abbastanza forza lavoro? No, evidentemente: il Sud lavora a bassissimo lavoro aggiunto, per cui conviene la disoccupazione piuttosto che lavorare – il lavoro si lascia agli immigrati, nei campi e nelle famiglie, a basso costo, specie di oneri sociali.
Cronache della differenza:
Napoli
“Un napoletano muto”, così ha
lasciato scritto del Segretario di Stato di Pio XII, Luigi Maglione, cardinale,
nelle memorie Wladimir d’Ormesson, ambasciatore francese presso la Santa Sede
nel 1940, all’entrata in guerra dell’Italia (contro la Francia). Uno di cui bisognava
capire “le mezze parole”, “una espressione”, “un gesto”, “una strizzata
d’occhi”.
La donna de “Il fuoco che ti porti dentro”, il memoir
di Antonio Franchini, napoletano principe degli editor a Milano, è la sua
propria mamma, a detta dell’autore. Che la carica di tutto il peggio, “il qualunquismo, il razzismo, il classismo, l’egoismo,
l’opportunismo, il trasformismo, la mezza cultura peggiore dell’ignoranza, il
rancore”. Questo non è “napoletano”, non ci sono precedenti letterari locali di
madri degeneri. Ma Franchini sì: non essere accomodanti – il “napoletano” è
crudele.
Ernest Pignon-Ernest, “il pittore francese precursore della street art,
molto prima di Banksy, molto prima di JR”, si è avvicinato all’Italia, dove opera, attraverso Pasolini
e Napoli, trent’anni fa. “Rimasi folgorato dal caos”, dice a Montefiori su “La Lettura”: “Era
una specie di caos legittimo, nel quale si poteva anche passare col rosso o andare contromano senza ricevere
insulti, c’era una forma di
convivenza ordinaria col caso”.
“Oggi Napoli è cambiata,
è più ordinata”, continua Pignon-Ernest. Ma “i napoletani sono convinti che
Napoli sia il centro del mondo, tutto è nato a Napoli, la prima nave a vapore
in Italia, il primo teatro dell’opera, il babà al rum… e forse hanno ragione”.
Una captatio benevolentiae, Napoli soprattutto seduce, o respinge.
“Napoli è la città in
Europa con il maggior numero di armi in circolazione”, calcola Roberto Saviano
sul “Corriere della sera”. È anche una città, dice Saviano, in cui i figli
vogliono uccidere padri. Ma non in senso figurano, vogliono ammazzarli. Fa il
caso di un Cristian Esposito, “figlio del boss Massimiliano Esposito detto «lo
scognato»”, cioè lo sdentato, che del padre dice: “Quell’indegno tiene i
principi suoi, lo devo fare pezzo a pezzo”.
Ancora: “Mamma mia, mamma mia, il primo che devo alzare in aria è lui. Lo
devo alzare in aria, padre e buono”.
Raul Brancaccio, tennista
professionista, 26 anni, 121mo nel ranking mondiale, declassato al 321 dopo una stagione sfortunata, si riprende
a Napoli in un Challenger contro il francese Herbert, 36mo in classifica, quindi contro i
pronostici. È avviato a un secondo set vittorioso, decisivo, se non che il
“suo” pubblico gli si scatena contro, con urla, minacce, “termini
impronunciabili”, al punto decisivo, per fargli perdere la concentrazione. E ci
riesce: Brancaccio ha sette match point (colpi vincenti) ma non ce la fa. Il cuore di Napoli sono i soldi, la
napolitudine è un mito, certo.
Il giovane Brancaccio è stato battuto dalle
scommesse illegali. Lo sanno tutti, spiega il tennista a “Repubblica”: “Questa
gente scommette sul game, sul risultato, sul punteggio, sul servizio, sui game, sul numero dei
punti fatti in un set, su quello totale, e lo fa mentre assiste alla gara in corso in
tribuna, con i telefonini, cosa assolutamente vietata”. Ma non al cuore di Napoli.
leuzzi@antiit.eu
Vita dei pastori in Sardegna dopo la guerra
“È mio. Ne ho bisogno in campagna”, disse il padre Abramo
alla maestra alla ripresa della scuola dopo l’Epifania del 1944, e Gavino
crebbe pastore, dall’età di sei anni. Durante il militare a Rieti, racconta
qui, “feci conoscenza con un maestro di Poggiobustone, Ottavio Gentileschi. Un
ragazzo simpatico e molto preparato. Si entusiasmò del mio entusiasmo”, e gli
insegnò a leggere, lo introdusse alla cultura – il pastorello è diventato
scrittore. E ha scritto e pubblicato molto. Si è anche laureato, a Roma nel
1970, in Glottologia, facendosi poi ricevere all’Accademia della Crusca – e
dopo qualche anno ha avuto a Cagliari un incarico di assistente a Filologia
romanza (evidentemente senza retribuzione – altro romanzo d’epoca….- se ha
dovuto fare ricorso alla Legge Bacchelli, la modesta pensione pubblica per
meriti letterari).
Un racconto di formazione. Di rabbia ed emancipazione.
Che mantiene intatta la vigoria linguistica, essendo in realtà un’opera
doppiamente originale, per il tema e per la lingua. Che è la trascrizione
italiana della “lingua” sarda, di una delle lingue sarde. Di una sintassi
(logica) e una sensibilità verbale dell’isola nell’isola Sardegna in cui
l’autore era nato ed è cresciuto – e tuttora vive, Siligo, non lontano da
Sassari.
Un racconto che ha fatto epoca all’uscita, nel 1975. Tra
i Franchi Narratori Feltrinelli. Ed è presto diventato un classico, nelle
scuole italiane e un po’ in tutto il mondo, il racconto dell’emancipazione
attraverso lo studio. Sulle tracce di De Amicis, Deledda, etc.
“Padre padrone” si ricordava per la forza della sua
lingua, concisa e insieme espressiva, diretta. Si riedita da classico – con
introduzione di Carlo Ossola. E sembra un altro libro, forse effettivamente un
“classico”, come “Cuore”. Perde, risulta aver perduto, la freschezza (la
violenza?) della sua prima pubblicazione. Della vita del giovane pastore non da
letterato, ma da pastore, seppure scappato alla dannazione cui il padre lo
destinava. Forse effetto anche del contesto: Abramo, morto centenario, leggeva
il giornale, padre e figlio vivevano vicino, in belle case. Non più una tranche-de-vie,
drammatica, ma una testimonianza, ben scritta, un quadro d’epoca - vita dei
pastori in Sardegna dopo la guerra.
Gavino
Ledda, Padre padrone, Oscar Cult, pp. 252 € 14,50
lunedì 6 maggio 2024
Il vero senso della guerra
Inimicarsi la Russia non ha senso diplomatico
e nemmeno militare per gli Stati Uniti. Perché gli Stati Uniti da un decennio
ormai con chiarezza si confrontano con la Cina, per cui una Russia forte e
amica, oppure neutrale, è necessaria. E allora perché indurla alla guerra in
Ucraina?
La sfida alla Russia è una costante
americana dalla seconda presidenza Clinton, indotta dall’ex consigliere per la
Sicurezza Brzezinski, proseguita da Bush jr., e poi personalmente da Biden,
vice di Obama nelle due presidenze di quest’ultimo. In un’ottica europea, di
confronto (poco) mascherato con la cosiddetta Fortezza Europa.
Gli Stati Uniti hanno stretto rapporti bilaterali
privilegiati con i paesi europei dell’ex impero rosso, i Baltici, la Polonia, l’Ucraina,
la Romania-Moldavia, la Georgia, e a tratti con la Repubblica Ceca e l’Ungheria.
Con la Polonia specialmente Clinton e Bush jr., con l’Ucraina Biden. Per indebolire
la Russia e per condizionare l’Unione Europea dall’interno.
Da dieci anni gli Stati Uniti hanno forzato
il contenimento della Russia spingendo, col sostegno dell’Inghilterra, loro
mosca cocchiera, in Ucraina. Agganciandone le forze di destra estremsta.
Misconoscendo gli accordi di Minsk tra Uraina e Russia mediati dall’Europa, attorno
alla prima reazione russa ale manovre di Biden, con l’invasione della Crimea.
Hanno addestrato e armato le forze ucraine, e tuttora le controllano - specie
nei contrattacchi in profondità nel territorio russo. Sempre promettendo-minacciando
un’azione risolutiva per liberare l’Ucraina ormai occupata, e sempre
rinviandola. Ma senza drammi: la tensione permanente è obiettivo della guerra.
Non può essere altrimenti. In termini militari
una guerra d’attrito ha un senso solo politico. Non la sconfitta, nel caso, della
Russia, potenza nucleare forse superiore agli Stati Uniti, né lo smembramento
dell’Ucraina. Una sola è la logica: tenere l’Europa sotto tallone, già
abbondantemente indebolita dai primi due anni di guerra.
Secondi pensieri - 534
zeulig
Auto-coscienza – O confessione - narrazione di sé, quale oggi prevale. Ci si conosce per sommatoria:
cosa s’è aggiunto, cosa distrutto. Ma non a torto i bogomili dicevano la natura
opera del diavolo, che tormenta beffardo l’uomo e gli sottrae forze e desideri.
Conviene concentrarsi su di sé, si scrive pure per il bisogno che si ha di esprimersi.
Come Tolstòj, che gira su se stesso. Che anzi,
come Turguenev ha intuito, il terribile segreto opprime di non riuscire ad
amare altri che se stesso.
Ma bisogna essere corazzati, tali il
pedagogo Rousseau che i figli crebbe al brefotrofio – uno che ama l’infanzia ma non i suoi figli è un altro discorso: se l’uomo
moderno è scisso, l’intellettuale è fangoso, ma “Rousseau mentiva e credeva
alla sua menzogna”, nota Tolstòj. E questo chiude il discorso, o lo riapre.
“L’anarchica onnipotenza della personalità
è un lapsus”, dice ancora Tolstòj, “bisognerebbe dire monarchica”. Per quanto, i
russi non sono affidabili: “Parlo a nome mio”, dice Sklovskij, “ma non di me. Inoltre,
quel Viktor Sklovskij di cui scrivo probabilmente non sono io e forse, se ci
incontrassimo e prendessimo a parlare, sorgerebbero tra noi dei malintesi”. La
confessione esce dalla testa di sant’Agostino, per il quale Dio sta sopra di
noi ma va cercato dentro di noi. Ma ha una parentela. È Giobbe l’antenato della
confessione.
Come in Giobbe, la confessione risuona
della viva voce dell’autore. Questa è la confessione: parole a viva voce. La
confessione è parlata, è una lunga conversazione, in tempo reale. Ma, come un
romanzo, ci trasporta in un tempo immaginario, creato dall’immaginazione, in
circostanze anche immaginarie. Il romanzo ha origine nella lanterna magica,
nella soffitta abbandonata, nella natura vergine. In un tempo diverso da quello
della vita. Quando il tempo del romanzo è quello della vita - Proust, Joyce –
si ha una confessione.
Coscienza – Tolstòj spregia la coscienza. Anche
Hitler, che ne imputò l’invenzione agli ebrei. Già Hobbes la teneva in
sospetto: “Coscienza, secondo il modo in cui solitamente gli uomini usano la
parola, significa un’opinione, non tanto della verità della proposizione quanto
della loro conoscenza di essa, alla qual cosa la verità della proposizione è
conseguente”. Quindi, se io non conosco Gigi ‘Rriva, verità della proposizione,
e al bar sento i fautori di Rivera, magari mi convinco che il bomber è un brocco. La certezza si combatte
con l’incertezza, o con un’altra certezza? E l’incertezza? Siamo nel film di
Antonioni, e va bene. Ma a che punto è la guerra al vecchio, il mediocre,
l’ingiusto? O l’istinto di tirarsi indietro non è in reazione alla
vilificazione di massa, ma contro l’egualitarismo che essa comporta? Da hobbits, i paguri del retrogrado
Tolkien, che si ritagliano il loro piccolo mondo, fatto di ripetizioni
gratificanti per essere comode, contro le convulsioni del grande mondo, e sono
stupidi, incerti, terrorizzati, terroristi, insulari, conservatori. A noi non
ci spaventa il brutto ma, per dire, quest’uso democratico, piccolo borghese,
del doppio dativo, che poi in Spagna è buonissima grammatica. Del resto la
coscienza, coi rimorsi e tutto, ce l’hanno i buoni, ai quali non sarebbe
necessaria.
E dunque la coscienza, che Hegel mette con Dio o spirito del
mondo, è invenzione del diavolo, se umilia i buoni. Per i ladri è la morte, nel
Dictionnaire di Vidocq. Se non è lo
Stato. Sempre Hegel afferma che “lo Stato è lo spirito che risiede nel mondo, e
si realizza nel mondo attraverso la coscienza”. La coscienza, dunque, è dei
Prefetti.
O del Novecento. Per
la tecnica del flusso di coscienza, la letteratura del secolo, o delle seghe,
abili certo, interminabili.
Del racconto senza interruzioni è maestra
Vernon Lee, frasi di una pagina, modellate, senza ripetizioni né anacoluti, o
soffi al cuore, un gioco d’incastri senza fatica. Il flusso di coscienza invece
si vuole debordante. E dunque è la coscienza uno sciacquone? Deve avere qualche
parentela con la confessione, una salmodia insonora.
Politicamente corretto – Ida Magli, che da ultimo si è voluta scorretta
– anticonformista, criticona, perfino “di destra” – vedeva però bene, una
dozzina d’anni fa, “Dopo l’Occidente”, sul confomismo vuoto di oggi. A
propopsito del politicamente coretto: “La forma più radicale di lavaggio del cervello che i
governanti abbiano mai imposto ai propri sudditi. La corrispondenza
pensiero-linguaggio è infatti praticamente automatica. (...) Non sappiamo chi
sia stato a ideare un tale strumento di potere per dominare gli uomini e
indurli a comportarsi secondo la volontà dei governanti, un'evoluzione
terrificante di quella che un tempo si chiamava censura. Terrificante
soprattutto perché la censura non è più visibile come tale, nessuno ne è più
consapevole: è stata introiettata”. Compreso il genere-non genere:
“«L'uguaglianza finale non sarà soltanto quella delle idee, della lingua, della
religione, della Patria, ma anche fisica. L'uguaglianza che si persegue, però,
è il più possibile indistinta, di cui il modello è il trans. Si tratta, dunque,
di preparare i giovani a non appartenere a nulla, a non identificarsi in nulla,
a non sapere orientarsi sessualmente ma anche geograficamente, come è stato
affermato con semplicità eliminando la geografia dagli insegnamenti
scolastici”.
Ricordo – È selettivo, si sa – “la mia memoria è
eccellente per dimenticare”, poteva dire Stevenson, “Rapito”. Anche casuale e
involontario, distorcente a volte, ma pur sempre una ricostruzione. Di cose già
vissute, in qualche modo - Pavese non ha ragione, che annota il 28 gennaio 1942
nel diario “Il mestiere di vivere”: “Ricordare una cosa significa vederla - ora
soltanto – per la prima volta”.
Succede anche su terreni neutri, non problematici,
non penali – un film, una lettura. Recentemente due film che il ricordo ha interamente
trasformati. Uno, “I ponti di Madison County”, una lettura propone di tante
cose che il ricordo eliminava: la solitudine in famiglia, l’emigrazione (trasmigrazione, dei
corpi e delle anime), la famiglia come unità, di anima e di corpo. Mentre si
ricordava l’Iowa come deserto, nella calura e l’umidita, nell’isolamento, pur
nella benevolenza tra vicini, i ponti di legno coperti come un modesto “segno
di sogno”. E senza l’Italia, che invece vi ha gran parte. E ancora: l’isolamento
del globe-trotter, come si diceva, il vagabondo. E l’“inesistenza”
dei genitori per i figli, forte, diffusa. O “Guida romantica a posti perduti”,
film anche recente, quindi meno dei “Ponti” passibile di vuoti di memoria: memorizzato
solo per i luoghi, le immagini dei luoghi, in effetti molto vive, mentra è un
racconto di due disadattati, un alcolizzato e una fobica, dettagliato,
insistito, prevalente nella narrazione e nelle immagini.
Rinascimento – Stagione del nichilismo lo vede Gadda nel saggio
su Manzoni, 1924, “Apologia manzoniana”. Del “nihilismo fiorentino”, tra
Machiavelli e Galileo. Rivedendo umoristicamente la figura di Don Ferrante in
Manzoni, nel romanzo, lo dice Grande Opinionista – “è una persona colta, guida
l’opinione”. Con una folta biblioteca, ma “deviata”: “C’è nello scaffale un posto per il
«Principe» e un altro per il «Saggiatore» ma non sono proprio i suoi santi.
Piante più grosse, nella bizzarra foresta, hanno avviluppato e soffocato”. E in
nota: “. Volendo vederne la
ragione dialettica. È già in atto in questo ostracismo la reazione religiosa
(Molina, Corneille, Kant) contro il nihilismo fiorentino, sbocco del
nostro Rinascimento”.
zeulig@antiit.eu
Pasolini spensierato allo stadio
“Ci sono nel calci
dei momenti esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del «goal»”. “Il
capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno”. “Tutto è
cambiato in questi trent’anni” (1969)…. Tutto è cambiato ma le domeniche, agli
stadi, sono rimaste identiche. Me ne chiedo il perché”. “I pomeriggi che ho
passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara… sono stati indubbiamente
i più belli della mi vita”. Era ala destra, gli amici, “qualche anno dopo, lo
avrebbero “chiamato lo «Stukas»: ricordo dolce-bieco”. Di più: “Il calcio l’unico grande rito rimasto al
nostro tempo. Il calcio come ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”.
Gabriele Romagnoli raccoglie sei articoli sparsi di giornali e tre interviste
specifiche, tra il 1956 e il 1975, “una piccola grande antologia”, come “un
discorso aperto”. Di un poeta tragico, tale vissuto dal pubblico prima ancora
della morte ignominiosa, sempre per un motivo accigliato, anche nei tanti
servizi fotografici che di sé prediligeva sui campi da calcio, in pieno assetto
da partita, che invece si diletta, di una passione semplice. Pasolini ambiva
all’innocenza, qui, in queste divagazioni, in qualche modo la vive.
Scritti agili, non noiosi (generalizzanti, sociologico – la
“vena aperta” di Pasolini). Se non nell’articolessa per “Il Giorno” del 14
luglio 1963, ripresa l’anno dopo a Ferragosto su “Paragone”.
Il primo intervento, un’intervistina a “Paese Sera”, 1956, è a un
“costanzo”, che è quel Costanzo, aveva 18 anni e cominciava proprio
allora. Sincero: il calcio vuole all male – “che le donne giochino a
pallone è uno sgradevole mimetismo un po’ scimmiesco” è annotazione di pochi
giorni, poche ore, prima della morte: il calcio è Billy Budd, le cacce di Hemingway.
Con un incredibile ritratto di Capello agli esordi, a p. 87 – patria friulana.
Il saggio lungo. “Il Giorno”-“Paragone”, dota pure di schemi grafici, con
la doppia W per il calcio europeo, mentre il calcio sudamericano sintetizza
come di “discese concentriche”. E l’immagine subito emerge della Roma di
Liedholm e Falcao, dell’“onda”, quando il playmaker in pantofole portava armoniosamente
avanti tutta la squadra – vista dall’alto delle gradinate Monte Mario, al centro
dello stadio, sembrava una geometria in movimento.
Senza dismettere l’aura
profetica. Di un altro calcio Pasolini ha
sentore, prevedendone, cinquant’anni fa, gli sviluppi che oggi ci affliggono:
“Il «calcio spezzatino»”, nella sintesi di Romagnoli, “la liturgia infinita,
neanche un giorno senza partite, il calciomercato permanente come la campagna
elettorale, le venti squadre in serie A, le coppe europee aperte a un manipolo
di squadre per Paese, i tornei in Asia, il fuso orario dettato dalla Cina, la
bulimia di spettacolo che riduce la magia a esercizio”.
Una lettura rinfrescante. Anche di Romagnoli - geniale “i tronisti dl
calcio” Cassano, Balotelli. Con una svista: Romagnoli si dispiace che Pasolini
non abbia potuto vedere Mar adona. Ma come? Lo ha antevisto nel saggio pretensioso,
descritto nei particolari.
Pier Paolo
Pasolini, Il mio calcio, Garzanti, pp. 93 € 5,90
domenica 5 maggio 2024
Ombre - 718
“Il
Papa mi aiutò”, spiega Mario Monti
a Cazzullo in una diffusa intervista sul “Corriere della sera” a proposito del
suo governo nel 2011: “Ero angosciato dalla frattura che si era aperta tra la
Germania, in particolare i bavaresi, e i popoli del Sud Europa, in particolare
i greci e noi italiani. Gliene parlai, e Benedetto scrisse all’arcivescovo di
Monaco, Reinhard Marx. Quell’intervento ebbe un certo effetto sulla Cdu tedesca
e sulla Csu bavarese”. Le vie del Signore sono (in)finite.
Ma non c’era solo la Baviera, cioè l’istituto per la
congiuntura di Monaco, diretto da Hans Werner Sinn, anti-italiano dichiarato, in
combutta con Deutsche Bank, che aveva venduto Bot e Btp, lo aveva detto al “Financial
Times”, e voleva ricomprarli per niente. Monti ha altro da dire: “Il “whatever it takes” di Draghi ci
aiutò; ma non sarebbe bastata una frase a salvare l’euro e il nostro Paese, se
non avessimo cambiato noi gli equilibri politici in Europa, togliendo l’assedio
tedesco alla Bce”. Il “noi” è presuntuoso (a noi ci salvò Obama),
ma perbacco: dunque, c’è stato un assedio tedesco alla Bce, contro l’Italia
dopo la Grecia? Alla Bce di Draghi, in cogestione col debole Trichet (quelli
della lettera contro l’Italia da loro stessi passata all’“Espresso”), e subito
dopo.
Italia ultima in
Europa per investimenti in infrastrutture, nelle chiare tabelle del “Sole 24
Ore”. Eccetto che per le fonti di energia alternative. Che finanziamo tutti,
ricchi e poveri, con le sovratasse sui consumi di energia dette “oneri di
sistema”. Senza controlli sugli esiti. Un (piccolo?) affluente della
corruzione, per la quale invece siamo primi.
Un’Autorità per il
calcio? È quella che ci manca. Anche le ragioni non mancano: sia il Covisoc, l’organismo
della Federazione Calcio per il controllo dei bilanci, sia la cosiddetta giustizia
sportiva sono al di sotto di ogni sospetto - i soli controlli contabili si fanno sulla Juventus, attraverso la Consob. Ma un’altra Autorità? Prodi le ha create,
venticinque anni fa, per regolare il mercato, contro gli abusi, a protezione
degli utenti\consumatori. Ma sono per lo più carrozzoni inutili, quale è il Garante
per la Privacy, che non fa altro che moltiplicare i fogli inutili da firmare
per qualsiasi atto, a raffica. O pericolose, come l’Ivass (assicurazioni) e l’Arera
(energia) che si direbbe sono lì per favorire il “mercato”, il malaffare.
“Kiev, Macron sfida
Mosca”: Perbacco! Ma non bisogna sottovalutare i presidenti francesi, per cinque
anni si sentono dei Cesari, proprio, sul terreno militare. E già ci hanno
inguaiato in Libia.
Della Russia si penserebbe
che abbiano timore. Ma anche Napoleone vi si avventurò – non sapeva nemmeno bene
quanto fosse grande, e che l’inverno ghiaccia.
“Giustizia, l’accordo”.
Carriere separate per i magistrati “requirenti” e i magistrati “giudicanti”.
Cin due Csm. E un’Alta Corte di Giustizia interamente dedicata ai magistrati. E
crollano le resistenze: basta moltiplicare le poltrone.
“La città di Seul
ha venti orchestre sinfoniche”, per musiche europee va aggiunto, “mentre noi, patria
della musica, in alcune regioni – la Lucania, la Calabria, il Molise – non ne
abbiamo nessuna. Però abbiamo caterve di conservatori che sfornano diplomati
destinati ala disoccupazione”, Riccardo Muti, “Il Venerdì di Repubblica”. Una
Repubblica senza (nemmeno) le banane.
Ville comunali, tra cui grandi
parchi come villa Pamphili, chiuse a Roma per il Primo Maggio: il Comune non
paga le spese dei volontari addetti alle aperture e chiusure (benzina e panini). Perché? Perché i volontari delle aperture
sono 5 Stelle, e il Comune è Pd. A Roma la sinistra si litiga anche gli
stracci, quando si tratta di soldi.
Siamo ultimi nella Ue come
tasso di occupazione totale (61,8 per vento), femminile (51 per cento) e
giovanile 18-29 anni (33 per cento). Abbiamo poca voglia di lavorare. E non
vogliamo altri (stranieri) che facciano il lavoro che non vogliamo.
Nelle more delle solite
polemiche tra la neoscudettata Inter e la Juventus, “Tuttosport” ripubblica
online documenti agghiaccianti del processo “Calciopoli” - in cui il club
milanese non c’entra, ma forse no. C’entrano i Carabinieri, un colonnello Auricchio
che nascose ai Procuratori di Napoli (o i Procuratori nascosero) le intercettazioni
dell’Inter. Tutti promossi, il militare e i sostituti - diventati Procuratori Capo
ipso facto (senza mai lavorare, attestava il loro Capo di allora Cordova
- che tenteranno di far destituire dal Csm, ma questo non l’ottennero). Che
giustizia.
L’Inghilterra sporca e cattiva – non per ridere
Una mamma irlandese giovane, impetuosa, sboccata,
simaptica, in un ring con vecchie comari di villaggio, all’ombra della
sacrestia, e della gentlemania inglese. Vittima naturale dei sospetti quando una
serie di lettere ingiuriose sono indirizzate alle donne del villaggio, secche
ma micidiali, molto scurrili. Salvata da
un agente donna, una delle rime, vittimizzata dal suo grasso capo, anche perché
è mezzo indiana – accettata in polizia solo perché suo papa era un agente, inglese.
Una commedia, col taglio da commedia, sorretta da
due ottime protagonist, una Olivia Colman zitella gonfia, di zelo e di bile, e
una vera irlandese Jessie Bukley. Ma il pubblico in sala non ride. “Wickhed little
letters”, letterine malvage è il titolo originale. Il film si difende come – Improbable
- racconto di fatti “realmente accaduti”. Ma si direbbe una satira dell’Inghilterra,
di un secolo fa come di oggi, dopo la Brexit: arrogante, stupida, grassa, brutta,
un po’ sporca, non solo negli abiti – non trasandata, sporca; antistranieri, classista,
anche nei ceti più bassi, pettegola. Il pubblico resta sempre fedele a Sua
Maestà?
Thea Sharrock, Cattiverie a domicilio
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