Cerca nel blog

sabato 18 maggio 2024

Calcio speculativo – il dirigente sleale e l’informazione dopata

L’allenatore della Juventus “sollevato” dall’incarico è ipocrisia torinese - è l’anticamera del licenziamento per giusta causa, per non pagargli il dovuto, un gesto violento. Motivato con  “comportamenti non compatibili con i valori della Juventus”. Mentre lo sono le manovre, dietro la schiena del “sollevato”, da cinque mesi per minare l’azienda, con la scusa di trovargli un sostituto migliore?
Non è un comportamento leale (da che pulpito viene la predica), e forse è anche illegale. Ma non è questo il problema, in affari la disonestà è parte del gioco. La cosa interessa le due parti. Interessa tutti invece che di questi comportamenti aziendali certi giornalisti sapessero tutto da sempre, ma ne parlino solo adesso. Hanno taciuto contro l’etica professionale. E contro la legge: sono avvenute molte cose implausibili in questi mesi, ma chi sapeva ha potuto specularci proficuamente, nelle scommesse e in Borsa. “Giuntoli (un dirigente, n.d.r.) lo ha cotto per bene, mese dopo mese, minuto dopo minuto, portandolo all’implosione”, scrive il “Corriere della sera”. Ma lo scrive oggi, prima no: per quale motivo?
Si sapeva che l’allenatore destituito aveva da solo retto la baracca per due anni, per le cause penali, le penalizzazioni sportive, le squalifiche per droga o scommesse del club che ora si fa vanto di onorabilità. Quando chiese un sostituto per due squalificati, un drogato e uno scommettitore, ebbe un calciatore che era ed è infortunato, e un debuttante. Ciononostante, si batteva per il primato in classifica. Fino al 4 febbraio, quando il detto Giuntoli, in un ristorante emiliano a Fiorano, aveva preso contati per un nuovo allenatore. Questi contatti poteva prenderli privatamente, ma li volle esibiti.
Da allora la squadra, che si batteva per il campionato, non ha più vinto. Siccome lo stesso giorno aveva perso contro l’Inter, si disse, si fece girare la voce, che la sconfitta l’aveva demoralizzata. Mentre era stata una sconfitta casuale, per un’autorete sfortunata, in una partita dignitosa. È che i calciatori non sono più le figurine Panini, hanno procuratori, che sanno tutto, anche dei pranzi al ristorante, e la loro attenzione, dei procuratori e dei calciatori, si è spostata sul dopo.
Questo non si può rimproverare ai calciatori: è normale che pensino al dopo. Ma chi sapeva quanto ci ha guadagnato? Legalmente? Si dice dell’allenatore “sollevato” che pratica un calcio  “speculativo”. E il suo dirigente, Giuntoli? E i giornalisti all’orecchio del dirigente?    

Quando la punizione è un crimine

“Niente è più strano della coscienza umana che il suo atteggiamento rigruardo alla guerra. Guerra significa uccidere persone. È di questo che tratta la guerra”. Con qualche limite: “Un tempo, solo i combattenti potevano esere uccisi. Oggi va benissimo uccidere chiunque, basta che sia fatto indiscriminatamente e con qualche pretesa che si sta indebolendo la capacità o la volontà della controparte di continuare a combattere…. Si scenda di un gradino la scala della moralità, e siamo alle rappresaglie… Al fondo, è l’assassinio programmato di civili indifesi, perché appartengono alla religione, la classe, la razza sbagliate”. 
La rivista ripropone, nel clima della guerra in corso tra Israele e Hamas, la lettura che lo storico delle cause della seconda guerra mondiale fece di tre libri: “Death in Roma” di Robert Katz, “The Trial of the Germans. Nuremberg 1945-1946”, di Eugene Davidson, e “Auschwitz: A Report on the Proceedings against Robert Karl Ludwig Mulka and Others Before the Court at Frankfurt”, di Benrd Naumann, Nessuno dei quali storico di professione. Ma Naumann aveva un’introduzione di. Hannah Arendt. Katz, che in “Death in Rome” sosteneva che Pio XII era a conoscenza dell’eccidio che si preparava alle Fosse Ardeatine e non fece nulla pe pr evenirlo, è stato condannato poi per diffamazione.
La lettura di A.J.P.Taylor non è revisionista come era stata quella delle cause del conflitto. “I crimini tedeschi della seconda guerra mondiale sono stati atroci da ogni punto di vista – i vincitori per una volta hanno combattuto per una giusta causa”. Ma anticonformista sì, e argomentato. I vincitori si sono impaludati moralmente anche loro “quando hanno assimilato i crimini contro l’umanità a qualsiasi azione intrapresa contro loro stessi” in guerra: “Ci sono pochi episodi di storia moderna più nauseanti dei processi di Norimberga, dove i vincitori solennemente si sono esibiti sul problema della «guerra di aggressione», e cioè ogni attività bellica e perfino azione politica contro gli assetti decisi dai vincitori della Prima Guerra Mondiale”. Con “punte di grottesco: il povero demente Hess condannato con durezza per avere tentato, seppure maldestramente, di fare la pace tra Germania e Gran Bretagna. Fu sacrificato solo al fine di provare che il governo britannico non aveva mai pensato di cooperare con Hitler contro la Russia societica”.
A.J.P.Taylor, Crimes beyond punishment, “The New York Review of Books”, 23 febbraio 1967
 

venerdì 17 maggio 2024

Problemi di base letterari - 805

spock

“Non ci interessano i fatti, ma le parole”, U. Eco?

 

“To be or not to be – Toby or not Toby. È questo il problema”, Lichtenberg?

 

“Il lato ironico dell’ironia”, Angelo Guccione?

 

“I poeti diventano bugiardi a furia d’inventar favole”, Corrado Alvaro?

 

Perché l’editore (il redattore), che scrive meglio dell’autore, non si fa autore?

 

“Le prefazioni sono un vizio”, Zavattini?


spock@antiit.eu

Come essere buoni cattolici - S. Weil

“Posso dire che in tutta la mia vita non ho mai, in nessun momento, cercato Dio. Per questa ragione forse, senza dubbio troppo soggettiva, è un’espressione che non amo e che mi sembra falsa. Fin dall’adolescenza ho pensato che il problema di Dio è un problema i cui dati mancano quaggiù e che il solo metodo certo per evitare di risolverlo sbagliando, il che mi sembrava il più gran male possibile, era di non porlo” – Simone Weil, quinta lettera a padre Perrin (“Autobiografia spirituale”): “Ho sempre adottato come sola posizione possibile la posizione cristiana. Sono per così dire nata, sono cresciuta, sono sempre rimasta nell’ispirazione cristiana”. Distinguendo cioè fra Dio e il mondo: “Mentre il nome stesso di Dio non aveva parte alcuna nei miei pensieri, aveva nei riguardi dei problemi di questo mondo e di questa vita la concezione cristiana, di una maniera esplicita, rigorosa, con le nozioni più specifiche che essa comporta”.
La distinzione, che culmina la discussione fra i due corrispondenti sull’opportunità del battesimo, che S. Weil ha contestato, vuole probabilmente marcare una distinzione netta dall’ebraismo. Ma, al di fuori del significato personale, pone delle verità a prima vista incontestabili.
La corrispondenza si apre con la questione del battesimo, cioè si apre per chiudere la questione, dato che il battesimo non fa per lei. Per ragioni pratiche: “Il battesimo vuole con sé la fede, i dogmi, i sacramenti”. Ma la catecumena fallita incoraggia il confessore: “Dio non mi vuole nella chiesa. Non abbia dunque rimpianti”. Con una professione che è anche una “narrazione” del cattolicesimo che il papa sicuramente apprezzerebbe: “Il cristianesimo deve contenere in sé tutte le vocazioni senza eccezione, perché è cattolico. Quindi anche la Chiesa. Ma a mio avviso il cristianesimo è cattolico in diritto ma non in fatto. Tante cose sono fuori di esso”. Una dichiarazione di fede in realtà, e anche di appartenenza, critica: “Il cristianesimo essendo cattolico in diritto e non in fatto, ritengo legittimo da parte mia essere membro della Chiesa in diritto e non in fatto, non soltanto per un periodo, ma eventualmente tutta la mia vita”. Simone Weil pregiava il concetto di cattolicità più che quello di cristianità – o meglio la cristianità cvoleva “cattolica”, universale: “Bisogna essere cattolici, cioè nn essere legati da un filo ad alcuna creatura, bensì alla totalità della creazione”.
Le sei lettere a padre Perrin, il domenicano ascetico conosciuto a Marsiglia nel 1941, cui Simone Weil indirizzò queste lunghe lettere fra il 19 gennaio e il 6 maggio 1942, sei mesi dopo avere conosciuto il domenicano a Marsiglia e alla vigilia della partenza da Casablanca per gli Stati Uniti. Alla prima delle due da Casablamva, la quinta lettera della raccolta, premettendo un poscritto e un titolo, “Autobiografia spirituale” – da cui le citazioni.
Singolare lezione, ripetuta, data al domenicano su come essere buoni cattolici. Con citazioni da san Giacomo della Croce e san Francesco.      
Le lettere erano state pubblicate presto, dopo la guerra, dallo stesso p. Perrin col titolo più conseguente “In attesa di Dio”. Nella presentazione delle opere di S.Weil nella collana francese “Quarto”, la non benevola curatrice  Florence de Lussy sottolinea la relazione speciale che si era aperta fra i due corrispondenti: “Padre Perrin fu il solo essere umano che non l’abbia mai ferita con i suoi atteggiamenti o le sue parole.  Lei lo teneva in grande considerazione, ne parlava con calore agli amici e lo riteneva un santo”. 
Simone Weil,
Come un testamento spirituale, Il Pellegrino, pp. 112 € 12
free online www.cristinacampo.it

 

giovedì 16 maggio 2024

Gli Agnelli all’attacco

Si presenta Elkann in tv, imitando l’accento del nonno senza riuscirvi, per rivendicare a sé, alla Famiglia, la (miseranda) vittoria in Coppa Italia. Dopo avere vilificato la squadra, compresi i tecnici, affidandola a una dirigenza di giurisperiti, ammesso che lo siano, e fiscalisti, vecchi. E facendo sapere, lui stesso e il fratello, ai giornalisti confidenti che se il club non vince la colpa è dell’allenatore. Azionando nel contempo tutte le leve per sbarazzarsene, pretestando lo “stile Juventus”.
C’è una curiosa concezione della Famiglia sul club di calcio: hanno venduto tutto e di tutto, come faceva il nonno più famoso, l’Avvocato. Ma sul club di calcio sono rigidissimi. Elkann ha venduto pure la Fiat – anche se ne ricava dividendi golosissimi, e plusvalenze miliardarie, specie con la minifiscalità dell’Olanda, dove ha preso residenza. Ma sulla Juventus sono puri e duri. Hanno liquidato Moggi e Giraudo, che avevano costruito un meccanismo funzionante (ha pure vinto un campionato del mondo per l’Italia), per evitare che scalassero il club in Borsa. Hanno liquidato Marotta, che non ha sbagliato un acquisto e gli ha fatto vincere i nove o dieci scudetti di fila, perché troppo bravo, cioè ingombrante (voleva fare l’amministratore delegato). Si tengono stretta la Juventus perché è il loro blasone, da signori del denaro, non simpatici.
È così che ora si prendono la coppa Italia addossando scopertamente all’allenatore la colpa di non avere vinto lo scudetto. Mentre si nascondevano dietro di lui nei due anni di processi e condanne per frodi amministrative. Non sapendo naturalmente, o facendo finta di non sapere, che squadra gli hanno consegnato, in aggiunta ai processi e le condanne. Senza centrocampo, che nel calcio è tutto, senza un regista o playmaker, con una difesa, per quanto volenterosa, “brasiliana”. Con un monte ingaggi più caro di tutti - giocano meglio con i procuratori, altri, piccoli, re di denari?

Ma che calcio è questo

Perché si esce depressi da una bella partita di calcio, in chiaro in tv, in uno stadio magnificente di umanità, Atalanta-Juventus, con bellissime giocate, specie del club juventino, tecniche e tattiche? Per colpa dell’arbitro, che alla mezzora in quattro minuti rovina tutto con decisioni balorde: il calciatore che blocca con un fallo intenzionale una “ripartenza” avversaria non viene ammonito, come da regolamento,è ammonito il calciatore fermato fallosamente, perchéha protestato; il calciatore che fa un fallo violento e poi insuìiste per venire alle mani contro mezza squadra avversaria, furioso menando fendenti a più riprese, non viene espulso, nemmeno ammonito. E poi ne accumula una mezza dozzina, aiutato dall’arbitro del Var, per falsare il match. Incapace non è se lo hanno scelto per una finale. E allora, ha scommesso, quanto?
Si dice dell’arbitro italiano che è il solito giudice all’italiana, quello che “fa” la giustizia. Nel calcio no: il modello è Collina, che era un freddo, e faceva affari con il Milan.
Lo scoramento si accentua nel post-partita. Alla telecronca avvertita e coinvogente succedono in studio due o tre statuine che non sanno di niente, e non sanno come dirlo. Ex calciatori, in giacca e cravatta, che ripetono formule viete. Hanno sottomano gli allenatori, i calciatori e non sanno farli parlare, ripetono il già sentito - solo un arbitro sa dire quello che tutti hanno visto dell’arbitro. Se il calcio, come sembra, e destinato alla tv, il calcio in tv deve essere malefico?

Cronache dell’altro mondo – caro-elettorali bis (272)

La spesa elettorale totale negli Stati Uniti, nelle sei tornate del Millennio, ogni quattro anni dal 2000 al 2020, è triplicata: è stata di 5,3 miliardi di dollari nel 2000, e di 16,4 miliardi nel 2020. Con uno slittamento della spesa, nel coso dei vent’anni, dalla campagna elettorale presidenziale a quela congressuale. La campagna presidenziale che assorbiva il 45-50 per cento dei fondi elettorali (tutti privati, di individui, sindacati e società) nelle prime re tornate del millennio, si stima ora attorno al 40 per cento.
L’investimento medio (il costo della campagna elettorale) per ogni eletto al Congresso, sia alla Camera che al Senato, si è più che triplicato tra il 1992 e il 2022. Da 820 mila dollari a 2 milioni 790 mila per un Rappresentante, e da 7,8 milioni a 26,5 milioni per un senatore.

L’amore frigido, o del possesso

Nobildonna dominatrice, stanca di nobiluomini virili, sceglie “un bel maschio di ventun'anni”, fioraio, dai delicati lineamenti e sentimenti, “la cui anima, dagli istinti femminili, si è sbagliata d’involucro”. Un’anticipazione della queerness, della disforia di genere? Un romanzo scandalistico, come usavano a fine Ottocento, nela mitica Fin de Siècle parigina, che si ripropone in chiave lgbtqia, ma ne è al di là, o al di fuori: è il romanzo della trasgressione, dell’oltraggio, non della liberazione. Tutto quello che oggi si rifiuta e i nega – si impedisce.
La storia di “Monsieur Vénus” non è finita: quando s’incapriccia di uno spasimante della dama, lei lo fa uccidere. E se lo fa riprodurre in cera, stessi colori, stessa fisionomia, e di notte, traendolo dalla porta segreta dietro la quale lo tiene rinchiuso, ci fa l’amore – un meccanismo segreto fa muovere il manichino. Che però, s’immagina, resta freddo. “Romanzo materialista” è il sottotitolo.
Migliore storia è dell’autrice, un personaggio della Parigi Fin de Siècle. Già celebre a vent’anni per questo “Signor Venere”, suo romanzo d’esordio, con scandalo, sequestro, processo, e condanna, a due anni, con la condizionale. Si presenta come “uomo di lettere”, conduce vita “libera”, fa sapere, per un tratto esibisce come amante una famosa mantenuta, Gisèle d’Estoc, “una superba puttana”, ex di Maupassant, sposa dopo affettate resistenze l’editore Alfred Vallette, col quale fonda la rivista d’avanguardia “Mercure de France”, scopre Colette dietro il marito Willy, scopre anche Alfred Jarry, tiene un salotto frequentatissimo, benché popolato di topini bianchi, “donna caprìcciosissima e difficile” (il giovane Gino Severini).
Rachilde, Monsieur Vénus, Wom, pp. 184
€ 18

mercoledì 15 maggio 2024

Draghi, canonizzazione difficile

Draghi si, Draghi no, sta succedendo per l’ex presidente del consiglio quello che successe a Monti. Che dopo palazzo Chigi era destinato a tutto, ed è finito nel nulla – giusto la toga di senatore, regalo di Napolitano.
Il “whatever it takes” alla Banca centrale europea, il salvataggio dell’euro (e dell’Italia), lo ha portato a palazzo Chigi. Ma poi non al Quirinale. E ora, probabilmente, neanche a Bruxelles. Draghi ha dei “carichi pendenti” politici.
La smobilitazione della Banca d’Italia di Fazio, della Vigilanza e dei poteri d’indirizzo sulle banche, in obbedienza ai suoi referenti milanesi, e in particolare a Bazoli, dominus della finanza “bianca”, nonché della grande stampa lombarda, ha preparato le crisi che hanno scosso l’Italia delle banche “bianche” fuori dell’orbita bazoliana, quelle venete e del Centro Italia. E di quella “rossa” del Monte dei Paschi di Siena.
Alcune delle privatizzazioni cui aveva presieduto da direttore generale del Tesoro non sono riuscite. Specie quella della Sip-Stet, regalata ai “poteri forti”, che hanno provveduto a spolparla velocemente, distruggendo una primaria azienda, e handicappando l’Italia nella cablatura – siamo ora dove eravamo venticinque anni fa, con la Sip-Stet e il suo allora rivoluzionario sistema “Socrate”.
Solo da qualche anno la stampa di sinistra ha cessato di bollare Draghi come l’uomo del “Britannia”, il panfilo reale inglese a bordo del quale debuttò il piano italiano di privatizzazioni, per un’assemblea scelta di banchieri, in una riunione segreta, il giorno della festa della Repubblica del 1992. Dieci anni dopo Draghi diventava uno dei top manager della maggiore banca di affari, la Goldman Sachs. Incaricato anche di nuove regole internazionali sui mercati finanziari dopo il crac del 2007, ma senza esito. Fino alla cooptazione alla successione di Fazio.
Si deve a Draghi anche il cosiddetto “vincolo esterno” sulla finanza pubblica. Draghi, negoziatore per l’Italia, in quanto direttore generale del Tesoro, degli accordi sull’euro, agiva in questo caso in subordine a Ciampi, dapprima in quanto governatore della Banca d’Italia poi, negli anni 1992-1993 presidente del consiglio. Un “vincolo esterno”, cioè europeo, senza previa revisione dei criteri di spesa, anzi appesi alla spesa corrente – non si sa nemmeno a quali fini, tolto il sottogoverno: non ci sono priorità, non si danno obiettivi, non si creano infrastrutture, si sopravvive, con nuove tasse (oggi al 47 per cento del reddito, record mondiale, e senza progressività: una tassazione ingiusta, oltre che abnorme).  

Cronache dell’altro mondo – caro-elettorali (271)

Il finanziamento pubblico ai partiti politici è in America privato. Ogni citttadino, singolarmente o in associazione, ma anche ogni impresa o sindacato, in quanto “assciazioni di cittadini”, con eguale diritto quindi alla libera espressione garantita dal Primo Emedamento, può contribuire alle campagne elettorali.
I contributi devono essere registrati presso un’apposita agenzia federale.
Considerando i contributi elettorali di una certa consistenza, quindi di un certo peso sul candidato, dai 200 dollari in su, 4 milioni e mezzo di finanziatori sono stati censiti nella tornata elettorale del 2020, presidenziale e congressuale. Due milioni di sesso femminile, e due milioni e mezzo maschile.
Rapportati al totale della platea degli aventi diritto al voto, 257 milioni, solo l’1,7 per cento ha partecipato in misura consistente alla campagna elettorale. Per un ammontare totale però massiccio, 9,7 miliardi di dollari.
Hanno contribuito con 2.800 dollari o più, il 72 per cento del finanziamento totale, esattamente 415.518 persone o entità, lo 0,2 per cento della popolazione.
In cima ala piramide 349 donatori, con un milione di dollari o più di donazione. Per un totale di 1,8 miliardi, poco meno quindi di un quinto dei contributi totali – il 19 per cento.
(Open Secrets)

Banditi buoni, carabinieri cattivi

Residuati della banda della Magliana redenti e anzi virtuosi, Carabinieri infedeli e anzi cattivi. L’idea può invogliare: come ci si arriva? Ma la suspense è minima - è la politica che al solito imbroglia le carte. Il plot è un pretesto come un altro per le immagini, di caccia all’uomo e di morti sanguinose, sanguinarie. Per due ore abbondanti. Il punto centrale d’interesse è: come mai questo genere – presentato come thriller è di fatto un horror, appena contenuto – sia il preferito degli abbonati Sky, che ha un abbonamento molto caro.
Sollima cerca di bissare il successo straordinario e interminabile di “Gomorra”, dopo averci riprovato con “Suburra” - una serie di serie ormai interminabile, poiché siamo al quarto atto, prima di tutto venne “Romanzo criminale”. Con uno schieramento di prim’attori, Favino, Mastandrea, Andrea Giannini, Toni Servillo, che hanno mandato il film al festival di Venezia, e gli hanno valso candidature molteplici ai David di Donatello – solo premiati i Subsonica, per la canzone del titolo.
Stefano Sollima, Adagio, Sky Cinema, Now

martedì 14 maggio 2024

Secondi pensieri - 535

zeulig
 
Dio
- “Posso dire che in tutta la mia vita non ho mai, in nessun momento, cercato Dio. Per questa ragione forse, senza dubbio troppo soggettiva, è un’espressione che non amo e che mi sembra falsa. Fin dall’adolescenza ho pensato che il problema di Dio è un problema i cui dati mancano quaggiù e che il solo metodo certo per evitare di risolverlo sbagliando, il che mi sembrava il più gran male possibile, era di non porlo” – Simone Weil, quinta lettera a padre Perrin (“Autobiografia spirituale”): “Ho sempre adottato come sola posizione possibile la posizione cristiana. Sono per così dire nata, sono cresciuta, sono sempre rimasta nell’ispirazione cristiana”. Distinguendo cioè fra Dio e il mondo: “Mentre il nome stesso di Dio non aveva parte alcuna nei miei pensieri, aveva nei riguardi dei problemi di questo mondo e di questa vita la concezione cristiana, di una maniera esplicita, rigorosa, con le nozioni più specifiche che essa comporta”.
La distinzione, che culmina la discussione fra i due corrispondenti sull’opportunità del battesimo, che S. Weil ha contestato, vuole probabilmente marcare una distinzione netta dall’ebraismo. Ma, al di fuori del significato personale, pone delle verità a prima vista incontestabili.
 
La Cina è vicina - Da Montaigne a Montesquieu e Voltaire, e compreso anche Rousseau, la Cina fu un modello per l’iIluminismo – dopo essere stata “scoperta” dai gesuiti, innominati (e senza le riserve dei gesuiti, persone anche allora colte).
 
Moderno – Si apre su più vie. La scienza – la matematica, l’osservazione, il calcolo, la tecnica. Ma anche con il progresso, una (residuo?) finalismo della storia. Ad esso accompagna, questa la novità, la sovversione – la rivoluzione. Storicamente si definisce per incostanza, o avventurosità. È matematica e insieme metafisica – Galileo e Kant. Misurazione ma anche illuminazione. Si distingue per non porsi limiti, non precostituiti – si va all’intelligenza artificiale prima di chiedersi a che serve o se è comunque accettabile, oppure no. Alla fine moderno è novità.
 
Nazione - È settecentesca, e democratica – il fulcro delle costituzioni, della democrazia. Il cosmopolita Voltaire vi dedica preso, 1756, un “Saggio sui costumi e lo spirito dele nazioni”. Che apre con una considerazione-argomentazione a rovescio, di un riconoscimento che è anche un’utilità, una convenienza: perché dovremmo privarci di conoscere le nazioni, i corpi politici diversi dal nostro, quando ci nutriamo dei prodotti della loro terra, ci vestiamo di stoffe da loro fabbricate, ci divertiamo con giochi che essi hanno inventato, ci istruiamo con le loro favole? “La «nazione» si affaccia in primo piano, nella storia”, alla vigilia della Rivoluzione francese – F.Chabod, “Storia dell’idea di Europa”, 125: “Intendo, la nazione come «coscienza», volontà di essere nazione, e come programma, non la nazione come fatto etno-linguistico, già da secoli operante”. La nazione dei “primati” – dei “diritti” si direbbe oggi. Per un’ottica appunto “nazionalistica”, non più degli equilibri di potenza.
Voltaire distingue anche fra nazione e popolo. Nazione è gens, popolo connotato etnicamente. Popolo, “corpo del popolo”, è la nazione come si  connota politicamente, e si è organizzata come Stato.
 
Si afferma nel Settecento, in una con la scoperta e celebrazione dell’Europa – è il filo di Chabod, “Storia dell’idea di Europa”. E si afferma “da sinistra”, con argomenti “da destra”: è il mondo-tempo dei “primati”, seppure morali e civili. Ma anche, perché no, territoriali, e della specificità escludente, senza più il bisogno o il desiderio di pace, di balance of power. È il tempo della “Marsigliese”, dell’Alfieri del “Misogallo”, cioè degli “odî” nazionali, del Foscolo dei “Sepolcri”.
 
Rinascimento – È una forma mentis cristiana, religiosa: l’idea che c’è un momento nella storia dell’umanità in cui tutto è racchiuso: l’Antichità, da Pericle ad Augusto, la Rivelazione, la Rivoluzione. All’opposto della mentalità del Progresso.
Non è l’inizio della modernità – o lo è? Allora, il Progresso s’innesta in questa storia del Tutto, del compimento?
 
Sovranismo - Nasce anch’esso, come la nazione, “a sinistra”: primo sovranista si può dire Rousseau, in tutta l’opera e più specificamente nelle “Considerazioni sul governo della Polonia”, al cap. III. Nel “Contratto sociale” è arrivato a criticare Pietro il Grande per aver voluto “incivilire” la Russia, dotarla di istituzioni e attività moderne ed europee, ma di fatto l’ha “snaturata” – dei Russi “ha voluto farne dei tedeschi, degli inglesi, mentre bisognava cominciare col farne dei russi: ha impedito così per sempre ai suoi sudditi di diventare quello che avrebbero potuto essere persuadendoli che erano quelli che non sono”.
 
Storia – È più Sisifo che il masso – la storiografia. Per colpa della storia, che non è una macchina calcolatrice, si dispiega nell’immaginazione, e prende corpo in risposte multiformi. Ma gli storici hanno le loro colpe. L’umanità si muove in modo continuo, anche se vario, mentre per capire le leggi del suo moto gli storici usano unità arbitrarie, discontinue: epoche, stadi, periodi, percorsi. E così, si deve concludere con Tolstòj, “ogni deduzione della storia si dissolve come polvere”.
È come se si volesse coprire con la storia la realtà: si fanno appelli, s’invocano leggi, si creano fatalità. Ma allora – sempre Tolstoj - si può sperare di capire le leggi della storia “solo ammettendo all’osservazione unità infinitesimali, il differenziale della storia, le inclinazioni omogenee degli uomini” – con l’ammonizione: “La stranezza e comicità della nuova storia è l’essere simile a un uomo sordo che risponda a domande che nessuno gli fa”.
Ogni storia è nuova, ma è nota.
  
Verità - La verità non è bellezza. La verità può non essere bella, se non in un’estetica della salvezza, la povertà è difficile che lo sia.  
 
Viaggiare – È genere “occidentale” – raccontare i viaggi? Nell’aldilà come nei cinque continenti, e nei mari? Un europeo, la cui cultura è la curiosità, il reale lo appassiona se è vario.
Ma ora che la geografia è abolita, che faceva le distanze, e si viaggia in sicurezza a mille all’ora, si parla con chi si vuole all’istante, ci s’incontra ovunque? E le differenze pure sono abolite, o in sospetto, si mangiano a Tokyo buoni spaghetti, a Roma il sushi, e le ballerine di samba sono più belle a Parigi.
Si smaterializza anche la storia. Che però si può sempre raccontare, sulla scia di Erodoto, o evangelica, o moralista, il meraviglioso inventato dagli inglesi nel Seicento, quando da pirati si fecero signori.
 
Ottima disposizione dello spirito scovare le vene d’oro, siano pure esili. Potocki e Robert Byron creano meraviglie sull’orrido. È il disegno della povertà di chi non l’ha vissuta, un altro genere di felicità. Un libro onesto di viaggio sarebbe due volte su tre la storia degli Ik di Turnbull, indigeribile. I viaggiatori s’acquietano in Ulisse, che, nonché baro, è parto letterario. Della letteratura come teatro, a fine catartico, o al gusto del vino d’annata, consolatoria. Ma l’“Odissea” non è credibile, fa perno su una donna che aspetta un uomo, che non è mai successo.
L’ebreo errante è, come il cabalista, un bugiardo, anche se ha di che narrare.   


zeulig@antiit.eu

Il mondo capovolto dei tombaroli

Un caleidoscopio d’immagini. Di visi (occhi, nasi, acconciature), di palazzi e catapecchie, di fiori e sterpaglie, di boschi e deserti, anche di mare, grigio. Di sopra e d sotto la superficie, trattandosi di scavi di tombatoli, e dei sogni di ricchezza - impersonati dalla stessa Alice luminosa, la ricettatrice, specialista multilingue di certificati di autenticità, dentro un ufficio di acciaio, o uno yacht solare.
Il racconto è semplice. Il piccolo mondo della Tuscia semiabbandonata, con la gentildonna impoverita (una bellissima Rossellini) che alleva grandi voci, gli immigrati-rifugiati di varia provenienza, Brasile, forse Francia, forse Inghilterra, con facce da Bosnia, e i nullafacenti di paese che aspettano l’archeologo inglese. Uno umorale, che va e viene. Ed è un sensitivo, col dono di beccare il sito giusto delle tombe sepolte.
Un mondo fermo invece che in evoluzione, come lo dice il cantastorie che ogni tanto segna la vicenda. Che è come non è. Un mondo in cui il sopra è anche il sotto, e viceversa. Mentre si muore, all’inizio e anche alla fine.
Una storia non storia, senza uno svolgimento. Il racconto sono le immagini. E le musiche
Si sono citate le influenze di Pasolini, di Fellini naturalmente, e di altri. Di quest’ultimo forse più opportunamente, contando solo le immagini, i “quadri” in movimento. Con la Tuscia spettinata, sporchetta, disordinata, cara alle sorelle Rohrwacher, invece della Romagna florida.
Alice Rohrwacher, La chimera, Sky Cinema  

lunedì 13 maggio 2024

Problemi di base di verità - 805

spock


La verità viene sempre su molte bugie?
 
È la verità strumento d’inganno?
 
È la teoria propaganda raffinata?
 
La verità non è senza conseguenze?
 
D ire la verità non è fare una scelta?
 
La verità ribolle, si sa, è insopprimibile?

spock@antiit.eu

Matteotti o della politica

“Giurista, economista, amministratore, uomo pratico” e di ideali, per primo il pacifismo. “Processato per disfattismo, condannato in ripetute istanze, trattò da sé la sua causa in modo radicale, senza mai rinnegare il pacifismo”, fino in Cassazione. L’unico politico che sapesse del mondo, dove aveva viaggiato, conoscendo l’inglese. Uom non dei congressi, ma di forti convinzioni. “Il nemico delle sagre”, dei comizi con banchetto. Isolato nel suo partito perché riformista, ma soprattutto perché fatto di un’altra pasta. “Il tipo in cui si manifestò il nostro socialismo è più il tribuno che il politico, e ne venne una classe dirigente di avvocati penalisti, più oratori facondi che dottori di diritto, accomodanti per vanità e per odio della politica”.
Il ritratto di un politico quale dovrebbe essere: “Matteotti organizzatore: l’ossessione della semplicità, della chiarezza, della praticità. Esemplificava nei particolari, proponeva modelli di statuti, di regolamenti, parlando coi contadini come uno di loro”. Di più: “La sua severità di amministratore era addirittura paradossale in un socialista: sentivi in tanta rigidezza il padre conservatore”. Un politico sindacalista, contro “il massimalismo anarchico” e contro “l’opportunismo dei sindacati riformisti”.
“Il” nemico per eccellenza – Gobetti non lo dice, ma il senso è quello – dell’ex massimalistai Mussolini. Che lo fa uccidere nel 1924 ma lo perseguitava, anche con bastonature, dal 1921. Nel 1920, in buona misura a opera di Matteotti, tutti i 63 comuni del Polesine risultarono amministrati da socialisti.
Una rivendicazione politica, a caldo subito dopo l’assassinio. Ma anche un ritratto, come dice il sottotitolo. Molto è della vita di Matteotti. Pacifista, viene arruolato in guerra malgrado le non buone condizioni fisiche. Soggetto durate la naja a maltrattamenti, a Mesina dapprima e poi a Campo Inglese. “Matteotti non fu mai popolare. Tra i compagni era tenuto in sospetto per la ricchezza” (“la fortuna della famiglia Matteotti era valutata prima della guerra a 800.000 lire di beni immobili, tutti sparsi nella provincia, in piccoli lotti, comprati d’occasione d’anno in anno”).
Trascurato per il centenario dell’assassinio, è il ricordo del leader socialista più immediato e, alla rilettura, duraturo. Scritto da Gobetti a caldo, subito dopo l’assassinio, con l’ausilio di Aldo Parini, un sindacalista del Polesine collaboratore di Matteotti, pubblicato a caldo su “La Rivoluzione Liberale” l’1 luglio 1924, e in libro un mese dopo. Riscoperto e riproposto in varie edizioni subito dopo la guerra, in ambito liberal-socialista – forse per questo rimasto fuori dalle celebrazioni, monopolizzate da ex Pci.
Una riedizione vecchia, già di trenta anni, e nuova. Larga parte è dovuta al curatore, lo storico Marco Scavino. Con una nota al testo, e una corposissima appendice, comprendente le bio di Matteotti e Gobetti, e la cronaca dettagliata di come Gobetti “coprì” l’assassinio di Matteotti per tutto il 1924. La cronaca è anche delle prese di posizione politiche di Gobetti e altri oppositori, e cioè di una serie di errori politici, tutti più o meno noti: l’opposizione liberale all’ipotesi Giolitti, don Sturzo “convinto” dal Vaticano a emigrare a Londra, dal papa Pio XI che pure temeva Mussolini, l’“Aventino”.  
Piero Gobetti,
Per Matteotti
, il Melangolo, pp. 109, pp. vv.

domenica 12 maggio 2024

Ombre - 719

Prime pagine da fine del mondo: “Tajani scarica Giorgetti”, “la Repubblica”. Nientedimeno, è crollato il governo?  “Superbonus, lite nel governo”, “Corriere della sera”. Si tratta della rateizzazione del superbonus, la “scarpa di Lauro” dei governi Conte che tanto ci è costato e ci costa. I costruttori invece, quelli della rateizzazione, ci ragionano: “Avviamo insieme il lavoro di riordino dei bonus”, propone la loro presidente Brancaccio - che giusto “Il Sole 24 Ore” ha avuto l’idea di sentire.
 
Senza osare dirlo (la “sinistra” è cattiva, specie nei media, che domina), il massmediologo Grasso denuncia sul “Corriere della sera” “l’ironia, specie se facile, attorno al «circo Meloni»: “Tutti a ridere del «circo Meloni», senza però alzare le tende”. Come già con Berlusconi – tanto più che “la lezione di Silvio Berlusconi” trova “non più applicata alla tv generalista ma estesa anche al web”. Sì, al punto che veniva da chiedersi, nei trent’anni di Berlusconi, non pochi, se la “sinistra” mediatica, non essendo stupida, non fosse amica del giaguaro.
 
Quei “fascistoidi tamarri da curva sud” ha felicemente Mephisto, il “diavolicchio” del “Sole 24 Ore Domenica”. Ma non sono quelli che si penserebbero, sono quelli che si riempiono la bocca del “radicalchicchismo”, inchiodati “all’ego del peggior scalfarismo”. Troppi delusi a “sinistra”.
 
“Nel Paese 10,4 milioni di madri: un giacimento di competenze ignorate”. Fa uno speciale il giornale della Confindustria per la festa della Mamma e trova una miniera a cielo aperto: “Il paradosso italiano: donne più istruite degli uomini, ma tenute ai margini del mercato del lavoro e confinate nelle attività di cura non retribuite. Uno spreco degli investimenti in formazione”. Lo spreco fa sorridere (bisognerebbe tenere le donne in cattività?), ma è comunque vero.
 
Bisogna scandalizzarsi, ma per che cosa? Tanto si sa come andrà a finire: tra dieci anni Toti&Co. saranno assolti, i sostituti Procuratore saranno diventati Procuratori capo, i maggiori della Finanza colonnelli, la giudice Faggioni presidente di Tribunale. Bisogna credere. Che la giustizia è per loro, per gli inquisitori.
 
Come ci difende da un'accusa di 90 mila pagine? Novantamila. Filtrata giorno per giorno per una o due ipotesi di reato, con una o due intercettazioni a sostegno? Anche solo novemila pagine. Proust ne ha scritte la metà, più invoglianti, ma vuole tempo.
 
Quante pagine avrà letto la giudice Faggioni delle 90 mila, per disporre gli arresti? C’era la flagranza? Il pericolo di fuga? Di manomissione delle prove? Quali prove? La grande riforma della giustizia sarebbe non averci a che fare.
 
Sei “legni”, tra montanti e traverse, e zero goal per il Psg nella semifinale col Borussia-Dortmund,  che invece ha tirato due volte in porta e ha fatto due goal, andando in finale. Di che dare ragione all’aborrito allenatore della Juventus, che il calcio è crudele.8
Anche la Roma col Bayer, trafitta al quasi ultimo minuto dal suo miglior giocatore, Mancini, e miglior fico della Nazionale di Spalletti, che da tanti goal aveva salvato la sua porta.
 
C’era molto da dire sul dopopartita Psg-Borussia – l’addio di ‘Mbappé senza il trofeo, l’addio dell’arbitro Orsato, eccetera. E invece è stato il dopopartita degli avvocaticchi, se Orsato doveva o no dare un rigore al Psg – che non avrebbe cambiato il risultato. Una cosa asfissiante. Solo Mauro dice una parola di buonsenso, da atleta – sul ralenti,  il taglio immagine, l’illuminazione, etc, mentre in campo si corre. Ma non basta a non cambiare rete. Sarà stato uno sciopero bianco della redazione sportiva a Mediaset: come far perdere l’azienda per un evento così costoso.
 
Dei dodici europarlamentari 5 Stelle che ora concorrono con partiti avversi, dieci sono donne. È un caso di genere? 5 Stelle era un partito femminile e ora non lo è più? O ora non promette più un’elezione sicura?
 
Gabanelli e Ravizza fanno il conto sul “Corriere della sera” dei tanti candidati-civetta alle Europee che poi non vanno a Strasburgo: “Dal ’94 sapevano già di rifiutare il seggio 24 leader di partito (la “Seconda Repubblica” partiva con 24 “leader di partito”? – n.d.r). Oppure: “Nel 2019 prende 92 mila voti, ma cede e Fiocchi con 9.300.  E si sono dimessi in anticipo in 66. Un trucco solo italiano”. Cosa non si fa per beneficenza – uno stipendio europeo per gli incapienti.
 
Capita di leggere il tascabile Pasolini sul calcio (“Il mio calcio”) mentre “La Domenica Sportiva” sbeffeggia la Juventus, dopo Roma-Juventus: Panatta (Panatta?), Adani, Rimedio. E non sono romanisti, non che si sappia, e sembra che non abbiano nemmeno visto la partita - che è stata una bella partita, tecnica, agonistica. Povertà del giornalismo? della Rai?

Bruno, Vico e la complessità

“Bruno sa che all’uomo è concesso soltanto di afferrare e di vivere «l’ombra delle idee», e Vico conclude la sua opera, alla vigilia dell’Illuminismo, con l’esito per lui già visibile della «barbarie della riflessione» che stava invadendo il mondo” – “quel razionalismo calcolante e matematizzante, privo di interna storicità, da cui, secondo il Cartesio letto da Vico, era nata finalmente la ragione moderna”. Tenendo conto che “l’epoca di Bruno anticipava di poco quella di Galilei, dell’immagine dell’universo scritta in caratteri matematici, un nuovo modo di conoscere la natura”. Il Moderno si apre su più vie. Un passo in più, in avanti e non indietro, e questa “filosofia meridionale” si apre – apre la via, comunque si collega – alla riflessione sull’essere che da quasi un secolo ormai tormenta il pensiero.
Tirando le fila, a 93 anni, di una lunga pratica riflessiva, Biagio de Giovanni parte da una constatazione: la filosofia è meridionale – la riflessione intitola “Giordano Bruno Giambattista Vico e la filosofia meridionale”, ma la congiunzione è di fatto una copula: il titolo è un’affermazione, la filosofia è meridionale. In antico e nella modernità.  “La filosofia occidentale nasce … in Magna Grecia, e si diffonde ad Atene”. Modernamente, “per citare i sommi, Telesio, Campanella e Bruno sono disseminati tra Calabria e Campania. E poi viene il Vico napoletano”. E ancora, parlando dell’Italia unita, “i primi «hegeliani» d’Italia e d’Europa sono i napoletani, Bertrando Spaventa su tutti, che era di Bomba, in Abruzzo, ma napoletano nella sua vita filosofica. E infine i grandissimi del Novecento: Croce e Gentile”. Certo, dice, al Nord non mancano i filosofi, “da Marsilio Ficino ad Antonio Rosmini”. Ma, se si parla di “filosofi che hanno contribuito a cambiare la storia e la logica del pensiero umano, il Mezzogiorno resta un confine abbastanza solido e sicuramente carico di nomi”.
Con qualche problema: “La maggioranza dei filosofi citati, i massimi, manifestavano tutti qualche diffidenza critica verso l’irrompere della rivoluzione scientifica, quella iniziata da Galilei”. Compreso Campanella, che pure, benché in carcere, lo difese, facendo pubblicare una “Apologia di Galileo”. Fino alla “violenza polemica di Federico Enriques contro Croce che invitava gli scienziati a calcolare, non a pensare”. O quella anti-cartesiana di Vico, altrettanto violenta, contro “una razionalizzazione che disprezzava la storia”, contro il cogito-ergo-sum, “una ragione che dubitava del mondo, ma non di sé”. Vuole però salvare la metafisica, contro “l’equazione filosofia-metafisica-arretratezza”: la metafisica è “un tratto decisivo per fondare l’Europa quale continente della libertà”. Senza contare, “e non è cosa da poco, che nel Mezzogiorno d’Italia si afferma la statualità, e in Europa non c’è filosofia che conti senza Stato”.
Da Bruno a Vico è il tema, ma in realtà de Giovanni si spinge fino a Gentile: “Gentile iniziò la sua battaglia filosofica contro il positivismo, già in declino, ma ancora presente, una cultura che egli definì «maledetta », in cui la scienza sembrava voler creare l’unico cammino possibile della ragione e perfino della storia”. Una battaglia non di retroguardia se l’ultima frontiera della scienza, il Nobel della Fisica a Giorgio Parisi, è la “complessità”: l’accettazione in termine scientifico del busillis filosofico definito-indefinito.
Biagio de Giovanni, Giordano Bruno Giambattista Vico e la filosofia meridionale
, Edizioni Scientifiche, pp.143 € 12