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venerdì 24 maggio 2024

Problemi di base intelligenti artificiali - 807

spock


Perché non si eviterebbero le guerre con l’intelligenza artificiale?
 
O sarà sempre guerra, con l’intelligenza artificiale?
 
Come saranno il bene e il male con l’intelligenza intelligente?
 
E la verità con il falso?
 
O anche l’intelligenza in laboratorio sarà stupida – potrà esserlo?
 
E dirà le bugie?

spock@antiit.eu

Giallo scolorito

Ogni mese un racconto. Con tutti gli autori di casa Sellerio, Camilleri, Piazzese, Manzini, Malvaldi, usw. Una raccolta disuguale, con poche perle. È scialbo perfino Camilleri, che doverosamente apre la raccolta: è gennaio, è la Befana, e Camilleri fa omaggio al suo pupillo Savatteri, mettendo in scena Saverio Lamanna, lo scrittore-detective della serie “Màkari” - ma in tutti racconti si fa in genere omaggio di sfuggita a un autore della casa: più che una antologia è una celebrazione. Al BarLume Malvaldi si fa allettare da internet, dal mercato globale, tristemente. Ad aprile il biblioterapista di Fabio Stassi è ancora più gelido, volendo riprodurre Garcia Marquez, “L’amore al tempo del colera”.
Specialmente freddi i racconti di autrici. Agnello Hornby è debolissima – si può capirla, è nell’antologia per fare numero, non essendo giallista, e partecipa con un racconto, sembra di capire,  della sua preistoria di giudice dei minori, databile pare al 1983. Melenso il giallo turco, di una pur acclamata Aykol: Erdogan soffre di epilessia? La Petra di Giménez-Bartlett è sempre più spinster, moglie di un uomo al terzo matrimonio, con due figli da mogli diverse, e ha il terrore dei “doveri coniugali” – beve anche, molta birra naturalmente.
Di notevole il fenomeno delle baby-gang a Londra nel racconto di Agnello Hornby, sudamericane e caraibiche, specie se il racconto è del 1983 – ma anche per il 2017, quando la compilazione è stata fatta, è un’anticipazione notevole.
AA.VV., Un anno in giallo, Sellerio, pp. 536, ril. 1+1 €10

giovedì 23 maggio 2024

La Dc tedesca torna guardiana contro l’estrema destra

La Cdu-Csu cerca in Europa e a Bruxelles una sponda a destra, per contrastare in casa l’Afd, il partito di estrema destra che aumenta i consensi in Germania. Ci ha provato con Salvini dopo la vittoria della Lega alle Europee del 2019. Corteggia Meloni da quando ha vinto le elezioni. Subito con Manfred Weber, il presidente dei Popolari europei, venuto a incontrare Meloni in qualità di presidente dei Conservatori europei. Poi con Ursula von der Leyen. Ora con Söder, il presidente della Baviera e leader della Csu, dei cristiano-sociali bavaresi.
Compito precipuo di democristiani in Germania è stato nella Repubblica di Bonn e di più adesso, con la valanga Afd, nella ex Germania Est e altrove, di controllare e ridimensionare le tentazioni nazionaliste oltranziste. Compito assolto dalla Csu principalmente, la democrazia cristiana bavarese, ma anche della Cdu: prevenire e contenere una deriva di estrema destra.
I quattro cancellierati Merkel hanno lasciato un’area molto vasta libera a destra – la cancelliera operava soprattutto contro la concorrenza a sinistra, socialdemocratica, attuando politiche di sinistra (migranti, salvataggi, intese con la Russia, abbandono del carbone, abbandono del nucleare, diritti della persona).

E adesso, povero Elkann

 12 maggio, Atalanta-Roma 2-1.
15 maggio, Juventus-Atalanata 1-0, Coppa Italia.
22 maggio Bayer-Atalanta 0-3, Europa League. Con tre goal di Lookman, lo stesso centravanti di Juventus-Atalanta.
Gande festa dell’Atalanta e dei suoi sostenitori. Diventati per una note 6 o 7 milioni, quanti ne hanno seguito l’impresa in tv, un record. Mentre subito dopo la vittoria sull’Atalanta e la coppa Italia, il patron della Juventus ha licenziato l’allenatore, “non compatibile con i valori dela Juventus” e le tradizioni della Casa. Una Casa che aveva tramato per quattro mesi contro questo allenatore – per non pagargli l’ingaggio pattuito. Innervosendo i calciatori. E allertando i loro manager, a convulse cacce per uscirne indenni al meglio – per quatro mesi era questo l’“allenamento” tra una partita e l’altra.
Elkann possiede giornali importanti, e i giornalisti lo trattano con riguardo. Ma ha rivoltato il potere e il fascino della Famiglia, della Fiat – che peraltro ha subito venduto. Non ha nuovi fan Juventus tra gli adolescenti, non offre nessuna sorpersa, nessuna meraviglia, e allontana i veterani. Come ha fatto con la Ferrari, che ha gestito con dirigenze e tecnici incredibili, ancora più degli incapaci che msso in capo alla Juventus, lasciando i nuovi appassionati, e anche i vecchi, alle imprse di Hamilton per un decennio e ora di Verstappen. Tramando, anche qui, contro i suoi piloti, quelli che paga.
Ora, essere popolari richiede un’arte. Ma un minimo di decenza, personale, contrattuale, in affari?

Ma mezza Europa combatteva nelle SS

Si fa scandalo, si scandalizzano anche Salvini e Le Pen, perché il capo dell’estrema destra tedesca Afd al voto europeo, Maximilian Krah, ha detto: “Non direi mai che chiunque indossava una uniforme SS era automaticamente un criminale”. Si fa finta di non sapere che le SS combattenti era a fine guerra 900 mila. Di cui 500 mila erano ucraini (330 mila ucrani fecero domanda di arruolamento, 30 mila furono accettati), russi, croati, sloveni, serbi, cosacchi, cechi, mussulmani della Bosnia ed Erzegovina e dell’Albania. E norvegesi, danesi, olandesi, fiamminghi, valloni, francesi (la divisione francese Charlemagne si distinse nella difesa di Berlino a fine guerra), spagnoli. Organizzati in 25 delle 38 divisioni delle Waffen-SS.  Volontari, non reclutati di forza. Che poi sono stati pensionati dalla Repubblica Federale.

Il giallo donna

Impaginato come un catalogo, molto illustrato, il volume raccoglie le fantasie dell’autrice, la prima e a lungo unica libraia americana specializzata in gialli, su tutto ciò che è donna nel genere. Autrici, misfatti, trucchi, per uccidere o per scoprire il colpevole. Una escursione in un mondo tutto femminile, come se il crimine, praticato o immaginario, fosse femminile.
L’autrice si è divertita: “Tutto cominciò in modo innocente: un omicidio al giorno, assaporato nell’intimità della mia poltrona. Poi diventai insaziabile”. Il gotico. Il soprannaturale. Il sesso. Il perché? Con molti ritratti di autrici. Molti aneddoti, motli casi (bambini, matrimonio, gita…).
Un capitolo è “Certe ambigue signore”, che comincia: “Una volta per tutte, aboliamo il mito dela brava donna”, eccetto lo strangolamento riesce loro tutto – “le donne uccidono tanto spesso quanto sono uccidse”. Che in tempi di femminicidi sembra superato – o no?
Un divertimento, per ridere. Ma anche un’opera anticonformista in anticio sui tempi, già antifemminista – anti femminismo della diferenza – agli albori del femminimso, come se sapesse in anticipo dove si si sarebbe andati a finire.
Un volume da raccolta. Da leggere, compulsare, tenere.
Dilys Winn, Anonima assassine, Milano Libri pp. 270, ill. pp. vv.

mercoledì 22 maggio 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (560)

Giuseppe Leuzzi

Tra il 2016 e il 2023, gli anni repertoriati da Banca Intesa in uno studio sulle esportazioni, quelle dal Mezzogiorno sono aumentate in misura maggiore rispetto al resto d’Italia. Il Mezzogiorno è – resta – miserabile e irresponsabile per la parte Pubblica, Comuni, Regioni, Stato – pulizia, polizia, strade e altre opere pubbliche, sanità. Per la debolezza (arretratezza) politica, ferma ai favori.
Se non che Comuni e Regioni sono gestiti da meridionali, e in gran parte anche lo Stato. Infetto è lo “Stato”, l’amministrazione pubblica, del Meridione.
 
“Il Sole 24 Ore”: l’Italia ha il maggiore consumo pro capite di olio d’oliva; “in Italia 3 bottiglie su 4 di olio d’oliva sono straniere”; la produzione di olio in Italia è concentrata, l’80 per cento, in Sicilia, Calabria, Puglia. Dove i produttori, si può aggiungere, lamentano scarsa redditività, mancanza di manodopera, parassiti vari. Più che l’affare poté il lamento.
 
L’olio nei bistrot e ristoranti delle tre regioni, in bustina o nell’oliera (oggi bottiglietta da un decimo), è solitamente di Crescenzago, o di Lecco. Dove non ci sono ulivi. Il Sud vuole far rifiorire le aree dove non cresce l’ulivo? In una prospettiva green?


Si digiti: Orlando Sculli, “I palmenti di Ferruzzano”, Ibs-la Feltrinelli risponde vari titoli de “I Bastardi di Pizzofalcone” – anche un “Leoni di Sicilia”. Li lega come Sud. Un riflesso condizionato - là sotto è terra incognita?

 
“L’Italia è la nazione che, tenuto conto della sua superficie, ha più dialetti”, Stefano Lanuzza, “Storia della lingua italiana”, 70. E più in uso, correntemente.
 
Nel 1923 la riforma scolastica di Gentile “ridimensiona il ruolo della grammatica nei programmi scolastici” e, contro le stesse opinioni fasciste, afferma il ruolo positivo dei dialetti”, id. p.73.Nel 1926 se ne vieta l’uso per decreto – anche se “continuano ad essere utilizzati da maestri e alunni”.
 
“Informazione, poche le voci per il Meridione”, lamenta “Il Quotidiano del Sud”, e chiede “una par condicio territoriale”. Ma un problema insorge: Bruno Vespa, che è abruzzese, lo consideriamo settentrionale?
 
Il Sud si riforma facile con Sgarbi
Candidato alle Europee al Sud, Sgarbi fa campagna elettorale, spiega al “Corriere della sera” senza comizi né pranzi, semplicemente si fa vedere, passeggia. “Mi conoscono tutti, dai nove ai novantanove”, e con simpatia. Fece cos’ anche trent’anni fa, eletto nella circoscrizione jonica della provincia di Reggio Calabria – con i voti de
i radicali di Giustizia Giusta, delle famiglie dei carcerati. E fece poi il deputato, sempre “di strada”. Incivilendo con semplici consigli, ascoltati: la pavimentazione a Gerace, Serra San Bruno, Mileto, il colore delle case a Ardore, eletto borgo dei gelati tanti erano, e sono, i gelatai, la riscoperta di Mattia Preti a Taverna. E la gente obbediva, le strade si pavimentavano. Poi al solito si scocciò, e abbandonò la Calabria. Poi ci ripensò e si fece sindaco in Sicilia: si candidò e fu eletto sindaco, con notevole beneficio di Salemi – sindaco lo sarà poi di molti paesi, ora lo è di Arpino, sopra Formia.
Alla domanda di Alessandra Arachi: “Come si muove lei tra i paesi del meridione?” può rispondere: “In tutti i paesi dove vado trovo qualcosa di me”. Proseguendo con una “sgarbiata”, ma non una insensata: “Rappresento il riscatto italiano del Meridione. È lì il futuro, in quello che è celato e che deve venire fuori. Come succede a Pompei, continuamente. Questo non c’è in nessun paese del Nord”. Lui, da solo, ha fatto molto. La buona politica, semplice, fattiva, può molto.  
 
La mamma  finisce col mercato
La “mamma” italica, l’invenzione dell’ultimo Corrado Alvaro, 1952, non è più. Non è scomparsa, è impossibilitata. Cioè, è praticamente impossibile fare la mamma – del “mammismo”, che è propriamente l’invenzione di Alvaro, non si sa, perdurando i “bamboccioni”, i figli amati che non se ne vanno di casa.
Gli studi convergono che, anche volendolo, è praticamente impossibile fare la mamma in Italia. Cioè avere figli. A meno di non lasciare il lavoro. Cioè di avere una situazione patrimoniale o familiare tale che consenta alla madre di dedicarsi esclusivamente ai figli.
Ma anche in questo caso, la maternità non è poi agevole. Il declino demografico si accompagna infatti con la “legge ferrea” del salari, che non è stata formulata da nessuno studioso ma è nei fatti: la concorrenza comprime e riduce il salario, il valore reale del reddito. Una concorrenza o mercato a cui non si può nemmeno opporre una preclusione politica, anti-capitalista. Perché si esercita a vantaggio sì dei pochi fortunati in carriera, ma soprattutto delle sterminate dell’Africa e dell’Asia, i quattro quinti della popolazione mondiale che erano rimasti fuori fino a trent’anni fa del perimetro della concorrenza – la concorrenza era anche una rete protettiva. Ora lo steso lavoro si può fare, a costo inferiore, e con resa anche maggiore, in un qualsiasi borgo dell’Europa orientale, o della Cina,  dell’India, o del Marocco, del Sudafrica, della Nigeria.

Sardegna, il futuro è il passato
Emilio Lussu pubblicava su “Il Ponte” (n. VII, 1951) tre quarti di secolo fa, sotto il titolo “L’avvenire della Sardegna”, un ritratto secco e  preciso, non benevolo, “critico”, sulla sua isola – con categorie che si applicano a molta parte del Sud, Calabria, Lucania, salernitano, Salento. Partendo dalla domanda: “Perché la Sardegna ha vissuto un periodo così lungo di vita meschina?”
 
Per l’atavismo. “Soffriamo di complessi che sono certamente in gran parte ataviciNoi conosciamo bene il nostro stato e vediamo le nostre debolezze: li confessiamo a noi stessi, ma non amiamo che gli estranei li facciano propri
 
Per l’asocialità. “Ma questa unità psicologica non ci ha mai unito, né ci unisce tuttora. Poiché la disunione è la prima nostra impronta. Noi siamo tuttie i nostri figli lo saranno certamente meno di noimala­mente individualisti, con tutti i guai che l’individualismo, questo orgoglio mal piazzato comporta…
“La nostra ostinazione a non voler ammettere la fatale sconfitta collettiva come popolo ci ha offerto solo la rivincita di un ripiegamento sulla personalità del singolo….
“Noi siamo stati sempre disuniti e nemici fra noi stessi, sotto gli spagnoli, sotto gli aragonesi, sotto i giudicati, sotto i romani, sotto i cartaginesi, sempre. Loro solo erano uniti. Il loro Stato non era il nostro Stato, e impotenti a sbarazzarcene, ci ripiega­vamo su noi stessi, ognuno per proprio conto, nella famiglia e nel villaggio: e villaggio contro villaggio, l’uno contro l’altro nel­lo stesso villaggio”.
Fra i sardi il fenomeno è molto più marcato: “A Sassari gli abitanti oltre la regione cittadina, sono ancora chiamati «i sardi»… Giovanni Siotto Pintor, che appartiene alla borghesia colta della prima metà del secolo XIX, scrive la Storia civile dei Popoli Sardi del suo se­colo. Popoli sardi, quasi che la Sardegna fosse un impero di popoli vari, e non un’ isola di malapena 500.000 abitanti, a quell’epoca”.
 
Per il malgoverno. “Dal periodo aragonese alla metà del secolo XIX i contadini e i pastori lavoravano per mantenere in vita oltre 350 feudatari, tanti l’Isola allora spopo­lata più che non oggi, ne contava, compresi quelli viventi in Ispa­gna. Vero è che se i sudditi erano miserevoli, i signori non lo erano meno. Dovevano vivere solo di albagia come, ogni collina un castello, la piccola nobiltà di Guascogna affamata. Le loro case sono la testimonianza della loro piccola vita. Nessun palazzo di antico feudatario esiste da noi che assurga alla dignità del modesto edifizio per la servitù che a Pesaro i duchi di Urbino posero di fronte alla loro signorile dimora. Niente di grandioso essi hanno costruito o conosciuto, all’ infuori della loro ingordigia”.


Per l’impolitica. “Fino al ‘900, niente lotta politica”.
“Non abbiamo avuto neppure la guerra partigiana”.
“Ci è mancata l’arte. E’ che anche l’arte è storia. E perciò, non avendo avuto l’una, non potevamo avere l’altra”.
Le tanto decantate nostre qualità ataviche - sentimento dell’onore, coraggio, disciplina, lealtà, fedeltà alla parola data ed altre consimili – sono favole. Non siamo né migliori né peggiori degli altri. …. E la nostra costanza - l’ostina­zione – è la stessa nel bene e nel male. Abbiamo troppo sofferto sempre, perciò la nostra caratteristica non è la bontà: direi anzi i1 contrario. Noi siamo tutti piuttosto cattivi, a freddo, senza tra­sporti sentimentali…
“La nostra umanità è nel profondo della nostra sofferenza che ci è stata tramandata da una generazione all’altra.
“Questa umanità è legata al ricordo del dolore dentro di noi, e che finora non abbiamo espresso in forma creativa, neppure in politica, e tanto meno in politica.”
 
Cronache della differenza: Calabria
La segretaria storica Pd di Cosenza, Jlenia Sardana, licenziata il 31 dicembre 2022 per riduzione del personale, scopre che le devono alcune mensilità, e naturalmente aspetta la liquidazione. Non arriva niente, e allora si rivolge alla Cgil. Che fa causa al Pd. Il Tribunale le dà 
ragione, ma scopre che è stata contrattualizzata solo sette anni, prima era in nero.

 
Settis ricorda sul “Robinson” Vincenzo Di Benedetto, grecista alla Normale di Pisa, ne ricorda “la prodigiosa padronanza che aveva del greco classico. Si diceva scherzando chela sua prima lingua era il calabrese e la seconda il greco antico”. E aggiunge: “Il suo non era solo talento filologico, ma qualcosa di intimamente connesso alla lingua calabra”. Una “lingua calabra” non c’è, ce ne sono almeno due: una è il cosentino, latino, il reggino invece è greco, basicamente.
Il dialetto non è una lingua, ma in un senso è di più, è un linguaggio, della persistenza.
 
Se così è, Di Benedetto è però un’eccezione. Nato a Altomonte, cresciuto a Saracena, studi a Castrovillari, cioè tra i Casali di Cosenza e l’Alto Jonio, o Sibaritide. Dove evidentemente la Grecia s è conservata sotterranea, sebbene solo di recente rintracciata, nello stesso sito di Sibari, a Trebisacce (Micenei), e altrove.
 
Rizziconi, pase di commercianti industri, e di famiglie di mafia, celebra il campionato dell’Inter con  una gigantografia, “Rizziconi è nerazzurra”. Nove metri per tre: un notevole impegno grafico. Anche il telaio è solido, e l’impalcatura di sostegno. Poi si dice che il Sud manca di applicazione, e di capacità.
 
Si torna a non votare a San Luca, nessuno si candida. Ci sono un sindaco e una giunta che hanno fatto bene, candidati cinque anni fa dal questore di Reggio. Parsimoniosi anche, non hanno speso un euro per sé e lasciano una cassa piena, dopo le micragne dei commissariamenti prefettizi. Ma hanno ricevuto un avviso di garanzia, anzi tre. Cinque mesi fa, quando si cominciava a pensare al voto. Gli avvisi sono caduti nel nulla, ma il sindaco li ha letti come un “avvertimento”, nel linguaggio del luogo.
Che il linguaggio possa essere comune e mafia e giudici sembra strano, ma non o è. È che il sindaco propende per la destra, per Forza Italia, e il Procuratore di Locri per la sinistra.
 
Si apre a Cosenza “Adolphe”, il romanzo di Constant della caduta di Napoleone che fece epoca - un po’ (un po’ meno) alla “Werther” di Goethe, che l’aveva preceduto di mezzo secolo, e di qualche rivoluzione. Constant dice di averlo ritrovato in un albergo di Cosenza, dove non era mai stato. Ma il nome era nelle memorie degli ufficiali napoleonici dieci anni prima – “Adolphe” è di prima delle rivolte calabresi, scritto di getto, pare, nel 1806, ma è scuramente rivisto dieci anni dopo, per la pubblicazione.
 
Una storia che non si fa (si sa), quella delle rivolte “massiste” in Calabria contro la Francia, tra il 1806 e il 1809, che pure hanno lasciato molti segni.


leuzzi@antiit.eu


Italianità della Meloni

“Italianità delll Meloni”, in italiano, è il titolo online che la rivista dà alla corrispondenza dell’inviata speciale a Roma a due anni dalla vittoria elettorale e l’insediamento a palazzo Chigi. Una corrispondenza centrata sulle “nuove priorità culturali del governo” della “prima donna al governo in Ialia e primo leader di estrema destra a governare nel cuore dell’Unione E uropea”. Un ritratto perfino benevolo, sapendo che la rivista è molto progressista.
Il ritratto è di “un raccogliticcio partito di opposizione al potere per la prima volta, pronto a esigere qualche punizione e voglioso di mettere i suoi fidi in posizioni importanti ma privo di una lunga fila di dirigenti sperimentati e di intellettuali presentabili”. E dell’aggiornamento (“mainstreaming”) di una destra postfascista che cerca di rifare un po’ la storia, enfatizzando, sottovalutando. Ma che tenta, spesso con goffaggine e carenza di nuove idee, di creare una destra moderna in un paese che manca di una tradizione conservatirce (paragonabile, per fare un esempio, ai conservatori Uk), a parte il fascismo”.
Il giudizio è più scettico sul Paese: “Soprattuto, è l’immagine di un paese che invecchia preoccupato del futuro e ancorato a un’idea di passato”. Che spiega la destra: “Più si penetra in Italia, più si capisce perché tante innovazioni politiche qui sono state di destra: Futurismo, fascismo, la politica personalistica e postideologica di Silvio Berlusconi, il tecnopopulismo e la rabbia social che nell’ultimo decennio hanno portato al potere partiti anti-establishment e di destra”. Non proprio nell’ultimo decennio, ma quasi.
Rachel Donadio, Meloni’s Cultural Revolution, “The New York Review of Books” 6 giugno, online

martedì 21 maggio 2024

Ma la Cina non è vicina a Mosca

Putin a Pechino, un giorno sì e l’altro pure. Xi paterno benedicente. Sembra un idillio. E ha cancellato un dato di fatto geopolitico e storico? La Russia del Novecento si riteneva assediata. Dalla Germania, anche dalla Germania divisa, che in parte presidiava. E dalla Cina. E confidava negli Stati Uniti per allentare la morsa.
Non è una barzelletta, è un fatto. Noto agli storici, quando si faceva storia. Ne dà un quadro plastico Giulio Bollati in una delle brevi prose ora pubblicate come “Memorie minime”, “Il tartufo di Kruscëv”, su una intervista nel 1964 al leader sovietico, da parte diuna minidelegazione composta da Giulio Einaudi, Vittorio Strada e lo stesso Bollati, accompagnati da Clara Strada e Renata Einaudi, che doveva servire da prefazione a “un suo piccolo libro”.
Invece che per mezz’ora, Kruscev parlò per ore. “Non presi appunti e non ricordo i particolari”, scrive Bollati, “ma ricordo bene il senso e il tono del discorso che Kruscëv ci fece, accalorandosi via via che parlava. Il centro di quel discorso era un’immagine: la Russia stretta in una tenaglia,  formata dalla Germania a ovest, dalla Cina a est….La speranza era che gli americani capissero e diventassero amici”.
Bollati dice che quella fu la vera novità dell’intervista: “La novità vera era per noi quell’accenno a una Cina ostile, assolutamente inconsueto a quella data”. E più in là esuma “un altro racconto, più serio, che ci aveva fatto Lazarev, lo storico dell’arte, e che sul momento non avevo capito. Era, ci disse, un suo incubo ricorrente: milioni e milioni di cinesi, uomini donne vecchi bambini, passavano il confine e avanzavano lentamente verso Mosca. Impossibile fermarli. Camminavano notte e giorno e si avvicinavano a Mosca”.

La proliferazione nucleare

Ci sono testate nucleari e scorte di plutonio in grado di distruggere ogni forma vivente, e anche qualcosa di più. Le testate nucleari censite sobo 13.400. Le scorte di plutonio dichiarate (come civili) sono 370 tonnellate. Poiché si fabbrica una bomba di media potenza con 6 kg. di plutonio, le scorte denunciate consentirebbero di fabbricare altri 62 mila ordigni nucleari.
Le 13 mila testate nucleari censite sono così suddivise: Russia 6.370, Stati Uniti 5.800, Cina 320, Francia 290, Gran Bretagna 195, Pakistan 160, India 150, Israele 90, Corea del Nord 35. Le scorte di plutonio dichiarate sono: Gran Bretagna 116,4, Francia 106,2, Russia 64,5, Stati Uniti 49,2, Giappne 45,1. L’alta quantità di plutonio immagazzinato in Gran Bretagna e Francia deriva dalle centrali nucleari a uso civile. I due apesi immagazzinano anche molto plutonio di altri paesi, derivato dal ritrattamento delle scorie delle centatrli nucleari  a uso civile - delle 45,1 tonnellate di plutonio di cui dispone il Giappone, quatro quinti sono in Francia, dove vengono ritrattate le scorie delle centrali.
Su Hiroshima fu usata una bomba a uranio arricchito, su Nagasaki una al plutonio. Dal 1962, quando gli Stati Uniti provarono la prima bomba termonucleare, l’armamento nucleare è da combinazione fissione-fusione, o plutonio-idrogeno.

Quando Calvino finì in prigione

L’infanzia in Molise, a Benevento e Boiano, il padre inquieto, ingegnere della Edison, che poi sceglie l’Africa, Parma che è la sua città, benché affrontata il primo anno con accento molisano, a scuola da Attilio Bertolucci e Pietrino Bianchi, e alcune avventure minime. La gita quasi aziendale in cinque, in Francia, Costa Azzurra, interrotta al primo albergo dall’arresto e l’espulsione di Calvino, “persona non grata” per avere “partecipato a un congresso dei Partigiani della Pace”. Una giornata a palazzo Leopardi, coccolato dalla contessa, e dalla sua bella famiglia, i  ragazzi, il marito, alla vana ricerca dei “figurati armenti” di Giacomo sulle mure domestiche – un flirt, molto intenso, a distanza. L’intervista fiume con Kruscev a Mosca nel 1964, per la prefazione a un suo libro, in folta ambasceria, con Giulio Einaudi, Vittorio Strada e consorti.
Prose gradevoli, non invadenti ma attraenti. Di scrittura semplice – Magris ricorda di Bollati in prefazione l’“aristocratica signorilità, intrisa di nobile pigrizia”. Di immagini: “La memoria è cinematografica, le persone si muovono; nel ricordo da svegli la memoria è fotografica, procede per immagini fisse, di una meravigiosa immobilità definitiva”. La passione per la musica, da ragazzo, a Parma durante la guerra - staffetta in bicicletta di un disco da un amico all’altro, subisce anche lui un fermo, “trattenuto per ore da una pattuglia di mongoli, feroci ausiliari della Wehrmacht”. Torino amusicale – anche la casa editrice, il solo Mila eccettuato. Come trapiantare un oleandro. E quando guida, di notte, al ritorno dalla gita in Costa Azzurra, “un’idea non si muove, si ripete sempre uguale: che cosa ci mettiamo dentro la pace, detro tutte le grandi parole che sembrano dei contenuti e sono dei contenitori?”
L’incontro con Kruscev da mezz’ora diventa interminabile. Anche perché i torinesi hanno portato in dono un tartufo, e il capo di tutte le Russie vorrebbe addentarlo, subito. 
Giulio Bollati, Memorie minime, Bollati Boringhieri, pp. € 10

lunedì 20 maggio 2024

Breve storia dell’accoglienza in Italia

Gli accordi con l’Albania sugli immigrati non sono una novità – se non che quelli Meloni-Rama sono incruenti. Una breve sintesi se ne poteva fare sei anni fa su questo sito, il 12 novembre 2018, “Quando l’Italia respingeva, con morti”:
 
“Rimpatri di massa e respingimenti, ora non più possibili nemmeno a Salvini, furono la prima risposta italiana alle immigrazioni di massa, allora di albanesi. Il primo rimpatrio di massa si effettuò per lo sbarco più spettacolare. Del mercantile albanese “Vlora”, che, sequestrato a Valona da uomini armati, dovette caricarsi all’inverosimile di albanesi, 17 mila la prima conta, 20 mila la seconda, allo sbarco, e fece rotta su Brindisi. Dove l’ingresso in porto fu rifiutato dalla locale Capitaneria.
“La foto del “Vlora” coperto di esseri umani fece il giro del mondo, e al mercantile fu allora consentito l’approdo a Bari, per le pessime condizioni igieniche a bordo e per il rischio di naufragio. I 17 mila furono rinchiusi nello stadio, e sfamati dall’alto con gli elicotteri. Finché l’operazione rimpatrio non fu pronta: un paio di jeans, una maglietta, 50 mila lire in contanti ognuno, e circa 20 mila albanesi, più di quanti erano arrivati col “Vlora”, furono rimpatriati in tre giorni con un ponte aereo impressionante, di cargo militari e aerei Alitalia, e di mezzi della Marina.
Fu l’ultimo momento di gloria per l’Italia in Germania – il rimpatrio con 50 mila lire. Era l’agosto del 1991. Era presidente del consiglio Andreotti, ministro dell’Interno Scotti, capo della Polizia, e ideatore del rimpatrio, Vincenzo Parisi. Furono rimpatriati tutti gli albanesi sottomano, eccetto 1.500, per i quali era aperta la pratica di rifugiato politico.
“L’operazione fu ripetuta, in dimensioni non così gigantesche ma significative, in condizioni giuridicamente sovraesposte e censurabili, sei anni dopo, sempre in agosto, presidente del consiglio Prodi, ministro dell’Interno Napolitano. A marzo ne erano arrivati 10 mila, ma 7 mila, già irreperibili, si faticò a ritrovarli qua do il rimpatrio forzoso infine fu deciso.
“Intanto, a fine marzo, c’era stato lo speronamento di una motovedetta albanese, la Katër i Radës, “quattro in rada”, da parte della corvetta Sibilla della Marina militare, nel tentativo di impedirne l’approdo sulla costa italiana. I morti erano stati 105-108. L’imbarcazione albanese era piccola,  per nove membri di equipaggio, ma aveva caricato 142 persone.
“Il blocco navale “Balena Bianca” deciso dal governo Prodi era stato dichiarato “illegale” dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, in quanto la materia immigrazione era regolata da un accordo bilaterale tra il governo italiano e quello albanese, dal quale non provenivano quindi iniziative ostili”.

Cronache dell’altro mondo –cino-nippponiche (273)

Sa di déja vu la campagna americana contro la Cina: dazi, contingenti, filippiche democratiche ripetono quanto negli anni 1970-1980, soprattutto con la presidenza Reagan, fu utilizzato contro il Giappone. Che aveva la leadership nell’informatica, e vendeva auto migliori a prezzi più bassi. Gli stessi argomenti di quando fu imoosto il VHS, uno scatolone, per la registrazione dei film, invece dell’elegante, minuscoclo superotto Sony. O delle auto giapponesi si diceva che erano “il vuoto”. Che andassero ad aria compressa. Mentre in Africa, p.es., come ora con le auto cinesi, sulle piste e perfino nei deserti, si potevano sperimentare brillanti e robuste, seppure con le balestre rinforzate (allora le sospensioni erano con le balestre) – il mito Toyota nacque in Africa.
E si arriva oggi come col Giappone anni 1980. Che i marchi giapponesi cominciarono a investire negli Stati Uniti. Nelle arree sottosviluppate, facendo cioè man bassa delle sovvenzini e gli aiuti economici, del govern federale americano agli Stati poveri.
La Cina certo non è il Giappone. Per il regime politico. E per la grandezza. Ma gli argomenti sono gli stessi – il Giappone non era comunista, era liberaldemocratico ma corrotto.
Contro la “mossa giapponese”, gli investimenti cinesi in America, Huawei, TikTok, sono state introdotte le nazionalizzazioni. Che l’Ameirca ha sempre aborrito e aborrisce, e sono illegali secondo il diritto inetrnazionale. Ma fino a qando l’America non troverà la Cina, di nuovo come trent’anni fa, quando era più comunista di oggi, con Tienamen e i tanti morti, conveniente.        
 

Il toscano era il più latino

Per mille lire appena trent’anni fa, mezzo euro, una storia della lingua che, non così profusa come il Migliorini ma è altrettanto ben raccontata nei suoi sviluppi. Dal volgare illustre di Dante al Rinascimento, con l’apogeo e l’improvviso declino del latino, e quindi della promozione della lingua. Nelle fattezze del toscano. Una storia aggiornata fino ai “postgaddiani”, i dimenticati Silvano Ambrogi e Gianni Toti, con Vincenzo Consolo e Stefano D’Arrigo.
Un percorso noto, che però si racconta in modo affascinante. Il toscano s’impone non perchéèla lingua delle banche e le fiere, ma perché è il volgare più affine al latino. Filtrato dal provenzale. Come già, agli albori dellapoesia “italiana”, nela scuola siciliana, il dialetto o volgare si basava sulle parole di origine latina. Via Provenza: Iacopo da Lentini tiene a battesimo il sonetto dal provenzale “sonnet”, piccolo suono. Ancora Boccaccio usa il verbo a fine frase, “alla maniera siciliana”, altro aspetto del volgare latineggiante. Così in contempranea i “Proverbi de femene” in Veneto, serie di quartine anti-femminili, e a Genova nel 1190 circa il genovese del provenzale Raimbaut (Rambaldo) di Vaqueiras. E come si passa dal provenzale al “Novellino”? E il Dolce Stil Novo, naturalmente, che “nasce alla scuola del bolognese Guido Guinizzelli”.
Il toscano s’impone dopo che la Sicilia viene viene segregata dall’Italia, con la pace di Caltabellotta, 1302. Ma con lentezza, ancora nel ’500 la lingua di Dante è ritenuta priva di “decoro”. E prima del fiorentino erano in voga il lucchese e il pisano. Il toscano lo impone l’emiliano Ariosto, a metà Cinqecento: “Infarcito di padovano letterario e di latinismi nella prima edizione (1516), il ‘Furioso’ viene emendato nel 1521, e profondamente rivisto in senso toscano nel 1532”. Nelo stesso tempo il “modulo toscano” si diffonde in Europa – “non sono  poche le parle italiane fancesizzate: macarons, macaronique, parfum, balcon, …” – Lanuzza ne elenca una ventina. Sempre nel ‘500 compaiono “democarzia”, “luterano”, “potestante”, “gesuita”, “indifeso”, “concerto”, “bravura”, “bravata”, et al. “Scarrupato” è nel “Candelaio” di Bruno – coma “bardascio” (invertito).
Nel 1779 l’abate Galiani pubblica un trattato “Del dialetto napoletano”, ma lo scrive in toscano. Presto però si delinea una lingua che non è più il toscano. In contemporanea con Manzoni che risciacquava “i panni in Arno”, Leopardi invece annota, sulla questione se Firenze e la Toscana debbano sempre considerarsi il centro della lingua, che “è lo stesso che dire che gli italiani ddebbano scrivere in lingua antica e morta (giacché la letteratura toscana è morta”).
Non è inutile ricordare che Vittorio Emanuele II sapeva parlare solo piemontese e francese. E che “l’Italia è la nazione che, tenuto conto della sua superficie, ha più daletti”, e più pervicaci.
E altre cose interssanti. Sui dialtti - il friulano di Pasolloni è letteario, non propriamente dialettale. Sui gerghi (“sindacalese”, “sinistrese”, “burocratese”), gli anglicismi diffusi, i linguaggi settoriali, politico, pubblicitario, sportivo (“tutto aggettivi e sostantivi aggettivanti”), e le “parole interdette”, o turpiloquio, anche questo sempre più diffuso – “varietà gergale non disdegnata nemmeno dal papa Benedetto XIV, che, rimproverato di ripetere troppo spesso la parola ‘sporca’, sbraitava: «Cazzo! Cazzo! Lo ripeterò finché non sarà più sporca!»”.
Una rilettura benefica anche perché non se ne possono più fare – qualcuno ha studiato o studia la lingua e la sua evoluzione?
Stefano Lanuzza, Storia della lingua italiana, Tascabili Economici Newton, pp. 93 pp.vv.

domenica 19 maggio 2024

Ombre - 720

“Essere giovani oggi è tremendo. Perché sei senza punti di riferimento. Non conosco nessun coetaneo che vada a votare, e nessuno che vada in chiesa”. Cazzullo becca sul “Corriere della sera” Ultimo, uno dei millecento cantautori con milioni di follower. Che per sola esperienza sa quanto non sanno storici, sociologi e psicologi.
 
Se i giovani sono così, da curare non sono le famiglie? Non c’è solo la denatalità, la confusione viene dalla generazione precedente, quella della globalizzazione, della perdita di ogni riferimento, anche solo lavorativo, reddituale.
 
Dopo l’esonero dell’allenatore della Juventus, l’ex presidente del club Andrea Agnelli ha twittato in sua difesa. “la Repubblica” e “la Stampa” non ne fanno cenno. Autocensura, all’unisono? I due giornali rispondo al “cugino” Elkann? Il cugino Elkann – la Fiat non c’è più – ha un ufficio Protezione?
 
John Elkann va in tv, la sera in cui la sua Juventus infine vince una partita, per prendersene il merito. Poche ora prima di licenziare l’allenatore, che quella partita ha preparato, diretto e vinto. Dopo avergli per mesi sottratto la sedia sotto il sedere – facendolo sapere agli amici. 

Tremano i tifosi della Juventus, dopo quelli Ferrari e di “Repubblica”, il giornale che fu di Scalfari. Per le scelte dell’ing. Elkann, dappertutto sventurate. Dopo spese enormi, un miliardo e mezzo col club di calcio, e chissà quanto con la Ferrari corse, ogni anno una macchina e un team nuovi, e sempre inefficienti - inferiori, di anno in anno, a Mercedes, Red Bull (Red Bull?), Mac Laren (oggi perfino a Imola, “feudo” Ferrari). Ora, si vede, si applica al calcio, il club torinese avendo affidato a un management di contabili, in età. 

“Siamo felicissimi”, dice Salis padre, “ma nel governo c’è stato un grande immobilismo”. Non ha fatto la guerra all’Ungheria per sua figlia? Ma accanto lo stesso giornale che ne raccoglie il lamento certifica “il lavoro diplomatico «sommerso» tra Roma e Budapest”. Tutto si può dire, soprattutto lamentarsi. E farsi spesare dalla sinistra.
 
Il “leciti” che si trasforma in “illeciti”, nella testimonianza di uno Spinelli jr. a Genova sui finanziamenti politici disposti dal padre non è un errore. Non c’è errore nella trascrizione immediata, c’è nella redazione in bela copia. Rivista e autorizzata dalla giudice del caso, nascosta nelle decine di pagine dell’interrogatorio – sperando in una rilettura sbadata del testimone? Non c’è differenza tra il giudice, nel caso una donna, e l’accusa: i procuratori sono giudici, i giudici si vogliono procuratori, accusatori. Magari solo per “uscire sul giornale”. 
 
Si rinvia l’interrogatorio di Toti di una quindicina di giorni per poter occupare le cronache con nuove indiscrezioni? Ogni giorno ce n’è una. Intanto, per tenere aperto il teatro, si invita a  ritestimoniare Spinelli jr., se ha detto “leciti” oppure “illeciti”. Non si può ridere perché i giudici si offendono facile, ma c’è da impensierirsi.
 
Non c’è solo il peta “impegnato” a sparare contro il primo ministro slovacco Fico. Fico e i suoi ministri, di destra, sono da quando vincono, d a una decina d’anni, sotto il tiro dei media e dei giudici, con carcerazioni e poi assoluzioni. È strano che la sinistra sia in Europa giudiziaria, carceraria. Si direbbe stalinista, orfana di Stalin – lui faceva così (certo, non li scarcerava, li fucilava).


Va il segretario di Stato americano Blinken a Kiev in un momento in cui i comandi militari si dicono sulla difensiva, e tre immagini vengono diffuse di allegria. Blinken che scherza con Zelensky e il ministro degli Esteri Kuleba. Blinken in pizzeria con Kuleba. Blinken alla chitarra in un club di Kiev, anche cantante. Accanto a un altro messaggio rassicurante: anche l’Estonia, un esercito di 7 mila soldati, è pronta alla guerra.

Stellantis richiama 600 mila vetture C 3 e DS 3 Citroën. Sembra grave, la raccomandazione è di non guidarle, ma è una non-notixzia. Una breve o niente del tutto.

 
L’amministrazione americana valuta se bloccare le importazioni di uranio arricchito dalla Russia. L’uranio arricchito russo alimenta un quarto delle centrali nucleari americane.
Le sanzioni sono imposte solo dalla (alla) Europa.
 
Accumuliamo debito, dice Monti, o Prodi, o come si dice, sulle spalle dei nostri nipoti. No, sulle spalle nostre,  paghiamo noi, 50 miliardi l’anno, il debito è caro. Per una spesa che è un spreco, mai un investimento.
 
“L’Italia non è un paese per mamme”, certifica il “Corriere della sera” con molti numeri. Come, il paese della “mamma”? È che una su cinque deve lasciare il lavoro dopo il primo figlio. Se non ha familiari stretti che glielo accudiscano. Mancando i servizi all’infanzia. Un altro mito che se ne va. 

“Il Sole 24 Ore”: l’Italia ha il maggiore consumo pro capite di olio d’oliva, “in Italia 3 bottiglie su 4 di olio d’oliva sono straniere”, la produzione di olio in Italia è concentrata, l’80 per cento, in Sicilia, Calabria, Puglia. Dove i produttori, si può aggiungere, lamentano scarsa redditività, mancanza di manodopera, parassiti vari. Più che l’affare poté il lamento.

  

Giallo turisti

Manzini è il solito, col romanesco Schiavone (qui semplicemente Rocco, per antonomasia) incazzato ad Aosta, d’inverno, su pizzi ghiacciati. Ma fila, e ha pure la sorpresa finale. Petra Delicado, invece, non è l’imitazione di Cortellesi nell’omonima serie di Sky, traslata da Barcellona a Genova, ma una sorta di Capitaine Marleau, in età, apodittica, sprezzante - il racconto breve è impietoso. Divertenti Santo Piazzese, che mette in berlina le sue fissazioni, di botanico, liguista, e storico, anche delle religiomi. Che deve accudire una coppia di americani illustri scienziati, e ne riceve inaspettate sorprese, scientifiche beninteso. E l’altro siciliano, Savatteri, con un episodio di “Màkari” visto in tv, nella serie di Rai 1, di cui si scopre alla lettura che il dialogo pirotecnico è opera dello scrittore. Non molto convinto l’altro scienziato dei giallisti Sellerio, il chimico Malvaldi, anche lui impantanato in alta montagna, con lo sci a spazzaneve, figurarsi, a un’età non più tenera – dove il segreto sta nello skipass elettronico, figurarsi, che si attacca alla tasca laterale del giaccone, all’altezza del lettore ottico degli impianti  di risalita.
Due racconti dal freddo, e due di cibi variati, da menù golosissimi, dei siciliani Piazzese e Savatteri, che condividono il panegirico localistico con la catalana Giménez-Bartlett. E uno controcorrente del turismo a Firenze, città afosa, sporca, insolente, maleducata, e babbea, di Recami. Che è fiorentino.
AA.VV., Turisti in giallo, promozione Sellerio, pp.3571 + 1 2 libri € 10