venerdì 24 maggio 2024
Problemi di base intelligenti artificiali - 807
Giallo scolorito
Ogni mese un racconto. Con
tutti gli autori di casa Sellerio, Camilleri, Piazzese, Manzini, Malvaldi, usw.
Una raccolta disuguale, con poche perle. È scialbo perfino Camilleri, che
doverosamente apre la raccolta: è gennaio, è la Befana, e Camilleri fa omaggio
al suo pupillo Savatteri, mettendo in scena Saverio Lamanna, lo scrittore-detective
della serie “Màkari” - ma in tutti racconti si fa in genere omaggio di sfuggita
a un autore della casa: più che una antologia è una celebrazione. Al BarLume
Malvaldi si fa allettare da internet, dal mercato globale, tristemente. Ad
aprile il biblioterapista di Fabio Stassi è ancora più gelido, volendo
riprodurre Garcia Marquez, “L’amore al tempo del colera”.
Specialmente freddi i
racconti di autrici. Agnello Hornby è debolissima – si può capirla, è
nell’antologia per fare numero, non essendo giallista, e partecipa con un
racconto, sembra di capire, della sua
preistoria di giudice dei minori, databile pare al 1983. Melenso il
giallo turco, di una pur acclamata Aykol: Erdogan soffre di epilessia? La Petra
di Giménez-Bartlett è sempre più spinster,
moglie di un uomo al terzo matrimonio, con due figli da mogli diverse, e ha il
terrore dei “doveri coniugali” – beve anche, molta birra naturalmente.
Di notevole il fenomeno
delle baby-gang a Londra nel racconto di Agnello Hornby, sudamericane e
caraibiche, specie se il racconto è del 1983 – ma anche per il 2017, quando la
compilazione è stata fatta, è un’anticipazione notevole.
AA.VV., Un anno in giallo, Sellerio, pp. 536,
ril. 1+1 €10
giovedì 23 maggio 2024
La Dc tedesca torna guardiana contro l’estrema destra
La
Cdu-Csu cerca in Europa e a Bruxelles una sponda a destra, per contrastare in
casa l’Afd, il partito di estrema destra che aumenta i consensi in Germania. Ci
ha provato con Salvini dopo la vittoria della Lega alle Europee del 2019.
Corteggia Meloni da quando ha vinto le elezioni. Subito con Manfred Weber, il
presidente dei Popolari europei, venuto a incontrare Meloni in qualità di
presidente dei Conservatori europei. Poi con Ursula von der Leyen. Ora con
Söder, il presidente della Baviera e leader della Csu, dei cristiano-sociali
bavaresi.
Compito
precipuo di democristiani in Germania è stato nella Repubblica di Bonn e di più
adesso, con la valanga Afd, nella ex Germania Est e altrove, di controllare e
ridimensionare le tentazioni nazionaliste oltranziste. Compito assolto dalla
Csu principalmente, la democrazia cristiana bavarese, ma anche della Cdu:
prevenire e contenere una deriva di estrema destra.
I
quattro cancellierati Merkel hanno lasciato un’area molto vasta libera a destra
– la cancelliera operava soprattutto contro la concorrenza a sinistra,
socialdemocratica, attuando politiche di sinistra (migranti, salvataggi, intese
con la Russia, abbandono del carbone, abbandono del nucleare, diritti della
persona).
E adesso, povero Elkann
12 maggio, Atalanta-Roma
2-1.
15 maggio, Juventus-Atalanata
1-0, Coppa Italia.
22 maggio Bayer-Atalanta
0-3, Europa League. Con tre goal di Lookman, lo stesso centravanti di
Juventus-Atalanta.
Gande festa dell’Atalanta e
dei suoi sostenitori. Diventati per una note 6 o 7 milioni, quanti ne hanno
seguito l’impresa in tv, un record. Mentre subito dopo la vittoria
sull’Atalanta e la coppa Italia, il patron della Juventus ha licenziato
l’allenatore, “non compatibile con i valori dela Juventus” e le tradizioni
della Casa. Una Casa che aveva tramato per quattro mesi contro questo allenatore
– per non pagargli l’ingaggio pattuito. Innervosendo i calciatori. E allertando
i loro manager, a convulse cacce per uscirne indenni al meglio – per quatro
mesi era questo l’“allenamento” tra una partita e l’altra.
Elkann possiede giornali
importanti, e i giornalisti lo trattano con riguardo. Ma ha rivoltato il potere
e il fascino della Famiglia, della Fiat – che peraltro ha subito venduto. Non
ha nuovi fan Juventus tra gli adolescenti,
non offre nessuna sorpersa, nessuna meraviglia, e allontana i veterani. Come ha
fatto con la Ferrari, che ha gestito con dirigenze e tecnici incredibili, ancora
più degli incapaci che msso in capo alla Juventus, lasciando i nuovi appassionati,
e anche i vecchi, alle imprse di Hamilton per un decennio e ora di Verstappen.
Tramando, anche qui, contro i suoi piloti, quelli che paga.
Ora, essere popolari richiede
un’arte. Ma un minimo di decenza, personale, contrattuale, in affari?
Ma mezza Europa combatteva nelle SS
Si fa scandalo, si scandalizzano anche Salvini e Le Pen, perché il capo dell’estrema destra tedesca Afd al voto europeo, Maximilian Krah, ha detto: “Non direi mai che chiunque indossava una uniforme SS era automaticamente un criminale”. Si fa finta di non sapere che le SS combattenti era a fine guerra 900 mila. Di cui 500 mila erano ucraini (330 mila ucrani fecero domanda di arruolamento, 30 mila furono accettati), russi, croati, sloveni, serbi, cosacchi, cechi, mussulmani della Bosnia ed Erzegovina e dell’Albania. E norvegesi, danesi, olandesi, fiamminghi, valloni, francesi (la divisione francese Charlemagne si distinse nella difesa di Berlino a fine guerra), spagnoli. Organizzati in 25 delle 38 divisioni delle Waffen-SS. Volontari, non reclutati di forza. Che poi sono stati pensionati dalla Repubblica Federale.
Il giallo donna
Impaginato come un catalogo,
molto illustrato, il volume raccoglie le fantasie dell’autrice, la prima e a lungo
unica libraia americana specializzata in gialli, su tutto ciò che è donna nel
genere. Autrici, misfatti, trucchi, per uccidere o per scoprire il colpevole. Una
escursione in un mondo tutto femminile, come se il crimine, praticato o immaginario,
fosse femminile.
L’autrice si è divertita: “Tutto
cominciò in modo innocente: un omicidio al giorno, assaporato nell’intimità della
mia poltrona. Poi diventai insaziabile”. Il gotico. Il soprannaturale. Il
sesso. Il perché? Con molti ritratti di autrici. Molti aneddoti, motli casi
(bambini, matrimonio, gita…).
Un capitolo è “Certe
ambigue signore”, che comincia: “Una volta per tutte, aboliamo il mito dela
brava donna”, eccetto lo strangolamento riesce loro tutto – “le donne uccidono tanto
spesso quanto sono uccidse”. Che in tempi di femminicidi sembra superato – o
no?
Un divertimento, per
ridere. Ma anche un’opera anticonformista in anticio sui tempi, già
antifemminista – anti femminismo della diferenza – agli albori del femminimso,
come se sapesse in anticipo dove si si sarebbe andati a finire.
Un volume da raccolta. Da
leggere, compulsare, tenere.
Dilys Winn, Anonima assassine, Milano Libri pp.
270, ill. pp. vv.
mercoledì 22 maggio 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (560)
Giuseppe Leuzzi
Tra il 2016 e il 2023, gli anni repertoriati da Banca
Intesa in uno studio sulle esportazioni, quelle dal Mezzogiorno sono aumentate
in misura maggiore rispetto al resto d’Italia. Il Mezzogiorno è – resta –
miserabile e irresponsabile per la parte Pubblica, Comuni, Regioni, Stato –
pulizia, polizia, strade e altre opere pubbliche, sanità. Per la debolezza
(arretratezza) politica, ferma ai favori.
Se non che Comuni e Regioni
sono gestiti da meridionali, e in gran parte anche lo Stato. Infetto è lo
“Stato”, l’amministrazione pubblica, del Meridione.
“Il Sole
24 Ore”: l’Italia ha il maggiore consumo pro capite di olio d’oliva; “in Italia
3 bottiglie su 4 di olio d’oliva sono straniere”; la produzione di olio in
Italia è concentrata, l’80 per cento, in Sicilia, Calabria, Puglia. Dove i
produttori, si può aggiungere, lamentano scarsa redditività, mancanza di
manodopera, parassiti vari. Più che l’affare poté il lamento.
L’olio nei bistrot e ristoranti delle tre
regioni, in bustina o nell’oliera (oggi bottiglietta da un decimo), è
solitamente di Crescenzago, o di Lecco. Dove non ci sono ulivi. Il Sud vuole
far rifiorire le aree dove non cresce l’ulivo? In una prospettiva green?
Si digiti: Orlando Sculli, “I palmenti di Ferruzzano”, Ibs-la Feltrinelli risponde vari titoli de “I Bastardi di Pizzofalcone” – anche un “Leoni di Sicilia”. Li lega come Sud. Un riflesso condizionato - là sotto è terra incognita?
“L’Italia è la nazione che,
tenuto conto della sua superficie, ha più dialetti”, Stefano Lanuzza, “Storia della
lingua italiana”, 70. E più in uso, correntemente.
Nel 1923 la riforma
scolastica di Gentile “ridimensiona il ruolo della grammatica nei programmi
scolastici” e, contro le stesse opinioni fasciste, afferma il ruolo positivo
dei dialetti”, id. p.73. Nel 1926 se ne vieta l’uso per decreto – anche se
“continuano ad essere utilizzati da maestri e alunni”.
“Informazione, poche le voci
per il Meridione”, lamenta “Il Quotidiano del Sud”, e chiede “una par condicio
territoriale”. Ma un problema insorge: Bruno Vespa, che è abruzzese, lo consideriamo settentrionale?
Il Sud si riforma facile con Sgarbi
Candidato alle Europee al
Sud, Sgarbi fa campagna elettorale, spiega al “Corriere della sera” senza
comizi né pranzi, semplicemente si fa vedere, passeggia. “Mi conoscono tutti,
dai nove ai novantanove”, e con simpatia. Fece cos’ anche trent’anni fa, eletto
nella circoscrizione jonica della provincia di Reggio Calabria – con i voti dei
radicali di Giustizia Giusta, delle famiglie dei carcerati. E fece poi il
deputato, sempre “di strada”. Incivilendo con semplici consigli, ascoltati: la pavimentazione
a Gerace, Serra San Bruno, Mileto, il colore delle case a Ardore, eletto borgo
dei gelati tanti erano, e sono, i gelatai, la riscoperta di Mattia Preti a
Taverna. E la gente obbediva, le strade si pavimentavano. Poi al solito si
scocciò, e abbandonò la Calabria. Poi ci ripensò e si fece sindaco in Sicilia:
si candidò e fu eletto sindaco, con notevole beneficio di Salemi – sindaco lo sarà
poi di molti paesi, ora lo è di Arpino, sopra Formia.
Alla domanda di Alessandra
Arachi: “Come si muove lei tra i paesi del meridione?” può rispondere: “In
tutti i paesi dove vado trovo qualcosa di me”. Proseguendo con una “sgarbiata”,
ma non una insensata: “Rappresento il riscatto italiano del Meridione. È lì il
futuro, in quello che è celato e che deve venire fuori. Come succede a Pompei,
continuamente. Questo non c’è in nessun paese del Nord”. Lui, da solo, ha fatto
molto. La buona politica, semplice, fattiva, può molto.
La mamma finisce col mercato
La “mamma” italica, l’invenzione
dell’ultimo Corrado Alvaro, 1952, non è più. Non è scomparsa, è impossibilitata.
Cioè, è praticamente impossibile fare la mamma – del “mammismo”, che è
propriamente l’invenzione di Alvaro, non si sa, perdurando i “bamboccioni”, i
figli amati che non se ne vanno di casa.
Gli studi convergono che,
anche volendolo, è praticamente impossibile fare la mamma in Italia. Cioè avere
figli. A meno di non lasciare il lavoro. Cioè di avere una situazione patrimoniale
o familiare tale che consenta alla madre di dedicarsi esclusivamente ai figli.
Ma anche in questo caso, la
maternità non è poi agevole. Il declino demografico si accompagna infatti con
la “legge ferrea” del salari, che non è stata formulata da nessuno studioso ma è
nei fatti: la concorrenza comprime e riduce il salario, il valore reale del
reddito. Una concorrenza o mercato a cui non si può nemmeno opporre una preclusione
politica, anti-capitalista. Perché si esercita a vantaggio sì dei pochi fortunati
in carriera, ma soprattutto delle sterminate dell’Africa e dell’Asia, i quattro
quinti della popolazione mondiale che erano rimasti fuori fino a trent’anni fa
del perimetro della concorrenza – la concorrenza era anche una rete protettiva.
Ora lo steso lavoro si può fare, a costo inferiore, e con resa anche maggiore,
in un qualsiasi borgo dell’Europa orientale, o della Cina, dell’India, o del Marocco, del Sudafrica,
della Nigeria.
Sardegna, il futuro è il passato
Emilio Lussu pubblicava su “Il
Ponte” (n. VII, 1951) tre quarti di secolo fa, sotto il titolo “L’avvenire
della Sardegna”, un ritratto secco e preciso,
non benevolo, “critico”, sulla sua isola – con categorie che si applicano a
molta parte del Sud, Calabria, Lucania, salernitano, Salento. Partendo dalla domanda:
“Perché la Sardegna ha vissuto un periodo così lungo di vita meschina?”
Per l’atavismo. “Soffriamo di complessi che sono
certamente in gran parte atavici. Noi conosciamo
bene il nostro stato e vediamo le nostre debolezze: li confessiamo a noi
stessi, ma non amiamo che gli estranei li facciano propri…
Per l’asocialità. “Ma questa unità psicologica non ci ha mai unito, né ci unisce
tuttora. Poiché la disunione è la prima nostra impronta. Noi siamo tutti, e i nostri figli lo saranno certamente
meno di noi, malamente
individualisti, con tutti i guai che l’individualismo, questo orgoglio mal piazzato comporta…
“La nostra ostinazione a non voler ammettere la fatale sconfitta collettiva
come popolo ci ha offerto solo la rivincita di un ripiegamento
sulla personalità del singolo….
“Noi siamo stati sempre
disuniti e nemici fra noi stessi, sotto gli spagnoli, sotto gli aragonesi,
sotto i giudicati, sotto i romani, sotto i cartaginesi, sempre.
Loro solo erano uniti. Il loro Stato non era il nostro Stato, e impotenti a
sbarazzarcene, ci ripiegavamo su noi stessi, ognuno per proprio conto, nella
famiglia e nel villaggio: e villaggio contro villaggio, l’uno contro l’altro
nello stesso villaggio”.
Fra i sardi il fenomeno è
molto più marcato: “A Sassari gli abitanti oltre la regione cittadina, sono
ancora chiamati «i sardi»… Giovanni Siotto Pintor, che
appartiene alla borghesia colta della prima metà del secolo XIX, scrive la
Storia civile dei Popoli Sardi del suo secolo. Popoli sardi, quasi che la
Sardegna fosse un impero di popoli vari, e non un’ isola di malapena 500.000
abitanti, a quell’epoca”.
Per il malgoverno. “Dal periodo aragonese alla metà
del secolo XIX i contadini e i pastori lavoravano per mantenere in vita oltre
350 feudatari, tanti l’Isola allora spopolata più che non oggi, ne contava,
compresi quelli viventi in Ispagna. Vero è che se i sudditi erano miserevoli,
i signori non lo erano meno. Dovevano vivere solo di albagia come, ogni collina
un castello, la piccola nobiltà di Guascogna affamata. Le loro case sono la
testimonianza della loro piccola vita. Nessun palazzo di antico feudatario
esiste da noi che assurga alla dignità del modesto edifizio per la servitù che
a Pesaro i duchi di Urbino posero di fronte alla loro signorile dimora. Niente
di grandioso essi hanno costruito o conosciuto, all’ infuori della loro ingordigia”.
Sardegna, il futuro è il passato
Per
l’impolitica. “Fino al ‘900, niente lotta politica”.
“Non abbiamo avuto neppure la guerra partigiana”.
“Ci è mancata l’arte.
E’ che anche l’arte è storia. E perciò, non avendo avuto l’una, non
potevamo avere l’altra”.
“Le tanto
decantate nostre qualità ataviche - sentimento dell’onore, coraggio,
disciplina, lealtà, fedeltà alla parola data ed altre consimili – sono favole.
Non siamo né migliori né peggiori degli altri. …. E la nostra
costanza - l’ostinazione – è la stessa nel bene e nel male. Abbiamo
troppo sofferto sempre, perciò la nostra caratteristica non è la bontà: direi
anzi i1 contrario. Noi siamo tutti piuttosto cattivi, a freddo, senza trasporti
sentimentali…
“La nostra umanità è nel profondo della nostra
sofferenza che ci è stata tramandata da una generazione all’altra.
“Questa umanità è legata al
ricordo del dolore dentro di noi, e che finora non abbiamo espresso in forma
creativa, neppure in politica, e tanto meno in politica.”
Cronache della differenza: Calabria
La
segretaria storica Pd di Cosenza, Jlenia Sardana, licenziata il 31 dicembre
2022 per riduzione
del personale, scopre che le devono alcune mensilità, e naturalmente aspetta la liquidazione.
Non arriva niente, e allora si rivolge alla Cgil. Che fa causa al Pd. Il
Tribunale le dà ragione,
ma scopre che è stata contrattualizzata solo sette anni, prima era in nero.
Settis
ricorda sul “Robinson” Vincenzo Di Benedetto, grecista alla Normale di Pisa, ne
ricorda “la prodigiosa
padronanza che aveva del greco classico. Si diceva scherzando chela sua prima
lingua era il
calabrese e la seconda il greco antico”. E aggiunge: “Il suo non era solo
talento filologico, ma qualcosa
di intimamente connesso alla lingua calabra”. Una “lingua calabra” non c’è, ce
ne sono almeno
due: una è il cosentino, latino, il reggino invece è greco, basicamente.
Il dialetto
non è una lingua, ma in un senso è di più, è un linguaggio, della persistenza.
Se
così è, Di Benedetto è però un’eccezione. Nato a Altomonte, cresciuto a
Saracena, studi a Castrovillari,
cioè tra i Casali di Cosenza e l’Alto Jonio, o Sibaritide. Dove evidentemente
la Grecia
s è conservata sotterranea, sebbene solo di recente rintracciata, nello stesso
sito di Sibari, a Trebisacce
(Micenei), e altrove.
Rizziconi,
paese di commercianti industri, e di famiglie di mafia, celebra il campionato dell’Inter
con una
gigantografia, “Rizziconi è nerazzurra”. Nove metri per tre: un notevole
impegno grafico. Anche
il telaio è solido, e l’impalcatura di sostegno. Poi si dice che il Sud manca
di applicazione, e di
capacità.
Si
torna a non votare a San Luca, nessuno si candida. Ci sono un sindaco e una giunta che hanno fatto
bene, candidati cinque anni fa dal questore di Reggio. Parsimoniosi anche, non
hanno speso un euro
per sé e lasciano una cassa piena, dopo le micragne dei commissariamenti
prefettizi. Ma hanno ricevuto
un avviso di garanzia, anzi tre. Cinque mesi fa, quando si cominciava a pensare
al voto. Gli avvisi
sono caduti nel nulla, ma il sindaco li ha letti come un “avvertimento”, nel
linguaggio del luogo.
Che il
linguaggio possa essere comune e mafia e giudici sembra strano, ma non o è. È
che il sindaco propende
per la destra, per Forza Italia, e il Procuratore di Locri per la sinistra.
Si
apre in Calabria “Adolphe”, il romanzo celebre di Constant sui tormenti d’amore provocati da un giovane irresoluto. “Molti anni fa viaggiavo in Italia” è l’incipit: “Uno straripamento del Neto mi costrinse a fermarmi in una locanda di Cerenza”. Dove alloggia anche un altro straniero. Che ha un malore, ed è curato dal cerusico locale. Poi parte da solo. A Napoli lo scrittore riceverà una lettera dell’albergatore di Cerenza, “insieme con una cassetta trovata nella strada per Strongoli”, con dentro “un ritratto di donna e un quaderno contenente il racconto”. I riferimenti, val di Neto, Cerenza, Strongoli, sono precisi. Constant li ha ricavati dalle memorie degli ufficiali napoleonici dieci anni prima? “Adolphe” è anteriore alle
rivolte calabresi, scritto di getto, pare, nel 1806, ma è scuramente rivisto
dieci anni dopo, per la
pubblicazione.
Una storia
che non si fa (si sa), quella delle rivolte “massiste” in Calabria contro la
Francia, tra il 1806 e
il 1809, che pure hanno lasciato molti segni.
leuzzi@antiit.eu
Italianità della Meloni
“Italianità delll Meloni”,
in italiano, è il titolo online che la rivista dà alla corrispondenza dell’inviata
speciale a Roma a due anni dalla vittoria elettorale e l’insediamento a palazzo
Chigi. Una corrispondenza centrata sulle “nuove priorità culturali del governo”
della “prima donna al governo in Ialia e primo leader di estrema destra a
governare nel cuore dell’Unione E uropea”. Un ritratto perfino benevolo,
sapendo che la rivista è molto progressista.
Il ritratto è di “un
raccogliticcio partito di opposizione al potere per la prima volta, pronto a esigere
qualche punizione e voglioso di mettere i suoi fidi in posizioni importanti ma
privo di una lunga fila di dirigenti sperimentati e di intellettuali presentabili”.
E dell’aggiornamento (“mainstreaming”) di una destra postfascista che cerca di
rifare un po’ la storia, enfatizzando, sottovalutando. Ma che tenta, spesso con
goffaggine e carenza di nuove idee, di creare una destra moderna in un paese
che manca di una tradizione conservatirce (paragonabile, per fare un esempio,
ai conservatori Uk), a parte il fascismo”.
Il giudizio è più scettico
sul Paese: “Soprattuto, è l’immagine di un paese che invecchia preoccupato del
futuro e ancorato a un’idea di passato”. Che spiega la destra: “Più si penetra
in Italia, più si capisce perché tante innovazioni politiche qui sono state di
destra: Futurismo, fascismo, la politica personalistica e postideologica di
Silvio Berlusconi, il tecnopopulismo e la rabbia social che nell’ultimo decennio
hanno portato al potere partiti anti-establishment e di destra”. Non proprio
nell’ultimo decennio, ma quasi.
Rachel Donadio, Meloni’s Cultural Revolution, “The New
York Review of Books” 6 giugno, online
martedì 21 maggio 2024
Ma la Cina non è vicina a Mosca
Putin a Pechino, un giorno
sì e l’altro pure. Xi paterno benedicente. Sembra un idillio. E ha cancellato
un dato di fatto geopolitico e storico? La Russia del Novecento si riteneva
assediata. Dalla Germania, anche dalla Germania divisa, che in parte
presidiava. E dalla Cina. E confidava negli Stati Uniti per allentare la morsa.
Non è una barzelletta, è un
fatto. Noto agli storici, quando si faceva storia. Ne dà un quadro plastico
Giulio Bollati in una delle brevi prose ora pubblicate come “Memorie minime”,
“Il tartufo di Kruscëv”, su una intervista nel 1964 al leader sovietico, da
parte diuna minidelegazione composta da Giulio Einaudi, Vittorio Strada e lo
stesso Bollati, accompagnati da Clara Strada e Renata Einaudi, che doveva
servire da prefazione a “un suo piccolo libro”.
Invece che per mezz’ora,
Kruscev parlò per ore. “Non presi appunti e non ricordo i particolari”, scrive
Bollati, “ma ricordo bene il senso e il tono del discorso che Kruscëv ci fece,
accalorandosi via via che parlava. Il centro di quel discorso era un’immagine: la
Russia stretta in una tenaglia, formata
dalla Germania a ovest, dalla Cina a est….La speranza era che gli americani
capissero e diventassero amici”.
Bollati dice che quella fu
la vera novità dell’intervista: “La novità vera era per noi quell’accenno a una
Cina ostile, assolutamente inconsueto a quella data”. E più in là esuma “un
altro racconto, più serio, che ci aveva fatto Lazarev, lo storico dell’arte, e
che sul momento non avevo capito. Era, ci disse, un suo incubo ricorrente:
milioni e milioni di cinesi, uomini donne vecchi bambini, passavano il confine
e avanzavano lentamente verso Mosca. Impossibile fermarli. Camminavano notte e
giorno e si avvicinavano a Mosca”.
La proliferazione nucleare
Ci sono testate nucleari e
scorte di plutonio in grado di distruggere ogni forma vivente, e anche qualcosa
di più. Le testate nucleari censite sobo 13.400. Le scorte di plutonio
dichiarate (come civili) sono 370 tonnellate. Poiché si fabbrica una bomba di
media potenza con 6 kg. di plutonio, le scorte denunciate consentirebbero di
fabbricare altri 62 mila ordigni nucleari.
Le 13 mila testate nucleari
censite sono così suddivise: Russia 6.370, Stati Uniti 5.800, Cina 320, Francia
290, Gran Bretagna 195, Pakistan 160, India 150, Israele 90, Corea del Nord 35.
Le scorte di plutonio dichiarate sono: Gran Bretagna 116,4, Francia 106,2,
Russia 64,5, Stati Uniti 49,2, Giappne 45,1. L’alta quantità di plutonio
immagazzinato in Gran Bretagna e Francia deriva dalle centrali nucleari a uso
civile. I due apesi immagazzinano anche molto plutonio di altri paesi, derivato
dal ritrattamento delle scorie delle centatrli nucleari a uso civile - delle 45,1 tonnellate di
plutonio di cui dispone il Giappone, quatro quinti sono in Francia, dove vengono
ritrattate le scorie delle centrali.
Su Hiroshima fu usata una
bomba a uranio arricchito, su Nagasaki una al plutonio. Dal 1962, quando gli
Stati Uniti provarono la prima bomba termonucleare, l’armamento nucleare è da
combinazione fissione-fusione, o plutonio-idrogeno.
Quando Calvino finì in prigione
L’infanzia in Molise, a
Benevento e Boiano, il padre inquieto, ingegnere della Edison, che poi sceglie
l’Africa, Parma che è la sua città, benché affrontata il primo anno con accento
molisano, a scuola da Attilio Bertolucci e Pietrino Bianchi, e alcune avventure
minime. La gita quasi aziendale in cinque, in Francia, Costa Azzurra, interrotta
al primo albergo dall’arresto e l’espulsione di Calvino, “persona non grata”
per avere “partecipato a un congresso dei Partigiani della Pace”. Una giornata
a palazzo Leopardi, coccolato dalla contessa, e dalla sua bella famiglia, i ragazzi, il marito, alla vana ricerca dei
“figurati armenti” di Giacomo sulle mure domestiche – un flirt, molto intenso, a distanza. L’intervista fiume con Kruscev a
Mosca nel 1964, per la prefazione a un suo libro, in folta ambasceria, con
Giulio Einaudi, Vittorio Strada e consorti.
Prose gradevoli, non invadenti
ma attraenti. Di scrittura semplice – Magris ricorda di Bollati in prefazione
l’“aristocratica signorilità, intrisa di nobile pigrizia”. Di immagini: “La
memoria è cinematografica, le persone si muovono; nel ricordo da svegli la
memoria è fotografica, procede per immagini fisse, di una meravigiosa
immobilità definitiva”. La passione per la musica, da ragazzo, a Parma durante
la guerra - staffetta in bicicletta di un disco da un amico all’altro, subisce
anche lui un fermo, “trattenuto per ore da una pattuglia di mongoli, feroci
ausiliari della Wehrmacht”. Torino amusicale – anche la casa editrice, il solo
Mila eccettuato. Come trapiantare un oleandro. E quando guida, di notte, al
ritorno dalla gita in Costa Azzurra, “un’idea non si muove, si ripete sempre uguale:
che cosa ci mettiamo dentro la pace, detro tutte le grandi parole che sembrano
dei contenuti e sono dei contenitori?”
L’incontro con Kruscev da
mezz’ora diventa interminabile. Anche perché i torinesi hanno portato in dono
un tartufo, e il capo di tutte le Russie vorrebbe addentarlo, subito.
Giulio Bollati, Memorie minime, Bollati Boringhieri,
pp. € 10
lunedì 20 maggio 2024
Breve storia dell’accoglienza in Italia
Gli accordi con l’Albania sugli
immigrati non sono una novità – se non che quelli Meloni-Rama sono incruenti. Una
breve sintesi se ne poteva fare sei anni fa su questo sito, il 12 novembre 2018,
“Quando l’Italia respingeva, con morti”:
“Rimpatri di massa e respingimenti, ora non più possibili nemmeno a
Salvini, furono la prima risposta italiana alle immigrazioni di massa, allora
di albanesi. Il primo rimpatrio di massa si effettuò per lo sbarco più
spettacolare. Del mercantile albanese “Vlora”, che, sequestrato a Valona da
uomini armati, dovette caricarsi all’inverosimile di albanesi, 17 mila la prima
conta, 20 mila la seconda, allo sbarco, e fece rotta su Brindisi. Dove
l’ingresso in porto fu rifiutato dalla locale Capitaneria.
“La foto del “Vlora” coperto di esseri umani fece il giro del mondo, e al
mercantile fu allora consentito l’approdo a Bari, per le pessime condizioni
igieniche a bordo e per il rischio di naufragio. I 17 mila furono rinchiusi
nello stadio, e sfamati dall’alto con gli elicotteri. Finché l’operazione
rimpatrio non fu pronta: un paio di jeans, una maglietta, 50 mila lire in
contanti ognuno, e circa 20 mila albanesi, più di quanti erano arrivati col
“Vlora”, furono rimpatriati in tre giorni con un ponte aereo impressionante, di
cargo militari e aerei Alitalia, e di mezzi della Marina.
Fu l’ultimo momento di gloria per l’Italia in Germania – il rimpatrio con
50 mila lire. Era l’agosto del 1991. Era presidente del consiglio Andreotti,
ministro dell’Interno Scotti, capo della Polizia, e ideatore del rimpatrio,
Vincenzo Parisi. Furono rimpatriati tutti gli albanesi sottomano, eccetto
1.500, per i quali era aperta la pratica di rifugiato politico.
“L’operazione fu ripetuta, in dimensioni non così gigantesche ma significative,
in condizioni giuridicamente sovraesposte e censurabili, sei anni dopo, sempre
in agosto, presidente del consiglio Prodi, ministro dell’Interno Napolitano. A
marzo ne erano arrivati 10 mila, ma 7 mila, già irreperibili, si faticò a
ritrovarli qua do il rimpatrio forzoso infine fu deciso.
“Intanto, a fine marzo, c’era stato lo speronamento di una motovedetta
albanese, la Katër i Radës, “quattro in rada”, da parte della corvetta Sibilla
della Marina militare, nel tentativo di impedirne l’approdo sulla costa
italiana. I morti erano stati 105-108. L’imbarcazione albanese era
piccola, per nove membri di equipaggio, ma aveva caricato 142
persone.
“Il blocco navale “Balena Bianca” deciso dal governo Prodi era stato
dichiarato “illegale” dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, in quanto la
materia immigrazione era regolata da un accordo bilaterale tra il governo
italiano e quello albanese, dal quale non provenivano quindi iniziative ostili”.
Cronache dell’altro mondo –cino-nippponiche (273)
Sa di déja vu la campagna
americana contro la Cina: dazi, contingenti, filippiche democratiche ripetono
quanto negli anni 1970-1980, soprattutto con la presidenza Reagan, fu
utilizzato contro il Giappone. Che aveva la leadership
nell’informatica, e vendeva auto migliori a prezzi più bassi. Gli stessi
argomenti di quando fu imoosto il VHS, uno scatolone, per la registrazione dei
film, invece dell’elegante, minuscoclo superotto Sony. O delle auto giapponesi
si diceva che erano “il vuoto”. Che andassero ad aria compressa. Mentre in
Africa, p.es., come ora con le auto cinesi, sulle piste e perfino nei deserti,
si potevano sperimentare brillanti e robuste, seppure con le balestre
rinforzate (allora le sospensioni erano con le balestre) – il mito Toyota nacque
in Africa.
E si arriva oggi come col
Giappone anni 1980. Che i marchi giapponesi cominciarono a investire negli
Stati Uniti. Nelle arree sottosviluppate, facendo cioè man bassa delle
sovvenzini e gli aiuti economici, del govern federale americano agli Stati
poveri.
La Cina certo non è il Giappone.
Per il regime politico. E per la grandezza. Ma gli argomenti sono gli stessi –
il Giappone non era comunista, era liberaldemocratico ma corrotto.
Contro la “mossa giapponese”, gli
investimenti cinesi in America, Huawei, TikTok, sono state introdotte le
nazionalizzazioni. Che l’Ameirca ha sempre aborrito e aborrisce, e sono
illegali secondo il diritto inetrnazionale. Ma fino a qando l’America non
troverà la Cina, di nuovo come trent’anni fa, quando era più comunista di oggi,
con Tienamen e i tanti morti, conveniente.
Il toscano era il più latino
Per mille lire appena
trent’anni fa, mezzo euro, una storia della lingua che, non così profusa come
il Migliorini ma è altrettanto ben raccontata nei suoi sviluppi. Dal volgare illustre
di Dante al Rinascimento, con l’apogeo e l’improvviso declino del latino, e
quindi della promozione della lingua. Nelle fattezze del toscano. Una storia
aggiornata fino ai “postgaddiani”, i dimenticati Silvano Ambrogi e Gianni Toti,
con Vincenzo Consolo e Stefano D’Arrigo.
Un percorso noto, che però
si racconta in modo affascinante. Il toscano s’impone non perchéèla lingua
delle banche e le fiere, ma perché è il volgare più affine al latino. Filtrato
dal provenzale. Come già, agli albori dellapoesia “italiana”, nela scuola
siciliana, il dialetto o volgare si basava sulle parole di origine latina. Via
Provenza: Iacopo da Lentini tiene a battesimo il sonetto dal provenzale
“sonnet”, piccolo suono. Ancora Boccaccio usa il verbo a fine frase, “alla
maniera siciliana”, altro aspetto del volgare latineggiante. Così in
contempranea i “Proverbi de femene” in Veneto, serie di quartine anti-femminili,
e a Genova nel 1190 circa il genovese del provenzale Raimbaut (Rambaldo) di
Vaqueiras. E come si passa dal provenzale al “Novellino”? E il Dolce Stil Novo,
naturalmente, che “nasce alla scuola del bolognese Guido Guinizzelli”.
Il toscano s’impone dopo
che la Sicilia viene viene segregata dall’Italia, con la pace di Caltabellotta,
1302. Ma con lentezza, ancora nel ’500 la lingua di Dante è ritenuta priva di
“decoro”. E prima del fiorentino erano in voga il lucchese e il pisano. Il
toscano lo impone l’emiliano Ariosto, a metà Cinqecento: “Infarcito di padovano
letterario e di latinismi nella prima edizione (1516), il ‘Furioso’ viene emendato
nel 1521, e profondamente rivisto in senso toscano nel 1532”. Nelo stesso tempo
il “modulo toscano” si diffonde in Europa – “non sono poche le parle italiane fancesizzate: macarons, macaronique, parfum, balcon, …” – Lanuzza
ne elenca una ventina. Sempre nel ‘500 compaiono “democarzia”, “luterano”,
“potestante”, “gesuita”, “indifeso”, “concerto”, “bravura”, “bravata”, et al.
“Scarrupato” è nel “Candelaio” di Bruno – coma “bardascio” (invertito).
Nel 1779 l’abate Galiani
pubblica un trattato “Del dialetto napoletano”, ma lo scrive in toscano. Presto
però si delinea una lingua che non è più il toscano. In contemporanea con
Manzoni che risciacquava “i panni in Arno”, Leopardi invece annota, sulla
questione se Firenze e la Toscana debbano sempre considerarsi il centro della
lingua, che “è lo stesso che dire che gli italiani ddebbano scrivere in lingua
antica e morta (giacché la letteratura toscana è morta”).
Non è inutile ricordare che
Vittorio Emanuele II sapeva parlare solo piemontese e francese. E che “l’Italia
è la nazione che, tenuto conto della sua superficie, ha più daletti”, e più
pervicaci.
E altre cose interssanti. Sui
dialtti - il friulano di Pasolloni è letteario, non propriamente dialettale.
Sui gerghi (“sindacalese”, “sinistrese”, “burocratese”), gli anglicismi
diffusi, i linguaggi settoriali, politico, pubblicitario, sportivo (“tutto
aggettivi e sostantivi aggettivanti”), e le “parole interdette”, o turpiloquio,
anche questo sempre più diffuso – “varietà gergale non disdegnata nemmeno dal
papa Benedetto XIV, che, rimproverato di ripetere troppo spesso la parola
‘sporca’, sbraitava: «Cazzo! Cazzo! Lo ripeterò finché non sarà più sporca!»”.
Una rilettura benefica
anche perché non se ne possono più fare – qualcuno ha studiato o studia la lingua
e la sua evoluzione?
Stefano Lanuzza, Storia della lingua italiana, Tascabili
Economici Newton, pp. 93 pp.vv.
domenica 19 maggio 2024
Ombre - 720
“Essere giovani oggi è tremendo. Perché
sei senza punti di riferimento. Non conosco nessun coetaneo che vada a votare,
e nessuno che vada in chiesa”. Cazzullo becca sul “Corriere della sera” Ultimo,
uno dei millecento cantautori con milioni di follower. Che per sola esperienza sa quanto non sanno storici,
sociologi e psicologi.
Se i giovani sono così, da curare non
sono le famiglie? Non c’è solo la denatalità, la confusione viene dalla
generazione precedente, quella della globalizzazione, della perdita di ogni riferimento,
anche solo lavorativo, reddituale.
Dopo l’esonero dell’allenatore della
Juventus, l’ex presidente del club Andrea Agnelli ha twittato in sua difesa. “la
Repubblica” e “la Stampa” non ne fanno cenno. Autocensura, all’unisono? I due
giornali rispondo al “cugino” Elkann? Il cugino Elkann – la Fiat non c’è più –
ha un ufficio Protezione?
John Elkann va in tv, la sera in cui la
sua Juventus infine vince una partita, per prendersene il merito. Poche ora prima
di licenziare l’allenatore, che quella partita ha preparato, diretto e vinto.
Dopo avergli per mesi sottratto la sedia sotto il sedere – facendolo sapere
agli amici.
Tremano i tifosi della Juventus, dopo
quelli Ferrari e di “Repubblica”, il giornale che fu di Scalfari. Per le scelte
dell’ing. Elkann, dappertutto sventurate. Dopo spese enormi, un miliardo e
mezzo col club di calcio, e chissà quanto con la Ferrari corse, ogni anno una
macchina e un team nuovi, e sempre inefficienti - inferiori, di anno in anno, a
Mercedes, Red Bull (Red Bull?), Mac Laren (oggi perfino a Imola, “feudo”
Ferrari). Ora, si vede, si applica al calcio, il club torinese avendo affidato
a un management di contabili, in età.
“Siamo felicissimi”, dice Salis padre, “ma
nel governo c’è stato un grande immobilismo”. Non ha fatto la guerra all’Ungheria
per sua figlia? Ma accanto lo stesso giornale che ne raccoglie il lamento certifica
“il lavoro diplomatico «sommerso» tra Roma e Budapest”. Tutto si può dire, soprattutto
lamentarsi. E farsi spesare dalla sinistra.
Il “leciti” che si trasforma in “illeciti”,
nella testimonianza di uno Spinelli jr. a Genova sui finanziamenti politici disposti
dal padre non è un errore. Non c’è errore nella trascrizione immediata, c’è nella
redazione in bela copia. Rivista e autorizzata dalla giudice del caso, nascosta
nelle decine di pagine dell’interrogatorio – sperando in una rilettura sbadata
del testimone? Non c’è differenza tra il giudice, nel caso una donna, e l’accusa:
i procuratori sono giudici, i giudici si vogliono procuratori, accusatori.
Magari solo per “uscire sul giornale”.
Si rinvia l’interrogatorio di Toti di
una quindicina di giorni per poter occupare le cronache con nuove
indiscrezioni? Ogni giorno ce n’è una. Intanto, per tenere aperto il teatro, si
invita a ritestimoniare Spinelli jr., se
ha detto “leciti” oppure “illeciti”. Non si può ridere perché i giudici si offendono
facile, ma c’è da impensierirsi.
Non c’è solo il peta “impegnato” a
sparare contro il primo ministro slovacco Fico. Fico e i suoi ministri, di
destra, sono da quando vincono, d a una decina d’anni, sotto il tiro dei media
e dei giudici, con carcerazioni e poi assoluzioni. È strano che la sinistra sia
in Europa giudiziaria, carceraria. Si direbbe stalinista, orfana di Stalin –
lui faceva così (certo, non li scarcerava, li fucilava).
Va il segretario di Stato americano
Blinken a Kiev in un momento in cui i comandi militari si dicono sulla
difensiva, e tre immagini vengono diffuse di allegria. Blinken che scherza con
Zelensky e il ministro degli Esteri Kuleba. Blinken in pizzeria con Kuleba.
Blinken alla chitarra in un club di Kiev, anche cantante. Accanto a un altro messaggio
rassicurante: anche l’Estonia, un esercito di 7 mila soldati, è pronta alla
guerra.
Stellantis richiama 600 mila vetture C 3 e DS 3 Citroën. Sembra grave, la raccomandazione è di non guidarle, ma è una non-notixzia. Una breve o niente del tutto.
L’amministrazione americana valuta se
bloccare le importazioni di uranio arricchito dalla Russia. L’uranio arricchito
russo alimenta un quarto delle centrali nucleari americane.
Le sanzioni sono imposte solo dalla
(alla) Europa.
Accumuliamo debito, dice Monti, o Prodi,
o come si dice, sulle spalle dei nostri nipoti. No, sulle spalle nostre, paghiamo noi, 50 miliardi l’anno, il debito è
caro. Per una spesa che è un spreco, mai un investimento.
“L’Italia non è un paese per mamme”, certifica
il “Corriere della sera” con molti numeri. Come, il paese della “mamma”? È che
una su cinque deve lasciare il lavoro dopo il primo figlio. Se non ha familiari
stretti che glielo accudiscano. Mancando i servizi all’infanzia. Un altro mito
che se ne va.
“Il Sole 24 Ore”: l’Italia ha il
maggiore consumo pro capite di olio d’oliva, “in Italia 3 bottiglie su 4 di
olio d’oliva sono straniere”, la produzione di olio in Italia è concentrata, l’80
per cento, in Sicilia, Calabria, Puglia. Dove i produttori, si può aggiungere,
lamentano scarsa redditività, mancanza di manodopera, parassiti vari. Più che l’affare
poté il lamento.