sabato 1 giugno 2024
Appalti, fisco, abusi (242)
L’operatore comunica tre giorni
lavorativi di disservizio della linea telefonica, wifi compreso, cioè cinque
giorni col week-en in mezzo, e il telefono in effetti non chiama e non riceve.
Ma sì riceve le chiamate anonime, da prefissi disseminati in tutta Italia, di
chiamate Tim, “passa a Tim”. Il gestore della rete si riserva la linea solo per
sé?
Basso impero Usa
“Uno Stato
fascista”, lo dice Trump del suo processo e della condanna, e quindi ridiamo –
difficile prendere Trump sul serio. Però, un Procuratore e un giudice eletti
dal partito Democratico, con figli appaltatori del partito Democratico, con una
giuria di 12 + 6 scelta tra gli iscritti alle liste Democratiche, le obiezioni
ai giurati respinte all’istante dalla corte d’Appello, il processo non è
dichiaratamente politico? In democrazia?
Anche l’impianto è
una comica: una prostituta ricattatrice, che si fa pubblicità tuttora in rete
con amplessi di ogni tipo, e un avvocato radiato, santificati agenti di pubblica
moralità. Sotto l’alto scranno di un maestoso giudice - così viene disegnato
dai grafici appositamente ammessi alla cerimonia - che viene da Bogotà.
Si seguiva il
processo di Trump a New York come si legge Svetonio, le vite dei Cesari:
lubricità, corruzione, ipocrisia al potere – la prostituta moralista,
l’imbroglione accusatore, la plebe assunta a giudice. Al coperto delle “virtù
repubblicane”, come al tempo di Cicerone, e poi dello stesso Svetonio - avrà ragione
Cazzullo, “Roma, l’impero infinito”. Gli Stati Uniti non sono “romani” solo per
i Campidogli, le aquile e i Senati che hanno disseminato tra i due oceani, ma più per la
politica come intrigo.
C’è però molto di
più a New York dello Svetonio delle vite – ce ne vorrebbe un altro? Il giudice sussiegoso che
ascolta assentendo le prodezze della prostituta. I giurati che fanno finta di
capire i 34 (trentaquattro) capi d’accusa. I cronisti, per lo più donne, che fanno
ludibrio, non dei ricatti e della messinscena, ma del ricattato. Nessuno-a ride, nessuno-a si indigna. L’opinione
pubblica ai romani era risparmiata. Meglio: era opinione pubblica, cioè malignità,
senza il sussiego del giornalismo.
Si direbbe un
processo farsa, ma non si può dire – negli Stati Uniti si può fare ma non si
può dire. Il problema è che con Svetonio, che pure ha un repertorio di nefandezze
niente male, siamo solo all’undicesimo imperatore, neppure il primo secolo dopo
Cristo. Si suole dire delle vicende svetoniane “basso impero”. Ma Svetonio
aveva visto ancora poco. E noi?
Il vuoto nello splendore – o di Roma Nord
Uno spaccato di Roma Nord. Quasi sociologico, malgrado l’aura poetica: l’amicizia,
i caratteri esagerati (i genitori riusciti e falliti, cioè scontenti, inutili, psicologo,
scrittore, giornalista, il mafioso intelligente tenero, il buttafuori nella discoteca-fumoir,
nuovissima bestia urbana), le albe, i tramonti, i cieli aperti e le acque
limpide, guardando la valle del Tevere. Che è un quartiere, o meglio una serie
di quartieri, che fanno mondo a sé, effettivamente distinti dal resto della
città, sia che l’approccio avvenga da Nord, dall’autostrada, dalla Cassia, dalla
Flaminia, sia che venga dal cuore della città, all’altezza più o meno della
Marina sul lungotevere e di Porta Pinciana. È una narrazione, come vuole il
regista, del desiderio di sentirsi vivi. Enea sopravvive, ma non è il traghettatore
di Virgilio, nulla ne nasce.
Un progetto ambizioso, prodotto da Mieli e Guadagnino. Uno spaccato in
realtà di un mondo devastato. Per questo memorabile. Compresi gli ambienti. I ristoranti
stellati. Le case con giardino. E le discoteche sovraeccitate. Un mondo di oneupmanship
fini a se stesse, insignificanti, inutili- nemmeno tanto distruttive. Il
racconto resta come illustrazione del falso, del vuoto.
Pietro Castellitto, Enea, Sky Cinema, Now
venerdì 31 maggio 2024
L'Europa a destra con le donne
L’aspettativa è che alla Europee vinca la
destra (l’onda di destra dei sondaggi sarebbe anche il motivo per cui a Londra il
premier conservatore Suniak ha anticipato il voto, a un mese dopo le Europee,
come estremo tentativo di riacquistare i suffragi, se non la fiducia), e l’“Economist”
ci fa la copertina. Di attrazione doppia: la destra data vincente e tre donne
che la incarnano, Meloni al centro, von der Leyen e Le Pen di profilo.
Il fatto è singolare per sé: ma più ancora,
sotto il glamour, per il cambiamento al Parlamento di Strasburgo e a Bruxelles,
se il pronostico sarà confermato. Che sarebbe storico. Nei 45 anni di vita il
Parlamento europeo, e la Commissione, sono stati governati dal centro-sinistra,
facendo perno sui Popolari. Nel 2019 il voto ai Popolari si è ridotto, e la
maggiorana si è trovata con difficoltà, con piccoli pezzi della destra – un paio
di voti vennero a Ursula von der Leyen anche dalla Lega. In questa campagna elettorale
i Popolari hanno virato verso la destra, soprattutto in Germania, dove i due partiti
democristiani hanno deciso di affrontare la concorrenza della destra di Afd. In
prospettiva, si avrebbe un cambiamento storico alle istituzioni europee.
In Italia non se ne parla per “non
favorire la Meloni”. Ma è un fatto. Fuori non c’è questo timore.
Giornalisticamente, Meloni è stata ed è
in Europa un “fenomeno”. L’“Economist” le dedicava la copertina già due anni fa,
il 22 settembre, prima del voto, con un titolo interrogativo: “L’Europa si deve
preoccupare?”. A inizio anno ci è tornato su, questa volta senza copertina, ma
con giudizio rinfrancato: tra tutti i Paesi europei l’Italia è per una volta
tra quelli che destano meno preoccupazioni, politiche ed economiche. Ora mette
Meloni al centro, tra Von der Leyen e Le Pen, “le tre donne che plasmeranno l’Europa”.
Il credito, malgrado i timori politici,
viene a Meloni dal fatto che parla fluentemente e senza accento l’inglese (e il
francese e lo spagnolo), è sintetica, al contrario della romanità profusa alla Franca Valeri che esibisce in Italia, e conosce i dossier internazionali. L’inglese fluente per
i presidenti del consiglio è una novità - a parte Draghi: Conte, Renzi, gli
stessi Gentiloni e Letta, e anche Prodi, per non dire Berlusconi. E per saper
tacere, dietro la facondia: p. es. sul debito, che tiene sotto controllo senza
dirlo con mano ferrea (meno spese e tante piccole tasse, qua e là).
Macron tutti azimut
Alla rincorsa elettorale di Le Pen Macron
le sta provando tutte – si direbbe che le spara ogni giorno più grosse. Ha
innescato l’intervento diretto europeo nella guerra della Russia all’Ucraina,
proponendo l’invio di corpi armati, e ora minaccia di farlo da solo, come Francia.
Come dire: minaccia una guerra mondiale.
Anche perché, non lo dice ma lo fa sapere, vanta il più vasto arsenale nucleare
dopo Russia e Stati Uniti – e uno con una disponibilità maggiore di plutonio (come
dire: in grado di rifarsi l’arsenale in breve tempo), quello ricavato dal
trattamento delle scorie delle centrali nucleari di altri paesi.
Più terra terra in questi stessi giorni promuove
al parlamento europeo, sotto la copertura del partito Popolare, una mozione
contro il Libano, per il trattamento dei rifugiati dalla Siria. Il parlamento libanese
si rifiuta di eleggere capo dello Stato il suo candidato, e Macron in rappresaglia
vuole il Libano condannato a Strasburgo, con conseguente perdita del sostegno
finanziario Ue, per il trattamento degli immigrati. Che sono due milioni – almeno
due, nessuno sa quanti sono. Su una popolazione di sei milioni. Di un paese
impoverito da oltre quarant’anni, ormai, di invasioni, palestinesi, israeliane,
siriane e, sotto la veste di Hezbollah, iraniane.
Due milioni di profughi in Libano è come
se in Francia ce ne fossero 22 milioni. Ma Macron non transige.
Fantozzi sorridente e colorato
Il racconto di Paolo Villaggio, con
Fabrizio De André e Genova, anni 1950. Drammatizzato il giusto – avere per casa
un figlio di trent’anni, senza mestiere, e già padre? Ma soprattutto colorato,
pastello: il mare, le automobili, i vestiti, le abitazioni, perfino i temibili
uffici, i teatrini, i personaggi, Ivo Chiesa, Maurizio Costanzo poco più che
ventenne.
Un senso di felicità. Corroborato dai
fatti. Il Buonannulla Villaggio maggiore dell’amico De André di otto anni: di
età molto lontane, amici di mare, e di famiglie abbienti, coautori di canzoni
culto, “Il fannullone” e “Carlo Martello”. Coetaneo e amico di Paolo Fresco, il
manager che, di ritorno dall’America, proverà a salvare la Fiat prima di Marchionne.
La figura e il ruolo di Maura, con la quale Villaggio convivrà fino alla morte –
sopravvenuta per entrambi nel 2017. La
madre “generalessa”, insegnante di tedesco – da lei il primo personaggio, il
prestigiatore tetesco Professor Otto von Kranz? Il fratello gemello,
matematico di fama mondiale, allievo di Guido Stampacchia, e ingegnere,
professore alla facoltà di Matematica all'università di Pisa, e poi alla
sezione Scienze della Scuola Normale. Tutto molto normale, e moto gradevole.
Luca Manfredi, Com’è buono lui,
Rai 1, Raiplay
giovedì 30 maggio 2024
Secondì pensieri - 536
zeulig
Destra-sinistra – Sono
entrambe virtuose, grazie al radicale che condividono, -rt di virtù. Ma solo in
italiano. Inglese, francese, tedesco e spagnolo fanno la destra virtuosa, su
base -rt, e la sinistra smarriscono tra farfugli e sibili.
Bisogna dunque essere di destra per
essere virtuosi? Certo, la sinistra è ambigua. È ipocrita, quindi stupida. E
infida, per chi non concepisce l’amicizia a danno degli altri. La complicità a
danno degli altri non è solidarietà di classe, è mafia - quello che i
carabinieri per non lavorare chiamano omertà, oberandone, chissà perché, i
meridionali.
Diversità – È il proprio dell’umanità – della natura, si
direbbe. Pur nei “sistemi”, le catalogazioni, le famiglie. Abbiamo tante vite, per cambiamenti
considerati di poco conto e innocui, lo studio, la professione, la città,
perfino i diversi anni dello studio, o la diversa ubicazione del posto di
lavoro nella stessa città, o dell’abitazione. La vita urbana nasconde
nell’apparente uniformità diversità profonde. O l’opinione pubblica, quando non
è critica – rituale, noiosa, livellatrice, storditrice (pubblicità mascherata)
Filosofia-poesia – Può
essere che abbia ragione Zambrano, e il ruolo della poesia sia conteso dalla
filosofia. E che il duello s’incarni in Platone, nato per la poesia, preso
dalla dialettica, vinto dal mito. “Io”, dice Socrate a Fedro, “non ho ancora
avuto il tempo di conoscere me stesso”. Come se fosse possibile, sia pure la
conoscenza onnivora.
La filosofia non inventa nulla, che
Dürer mostra parata di cartigli, pendenti, filatteri per i Libri dell’amore di
Celtis, grassa sninfia seduta soddisfatta. Si vive di poesia, inclusa quella
scadente dei persuasori occulti, anche orientali.
Giordano Bruno – È “il” Moderno? “La terra, dunque, non è
assolutamente al centro dell’universo”- “De l’infinito, universo e mondi” (“Dialoghi
metafisici”, I, p.316).
Globalizzazione
– Ha favorito i nazionalismi di ritorno. È
riflessione di Biagio de Giovanni, in calce al suo “Giordano Bruno Giambattista
Vico e la filosofia meridionale”,142: “Questioni identitarie, relative ai
caratteri delle civiltà, tornano da ogni parte e in mille forme, anche
guerresche; e la connettività universale sembra essere più fonte di conflitti
che realizzazione della pace perpetua”.
Intellettuale – Curiosa figura, con l’ambizione dell’apoditticità – anche se ora dismessa, dopo tre secoli di trionfi. Essendo
concrezione della nostalgia del non democratico Platone, il dittatore del
sapere, dovrebbe sapere di non sapere – in quanto depositario di verità è, al
meglio, Epimenide cretese.
Sepoltura – È l’inizio dell’umanità per Vico – per le forme
memoriali, affettive, familiari di cui è espressione si direbbe. Si va all’incinerazione
per ragioni igieniche, si dice. In realtà pratiche più che igieniche, di spazi
e di costi. E di perdita della memoria.
Storia – Le novità accelerano la
storia. Non c’è storia senza novità - cambiamento?
Un
ritorno alla casella base s’impone necessario, dacché “la storia greca sta
attraversando una crisi”. Arnaldo Momigliano l’ha rilevato già nel 1953,
spiegandosi dieci anni dopo a Berkeley: “Siamo sempre più consapevoli del fatto
che i greci, come gli ebrei, svilupparono alcuni dei tratti più caratteristici
della loro civiltà all’interno dell’impero persiano”.
La nostra storia greca è nata male, spiega
Momigliano, quando Erodoto, l’autorità in fatto di storia persiana, fu messo da
parte a favore di Tucidide - o la storia delle connessioni a favore di quella
delle nazioni. Il fatto non è senza conseguenze se l’Occidente è nato a
Maratona - “la battaglia di Maratona, anche come evento della storia inglese, è
più importante della battaglia di Hastings”, stabilisce John Stuart Mill. Maratona,
dove i persiani furono fermati dagli ateniesi, era già stata assunta quale
inizio dell’Occidente nel modello “ariano” – ma l’Occidente non era nato dieci
an-ni prima con Temistocle a Salamina? Da Tucidide a Ranke, per duemila anni
la storia è stata politica. Ma se il suo inizio è in Ecateo di Mileto, allora
la storia comincia così: “Io dico come pare a me”. Il genere letterario più
diffuso al culmine dell’impero, nel primo e secondo secolo, da Atene esportato
a Roma, fu la storia favolosa: si gareggiava a inventare eventi, personaggi,
meraviglie. Non c’è Roma del resto nella storia greca: negli scrittori greci
fino a epoca tarda non si fa cenno dell’impero.
Verità
–
Parte da se stessi? Per sant’Agostino, secondo il quale imparare è
ricordare, ma non c’è niente da imparare fuori: sì, c’è la verità eterna, dice,
ma la conoscenza di sé è il primo indispensabile passo. Avrà conosciuto se
stesso, magari (auto)confessandosi? Non si è se non si crede, a se stessi.
Ci sono molti modi o strade in cui
s’incontra la verità, dice Karen Blixen. Non è un cammino rettilineo.
“La verità vuol star di
sopra”, è assioma di Bertoldo. Non importa scopra che o chi, ma deve cavalcare.
Ci
sono quattro forme di scetticismo, secondo il De Ruggiero: in senso proprio, lo
scettico che osserva, lo zeletico, che cerca la verità, l’effetico, che
sospende il giudizio, e l’aporetico, di chi non trova la solu-zione. Ma sono
dieci i tropi su cui Enesidemo fonda il dubbio. Più i cin-que che Sesto
Empirico fa risalire a Agrippa, di cui nient’altro si sa: l’op-posizione dei
giudizi, il regresso all’infinito, la relatività dell’oggetto, le proposizioni
universali dei dommatici, il diallelo o circolo vizioso.
Virtù - Miss
Anscombe – la”Dragon Lady” di Wittgenstein, di cui era discepola diligente - l’ha
riscoperta, la virtù, e la fa sodale della verità - ma la verità, dice Lacan, è
bugiarda.
I
radicali secondo Rousseau sono imitativi, e dunque la virtù ha qualcosa di duro
dentro. Mallarmé invece dà la virtù al fonema st-: “In molte lingue indica
stabilità e franchezza, durezza, massa, insomma incitazione”. In stronzo per esempio? o stupido, stinto, stanco. E
non sarà
tr- il vizio? Il treno, o destra e sinistra.
zeulig@antiit.eu
L’irruzione del male nel tinello
L’irruzione del male, in
ambito familiare, giovanile, sereno, ilare. Il vecchio tema tragico, di tanto
Shakespeare ma già degli antichi greci, riproposto in termini attuali,
cronachistici, della violenza sulle donne. Tanto più percutente se giovanile, e
tra persone “ordinarie”, noi o voi, che acutizza il vecchio leitmotiv tragico,
da Eschilo in qua.
Un racconto dapprima lieto,
poi operoso, poi turbolento: la violenza ha il sopravvento – non ci sono altre
difese, la società organizza polizie ma non anticorpi. Una tragedia dura. Senza
effetti squatter, ma analogamente percutante – peggio perché sofferta al
chiuso, in casa.
Ivano De Matteo, Mia,
Sky Cinema, Now
mercoledì 29 maggio 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (561)
Giuseppe Leuzzi
Il generale Mori rinviato a
giudizio, per l’ennesima volta, sempre per “i fatti di Palermo”, in questo caso
per le stragi a Firenze e Milano nel 1993. Dalla Procura di Firenze, che ha il
privilegio di indagare sulle stragi. Dopo trentun’anni. Poiché Mori ha 85 anni
qualsiasi giudice può fare a mano di lavorare. Se non, nel frattempo, alla carriera,
per un’indagine così importante, su un colpevole illustre: qualcuno del pool è
già diventato Procuratore Capo, qualcun altro lo diventerà. E questa è tutta la
“giustizia antimafia”, trentun’anni di carriere. Per non molti, ma che carriere
- poi dice che Sciascia ci vedeva male.
In una cosa il Sud è allineato
al Nord, al Centronord: nell’evasione fiscale. Totale e pro capite. Un’elaborazione
statistica del “Quotidiano del Sud” sui dati del Tesoro mostra che la stima
d’evasione fiscale, 172 miliardi, è così suddivisa: 129 miliardi al Centronord,
il 67,2 del totale, per il 66,5 per cento della popolazione, e 63 miliardi al
Sud, il 32,8 per cento dell’evasione totale, per il 33,5 per cento della
popolazione.
Non si dà pace l’ex sindaco di
Rende Marcello Manna, di centro-destra, cacciato dal prefetto un anno fa, insieme
con il consiglio comunale, per “infiltrazioni mafiose”, e scrive a Mattarella:
questi scioglimenti sono discrezionali, cioè arbitrari, quindi
incostituzionali, non c’è nessun contraddittorio, nessuna accusa specifica è stata
mossa a nessuno. Ha scritto a Mattarella invece di fare causa per
incostituzionalità. E forse non sa che gli scioglimenti, come già il soggiorno obbligato,
sono un’antimafia di copertura. Però, si è cautelato: la lettera l’ha resa
pubblica.
La mafia è recente
Mafia è recente, come passepartout
mondiale - un export della Sicilia nel trentennio del terrore, 1963-1993, da
Ciaculli ai Georgofili. In America, dove i passepartout mondiali si
fanno, era mob – la mob siciliana era Cosa Nostra.
I dizionari inglesi e
americani non registrano la parola fino agli anni 1960. Quelli spagnoli nemmeno.
Il Petit Robert ne data l’introduzione al 1868, come “maffia”, nel senso di audacia,
spacconeria, e al 1933 nel senso proprio (ma non dà il riferimento, se a uno o
più testi) – per “maffieux” riporta al 1980, per “mafieux” al 1987 (“Libération”).
Nel 1952 si pubblica a New
York, da primaria casa editrice, Random House, un libro esplicito, “Mafia”, di
Ed (Edward) Reid, un giornalista investigativo, sulla mafia a New York – l’anno
dopo che Reid aveva ricevuto il premio Pulitzer (sarà tradotto nel 1956 dall’editore
fiorentino Parenti, con prefazione di Calamandrei, e sarà un successo, ma in
una serie “Gialli veri. La realtà supera l’immaginazione”: la prima copertina,
bianca con indice, saggistica, sarà succeduta da una gialla, n. 2 della collana,
quindicinale, e poi da una nera). Ma nel “Padrino”, sia in quello di Puzo
(1969) nel romanzo che in quelli di Coppola al cinema, a partire dal 1971, la parola mafia non c’è. Anzi, soprattutto i film, per il carisma di Marlon Brando, danno
una strana immagine collegata al brand, di quella che Sciascia aveva detto
la vecchia mafia, onorata (nella prima riflessione in tema, 1957, l’anno dopo “Le
parrocchie di Regalpetra”, per la rivista di Silone, “Tempo Presente”, un breve
saggio ora ripreso in “Pirandello e la Sicilia”, in forma di recensione di Reid,
e di “Questa mafia” del maggiore dei Carabinieri Renato Candida, l’ufficiale
leccese che gli servirà da modello per il Bellodi del “Giorno della civetta”, indulge ancora alla mafia vecchia, buona, e ha perfino una
“mafia di sinistra”, consentendo con l’ufficiale dei Carabinieri, portato dalla
divisa all’equidistanza). Mentre imperversavano già da un
decennio autobombe, tritolo e kalashnikov, spietati, a tradimento, senza limiti
ai morti.
Su questa assenza varie
mitologie si sono create. La parola non c’è perché l’Italian American Civil Rights
Movement si oppose. Con metodi mafiosi: minacce telefoniche ai dirigenti Paramount,
in particolare al produttore Robert Evans, e “avvertimenti” (furti e sabotaggi
di materiale costoso fin dai primi sopralluoghi, nel 1972). Niente riprese a
Little Italy, e niente “mafia”. Finché Evans non decise di accordarsi col
fondatore e presidente dell’Italian American Movement, Joseph
Colombo, capo dell’omonima “famiglia” di mafia, una delle tre di New York. Che
impose: “Né la parola ‘Mafia’ né ‘Cosa Nostra’ devono comparire”. Non tutti i
mafiosi a New York gradirono la benedizione al film, continua la leggenda nera,
e pochi mesi dopo Colombo fu punito dalle cosche rivali, Gambino e
Costello-Luciano.
Cominciava il mito della mafia.
I fatti sono leggermente diversi. Il primo “Padrino” fu girato in 80 giorni, da
fine maggio ai primi di agosto 1971. Colombo fu sparato il 28 giugno 1971, al
Columbus Circle di Manhattan, davanti a decine di migliaia di persone, da un killer
afroamericano, Jerôme Johnson, poco abile (e subito freddato dai figli e la
scorta di Colombo), ma non per il film, per conto del concorrente Joe Gallo –
Colombo sopravviverà paralizzato per sette anni, fino al 1978, in tempo per sapere
dello stratosferico successo della serie, ma senza alcun potere. Evans era il capo della Paramount, il produttore era Al Ruddy, morto di questi giorni, quasi centenario, produttore di molti film di successo - sua la scelta di Marlon Brando.
La serie “Il Padrino” era nata,
come si sa, per il regista Peckinpah (che fu poi licenziato per motivi
sconosciuti – alcol? cocaina?), quindi più azione e botti che parole, pause, sguardi
e psicologia. La Paramount arrivò a Coppola dopo contatti infruttuosi con
Sergio Leone, Kazan e Arthur Penn. Coppola era già famoso, ma per film a basso
costo, e di più come sceneggiatore, premio Oscar non ancora trentenne per questa
attività, con “Patton, generale d’acciaio”. “Il Padrino”, senza “mafia”, sarà
opera sua in tutti i sensi.
Un incidente in Calabria
Tra le uscite di Rogliano e
Altilia Grimaldi, sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, cica 20 km. a Sud di
Csenza, si è formata nella lunga discesa in direzione di Reggio Calabria una
fila. Per un incidente. Pare un tamponamento. Sono le 14, fa caldo, ma siamo su
un cavalcavia, e con i finestrini aperti c’è aria. Tutti sembrano aspettare pazienti.
Si passa il tempo sui cellulari, qualcuno telefona, i più scorriamo i social.
Alle 15 passa, senza clamore,
un’auto della Polizia. Dopo qualche minuto la segue una Panda colorata dell’Anas,
con due in tuta arancione. Qualcuno scende dalla macchina, si conversa, si
ipotizza: libereranno il passaggio, prese le misure e fatte le fotografie del
tamponamento.
Alle 16 passa una grossa Bmw,
tipo Suv, vetri fumé. Avanza con prudenza, ma con decisione. Che sia il
magistrato? La voce corre. Ma allora, si ipotizza, ci saranno feriti. Ecco
perché tutto resta bloccato. Non ci sono dubbi. Anche perché in rete va un sito
di Cosenza che parla di un incidente mortale tra Rogliano e Altilia, una donna
sarebbe morte – dice anche l’età, 34 anni.
Subentra il silenzio. Nel
senso che non si fa più small talk per ingannare l’attesa. Qualcuno fa telefonate
lunghe. Qualcuno mette mano alle carte, per portare avanti il lavoro. Ma d’un tratto,
verso le 17, la colonna si muove. In prima, procedendo e fermandosi, specie i
primi minuti, prima che si avvii la pratica dell’alternanza nelle precedenze,
per fare delle due file una, si avanza per un paio di chilometri. Finché uno
dei due uomini arancione dell’Anas non invita vigorosamente a passare di carreggiata
e invertire la marcia: hanno ristretto il traffico sulla carreggiata in salita,
rado, a una sola corsia, e in quella interna invitano a tornare indietro.
Ripartiamo titubanti, non
conoscendo i luoghi. I più però sfrecciano, sanno cosa fare, saranno del luogo,
conviene accodarsi. Usciamo a Rogliano. Non siamo in molti, all’uscita si forma
una coda, ma la fila è corta. E un altro uomo in arancione, affannato, invita a
muoversi. S e non che non ci sono indicazioni: dove andare? Chiedere è inutile:
l’uomo affannato in arancione urla di prendere una qualsiasi direzione pur di
liberare l’uscita dall’autostrada, che comincia a intasarsi.
Si prende una direzione qualsiasi.
Finché, finita la coda, non ci si può fermare, e chiedere la direzione. “È
semplice”, dice un ragazzo, “fino a Grimaldi, poi da Grimaldi ad Altilia, e lì
riprendete l’autostrada”. “In questa direzione?” “Su questa strada”. È fatta, finalmente
un punto fermo, dopo tre ore o quattro d’incertezza.
Sono passate quattro ore, ma
pazienza. Se c’è stato un incidente mortale – uno inconsciamente si congratula
con se stesso. È campagna piena, molto verde, e la strada è ben tenuta. Solo
che Grimaldi non si vede. Curve e controcurve, ma niente cartelli e niente
Grimaldi. E se la direzione fosse sbagliata? L’incertezza subentra di nuovo. Anche
la campagna, è molto verde, ma non è coltivata, non ci sono orti, non si olivi
né alberi da frutta. E non c’è a chi chiedere. Tornare indietro? Andare avanti?
Tornare non è opportuno. L’ansia cresce. Ma poi qualche macchina s’incontra. Una
è ferma nella nostra direzione. Accostiamo. Una ragazza è appoggiata alla macchina
e digita. Solleva appena il capo, l’occhio witty, e dice subito, non
ancora interpellata: “Avanti ancora un po’, c’è il bivio per Altilia”. E così
è. È che i chilometri dall’autostrada a Grimaldi sono una quindicina, bastava
dirlo o segnalarlo. Un’altra decina ci saranno per Altilia, ma a cuor leggero, la
fiducia essendo stata ristabilita.
Si può apprezzare la coolness.
In fondo, quattro o cinquemila macchine in fila non sono un disastro. Ma quando
c’è – ci sarà - il terremoto? In fondo, è stato semplice. Ma non lo è: in una
vera emergenza, come sarebbe successo, come ci si sarebbe organizzati?
Il giorno dopo il giornale
locale non fa cenno alla lunga coda. Digitando furiosamente, si trova una
cronaca locale con la foto dell’incidente: un tir ha preso fuoco, l’autostrada è
rimasta chiusa per cinque ore, per i rilievi d’uso nelle assicurazioni. Di
quale mondo?
Napoli illuminata,
Pavia reazionaria
Stefania de Bonis fa sul supplemento “Mimì” del “Quotidiano del Sud”
la storia vera, che non si conosceva, di Anna Kuliscioff. In un saggio dal
titolo “Laureate, che fatica essere donne”. Sulle difficoltà di una donna, fino
al primo Novecento, a dirsi dottore, avvocato, ingegnere e a esercitare la professione.
“Ne seppe qualcosa Anna Kuliscioff, nata in Crimea, fuggita in Svizzera per
studiare filosofia e poi arrivata in Italia, dove fu arrestata con l’accusa di
cospirare con gli anarchici. Nel gennaio 1984 giunse a Napoli, accolta
cordialmente dal professor Arnaldo Cantani, per dedicarsi, nella clinica
ostetrico-ginecologica, allo studio delle malattie femminili.
“Per approfondire le ricerche sulle «febbri puerperali», necessarie alla
sua tesi, si recò nel laboratorio di Golgi a Pavia, chiedendo il trasferimento
nell’ateneo cittadino. Il rettore Alfonso Corradi e altri docenti, irritati dalla
sua richiesta (preoccupati dal possibile contagio politico della platea
studentesca) si opposero. Benché la prefettura avesse assicurato che la
studentessa non appariva più «pericolosa» e aveva promesso di «vivere
senz’altro scopo che quello di completare gli studi».
“Corradi fu irremovibile.
La giovane laureanda fu difesa soltanto da alcuni universitari. In particolare
Achille Monti, che scrisse sulla «Lombardia» un articolo contro il rettore,
«uomo dai cento raggiri», e gli altri studenti «giovani inetti».
“Risultato dell’articolo
fu un duello fra Monti e il giovane Camillo Broglio, offeso e contrario
all’arrivo della laureanda. Qualche graffio, la sospensione di Monti dal collegio
e il mesto ritorno a Napoli della Kulisciofff. Che, dopo la laurea a Napoli, si
dedicò a battaglie politiche e sociali al fianco di Filippo Turati, suo
compagno di vita, e fondò il quindicinale «La Difesa delle Lavoratrici»”.
Cronache della differenza: Sicilia
Si ricordano a Messina, ancora negli anni
1950, le banchine del porto d’inverno occupate da botti. Di limoni, si diceva. Di succo? Sembrava troppo. Di bucce? Dell’uno e delle
altre. Le
bucce per le marmellate Silver Shred di Robertson, che sono sempre buone, dopo
un secolo e mezzo. Il succo per lo scorbuto. Contro lo scorbuto, ovviamente: s’imbarca
a barili su ogni nave in partenza, ancora oggi, dopo la scoperta nel 1747 del medico
navale James Lind.
E se la Sicilia
fosse stata inglese, come Malta per esempio? Improponibile. Che l’Inghilterra
ambisse alla Sicilia, l’abbia dotata perfino di una costituzione, per impadronirsi
del limone, prima del marsala, e dei pistacchi di Bronte, è plausibile. Ma le
costituzioni ai siciliani non dicono nulla.
Scrivendo della sua Sardegna nel 1951, sul “Ponte”
(“L’avvenire della Sardegna”), Emilio Lussu parte con questa affermazione, a
proposito della diffidenza e dell’isolamento tra sardi: “È il fatto che la
regione è un’isola – la Sicilia non lo è affatto”.
Pur avendo avviato il “volgare”
(l’italiano) con Federico II e la sua corte, “la Sicilia rimarrà isolata dall’Italia
dopo la pace di Caltabellotta (1302), che sancirà un autonomo regno di Trinacria”
– Stefano Lanuzza,”Storia della lingua italiana”, p. 27. Si ritorna al latino,
e al dialetto.
“Dopo la caduta della Sicilia e del
Meridione sotto il dominio angioino, il primato del volgare comincia a passare
alla Toscana” - Lanuzza, ib.
Emily Lowe, intraprendente gentildonna
britannica, saluta l’isola nel 1859, sbarcandovi, come “terra amata da tutti gli dei”. E
alla partenza, al termine del suo tour con la mamma, come quella “che possiede tutto e non gode di nulla” – “Unprotected
Females in Sicily, Calabria and
on the Top Of
Mount Aetna (1859).
L’editrice Sellerio ha varie antologie
di racconti, soprattutto di “gialli”, dei suoi autori. I siciliani sono tutti sicilianisti, sfegatati
– anche Piazzese, che pure aborre i luoghi comuni. Malvaldi non è così buono con i suoi
vecchietti di Marina di Pisa – “BarLume”. Recami, fiorentino, è perfino antifiorentino (sporcizia, “un genera
le difetto di creanza”, l’“Arno d’argento” è una pozza, puteolente…). Perfino Giménez-Bartlett
ha da ridire su Barcellona, se non altro per i troppi turisti – ma questa scrittrice di
Barcellona non è catalana, è castigliana… I siciliani invece no: mari, monti, cucina, arabi, donne, è
tutto un tripudio. Alla Sicilia, come a Milano, non difetta l’autocompiacimento. Ma non
fruttifica.
Oppure
sì? L’isola è decima per reddito, complessivo
e pro capite, tra le regioni italiane. Ma è la quinta per ammontare totale di
depositi bancari - ne ha più dell’Emilia-Romagna (4,8 milioni di abitanti contro
4,5, ma 17 mila euro di reddito pro capite, contro 35 mila, più del doppio), e
del Piemonte (4,2 milioni di abitanti, ma 30 mila euro di reddito pro capite).
leuzzi@antiit.eu