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sabato 22 giugno 2024

Il Sud si disamora della destra

Le città maggiori, Bari e Firenze, si confermano domani alla sinistra, non c’è gara per i  candidati della destra. Ma la destra soffre anche in città che pure alle politiche l’hanno votata a maggioranza: Lecce, Potenza, Vibo. Sono centri del Sud, che visibilmente si disamora della destra al voto. Per non dire delle reazioni, tra rassegnate e mordaci, alla lusinga del Ponte. Mentre si ritiene bastonato dalle autonomie lombardo-venete, ben di destra.
La tendenza, non rilevata, è visibile al voto europeo. La Lega, primo partito anche al Sud alle Europee 2019, ha acconto a maggio solo il 6,8 per cento – un punto o poco più di Verdi\Sinistra. E il 6,99 nelle Isole. Benché trainata, in entrambe le aree, da Vannacci con 150 mila preferenze per area, senza il quale la percentuale sarebbe stata più ridotta.
In totale Vannacci ha avuto 530 mila preferenze, ma, malgrado il generale, la Lega ha perso 380 mila voti rispetto al 2022. Alle Europee ha perso consensi anche Fratelli d’Italia, 600 mila voti in meno rispetto alle politiche del 2022. Il raffronto non è omogeneo, tra Politiche ed Europee, anche per la diversa affluenza, ma il Pd ha incrementato i voti di 200 mila unità.
Il Sud poi vota all’impazzata, si sa, come un animale smarrito. Però alle Europee, con tutto il governo Meloni in carica, e si sa che il Sud è sensibile ai governi, ha dato alle destre 400 mila voti in meno – un calo solo minimamente compensato dalle isole, con 40 mila voti in più. Malgrado lo squagliamento 5 Stelle, primo partito nel 2019 al Sud e nelle Isole, che si è dimezzato.

Repressione e liberazione, un’altra storia

La ricostruzione a ottant’anni della liberazione di Firenze, con una dura guerriglia urbana contro camicie nere e truppe tedesche nella parte Nord della città, mentre gli Alleati erano attardati a Sud dell’Arno, i tedeschi avendo minato i ponti. Una battaglia che durò tutto un mese a partire dall’11 agosto 1944.  I gerarchi fascisti e i tedeschi sono in ritirata, ma presidiano ancora la città, per garantirsi le spalle, e ancora per quasi un mese saranno attivi e cattivi contro ogni forma di Resistenza.
Dopo Napoli, Firenze fu la prima città che insorgeva contro la Repubblica di Salò e l’occupante tedesco, anticipando le vicende politiche e militari al Nord nei mesi successivi. Avvenne dopo una serie di scioperi, a partire da febbrario, a Firenze alla Nuovo Pignone,  e alla Manifattura Tabacchi, qui a opera delle sigaraie, a Vicchio, a Empoli nle vetrerie, a Prato nel tessile. La repressione è a opera dei fascisti di Salò. A Prato in concomitanza con un disastroso bombardamento Alleato, che distrusse abitazioni e monumenti. I partecipanti allo a Prato, o presunti tali, tutti uomini, 338, vengono avviati a Mauthausen - ne ritorneranno 64.
L’occupazione era stata specialmente cattiva. Arresti arbitrari e torture si operavano a Firenze a Villa Triste, a opera della banda mussoliniana Carità. La deportazione degli ebrei fu particolarmente curata. Dopo l’insurrezione i cecchini fascisti, sotto il manifesto “Ritorneremo”, continuarono a lungo la folle corsa all’assassinio mirato di innocenti. Firenze aveva un ruolo centrale per il fascismo repubblichino, con molte presenze di grandi federali, e molta determinazione, fino alla ferocia.
Le ricostruzioni sono dello storico Matteo Mazzoni, e di Valdo Spini - figlio dello storico Giorgio Spini, un esponente della sinistra del partito Socialista, di cui fu il coordinatore (segretario) nell’estate del 1994, dopo essere stato ministro dell’Ambiente nei governi Amato e Ciampi.
Una celebrazione pregevolissima. Con notevoli medaglioni di personaggi di primo piano nella Resistenza, che non figurano negli albi di storia.  Molte donne: Anna Maria Enriques, Tina Lorenzoni, Mary Cox, Maria Penna Cannaviello. L’eccidio della famiglia Robert Einstein, il cugino di Albert Einstein che a Firenze era ingegnere al Nuovo Pignone. Gli intrighi e intrallazzi attorno ai beni artistici. Un ricordo di “Potente”, Aligi Barducci, comandante della divisione partigiana Arno. I Carabinieri di Fiesole, trucidati dai tedeschi perché sospetti di optare per la Resistenza. 
Con molte fotografie, anche di manifesti d’epoca, e materiale documentario in facsimile
Con molte fotografie, anche di manifesti d’epoca, e materiale documentario in facsimile
Valdo Spini-MatteoMazzoni, 1944 Firenze insorge, “la Repubblica”, pp.139, ill., gratuito in edicola

venerdì 21 giugno 2024

Secondi pensieri - 538

zeulig


Assoluto“L’inaccessibile, com’è vicino!”, esclama il poeta Osip Mandel’stam a mezzo di una delle sue “Ottave” – la 4, del maggio 1932. Memore di Bergson, di cui aveva seguito le lezioni? “L’Assoluto si rivela molto vicino a noi, e in una certa misura, in noi. È di essenza psicologica, non matematica o logica. Vive con noi. Come noi, ma, per certi aspetti, infinitamente più concentrato e più ripiegato su se stesso, dura” – “L’evoluzione creatrice”.
Psicologico e non matematico? Un assoluto mobile, volubile.
 
Corpo – La metafisica Vico voleva “corpolentissima” – quella dei primi poeti. della immagini fisiche: “Non ragionata ed astratta…. Ma sentita e immaginata quale dovett’essere di tai primi uomini, siccome quelli ch’erano di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorisissime fantasie”, quando alzarono lo sguardo al cielo. Contro il “cogito” cartesiano, astratto dalla corporeità: la parola si forma nel “linguaggio muto de’ corpi”: “La natura umana, in quanto ella è comune con le bestie, porta seco questa proprietà: ch’i sensi sieno le sole vie ond’essa conosce le cose”.
 
Crisi – L’epoca si vuole di crisi benché in condizioni materiali immensamente migliori per tutti (per la stragrande maggioranza degli uomini e anche, per la prima volta, degli animali, di molte specie di animali), di qualsiasi altra epoca della storia (reddito, merci, salute, igiene, carità, e perfino liberazione dal lavoro). Vico direbbe che è l’effetto dello scetticismo (pessimismo “cosmico”), barbarie della riflessione.
Lo scetticismo ha perduto gli imperi e perde la ragione, direbbe sempre Giambattista Vico (“Autobiografia”, lettera a Francesco Sola, 12 gennaio 1729): “Lo scetticismo, mettendo in dubbio la verità, la qual unisce gli uomini, li dispone ad ogni motivo di proprio piacere o di propria utilità che seguano il senso proprio, e sì dalle comunanze civili li richiama allo stato dele solitudini…, di fieri ed immani che vivono tutti divisi e soli nelle lor tane o covili, e la sapienza riposta degli addottrinati, che dovrebbe reggere la volgare de’ popoli, le dà le più forti spinte a precipitarsi ed a perdersi”.
La colpa? Di Renato delle Carte, dice Vico: lo scetticismo è della ragione? 
 
Politica – Non è, non dovrebbe essere per Giordano Bruno, “Spaccio de la bestia trionfante”, di “pedanti e parabolanti, ma di quelli che per adoprarsi nella perfezione del proprio e altrui intelletto, nel servizio della communitade, nell’osservanza espressa circa gli attui della magnanimità, giustizia e misericordia, piaceno agli dei”.
Dovrebbe ma non è. In assenza di “dei”? Di giudizio sì.
 
Purezza – È, s’intende, semplicità? E per questo apprezzabile, di grande valore. Si dice dei metalli rari e ricchi. Come anche, si dice, “puro pensiero”, “pura intuizione”, “pura spirazione”.
 
Storia – “La storia è storia dell’umanità anche se una gran parte dell’umanità è stata esclusa dalla storia”, Italo Calvino, “Lettere a Chichita”, 2 luglio 1963, “e deve ritrovare questo suo valore universale anche per coloro che ne sono stati esclusi”.
 
Tempo - “Fra tutte le nostre invenzioni, senz’altro la più artificiosa”, per lo scrittore W.G.Sebald, “Austerlitz” , p.11. E tuttavia i movimenti di sono, di luce, di calore, anche ciclici.
“Newton riteneva che il tempo fosse un fiume come il Tamigi”, uniforme ovunque? Si, fluisce.
Lo stesso scrittore nello stesso libro fa opera di memoria, vagante nel tempo, di memoria infine riconquistata, di persone, avvenimenti e tempi che furono.
Lo stesso scrittore ha , qualche pagina dopo, “l’abisso del tempo”.
 
Vangelo – È laico, perfino anticlericale. Non c’è altro Vangelo se non laico. Quelli canonici sono il primo testo laico della storia, un testo sacro che demitizza tutto - solo pena e amore contiene, amore della verità.
 
Verità - La verità è sempre quella dell’Agente segreto di Conrad: la stupidità delle buone intenzioni. O di san Paolo, che proprio ai romani spiegò che il peccato lo fa la legge: “Senza la legge il peccato è senza vita”. Non solo, ma “la legge che doveva portare alla vita finisce per con-dannare alla morte”. È la doppiezza, associata all’infamia, che fa la grandezza dell’uomo di Borges. O di Paul de Man, che in Borges l’ha scovata, impegnato a cancellare il suo antisemitismo di quando Hitler vinceva la guerra, e porsi a sinistra. La peste può essere così morbosa, quella di Atene in Tucidide, da allontanare le bestie che si cibano di cadaveri.
 
La verità si fa, è quello che siamo, dice la moderna filosofia. Era nel senso biblico originario la parola di Dio, proprio il suono, il nome di Dio: la verità è quello che si dice, per questo nei suoi atti rituali il sacerdote d’Israele non parla. E se l’interlocutore è parte di una setta, possiamo usare contro di lui nell’argomentazione i principi di quella setta, è il topico VIII, 9 d’Aristotele, o topica. La filosofia lo consente, Schopenhauer dice, poiché per essa “il vero può conseguire da premesse false, ma mai il falso da premesse vere” – questo filosofo non è antitedesco.
 
Viaggiare – “Ogni qualvolta ritorniamo da un viaggio, non sappiamo mai con certezza se davvero siamo stati via”, W.G.Sebald, “Austerlitz”, 19. È la sindrome del sedentario? Delle sue fobie, che si debba viaggiare in aereo, o anche in macchina, o anche solo a piedi – come l’africano fa incessantemente, nella foresta, da un punto a un altro, non importa quale (non importa la meta, importa il cammino, il moto).
Si può viaggiare anche distratti.
Ma normalmente, viaggiando con intenzione, per diporto o per lavoro, la differenza è incancellabile, di spazio come di tempo.

zeulig@antiit.eu

Il successo non ha successori

La teoria del capitalismo familiare, destinato alla discendenza, già alla prima, a mutarsi o perire – esemplare nella storia odierna di Luciano Benetton, dei Benetton dei maglioni e del franchising. Al più la famiglia può avere incarichi di rappresentanza, ma non la gestione, i geni della gestione non si trasmettono. Sotto forma di recensione della bio definitiva di Henry Ford scritta da Robert Lacey, “Ford: Men&Machine”, nel 1987. 
“Il mito dell’individuo è sempre forte nell’opinione popolare. Le persone sono interessanti e comprensibili, l’organizzazione, la burocrazia, no.…. Le Borse reagiscono con raffinata indifferenza al passaggio di consegne in una grande azienda da un capo all’altro. Nessun informatore segreto trova da vendere informazioni sullo stato di salute dei dirigenti, se qualcuno ha il cancro o problemi di cuore, o l’Alzheiner aziendale…”. Ma la verità delle cose è altra.
Nessun fondatore ha trasmesso i geni della sua riuscita. Rimangono nella storia, Durant, Sloane, Rockefeller, Watson, perché sono finiti filantropi o uomini pubblici di rilievo.
L’unica eccezione è, insieme probabilmente con Dupont, Henry Ford. Ma per un insieme di coincidenze. Ford “era semi-analfabeta, imprevedibilmente autoritario, antisemita, e pieno delle fobie dell’ignoranza. Era un buon meccanico. Ebbe l’idea di un’automobile robusta, spartana, eccessivamente economica” per gli standard dell’epoca, da vendere per poche centinaia di dollari, quindi a un mercato di massa. “Ci riuscì, e il successo ha superato i suoi limiti personali”.
Lo stesso successo del Modello T, però, il biografo e Galbraith attribuiscono a una struttura manageriale e proprietaria che subito affiancò Ford. “Il genio organizzativo di James Couzens”, scrive Galbraith, che poi sarà capo della Polizia e sindaco di Detroit, e senatore Repubblicano liberale per il Michigan. E quello commerciale dei concessionari Dodge, i fratelli John e Horace. Anche il fordismo, che ha regolato l’industria poi per quasi un secolo, non sarebbe di Ford. La produzione a catena era già in atto, Ford la adattò al suo impiego poi universale. Le paghe alte furono introdotte da Couzens per tagliare controversie sindacali su orari di lavoro e addestramento.
Caratteristicamente, aggiunge Galbraith, Ford tra le due guerre, quando il gruppo era divenuto grande e diversificato, liquidò tutti i manager a catena al vertice della gestione. Il gruppo Ford arrivò alla guerra “quasi morto. La sua incompetenza nell’economia bellica, specialmente nella produzione di aerei a Willow Run, fu così grave che si parlò di un salvataggio pubblico”. 
J.K.Galbraith,
Truly the last Tycoons, “The New York Review of Books”, free online


giovedì 20 giugno 2024

Problemi di base storici - 812

spock


Le novità accelerano la storia?
 
Il, mercato (l’economia, l’età del mercato) è indifferente alla storia?
 
Il segreto sempre si lega al totalitarismo – che però si dichiara?
 
Non ci si può liberare del passato, ma si può riscriverlo?
 
“Il presente è il presente, ma è insieme vocazione e storia”, Giulio Bollati?
 
“L’inaccessibile, com’è vicino!”, Osip Mandel’stam?

spock@antiit.eu

Un cigno russo a Roma

Niente di più scontato, l’amore trionfa sula morte, il cigno è bianco, il cigno è nero, i cattivi tramano, i buoni sono ingenui, ma poi… La musica naturalmente - Čaikosvskij lamentava il libretto, pessimo (“ho dovuto rifarlo da cima a fondo”): aveva già in mente, con la storia, la musica, compresi i balletti etnici che la farciscono. Niente di più visto e rivisto - è pure il balletto più rappresentato al mondo. Anche in qesta edizione, che è in realtà una riedizione: Benjamin Pech, il coreografo francese, già primo ballerino dell’Opéra di Parigi, l’ha realizzata sempre per l’Opera di Roma nel 2018, e replicata due anni per le folle al Circo Massimo (dopo Roma sarà ripresa a Barcellona, al Liceu, il più grande teatro d’opera europeo, benché costruito all’italiana, 3 mila posti, e il più antico di Barcellona).
Da che il fascino particolare di questa riedizione? Lo stile Bolshoi “sovietico”, imponente. Anche nelle scene e i costumi, di Aldo Buti. Col contributo robusto in questa riedizione del Royal Ballet londinese, nella veste del maestro Ken Kessels, direttore musicale dell’istituzione londinese - tre primi ballerini del Royal Ballet si alterneranno nelle repliche.
Un trionfo del bianco, dell'innocenza. Con settanta-ottanta danzatori, il corpo di ballo dell’Opera messo a punto da Eleonora Abbagnato. Con Rebecca Bianchi, Alessio Rezza e Mattia Tortora nei ruoli, capaci di animare l’imponente messinscena.
P.I Čajkosvskij, Il lago dei cigni
, Teatro dell’Opera, Roma

mercoledì 19 giugno 2024

Chi dopo Xi?

Una struttura decentrata, federale, è sempre più il tema del futuro dei tanti think tank accademici cinesi, di università e istituti specializzati. Del dopo-Xi, però, quindi in attesa della successione – ma il presidnete ha 80 e più anni.
Xi le ha provate tutte per ricentralizzare nei suoi quasi vent’anni di dominio politico - a capo del paese da dodici, ma da vent’anni capo del partito Comunista dominante. Contro, di volta in volta, varie pestilenze che inevitabilmente hanno portato a decapitare il partito dei possibili concorrenti: la corruzione, l’americanismo, la speculazione edilizia. Ma il decentramento appare inattaccabile – nella natura della Cina. E forse della sua continuità come stato unitario.
Su questo non ci sono dubbi, nessuno contesta le forze del decentramento. Che vertono sull’asse Shanghai-Hong Kong contro Pechino, il Sud più industrializzato e finanziarizzato (capitalistico).
Le macro-regioni economiche, quelle più ricche e politicamente influenti sono cinque: Pechino, Shangai, Chengdu-Chongging, il Delta dello Yangtze, e la Greater Bay Area (Canton-Hong Kong).
Il dibattito è aperto. Ma senza eccessi. È stata l’unità infine ritrovata per una lunga stagione, senza Guardie Rosse e campi di concentramento (di rieducazione), che ha fatto della Cina in pochi anni, di un paese povere sovraffollato, un paese ricco e addirittura in crisi demografica – era appena ieri che i cinesi uscendo dallo stadio dovevano rintracciare la loro bicicletta, invariabilmente nera per risparmiare qualche centesimo sulla manifattura, sotto camicie tutte eguali di forma e colore, ala Mao, anche qui per risparmiare.

Quando Buzzati s’inventò la IA

 Appena pubblicato, col titolo “The Singularity”, la stranezza, e subito scelto per il Classics Book Club, fiore all’occhiello della “New York Review of Books” che l’ha fatto tradurre e lo sostiene – “un maestro del fantasy italiano, alla apri di Calvino e di Landolfi”. Ma soprattutto lo celebra come anticipatore dell’Intelligenza Artificiale, l’idolo del momento. Ermanno Ismani, tranquillo professore all’università, viene convocato dal ministro della Difesa con una strana proposta: una missione segretissima di due anni, in un centro di ricerca non specificato, isolato, tra foreste, crepacci e montagne a picco. Per fare che, e quanto a lungo non può sapere, ma sarà ben pagato.
Ismani accetta, tanto più che può andarci con la moglie, persona pratica e risoluta. I dubbi e le fantasie sono molte – anche le tentazioni di adulterio. Ma, insomma, in ballo è un supercalcolatore, chiamato Numero Uno, che non parla, non ancora, non è Alexa, ma è già in grado di emulare la mente umana. Ci sono anche belle e rigogliose donne, con nudi, femminili, e tutto quanto fa Buzzati. Ma questo va a premio in America rispetto ai suoi classici del mistero, deserti, tartari, orsi.
Scritto nel 1960, il racconto prospetta gli eventi al 1972. Ma oggi che sono passati cinquant’anni dalla data fatidica la cosa sembra avverarsi veramente. O almeno così il romanzo è osannato in America. In Italia è disponibile molto Buzzati ma non questo – solo in ebook, dal download arduo.
Dino Buzzati, Il grande ritratto
, ebook, pp. 134 € 7,99


martedì 18 giugno 2024

Le Pen gollista

Migliora il richiamo del neo-costituito Fronte Popolare in Francia contro il Rassemblement National, ma non ancora nella misura, secondo i sondaggi e gli analisti, di recuperare la sbandata a destra dell’elettorato francese alle Europee. Anche scontando gli apparentamenti e le altre possibili alchimie del secondo turno. Mentre migliora il rating  del Rassemblement National, come ora si chiama il partito di Marine Le Pen, quale erede del gollismo – che in Francia è memoria intoccabile e taumaturgica. Sarebbe questa la ragione per cui una parte dei Républicains, il partito gollista, fa campagna elettorale con Le Pen. 
Da una parte Marine Le Pen e il suo candidato primo ministro Bardella prendono le distanze dalla Russia, di cui finora hanno sostenuto le ragioni nella guerra all’Ucraina: “La proposta che abbiamo sempre sostenuto non teneva conto dell’andamento della guerra”. In linea col disimpegno altero dalle cause altrui che era il segno del gollismo.
Gli analisti sottolineano ora che le zone di radicamento del Rassemblent (che, va aggiunto, evoca il nome voluto per il suo movimento da De Gaulle nel 1947, Rassemblement du Peuple Français, per opporsi alla deriva partitocratica della Quarta Repubblica appena nata), cioè il Nord e l’Est della francia, col Sud-Est, l’asse Marsiglia-Nizza, era a suo tempo gollista in larga misura. E del Rassemblement l’elettorato in genere apprezzerebbe il compromesso, molto gollista, di Stato forte e libertà di mercato, dalle pensioni agli immigrati.

I treni dei bambini, salvati da Hitler

Nel 1938, quando Hitler occupò i Sudeti, in realtà metà della Cecoslovacchia, un broker britannico, Nicholas “Nicky” Winton, che operava con alcune società umanitarie, organizzò a Praga, aiutato a Londra dalla madre, una serie di “treni di bambini”, figli di ebrei o altri cittadini cecoslovacchi che si sentivano minacciati, per preservarli dall’occupazione imminente – l’ultimo treno fu bloccato per una questione di minuti il primo settembre 1939, con l’invasione congiunta tedesco-sovietica della Polonia e la guerra totale.
Con visti britannici, quindi intoccabili, i bambini venivano fatti attraversare in treno la Germania, e in Gran Bretagna trovavano famiglie affidatarie già in ordine con le carte pronte ad accoglierli, ogni bambino una famiglia. Anni dopo un Winton invecchiato, vedovo, confusionario, disordinato, provando a rimettere in ordine la casa, ritrova le vecchie foto dei bambini. Una studiosa francese decide di approfondire la questione. La Bbc s’impadronisce della storia, al modo di “C’è posta per te” di Maria De Filippi, ne fa un caso che commuove l’Inghilterra. E a Winton fa rintracciare i “vecchi” bambini – 669 furono salvati dalla sicura deportazione.
Una storia semplice, molto ben recitata, all’inglese, senza divismi. Da Anthony Hopkins, Winton vecchio, da sua madre giovane, Helena Bonham Carter, e dai tanti caratteristi che costellano la vicenda.
I “treni di bambini” sono evocati da Sebald nella sua ultima narrativa, 2001, “Austerlitz”, di cui anzi costituiscono l’ossatura, sotto le tante digressioni. La Bbc aveva riscoperto la vicenda nella trasmissione popolare “That’s Life!”, nel1988.   
James Owes,
One Life
, Sky Cinema

lunedì 17 giugno 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (563)

Giuseppe Leuzzi

L’autonomia differenziata in effetti non ha a che vedere con il Sud. Quale Asl, quale Regione, avendo diecimila, ventimila, centomila in un anno interventi chirurgici da provvedere non si butterebbe nel business, meglio se in ospedali propri cioè, un business eccellente, tutto in autonomia già da molti anni alle Regioni. Invece il Sud ne fa volentieri a meno, Campania, Calabria e Sicilia soprattutto, felice di regalare il tesoretto al Nord – il buon ospedale è da Roma in su.
 
Malaguti, direttore della “Stampa”, il giornale di Torino e degli Agnelli, commenta il G 7 con: “L’euro-Meloni e l’inutile spettacolo di Borgo Egnazia”. Sarebbe stato “inutile” lo “spettacolo” se si fosse tenuto nelle Langhe – “inutile” non può essere un G 7, non lo è stato?
 
Dell’odio-di-sé – o dell’inglese
Nella corvée quotidiana anti-Meloni, “la Repubblica” propone la lamentazione di una lettrice che legge anche il “New York Times” e vi ha trovato la definizione di Borgo Egnazia in Puglia, dove Meloni ha tenuto il G 7, come di un “villaggio Potiomkin”, cioè di cartapesta. Il rubrichista Francesco Merlo, che è di Catania, ci costruisce su l’estetica del falso, e conclude: questo Borgo Egnazia “è l’Italia falsa di Giorgia Meloni”.
Una teoria di cui Dagospia ha fatto un lancio a tutta pagina. Sotto vignette da “scompisciarsi dal ridere”. E il titolo: “Il ‘New York Times' stronca Meloni per la scelta del resort come sede del G 7”.
È curioso: se il resort è in Toscana o in Umbria, anche nel Veneto (ce ne sono di ricchissimi, anche con doppio campo da golf), va bene, se è in Sardegna o in Puglia è speculazione (in Sicilia e Calabria mafia, che altro). L’odio-di-sé c’è, non l’hanno inventato Theodor Lessing e Roger Scruton, e quello meridionale è fortissimo.
Si può capire l’anti-melonismo – è parte della politica. Ma non bisognerebbe anche chiedersi se la lettrice non è una “provocatrice” – come si diceva ai tempi del Partito. Cioè, riscontrare la cosa sul quotidiano newyorkese, che è pubblico, perfino online. Che dice il contrario, di Meloni fa l’elogio: “Il primo ministro italiano è stata uno dei pochi leader rafforzati dal voto per il Parlamento Europeo. Questa settimana ha la possibilità di mostrare il suo peso su un palco anche più ampio”. O il lettore non va rispettato?
Certo, bisogna sapere l’inglese. Si può capire Dagospia, D’Agostino non sa l’inglese, ma al giornale ex di Scalfari – lui non lo sapeva, ma i successori?
 
La koinèe mediterranea di Calvino
“Molta gente ha la stessa faccia, non dico degli italiani meridionali, ma dei liguri: la koiné mediterranea è un po’ tutta lo stesso minestrone”, Calvino a Tripoli, ottobre del 1963, annota girando per il suk. Era arrivato preoccupato: “Cara Chichita”, scriveva alla fidanzata a Parigi subito dopo lo sbarco, “un paese in cui non si vedono donne prende subito un’aria sinistra”.
Invitato dall’Istituto Italiano per tenere delle conferenze, Calvino resta spaesato per qualche giorno. Preda, scrive alla fidanzata, dell’ambasciatore per i pasti, che essendo solo, e uno del vecchio genere diplomatico, della conversazione vacua, se lo tiene stretto e lo deprime. Poi va a Sabratha, vede Leptis Magna, un po’ si riconcilia con la città. E ne scopre perfino la storia – di cui fa alla fidazata una sintesi ancora utile.
Al mercato, scrive, “ho cominciato a capire un po’ questo mondo, a entrarci, a non sentirlo  più tanto estraneo”. Per le facce. E anche per la storia: “Tripoli per molti secoli è stato il porto dei pirati che venivano a saccheggiare le nostre coste; la popolazione è mescolata, per via degli schiavi (di cui Tripoli era un grande mercato)” – allora come oggi, si direbbe – “e vanno dai negri dell’Africa nera ai veneziani e ai genovesi, di cui sopravvivono i nomi e la tradizione in famiglie arabe originariamente di schiavi portati qui. Nella vecchia Tripoli (che doveva essere molto bella quando era una mescolanza di popoli e l’Italia fascista la teneva come una colonia di lusso puramente rappresentativa spendendoci miliardi) sono scomparsi il quartiere dei marinai (greci, maltesi, ciprioti etc.) e il vicino quartiere ebreo, perché tutti se ne sono andati, e gli arabi si sono stabiliti informemente dappertutto. Ma questa rivincita araba è anche la loro decadenza (nonostante che ora abbiano il petrolio e pure che ci sia meno miseria) perché si chiudono sempre di più in se stessi”.
 
Severo il giudice di padre calabrese
Samuel Alito, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, non è meridionale, è nato a Trenton,  New Jersey, ha studiato a Princeton, è stato avvocato dello Stato federale americano, poi consulente del ministro della Giustizia, etc. etc, tutto molto americano, fino alla nomina alla Corte Suprema nel 2008. Dove è diventato il giudice più controverso. Non tanto per la giurisprudenza. È conservatore, ma dalle decisioni inattaccabili – erede, si dice, di un altro giudice supremo italo-americano di tendenza conservatrice, molto rispettato, Antonin Scalia. Per i modi spicciativi. È il tipo del vaffa. Per esempio, da ultimo, sull’alzabandiera a casa sua a rovescio – “lo ha fatto mia moglie, mia moglie è libera di avere delle opinioni” (erano i giorni della Befana del 2020, quando Trump si agitava per la “vittoria rubata”). Per il carattere. Di cui l’America, perbenista, deve scandalizzarsi. E quando una giornalista ha diffuso l’audio di conversazioni registrate di nascosto fingendosi amica di sua moglie, che sognava una bandiera con su scritto “vergogna”, in italiano, in risposta alle bandiere LGBTQ+, e l’America si è scandalizzata, non della registratrice occulta ma della moglie, non ha mosso ciglio.
Cose americane, perché parlarne? Questo Alito, per quanto sconosciuto, sembra un personaggio noto. E il motivo viene fuori subito, su wikipedia: è di padre calabrese, di Roccella Ionica (la madre era italo-americana, di genitori provenienti dalla provincia di Potenza, Palazzo San Gervasio). E questo lui è, sembra il calco di un genitore calabrese, e come lui decide: tace, riflette, e decide, senza arretrare di fronte alle critiche. Mai quando si tratta della famiglia: risoluto. La madre era maestra, il padre professore di liceo e poi, presto, direttore a vita del New Jersey Office of Legislative Services, un’istituzione statale.
Non è tutto. L’imprevedibilità il giudice Alito spinge anche sugli orientamenti. Nei curricula fa larga parte agli studi del costituzionalismo italiano. La sua laurea magistrale nel 1972 è stata uno studio della Corte Costituzionale italiana, “An Introduction to the Italian Constitutional Court”. Con ringraziamenti a Giuseppe Di Federico e Antonio La pergola, due giuristi di sinistra, all’epoca socialisti.
 
Cronache della differenza: Napoli
Pasolini, che amava Napoli, non ne apprezzava il tifo calcistico: Il tifoso (“Il mio calcio”) diceva “illuminato”, come le facce della pubblicità.: “Il tifoso di tipo, diciamo, napoletano, è un poco così: sa, è illuminato, beato lui, da una specie di grazia. A nulla valgono i ragionamenti…. Egli ha una porzione di cervello (la principale) staccata dal resto, e capace, sotto quell’illuminazione carismatica, di un solo, fisso, immutabile pensiero”. La fissità, “la maschera, la «macchietta»”, non gli piacevano: “Umilia l’uomo. Io ho pena quando vedo i tifosi, appunto, in maschera, con ciucciarielli, ecc. Nulla è più angoscioso dell’aspirazione «panem et circenses»: pensate a Lauro…”.

 
Non ha, non ha mai avuto, vocazione imperiale. Non sapeva nulla della Sicilia quando la governava – e non ne traeva nemmeno nulla, solo la malgovernava. O della Calabria, della Puglia. Le studiava – le faceva studiare – e poi non faceva nulla, di pratico – una strada, una fontana.
 
C’è molta Calabria nel memoir di Antonio Franchini sulla madre, “Il fuoco che ti porti dentro”. I fidanzatini di lei, uno bello, uno intelligente. I generi. L’appartamento a mare, a preferenza di Formia, nella babele “napoletana” da Praia a Mare a Paola, che si è creata negli anni 1970, con l’autostrada oggi del Mediterraneo, gratuita. C’era la possibilità di un ritorno della Calabria a Napoli, da tempo abandonata per Roma. Che subito è svanita: Napoli rumorosa e invadente ha creato più risentimenti che legami – risentimenti vissuti con disprezzo.
 
Ha fatto nel click day del “decreto flussi” immigrazione 2024, più domande di nulla osta di tutta la Lombardia. Nel 2023, ha spiegato la presidente del consiglio Meloni alla Procura Antimafia, su 282 mila domande di nulla osta per lavoro stagionale in agricoltura o nell’accoglienza, 157 mila sono arrivate dalla Campania. Con l’industriosità che mette nelle attività dubbie, la copia, il lavoto à façon, e ora i nulla osta immigranti, non farebbe faville nel grande capitale?
 
Vico nel 1725 mandò ai dotti della sua città “La scienza nuova”. Ignorato da tutti – “né pure un riscontro di averla ricevuta”, lamenta col padre Giacchi (“L’Autobiografia”, lettera del 25 novembre 1725) - come, dice, se l’avesse “mandata al diserto”

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Cronache dell’altro mondo – sovraniste (276)

“Mai sfondato nel mercato in lingua anglosassone”, lamenta Sveva Casati Modigliani sul “Corriere della sera”, intervistata da Roberta Scorranese per la serie “L’ultimo libro”, sul futuro del libro e della scrittura - per “anglosassone” intendendo evidentemente il mercato di lingua inglese.
“Secondo il mio editore”, spiega, “cioè Sperling, il mercato americano tutela i suoi scrittori di best-seller. E cosi oggi noi, per esempio, possiamo leggere la bravissima Danielle Steel tradotta in italiano, ma non permettono a un’autrice italiana da milioni di copie di sbarcare da loro”.
Un sovranismo letterario? “Lo chiami come vuole. Io so che, prima di morire, uno storico capo della Sperling aveva in progetto di aprire un ufficio a New York e pubblicare direttamente lì i miei libri”.
Quello che hanno fatto Sandro Ferri e Sandra Ossola (e/o) per “Elena Ferrante”. Che in effetti è stata per due anni la dominatrice delle classifiche Usa.

La scoperta dell’Olocausto, in bella copia - colpa dell'Europa

Sotto le spoglie di Austerlitz, una conoscenza occasionale che ritoma nelle pieghe della narrazione per alimentarla, biblico, storico, un po’ ingegnere, un po’ filosofo, uno studioso di architetture, dello “stile architettonico dell’era capitalistica”, nel fisico, nell’eloquio e nelle abitudini modellato su Wittgenstein, ma soprattutto narratore, a partire dalle grandi stazioni, di Anversa, di Londra, e dalle fortificazioni. Il nome gli viene dato dal direttore del liceo, perché quello della famiglia di adozione non è valido, non essendo stata l’adozione formalizzata giuridicamente. Ed è il nome vero, secondo Austerlitz, di Fred Astaire. Ma ricorre anche in un raccontino di Kafk, ricorda sempre Austerlitz, e nelle cronache - “il 28 giugno 1966 una certa Laura Austerlitz” rilascia “una testimonianza davanti a un giudice istruttore italiano circa i crimini perpetrati nel 1944 nella risiera di San Saba presso Trieste”. E forse è solo mediato dalla stazione della metro parigina nel quartiere della Salpétrière, l’ex manicmoio.
Sebald si fa narrare alcune curiosità. Ma soprattutto ricostruisce. Partendo dall’infanzia di bambino inviato in Gran Bretagna nel 1938 su un “treno dei bambini” che si organizzarono da Praga dopo l’occupazione tedesca. Mandato dai genitori, preoccupati da Hitler, e cresciuto nel Galles. Molto Austerlitz racconta dell’adozione e della famiglia adottiva, quindi dell’Inghilterra, nel lunghissimo dopoguerra. Nella seconda parte Austerlitz si collega all’Olocausto, raccontando la visita a Praga alla ricerca delle radici. Gli racconta tutto la vecchia bambinaia, amica della mamma: della mamma deportata, e del padre politico che nel 1938, quando la Cecoslovacchia fu invasa da Hitler, per evitare la prigione emigrò a Parigi (dove, Austerlitz ipotizza, fu rinchiuso in prigione come alieno allo scoppio della guerra, e poi deportato nei campi di sterminio in Europa orientale)
La scoperta si fa per gradi, e come occasionale. Il primo segno si manifesta al forte Breendonk, nelle pagine iniziali sulle fortificazioni, dove l’autore scoprirà poi che Jean Améry fu torturato, allo stesso modo di “un certo Gastone Novelli”, la cui storia è raccontata da Claude Simon in  “Le jardin des plantes” – dove emigra in Sud America, scrive il dizionario di una lingua che è tutta A, ritorna in patria, e dipinge furiosamente anche qui tutte A, “come un grido prolungato” – seguono tre righe di A in stampatello.
Una scrittura “tedesca”, assicurano i traduttori, puntigliosa, precisa, ma per una narrativa “all’inglese”, si direbbe – un viaggio alla Sterne: divagazioni, visioni, fantasmi, curiosità, aneddoti, e storie di quartieri, villaggi, epoche, scuole, eventi atmosferici, personaggi incontrati e memorie improvvise. Si divaga senza sosta. Con i viaggi degli uccelli migratori. In volo col Cessna sull’estuario del Tamigi, le luci di Canvey Island e Southend-on-Sea, la Piccardia, e al ritorno, visibili, il Cigno, Cassiopea, le Pleiadi  - le costellazioni. La difficoltà di scrivere.  Le passeggiate notturne nel West End (londinese). L’ospedale di Bedlam (manicomio). Il Nord-Est di Londra nel secondo Ottocento, rivoltato per costruire. E le stazioni naturalmente, le Grandi Stazioni, per la architetture, e per i vuoti. Londra quando si pattinava sul ghiaccio – non sul Tamigi, V. Woolf sbaglia in “Orlando”, ma sugli acquitrini del N-E, che “formavano un’unica lastra di ghiaccio per mesi e mesi”. La Nuova Biblioteca Nazionale di Parigi voluta da Mitterrand, per molte pagine.
Austerlitz è ubiquo come l’ebreo errante. Dopo il Galles è andato in Francia, poi in Inghilterra, dove ha comprato casa per 950 sterline, soltanto, e insegnato per trent’anni, e poi ad Anversa, dove l’autore ne fa la conoscenza, a Praga, a Parigi di nuovo, sulle orme del padre, e altrove – Dux (Casanova vecchio), e soprattutto Marienbad. Qui con un’avventura muliebre, una studiosa francese, Marie du Verneuil - ma sopaattuto si fa la storia delle terme.
Alla fine Austerlitz rilegge Balzac, “Il colonnelo Jabert”, che dopo anni riemerge con la memoria nitid della lunga quasi morte che ha vissuto, prigioniero in Germania. E ricorda di essersi formato, nell’inverno del 1959, sui sei volumi di Maxime du Camp, l’amico fraterno di Flaubert e suo compagno di viaggio in Oriente, “Paris, ses organes, ses fonctions, et sa vie dans la seconde moitié du XIXme siècle”. E qui tutto si lega: “Su quel terreno desolato fra l’area di smistamento della Gare d’Austerlitz e il Pont Tolbiac, su cui oggi sorge questa biblioteca (la nuova Biblioteca Nazionale, n.d.r.), c’era fra l’altro sino alla fine della guerra un grande deposito nel quale i Tedeschi ammassavano i beni sottratti nelle case degli Ebrei di Parigi”. Una memoria che svanisce? La Nuova Nazionale, “per il suo intero impianto nonché per un regolamento interno ai limiti dell’assurdo, tende a escludere il lettore, quasi un potenziale nemico”, personificazione  del bisogno sempre più pressante di farla finita con la memoria. La Nuova Biblioteca finisce come le altre fortezze, inutili, se non come luoghi di torture e assassinii di massa.
Un periodare disteso, lungo, da mezza a una pagina – qui una frase è particolarmente distesa, dalla p. 252 per altre nove, sette e mezza di testo non contando le illustrazioni. Non è un flusso di memoria, sono ricostruzioni episodiche, scandite dagli incontri occasionali dell’autore con Austerlitz, ma scritte come un unico, anche interminato, flusso narrativo. Con l’ortografia ma senza scansione: niente accapo, niente capitoli, frasi lunghe, alla Thomas Bernhard, ma sempre scandite in maniera leggibile da una scrittura compatta, come da blocco solido, per quasi quattrocento pagine. Una forma lieve, quasi ironica, di fa rivivere la persecuzione, a uno sbandato, un senza nome che va acquisendo identità a mano a mano che l’autore gliela crea, cresciuto gallese ma senza legami effettivi, che poi si scopre vittima della tragedia e non ne fa una tragedia.
Sebald – questo si sa poco di lui ma ne è il trademark - non apprezzava il corso della letteratura tedesca post-bellica, Grass e Böll, della Colpa, della ricostruzione ex nihilo. Più propenso, come in modo più volgare aveva fatto il drammaturgo Hochhuth con “Il vicario”, a vedere anche le colpe d’altri, dell’epoca, di una certa modernità – della “tecnica” direbbe Heidegger- e della storia europea. In una conferenza molto citata, “Auf ungehörige dunnem Eis”, sul filo sconveniente del rasoio (questo è il titolo che l’editore ha voluto per la raccolta postuma dei suoi saggi, 1971-2001, pubblicata nel 2011), spiega: “Vedo la catastrofe causata dai Tedeschi, per quanto terribile, per nulla come un evento singolare – si è sviluppata con una certa logica dalla storia europea. Per lo stesso motivo, si è consumata nella storia europea” Qui se lo fa dire da Austerlitz: il popolo di Hitler fu “mosso dall’entusiasmo per il riscatto nazionale”, dopo la lunga fame.
L’Olocausto di Sebald è parte della modernità crudele, che s’inventa forme nuove di guerra e persecuzione. Senza speciale colpa dei tedeschi – o allora dei tedeschi con i francesi (la morte del padre di Austerlitz) e con i cechi (l’internamento della madre). Pubblicato nel 2001, subito dopo la morte (e poco dopo in traduzione da  Adelphi), il racconto è ampiamente visto dalla critica tedesca come un omaggio di Sebald a Thomas Bernhard – come un coming out, dice un critico, di “allievo letterario” di Bernhard: anche lui contestatore universale, malgrado la bonomia.
Il campo che Austerlitz nella sua ricerca visita e descrive non è del tipo Auschwitz. È Terezín, o Theresienstadt, a un’ora da Praga. Creato per ebrei facoltosi (“proprietari di industrie e manifatture, avvocati e medici, rabbini e professori universitari, cantanti e compositori, direttori di banca, commercianti, stenotipiste casalinghe, agricoltori, operai e milionari”), nei primi anni in attesa di espatrio, una cittadina ghetto, non un campo di lavoro, senza forni crematori, con case invece di baracche, nel 1944 rivestita da città-giardino, per una visita della Croce Rossa, due funzionari danesi e uno svizzero, fatta immortalare in un documentario, montato con una colonna sonora di motivi ebraici, e siamo già a marzo del 1945 – ma non c’è segno di follia teutonica.
Con molte foto come spesso nei libri di Sebald. Qui specialmente “narrative”, evocative – impaginate anche accuratamente, legate al testo.
Un tour de force, per l’autore che ne esce vittorioso, ma anche per il lettore.
W. G. Sebald, Austerlitz
, Adelphi, pp. 315 € 13

domenica 16 giugno 2024

Ombre - 724

Non male l'esercito israeliano che si ammutina. Di un ammutinamento particolare, perché la “pausa tattica” nei combattimenti, per lasciar transitare gli aiuti umanitari, è stata decisa dal comando. Ma contro il governo. Che obietta: “Dovremmo essere un Paese con un esercito, non un esercito con un Paese”. Sarà l'esercito a salvare Israele dalla sicura condanna della Corte Penale Internazionale?


Aldo Grasso sanziona le volgarità dei politici – tutti di destra, ma non importa. Tra esse sanziona “l’uso disinvolto della parola «stronza» da parte di De Luca e della premier”. No, da parte di De Luca. Ironia? Di sinistra? O un plauso a Meloni, surrettizio certo? Poi dice che si creano i miti. 
La “psico-nana” di Grillo e Travaglio che sberleffa il battutista De Luca, basito, muto, è grossa gag – è Sansone e i filistei.

Noia sesquispedale della squadra italiana, 2da nel ranking europeo, nella gara con l’Albania, 24ma. Con calciatori assenti, Scamacca, Retegui, Frattesi, un playmaker (Jorginho) che gioca a liberarsi della palla, a cinque metri massimo, e un solo attaccante, Chiesa. Dopo l’avvio che ha consegnato l’Italia al record del ridicolo: un gol a 20 secondi per l’Albania di due difensori campioni d’Italia e dell’uomo-mercato dell’estate. Allenatore indiavolato alla fine. Commenti serafici. Anzi, nel postpartita e nei giornali inneggianti. “The show must go on”, ma che vuole dire, che gli spettatori non vedono?
 
Gli albanesi allo stadio, albanesi di Germania, cantano in coro con gli italiani l’Inno di Mameli. La cosa non è prevista, i cronisti non sono preparati, non sanno che dire. Anche il giorno dopo, per i “grandi giornali”, “la Repubblica”, “Corriere della sera”, “La Gazzetta dello Sport”, la cosa non è avvenuta. Gli articoli erano stati scritti prima? I giornalisti sportivi sanno solo di sport – ma veramente?
 
Il cardinale Ruini conferma a Verderami sul “Corriere della sera” quanto il libro dello stesso “Corriere, “Il Colle d’Italia”, due anni fa rivelava, che il presidente Scalfaro lo invitò a pranzo nel 1994, in quanto presidente della Cei, l’organizzazione dei vescovi italiani, col cardinale Sodano, pro-segretario di Stato, e mons. Tauran, ministro degli Esteri della Santa Sede, per chiedere di “aiutarlo a far cadere il governo Berlusconi”. Come non detto, due anni fa e oggi. Un presidente che trama contro il governo?
 
Tra gli otto che al G 7 guardano in alto l’esibizione dei paracadutisti, solo il presidente francese Macron non alza la testa. Macron ha governato male e malissimo il suo paese, creando, letteralmente, una valanga di destra, e nella questione ucraina con l’improvvisazione, passando da un estremo all’altro, ma ha buonissima stampa in Italia. Un motivo ci sarà.
Tra l’altro, uomo di destra, viene opposto a Meloni quale esponente di non si sa che cosa – dell’aborto (esponente dell’aborto?)?
 
“7”, il settimanale del “Corriere della sera”, celebra, fortuitamente?, la Liberazione ottant’anni fa con una ricostruzione dello sbarco Alleato all’Elba: “Portoferraio, 1944: Olimpia, la lavandaia che si offrì ai soldati per salvare le altre donne”. Il 17 giugno 1944 le truppe alleate sbarcarono all’Elba e per due giorni ebbero libertà di saccheggio: rubare, violentare, distruggere. Le comandava il generale de Lattre de Tassigny. Erano “francesi”: due battaglioni di senegalesi  uno di marocchini, e un commando di guastatori, con uno di guastatori inglesi.
 
Lo sbarco (taciuto nelle storie) fu una manovra francese per accreditarsi tra i liberatori, con gli anglo-americani che risalivano, combattendo, da Roma. Gli stessi dell’Elba parteciparono alla liberazione della Versilia, da Viareggio a Massa, con le stesse modalità. Dove sono tuttora ricordati. Per qualche bambino cresciuto (un famoso vigile urbano del Forte dei Marmi), i lutti, tra aborti, affidamenti, suicidi, e la vergogna a vita per molti, le vittime e le famiglie delle vittime.  
 
Nello stesso articolo, lo scrittore Pap Khouma, senegalese naturalizzato italiano, ricorda: “Alla fine della guerra , quando gli eserciti vincitori sfilarono sugli Champs-Elysées, ai neri fu vietato di partecipare: nessun soldato nero, americano, africano delle colonie è presente nelle foto d’epoca”.
 
Saviano fa la prefazione al libro di Giulio Golia e Francesca Di Stefano, “I mostri di Ponticelli”, i tre ragazzi che si sono fatti 32 anni di carcere, condannati all’ergastolo, pur essendo innocenti – innocenti all’epoca, nel processo, non per prove o verità sopravvenute nei 32 anni. Senza mai farne colpa agli inquirenti e a giudici. Solo mezza riga sulla Procura di Napoli, “la stessa di Enzo Tortora”. E le varie polizie giudizarie? E i giudici, che ci stanno a fare, fino alla Cassazione? Saviano non ha paura della camorra ma ha paura dei giudici?
 
“È stato il leader politico più perseguitato al mondo, con più di quattromila udienze e 86 processi”, può dire di Silvio Berlusconi la figlia Barbara al Tg 1. Era della stessa opinione l’arcinemico di Berlusconi, Carlo De Benedetti, che lamentava trent’anni fa le continua perquisizioni, anche più di una al giorno, a Fininvest e Mediaset, le aziende di Berlusconi. E non si dimentica il giudice napoletano Esposito, che poté condannare “irritualmente” Berlusconi in Cassazione. Democrazia? Non cristiana.
 
Vanno al Parlamento europeo molti anti-guerra - anti-armi all’Ucraina di fatto: i sei di Alleanza Verdi e Sinistra, gli otto Cinque Stelle, gli otto della Lega, più alcuni Pd - i più dichiarati Tarquinio, Cecilia Strada e la stessa Annunziata.
 
La rivista american “The Atlantic” celebra lo “status di superstar” dell’economia americana, rafforzato dopo il covid. Ma è vero da quasi cinquant’anni: dal 1980 gli Stati Uniti producono sempre un quarto del pil mondiale. La novità ora è che i Brics hanno un pil maggiore di quello occidentale. E si apprestano ad accogliere mezza Opec – Arabia Saudita, Iran, Emirati – più l’Egitto. Mentre la sponda europea dell’Occidente zoppica.
 
È cresciuto a 160,5 miliardi il conto dei Superbonus (Ecobonus e Sismabonus), e a 59 miliardi quello degli altri bonus (ristrutturazione, facciate, ecobonus, sismabonus). Totale, poco meno di 220 miliardi. Un regalo per i poveri? No, per i ricchi. Sembra inverosimile e invece è avvenuto – è anche difeso.
 
Il governo 5 Stelle-Lega che ha disposto i Superbonus affermava che la spesa sarebbe stata di 40 miliardi, in cinque anni. Ma c’era già all’epoca chi sapeva e diceva la verità, L’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Il suo responsabile disse, benché fosse Natale, a fine 2021: “Il provvedimento è inefficiente e iniquo, non aiuta l’ambiente e favorisce i più ricchi”.  Nessuna obiezione, già allora.
 
È singolare che nell’età del mercato, della libera attività economica e della soppressione della mano pubblica, si ricorra a una spesa pubblica, in deficit (a debito), a favore della proprietà e dell’iniziativa privata, di 220 miliardi. Sarà stata questa l’epoca dell’inganno, della truffa.

Sherlock Holmes e il massacro delle foche

A vent’anni, al terzo anno di Medicina a Edimburgo, il futuro padre di Sherlock Holmes s’imbarcò per sei mesi invernali, la stagione della caccia alle balene. Non era uno avventuroso, sarà a lungo un medico di provincia, che per divertirsi si limitava a scrivere, di tutto, racconti, note, articoli. Ma, cresciuto in famiglia senza padre, morto giovane, per le cure di zii e zie, sentiva di doversi mantenere da solo presto, e anche in qualche modo sdebitarsi.
Il diario è tenuto con accuratezza, giorno quasi dopo giorno. Uno dei 56 membri dell’equipaggio. Si viaggia verso le Shetland, poi la Groenlandia. Sulla “Hope”, ritenuta una delle baleniere migliori, ma lunga quindici metri appena, e larga nove. A vapore. Con 56 membri di equipaggio. CD parte con libri di filosofia, poesia e narrativa, ma avrà poco tempo e spazio per leggere.
L’avventura è un po’ monotona, di temperature, pressione, venti, e di nebbie, ghiacci, correnti – resterà la sola esperienza marina del terragno Doyle. E molto sangue. Incidenti di vario tipo occorrono alla ciurma, e il medico deve intervenire. Mentre la “caccia” non è un passatempo. Un “massacro delle foche” lo impressiona specialmente: “È davvero un lavoro sanguinario far schizzare fuori il cervello di quelle povere creature mentre ti fissano con i loro occhioni scuri”.
Ma è già quello che sarà da scrittore famoso: preciso, lento, “positivo”. Del dramma visto dalla fine, dalla conclusione, anche quando è minaccioso – la sorpresa alla Sherlock Holmes è nel “metodo”, il modo di arrivare alla conclusione, che non sarà traumatica, imprevedibile cioè fino alla catastrofe. Questa la sua particolarissima suspense, del tipo: “Sono caduto nel Mar Glaciale Artico per tre volte oggi, ma per fortuna qualcuno è sempre stato vicino per tirarmi fuori”.
Non è il primissimo scritto di Arthur Conan Doyle, racconti brevi precedenti sono stati repertoriati. Ma notevole è l’impegno, giorno dopo giorno per sei mesi. E l’esattezza.
Riscoperto recentemente, nel 2012. Già tradotto da Utet, come “Avventure nell’Artico”.
Arthur Conan Doyle, Diario di un’avventura artica
, Nutrimenti, pp. 144 € 17