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sabato 29 giugno 2024

L’Occidente si squaglia

In America, la potenza che guida il mondo, la scelta è fra Trump e Biden. Fra un inaffidabile e un incapace. A Bruxelles, e nelle capitali europee che contano, cioè che governano, quattro piazzisti, che si occupano di vendere un caccia o una Volkswagen in più - e senza più base elettorale. Nel mezzo di una guerra, per la quale America e Europa chiamano all’“armiamoci e partite”. Non sapendo che fare.
Si direbbe che l’Occidente non goda buona salute. Questo è noto, sia agli americani sia agli europei, che non fanno che votare da un paio di decenni ormai “contro”, più a destra, più a sinistra, come se scalciassero, e ormai stanchi quasi non votano più. Esito: leader mentecatti, e scarsa voglia di fare, l’Occidente è tutto qui.
C’era una volta l’opinione, l’ossatura dell’Occidente, della democrazia, che correggeva queste derive. Ora non c’è pù: c’è solo deprecazione, e stupidità. L’opinione è piena di niente.
Si direbbe l’Occidente, a un secondo sguardo, molto mal ridotto. E come senza speranza – nemmeno un lumino in fondo al tunnel.

Assalto al Congresso Usa, abbiamo sbagliato

Si sottovaluta – si irride – la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che derubrica il capo d’accusa principale degli eventi del 6 gennaio 2020, “ostruzione di una procedura ufficiale” – la proclamazione al Congresso dei risultati del voto presidenziale. L’ostruzione è punita da una legge del 2002 (scandalo Enron), nel senso che si punisce la distruzione o manomissione fraudolenta di documenti.
Secondo la Corte Suprema ora numerose condanne giù avvenute sulla base di questa legge devono essere riviste, in quanto essa si applica a circostanze limitate e puntuali, come le manomisisoni di carte gestionali e\o finanziarie.
Si dice, si lascia intendere: è la Corte Suprema nominata da Trump. No: è la sentenza di 6 giudici favorevoli e 3 contrari. Favorevole anche una giudice dichiaratamente di sinistra, Ketanji Brown Jackson. E il presidente della Corte, il giurista John Roberts, nominato vent’anni fa da Bush jr, ma avallato al Senato da uno schieramento bi-partisan, e spesso schierato, nell’attività giurisdizionale di questi anni, con i giudici liberal.
Il vero problema non è la Corte Usa di destra. Il problema è che narrazione abbiamo avuto e abbiamo degli eventi del 6 gennaio.

Festa Puccini, a denti stretti

Confinata dalla Rai sulla 3, ma venduta a molte tv in mondovisione, la celebrazione di Puccini nella sua città per i cento anni dalla morte. Un recital in sé di grande livelo, con interpreti speciali delle  arie più celebri, le soprano Buratto, Sicilia e la giovane russa Fridman, e i tenori Ganci, Meli e Dmitri Korchak – russo anche lui, il più pulito anche in campo maschile.
Un concerto lungamente preparato da Muti, da qualche anno ambasciatore dell’opera italiana nel mondo come “musica alta”. Concertandolo lungamente con i 120 professori della sua orchestra giovanile, “Luigi Cherubini”. Ma una celebrazione con un sospetto di isolamento, di solitudine. Come se Puccini per un qualche motivo non fosse nel mainstream culturale italiano, cosiddetto di sinistra. O il maestro Muti vittima ancora, dopo venti anni, dell’ostracismo Cgil-ex Pci alla Scala. Sembra assurdo, e lo è, ma non si trova altra soluzione – solo Lucca ricorda Puccini, uno degli operisti più eseguiti in America e in Estremo Oriente (Giappone, Corea), in questo centenario. Solo le cronache locali, lucchesi, ne parlano.
Riccardo Muti, Puccini secondo Muti, Lucca Summer Festival, Rai 3, Raiplay 

venerdì 28 giugno 2024

Ombre - 726

Non si saprebbe per chi tifare, fra il truce Trump e l’incredibile Biden. Uno che sta governando il mondo, lo governa da tre o quattro anni.

Ma come si fa, come si arriva a una tale scelta elettorale? L’America sarà più forte che mai, anzi lo è, negli anni 1980 Europa e Stati Uniti si equivalevano, ha spiegato Mario Draghi nel suo report europeo, oggi il pil americano vale un 40 per cento in più, distacco abissale. Ma, senza politica? O l’America First, che è stata di Biden più che di Trump, paga?
 
Amareggiato dall’antisemitismo della sinistra in Francia, del suo Fronte Popolare, il filosofo Finkielkraut immagina così, intervistato da Montefiori sul “Corriere della sera”, il dopo-elezioni, dopo la prevista vittoria della destra: “Manifestazioni, e un clima quasi insurrezionale. Sarebbe scandaloso, perché gli elettori vanno rispettati. Legittimo manifestare contro gli atti di un governo, ma non contro un voto democratico, e proclamando di difendere la democrazia. Solito antifascismo di paccottiglia”. Per esempio, in Italia, di Conte – chi era costui (Giuseppe, non Antonio)?

I due commissari d’esame che litigano a Venezia sulla vera traduzione di Platone (uno Pseudo-Platone, n. d. r., la cosa non è senza importanza) sanno di commedia, no, di farsa.  Ma è l’esame di maturità. Di chi? C’è gente che insegna il greco e pretende la “vera” traduzione, esatta, matematica. Per questo ogni pochi anni ritraduciamo Omero, e Platone? 

 
“Ho scoperto che può capitare che suoni il campanello a mezzanotte perché i carabinieri ti recapitano un mandato di comparizione”, lamenta su “7” il filosofo Caffo, che la ex compagna ha citato in Tribunale per maltrattamenti. Lo stesso lamenta, lo stesso giorno, Luca Barbareschi – gli hanno suonato alle cinque del mattino. I carabinieri lavorano di notte?
 
No, i carabinieri amano il segreto. È capitato di essere convocati alla stazione con l’invito coperto, cioè senza dire il motivo, che era in entrambi i casi un divieto di sosta di un’automobile da anni venduta. Contestazione comunicata dal maresciallo dopo lunga attesa in stazione. Con l’obbligo poi del ritorno, con attesa, per documentare l’avvenuta cessione. Il segreto aggiunge o non toglie all’autorevolezza?
 
Schlein irride Meloni, snobbata da due personaggi minori e perdenti, Macron e Scholz. Mattarella invece la sostiene, sostiene Meloni, come è giusto, e sarebbe giusto soprattutto da un punto di vista europeo. Ottimo ticket Pd, l’intelligenza e l’intransigenza? La verità è che Schlein non deve avere capito di che si tratta: rappresenta l’unico partito di sinistra uscito bene dal voto in Europa, e ha accettato un Parlamento presieduto e gestito da tutti eccetto che da qualcuno dei suoi.
 
In particolare Schlein si è fatta scippare la presidenza  del gruppo parlamentare Socialisti&Democratici, che toccava di diritto al Pd come partito con più parlamentari. Nel gruppo si fa l'agenda del Parlamento europeo. Sanchez e Scholz, che hanno condotto la trattativa per i socialisti-democratici, non le hanno nemmeno telefonato. È un problema di partito, ma riguarda anche l'Italia.  Che il richiamo di Mattarella non si riferisse a questo vulnus?

Come si fa a escludere la rappresentanza italiana dalle commissioni in Parlamento? Come si a non parlarne, male, di questi Weber, Tusk, Scholz, Macron, personaggi peraltro di poca intelligenza politica? Il progressismo si vuole stupido?

 
È una malignità, ma l’opposizione strenua al premierato, che è una buona riforma, da almeno quarant’anni necessaria, si fa perché la sfida sarebbe tra Schlein e Meloni? E non ci sarebbe gara. 
 
Ma come si fa a tifare Macron e Scholz, due personaggi incapaci, volgari, presuntuosi? Mercantilisti  - piccoli bottegai. 
Con una Kallas, della famiglia Kallas, fautrice della guerra alla Russia, per conto di un paese di poco più di un milione di abitanti, con più immigrati, anche russi, che nazionali. Con la Ue alla 14ma ondata di sanzioni.

 
L'arcivescovo “francescano” di Firenze il giorno dopo la consacrazione si procura una Panda, usata, per andare a Barbiana, peraltro oggi disabitata, 136 abitanti, il paese dove insegnava don Milani. Per uscire sul giornale? Non si sa che pensare del pauperismo esibito da Francesco e i suoi nominativi - a parte i massoni. Senza nessun senso del sacro, un papa cosa offre? Buoni siamo tutti, non è difficile.

  
Manfred Weber, il capo dei Popolari, tedeschi ed europei, pratica la politica dei due forni. A sinistra per le poltrone, a destra per governare. Un Andreotti, ma spudorato - i tedeschi, si sa, non sono eleganti, non sanno fingere. Di mezzo ci va l’Italia. Di cui Weber è Grande Amico, come no, quando può e sempre a Roma. Nel 2019 da Salvini, nel 2022 da Meloni. I tedeschi, come si sa, non hanno il senso dell’economia di scambio - è roba meridionale.
 
Il nuovo allenatore del Napoli, la squadra di calcio, Antonio Conte, si presenta ai giornalisti napoletani, quattrocento, quanti ne ospitava il Palazzo Reale, parlando per due ore. Mah, non lo faceva nemmeno De Gaulle.  
 
Marina Berlusconi, beniamina del direttore del “Corriere della sera” Fontana, ex vice-direttore dell’ “Unità” di Veltroni, riempie una pagina del “Corriere della sera” per dire che si sente “più in sintonia con la sinistra di buon senso”. Nel mentre che vara una nuova editrice, la Silvio Berlusconi editore, primo volume il corposo “On Ledaership” di Tony Blair, l’ultimo premier laburista in Gran Bretagna. E dire che suo padre l’hanno perseguitato in tutti i modi: il trasformismo vincit omnia – il “democristianesimo” eterno.
 
Tema del libro di Blair è: si trovano nel mondo paesi con la stessa più o meno popolazione, le stesse risorse, lo stesso potenziale, e tuttavia alcuni fioriscono, altri affondano. Perché? Semplicemente perché alcuni hanno leader che capiscono i principi del buon governo, e altri no. Semplice, in effetti.
   
Bisogna dare ragione a Feltri: “Con Toti ci hanno messo cinque minuti”. Per il “caporale” di Latina non sono bastati cinque anni.

La guerra madre, di guerre

Oggi 110 anni fa, il 18 giugno 1914, un nazionalista serbo, killer a tempo perso, Gavrilo Prinzip, aveva assistito la mattina a un attentato fallito dei suoi compagni, e se ne stava appoggiato al muro, quado vide materializzarsi davanti a lui, in automobile, il principe ereditario dell’odiato impero austro-ungarico. Aveva con se la pistola e non sbagliò mira. Cominciò “la guerra per finire tutte le guerre”.
La rivista riesuma per l’occasione un saggio pubblicato oggi vent’anni fa. In sei settimane l’Europa passò, anche allora come oggi, da “una lunga pace” - s’immaginava, e si organizzava a Amsterdam, la pace perpetua - “al reciproco massacro”. Uno scontro che si disse “la guerra per finire tutte le guerre”. L’esito è noto.
“Nel solo primo mese, più di un quarto di milione di soldati francesi furono uccisi”, per limitare il calcolo al solo fronte occidentale, senza quello italiano e quello russo. Tra Francia e Germania “più di tre milioni di persone persero la vita”, in una guerra per un fronte che si mosse “nemmeno cinque miglia” in tre anni.
“Le guerre hanno esiti che possiamo con difficoltà immaginare quando cominciano”. Di morte e niente più.
Adam Gopnik, Rethinking the War to End All Wars, “The New Yorker

giovedì 27 giugno 2024

I somari in commissione

Non ci può non plaudire al vaffa di Livia Conchetto a Venezia, maturanda al classico  e “promessa dell’atletica”, e delle sue compagne alla commisione d’esame che si è permessa di fare “un’altra” versione di Platone, o lo pseudo-Platone. Una delle tante commissioni che sanzionano “il vero greco”, che come si sa non esiste. E senza avere insegnato alle classi ora maturande, nei due anni di ginnasio e di covid, gli strumenti per fare la “vera” versione dal greco. La grammatica insegnata bene, con tutte le forme verbali irregolari, specie i verbi. A memoria - come si fa altrimemti a collegare opsomai a orao?
Questa maturità sarà stata l’esame di stupidità delle commissioni, dei quattro giuduci con superficiali rudimenti di didattica moderna. La stessa per cui due generazioni ormai non sanno fare addizioni e sottrazioni a due cifre, le vecchie operazioni semplici, e la moglie del giornalaio deve usare la macchinetta per dare il resto di 5 euro.
Negli anni 1980 all’Hilton di New York fu impossibile avere la mattina un cambio di biglietto aereo per Roma, partenza la sera tardi, da economica (non c’era posto) a prima – “deve ritornare nel pomeriggio”. All’obiezione “ma mi rovina la giornata”, l’addetta scoppiando in lacrime: “Io sacrifico la mia pausa pranzo per comprare le pile della macchinetta” . Non sapeva fare la sottrazione, dalla tariffa di prima sottrarre l’economica già pagata.
Allora, la cosa restava memorabile. Oggi all’esame di Storia contemporanea a Scienze Politiche l’esaminando – purtroppo esaminanda – può rispondere che Hitler era il presidente del Sudafrica. O che Garibaldi combatté per l’Italia nata dalla Resistenza. E alla domanda “mi dica almeno il nome di un paese slavo in Europa”, avere per risposta, dopo lunga ponderazione, “New Delhi”. 

La Nazionale dei segreti

Se Spalletti allena come parla, può la sua Nazionale giocare bene? Molti allenatori sono solo insegnanti di sostegno, poi i calciatori giocano come sanno. Ma se ne sono impediti – se devono pensare a cosa vuole l’allenatore, in ogni particolare momento?
E poi perché non ci dicono cosa urla Donnarumma ai suoi, portiere subissato di tiri velenosi nonché capitano della squadra,  a ogni partita? Si vede che è arrabbiatissimo, ma non si puo’ sapere, a meno di non riconoscere il labiale, roba da sordomuti. I cronisti sportivi, che spendono tante parole inutili, stante il non-gioco del possesso palla, non ce lo dicono. Non è previsto, il direttore non vuole?
Poi tutto naturalmente finisce in gloria. E Spalletti passa dall’obbrobrio al peana, lui e la stampa sportiva. Cioè no, a una mezza settimana di tormenti, su quanto è forte in tutti i reparti, regolata, furba e fortunata la Svizzera. Il giornalismo sportivo è diseducativo – scoraggiante.


Si vince battendo la stampa

Per quanto, questo Spalletti non sta bene a Aldo Grasso, filologo e filosofo dell’immagine – dice che “profetizza”. E non sta bene naturalmente ai giornalisti, sportivi e non, che si sa sono migliori di qualsiasi allenatore e di qualsiasi giocatore. Ma sta facendo quello che Bearzot e Lippi fecero nel 1982 e nel 2006.
Bearzot e l’altro quieto friulano Zoff arrivarono addirittura al silenzio stampa contro i giornalisti. Prima di stapazzare l’Argentina (di Maradona…). Lippi prima e durante il Mondiale tedesco dovette difendersi dalla canea dei giornalisti lombardi antijuventini e dal suo stesso presidente federale Petrucci, fra storie di droghe, scommesse, e ogni altro vituperio. Manca ora a Spalletti di battere la Svizzera, che Argentima non è. Il resto degli scongiuri è fatto.
Certo, questa Nazionale non ha la Juventus dentro, ha mezza Inter, che finora ha fatto flop - il gran gioco dell’Inter campione del 2021 e del 2024 è stato degli stranieri, africani, slavi molti, nordici, sudamericani.

Un novellino di bontà

Sei eacconti, scritti durante molti anni, dal 1904 al 1918, quindi con la guerra in mezzo. Esili, ma a cui Hesse teneva, chiamandoli fabulieren, favoleggiare. Il più ambizioso è il primo, 1904, “Il narratore”: mette in scema “un religioso dai capelli bianchi”, in “un convento situato nell’alto Appennino toscano”, con in mano “né preghiere né meditazioni, e nememno le Vitae Patrum, bensì una raccolta di novelle”. È “un Novellino in lingua italiana”, le cui “pagine ben stampate celavano ogni sorta di raffinatezze e di grossolanità”. Entriamo in clima boccaccesco? No, il santo religioso, stimolato da giovani visitatori ammirati, racconta come da ragazzo lui e suo cugino si erano invaghiti di una bella donna, sposata, a un ricco bolognese.
Nel racconto del titolo un vecchio conoscitore di sapienza antica, greca, scopre Shakespeare. Poi Hamsun. Poi Tolstoj, con le poesie di Richard Dehmel. Poi, con sant’Agostino, Dostoevskji. Ma non succede nulla – qui come altrove.  
Racconti di non racconti - momenti di felicità, lieve. P
er amatori. Con la presentazione di Cusatelli, il germanista insigne che fu specialista dei rapporti culturali tra Italia e Germania, una cronologia di Hesse, e una lunga nota bibliografica, specialmente curata per le edizioni in italiano. 

Hermann Hesse, L’uomo con molti libri, Studio Tesi, pp. 123 € 12,50

mercoledì 26 giugno 2024

Problemi di base calcistici - 813

spock

Se Spalletti allena come parla, può la Nazionale giocare bene?

 

Perché l’allenatore dei croati sta composto tutta la partita e Spalletti si agita?

 

Perché la squadra croata sa cosa fare e quella italiana no?

 

E di spirito di squadra – il calcio non è sport di squadra, allenatore compreso?

 

Ma, poi, le buone squadre non sono fatte di buoni calciatori?

 

Il Napoli “meravigliao” del 2023 non era fatto di buoni calciatori – poi ceduti o in partenza?


spock@antiit.eu

Firenze salotto d’Europa, in casa Vernon Lee

In onore di Vernon Lee, quale mediatrice di cultura, gli atti di un convegno dodici anni fa a Firenze, sua città di elezione nella seconda metà di vita. Di un personaggio centrale fine Ottocento-primo Novecento, nel rapporto culturale dell’Italia con l’Inghilterra, con Oscar Wilde, il gruppo di Bloomsbury, H.G.Wells, Ouida, con numerosi contatti in Francia e in Germania. E di una città al centro, allora, della vita culturale italiana, letteraria e artistica, innovativa e conservativa, con l’editoria, le riviste, gli autori.
 “Aspetti della cultura cosmopolita nel salotto di Vernon Lee: 1889-1935” è il tema. Il convegno internazionale di studi è stato organizzato dalla Regione Toscana nel 2012 a Firenze, uno degli ultimi eventi culturali della città. Con contributi in francese, in inglese e in tedesco. E numerose foto di “Violet del Palmerino” in età. E di Telemaco Signorini, il pittore che forse lei più apprezzava.
Violet Paget era il nome della scrittrice che si firmava Vernon Lee, “Il Palmerino” la piccola villa sotto Fiesole dove risiedeva e riceveva. Oggi dimenticata, Vernon Lee è autrice di racconti straordinari, della realtà ultrasensibile, che sembra esulare cioè dal sensibile e nvece lo mola e raffina. Nonché di una serie di saggi sulla cultura italiana, sulla musica e sulla pittura, a partire dal primo, sul Settecento, che le diede subito rinomanza. Fu anche un  “personaggio”, spesso nelle cronache: arrivata in Italia da victorian highbrow, con la puzza sotto il naso, finita attivista anti-guerra nel 1914, e subito dopo per il diritto di voto alle donne, che in Gran Bretagna sarà introdotto solo nel 1928 (in Italia nel 1946).
Notevole, benché apparentemente fuori tema, un saggio sul “Diario fiorentino” di Rilke, che trascorse in città cinque settimane ad aprile-maggio del 1898 – un  diario dedicato, ancora, benché viaggiasse con la moglie Clara Westhoff, a Lou-Andreas Salome, la sua prima amante e forse il suo unico amore. In linea con un genere allora in voga, il “diario fiorentino”, di Heinrich Mann, di Thomas Mann, di altri scrittori tedeschi - un abbozzo della odierna (anni 1990-2000)  “Toskana Fraktion” tra i politici tedeschi.
Serena Cenni-Sophie Geoffroy-Elisa Bizzotto (a cura di), Violet del Palmerino, pp. 255, ill., free online

martedì 25 giugno 2024

Netanyahu forever

Otto mesi per distruggere Gaza, un’area grande quanto un quarto di Roma. E ora altri otto mesi, o otto anni, perché no, per distruggere il Sud del Libano – che anch’esso è indifeso, come la Striscia di Gaza. Non è una guerra, quella di Netanyahu, cioè è una guerra, ma non con le armi, con le armi si fa presto – cosa c’è contro l’esercito israeliano? La guerra è un modo di restare al governo. Almeno altri otto mesi. Per poi, perché no, se necessario, passare allo Yemen, a questi Huthi che appaiono e scompaiono. O anche, perché no, all’Iran – nel gioco delle parti che Netanyahu gioca con gli ayatollah.
L’importante, la sola cosa che conta, è restare al governo. La simmetria di Netanyahu con gli ayatollah è chiara: governare attraverso un Nemico. Prima gli Usa per la teocrazia iraniana, poi Israele, poi l’Arabia Saudita – una lunga guerra by proxy nello Yemen – e ora di nuovo, con l’Arabia Saudita al fianco?, una nuova guerra contro Israele. Non da combattere, da minacciare – e se Netanyahu invade il Libano, tanto peggio per i libanesi, due milioni di profughi e due milioni di morti di fame, senza nemmeno un esercito – nel Medio Oriente.
Saranno queste, così imbrogliate, le guerre di religione? Ma Netanyahu è un falso credente – suo padre era un credente sincero, forse, lui per nessun aspetto. Solo l’ambizione. Certo, a differenza degli ayatollah, Netanyahu è un capo eletto – dal 1996 per pochi anni non è stato al potere.  

La vittoria è dell’astensione

Si celebra Firenze, la prima volta una donna sindaco, la nipote di Piero Bargellini, sindaco amato, dopo La Pira, sindaco strabenedetto, eccetera, ottant’anni di grate memorie repubblicane, mentre il voto vero è stato l’astensione. Ha votato a Firenze il 48 per cento, meno di uno su due – in una dozzina di sezioni, di aree residenziali prospicienti il centro storico ha votato uno su quattro. In una città di residenti reali, cioè non emigrati di fatto, per lavoro, per studio, o voglia di cambiamento - Firenze non è il Sud. E tra chi ha votato un buon terzo ha votato destra, cioè contro.
Uno su due fiorentini non osa votare a destra, ma è stufo. Forse soltanto stanco, ma è la stessa cosa. Una città che ha perso la moda, l’editoria, l’università (confinata all’autostrada, per ragioni immobiliaristiche), la finanza, le mostre, e la paglia, come no, e il ferro battuto. Del resto, la città non presenta un bell’aspetto, dopo trent’anni di governo ininterrotto Pds-Ds-Pd, di affarismo piccolo e grande, di mercatini e fierucole di ambulanti, e le giostre al posto delle Giubbe Rosse, b&b dappertutto e pizze in piazza, magari al piazzale Michelangelo, con lo svuotamento di ogni presenza qualificante e intelligente, per la riduzione della città a porto turistico. Di che giustificare i renitenti. Con trenta, o quaranta, o sono cinquanta, anni di discussioni su una pista di aeroporto. Per non dire del secondo ingresso degli Uffizi, deciso con concorso internazionale trenta, quaranta?  cinquanta?, anni fa, è poi non fatto. O le Cascine, parco unico della città, di grande lignaggio  anche bello, lasciato allo spaccio libero, da mezzo secolo ormai - il poco che ne rimane  dopo i ritagli per strade, incroci e parcheggi. Si è votato per cosa?


Una controttava assassina – Pasternak giallo

Curioso il racconto lungo del titolo, che fa specifica questa raccolta – gli altri raconti sono “Ženja Ljuvers”,  “Il tratto di Apelle” e “Lettere da Tula”, che compongono la primissima traduzione dei racconti di Pasternak, Einaudi, 1960, e la riedizione Mondadori vent’anni dopo, con la traduzione di Clara Coisson, la prima prefata da Ripellino, la seconda postfata da Strada (questa è a cura e, si presume, con un nuova traduzione, di Ljiljana Aviroviċ Rupeni). In chiave E.T.A. Hoffmann, tra il fiabesco e il moderno giallo, sulle trasmigrazioni di un maestro d’organo, che nello strumento, alla ricerca della controttava, ha perduto il figlioletto. In una lingua che si direbbe poetica, o simbolista, alla Mallarmé, alla Rimbaud, che crea la suspense con le fioriture. Fantasiose, allegre, ma ripetitive. Facendo tesoro delle conoscenze musicali di Pasternak, a partire dal primo viaggio in Germania con la famiglia nel 1906, quando aveva sedici anni – i Pasternak erano ebrei colti e musicali – e la Gedächtniskirche, la cattedrale cattolica di Berlino, lo calamitava con l’organo. Un’esperienza di cui parlano entusiasti ancora nei ricordi sia il fratello di Boris, Aleksandr Leonidovič, sia lo stesso scrittore, “Autobiografia”, in passi che la curatrice riporta.
“La fanciullezza di Ženja Ljuvers”, già tradotto come “L’infanzia di…..” –  è speciale per altro verso: è il “racconto” della psicologia di un’adolescente, di paure cioè, ansie, sensi di colpa infatuazioni, abbandoni. In un certa epoca, dice lo stesso Pasternak sempre nell’“Autobiografia”: “Tutto ciò che i figli ricevevano dai genitori arrivava nel momento sbagliato, dal di fuori, ed essi sentivano che non era voluto da loro ma dovuto a cause estranee…”. Ma non si direbbe, il racconto non è “morto” – datato, russo primo Novecento.
“Il tratto di Apelle” è l’Italia come si figurava, vista da Heine, del classicismo – un’Italia che Pasternak non conosceva, ma gli serviva per uscire dal romanticismo di gioventù.
“Lettere da Tula”, il quarto racconto, spiega questo distacco. Da tutto ciò che è o si vuole “artistico”, cioè autoreferente, snob, “decadente”. Un racconto del 1918, che forse risente della nuova temperie politica in Russia.
L’edizione 1987 di Studio Tesi è ripubblicata da Edizioni Mediterranee con qualche svagatezza nei riferimenti bibliografici delle tante citazioni (assenti), e nella composizione tipografica – Pasternak nasce in copertina nel 1980 invece che nel 1890…    
Boris. L. Pasternak,
Storia di una controttava e altri racconti, Studio Tesi, pp. 183 € 14,50

lunedì 24 giugno 2024

Stendhal inventore

“Ovvero il viaggio inventato di Stendhal in Calabria”. Stendhal amava viaggiare, in Italia, ma non fu mai in Calabria, anche se ne scrisse. Di se stesso dicendo, ricorda il compianto memorialista napoletano, che era “très, très menteur”. Fu in Sicilia - che molto gli “disse”, benché la trovasse “un pezzo d’Africa” (che non conosceva) - ma saltando la Calabria. Alla maniera di Ferdinando IV, che lui stesso ricorda, che fu in Sicilia, portato dagli inglesi, ma di suo non aveva mai varcato l’Appennino o traversato il Sele per conoscere le terre di cui era re.
Della Calabria dice quello che si diceva a Parigi, dopo l’avventura napoleonica: che era terra di briganti, che si erano opposti alla civiltà. Una fonte potrebbe essere stato l’abate Bartolomeo Nardini, che nei “Pensieri e ricordi” di Palmieri di Micciché, 1823, fonte  sua volta molto apprezzata da Stendhal, a Parigi ne parla molto male (ignorato dalla Treccani, l’abate fu autore di un lamento su “La rivoluzione napoletana del 1799” - la Calabria deve molto della sua fama a Napoli).
Un minuscolo tassello della inesauribile stendhaliana, la Calabria non c’entra. Unica curiosità è che secondo Léon Lambert, un amico di Stendhal che molto viaggiava per l’Italia, a lui sempre caro (lo aveva conosciuto a Marsiglia, dove risiedette tra il 1805 e il 1806 alle gonne dell’attrice Mélanie Guilbert), Puglia e Calabria erano fra le terre più ricche del regno di Napoli. Ma gli uomini erano come morti. Soprattutto le donne.   
Atanasio Mozzillo,
Stendhal au bout d’Italie, Rubbettino, p. 96 € 5,15

domenica 23 giugno 2024

Ombre - 725

“Retate in strada, blitz per la leva: i renitenti preoccupano Zelensky. In 660 mila evitano il fronte”.  Cioè, chi combatte, chi ha combattuto finora? C’è poca verità su questa guerra, se non si sa nemmeno chi la combatte. Come sui siluramenti dei capi militari e le cicliche purghe per corruzione.
Come, del resto, sulle origini o cause della guerra – di cui perciò non si può intravedere o preparare una fine.
 
“A maggio, subito dopo la condanna, Trump ha superato Biden nelle donazioni, specie dei grandi capitalisti”. Che non sono scemi. Se hanno puntato su Trump, che per ogni altro aspetto viene considerato inaffidabile, è che la democrazia in America è arrivata a un limite: fautori dell’ordine prestabilito scelgono Trump perché non si fidano dei processi “democratici”, cioè politici – di Procuratori, giudici e giurie che (si) fanno la legge.
 
“Chi adesso mi scrive ha un’età media tra gli ottanta e i cento anni”, spiega arguta Natalia Aspesi, festeggiata dal “Venerdì di Repubblica” per i 95 anni, a Marco Cicala: “È gente che è diventata vecchia con Repubblica…. Sono gli stessi di qualche decennio fa, ma sono invecchiati e non ce ne sono di nuovi”. Anche nelle lettere al giornale ricorrono spesso vecchi noi.
 
Suscita sconcerto – prende di contropiede - la visita con abbracci di Putin in Vietnam. Perché “il Vietnam” è la buona coscienza dei giornalisti – di quelli che ancor  sanno dove il Vietnam si trova e come è nato. Perché sconcerto? Un po’ di storia. Anche di geografia, politica, ed economica.
 
La guerra si prolunga a Gaza, siamo già nono mese, in un territorio grande quanto una provincia italiana, e malgrado l’evidente sproporzione di forze, per una  altrettanto evidente strategia di annientamento: Israele vuole annientare il nemico. È una strategia, per quanto criticabile. Ma di questa guerra sappiamo tutto quanto pensano e vogliono il governo e l’esercito israeliani - e cosa ne pensano e dicono i tanti ebrei nel mondo. Poco o niente, al confronto, di cosa fanno o pensano i palestinesi, la controparte – giusto foto di macerie, e di donne e bambini in lacrime. È solo cattivo giornalismo?
 
La Ferrari vale oggi 14 miliardi nel portafoglio della famiglia Agnelli-Elkann (Exor) , mentre il gruppo Fiat-Peugeot-Citroen-Lancia-Maserati-Alfa Romeo-Opel-Chrysler-Dodge vale 9,5 miliardi. Automobili?
 
C’è voluto molto, nelle cronache della vergognosa Spagna-Italia, sia su Rai 1 sia su Sky, dove pure c’erano gli esperti Caressa e Bergomi, per fare capire ai cronisti, o fargli comunque dire, che l’Italia non toccava palla. Si va alla partita con gli occhiali scuri, da “cecati”, con un copione già scritto e memorizzato?
 
Un Platone-non-Platone (attribuzione contestata), citazioni errate, di Foscolo per l’Italiano, di Cervantes per lo spagnolo, prese dai social?, e italiano delle tesine approssimativo. Non sono errori – che si ripetono ogni anno – alla maturità, è probabilmente il livello degli insegnanti di liceo, che scelgono organizzano e redigono i quesiti, funzionari ministeriali e loro consulenti.
 
Si dà alla Maturità classica un brano del “traducibile” Platone, preceduto da una introduzione in italiano al brano scelto, e d a un “pre-testo” dello stesso, con la traduzione. Cioè, come dire che la traduzione dal greco non possibile, non con gli strumenti che i liceo ha dato agli studenti. Cioè, più che di maturità, è un esame dell’“arrangiamoci”, di approssimazione, pochezza, imprecisione, stellone.
 
Il cardinale Ruini, 93 anni ma di buona memoria, spiega a Verderami sul “Corriere della sera” in prima pagina quando e come l’allora presidente della Repubblica  Scalfaro lo invitò, insieme con i capi della Santa Sede, nel 1994, per far cadere Berlusconi, il primo governo Berlusconi, di destra. Silenzio, nemmeno un commento. Uno pensa di esserselo lasciato sfuggire ma no, i siti dei giornali sono muti al riguardo. Non negano, e non biasimano.
 
Ma come vestono gli sportivi, Del Piero, Adani, Spalletti, nella vetrina Europei? Devono vendere qualcosa?
 
La Romania batte l’Ucraina e i tifosi urlano «Putin, Putin»”. Sicuramente non erano filo-russi, probabilmente anzi anti-russi, come tutti in Romania, e certo non nazisti – che c’entrano? Ma bisognerebbe sapere un po’ dell’Est europeo, degli “slavi”, ungheresi e rumeni compresi, i “moldavi” per esempio, che cosa bolle in pentola.
È li squadernato, nella storia anche recente, perché fare, da due anni e mezzo ormai, ogni giorno quattro e sei e otto pagine sull’Ucraina con lamentazioni, da prefiche professionali - al funerale?

Il vuoto demografico

Sul “collasso demografico” e “come invertire la rotta”. Non dell’Italia ma del Sud, dove il collasso non è solo delle nascite ma anche delle “fughe”, verso un altrove. Per la precarietà sempre dominante, sul presente e sul futuro.
Al Sud Esposito collega le aree interne, dove lo spopolamento è da anni già fisicamente visibile – non s’incontra nessuno, o quasi.
La crisi demografica non è di ora, parte dagli anni 1980, avverte Esposito. Poi si è aggravata, nessun rimedio è stato posto in atto, nella distrazione. Con un radicale, ma non improvviso, peggioramento a inizio millennio. Quando migrazioni, precarìetà e poco welfare hanno fatto precipitare la fecondità meridionale, che fino ad allora aveva coperto i decenni di nascite zero a Trieste o a Genova. Nel 2006 la corrente si era ribaltata, e la fecondità meridionale è diventata la più bassa d’Italia.
Non una proposta, malgrado i sottotitoli -  Esposito, giornalista, politico (con gli ex giudici Di Pietro e De Magistris), non è uno specialista. Una disamina che pone le basi per una risposta politica, non posponibile: i divari fra generazioni e territori, il welfare, per anziani e per neonati, gli squilibri di genere, femminile e, novità, anche maschili.
Con la prefazione dell’ex presidente dell’Istat Blangiardo.
Marco Esposito, Vuoto a perdere, Rubbettino, pp. 226 € 16