sabato 13 luglio 2024

L’Occidente schierato e muto

Fa impressione vedere 32 capi di governo, della parte più ricca e potente del mondo, tutti vestiti allo stesso modo, camicia bianca e cravatta, a eccezione naturalmente di  Meloni, comunque in tailleur pantalone grigio, tutti con lo stesso sorriso, attorno a un presidente degli Stati Uniti che non connette. Da cui dipendono senza obiezioni.
Una foto di gruppo, per i 75 anni della Nato, che sarebbe una foto dell’Occidente, la democrazia nel mondo. Già il 50mo era sembrata una celebrazione da caro estinto. Già l’amministrazione Clinton aveva mostrato un deciso interesse per il Pacifico, Europa e area mediterranea tenendo buone solo per esercitazioni a fuoco, dalla Somalia alla Serbia.
Lo sconcerto non è per Biden. La politica estera americana ha una continuità (deep State) che attraversa le presidenze e le maggioranze congressuali. Ma l’“Occidente” come e quanto conta in questa continuità? Cosa hanno detto i capi di governo nella due giorni della celebrazione della Nato? Cosa è stato loro detto? Niente, una foto di uomini tutti eguali, schierati su tre file, come un modesto ma ben addestrato plotone. Certo non impolverato né sudato. Ma con l’aria di non passarsela bene.
Nella foto dei lavori, del resto, l’Ialia s’inquadra incuneata tra l’Islanda e la Lettonia. Cioè?
L’Occidente non se la passa bene. È in guerra, anche contro se stesso, e non lo sa. Sorride, promette, minaccia. Ma chi, che?

La guerra di popolo che generò le guerre per l’unità

Molti documenti sul “Decennio francese” sono andati distrutti all’Archivio di Stato di Napoli nei bombardamenti del 1943-44. Mozzillo documenta tutti i restanti, per il periodo e l’area che lo interessa, il 1806-1808 in Calabria. Integrandoli con altri materiali, provenienti dagli archivi di Cosenza e Palermo, dall’archivio Cavallo-Marincola di Amantea e da altri minori. E dagli archivi francesi, la Biblioteca Nazionale e gli Archives de Guerre, per le corrispondenze dei generali francesi comandanti sul  campo, Reynier e Manhès. Oltre naturalmente alla tante pubblicazioni, anche dei generali francesi, riguardanti quegli anni e quegli eventi, 
L’assunto  è semplice: “Capire perché la Calabria si ribelli e quali i motivi di fondo di questa autentica insurrezione popolare”. Con gli assunti sussidiari se “essa anticipi davvero la guerriglia spagnola”, di cui Napoleone in persona non venne a capo. E se non abbia costituito “il modello storico di quela guerra insurrezionale teorizzata e auspicata per primo da Carlo Bianco di Saint-Jorioz”. A cui si rifaceva “il pensiero mazziniano della guerra insurrezinale”. E dopo di lui “quegli scritto risorgimentali – Guglielmo Pepe, Cesare Balbo, Carlo Pisacane – convinti che soltanto abbandonando i metodi di guerra tradizionali e affidandosi a una nuova concezione di lotta e di resistenza l’Italia avrebbe potuto conquistare unità e indipendenza” (pp. 79-80).
All’interno della documentazione una corposa antologia su “Realtà e mito del calabrese”. Per lo più di fantasia. Eccetto una lettera di Giuseppe Bonaparte al fratello Napoleone, 16 aprile 1806, “pensosa e accorta” a distanza di così tanto tempo – Giuseppe “fu il primo re dei napoletani a voler conoscere la sue terre”. La corrispondenza con Napoleone si segnala anche, bisognerebbe dirlo, perché Napoleone vedeva e voleva la conquista come saccheggi autorizzati e distruzione.
Un’ampia introduzione mette in quadro, storico e fattuale, la documentazione di oltre un migliaio di pagine. Con una ampia nota bibliografica, e indici diffusi dei nomi, dei luoghi e degli autori – ma precisi per le illustrazioni, generici per documenti e autori.
Atanasio Mozzillo, Cronache della Calabria in guerra, Edizioni Scientifiche Italiane, 3 voll, pp. 1.350, rill. ill. pp.vv.

venerdì 12 luglio 2024

Ombre - 728

Si contesta a Milano l’intestazione di Malpensa a Berlusconi. Gli rende giustizia l’ex compagna giovane Pascale, che “grazie alla sua bontà e lungimiranza” ha tra le tante cose undici cani al seguito, più della regina Elisabetta, e due superattici a Firenze, con vista sulla cupola e il campanile, adattati a b&b, dai quali, per 300 euro a persona a notte, la società di gestione, che è pure la sua, ha guadagnato in poche settimane del secondo trimestre 28 mila euro netti. Una coppia esemplare, non sbilanciata, non nei reciproci interessi.

Dire Putin per Zelensky è un lapsus, innocente (come tutti i lapsus malgrado Freud). Ma Trump per Kamala Harris è rabbia compressa. Contro una vice-presidente che è solo una arrivista giudiziaria, messa lì solo perché donna, e politicamente innocua - reputata innocua prima della sfrontata campagna contro Biden.
 
Si intervista Cafiero de Raho, parlamentare 5 Stelle, napoletano eletto a Bologna, contro la legge che depenalizza l’abuso d’ufficio. “I sindaci erano contro”, afferma con faccia di bronzo l’onorevole, già Procuratore Nazionale Antimafia. Ruolo nel quale non ha mai parlato con un solo sindaco, per non “macchiarsi”.
Procuratore Capo a Reggio Calabria il gentiluomo non uscì di casa per quasi quattro anni per non contaminarsi. E perché concorse alla carica a Reggio Calabria? Un purgatorio, per l’ascesa alla Procura Nazionale: cinque anni a 240 mila euro l’anno, e vitalizio in linea.
 
L’ Arera, l’Autorità che sorveglia e tutela il mercato dell’energia, dice che il mercato libero fa aumentare i prezzi del gas e delle altre fonti. Beati loro, che se ne sono accorti. Il ruolo delle Autorità di sorveglianza dei mercati, create da Prodi venticinque anni fa, feudo incessantemente  democristiano, è incomprensibile: controllano sfere di mercato, ma a favore di chi – non degli utenti\consumtori?
 
San Polo d’Arezzo, teatro nel 1944 di una strage nazifascista di 64 persone, in tempi diversi e con modalità specialmente raccapriccianti - 48 si dovettero scavare la fossa, dove furono seppelliti vivi e fati saltare con la dinamite. Quest’anno, per la rievocazione, si collegata la nipote del comandante tedesco, il tenente Wolf Ewert, che ha chiesto scusa - “non sapevamo”, etc. Ma Ewert aveva fatto politica nel dopoguerra, nella destra neonazista, presidente dal 1952 al 1956  del Nationale Partei Deutschlands.
 
Furono molti gli ufficiali tedeschi che dopo la guerra entrarono in politica. Ewert, che comandava una compagnia del reggimento Grenadier 274, aveva come sottotenente (di complemento, laureato in legge, uno della HitlerJugend) Klaus Konrad. Che nel dopoguerra militò nel partito Socialdemocratico, e fu deputato per tre legislature, dal 1969 al 1980.
 
Fronte compatto e agitato antifascista e pro-Macron in Italia al voto francese, dando per scontato la vittoria dei lepenisti. Mentre si sapeva che, se il Rassemblement dei Le Pen non vinceva al primo turno, al ballottaggio avrebbe perso, come è consuetudine da una quarantina d’anni – da quando il lepenismo esiste. Contro l’union sacrée o “fronte Repubblicano”, di sinistre, centro e destre non lepeniste. Provincialismo? Eco irriflesso della stampa francese? Ma i media francesi agitano l’allarme per invitare al voto. Che infatti in Francia al ballottaggio è sempre elevato, da quando esiste il movimento lepenista. In democrazia si vota contro?
 
“Bagnaia-Sinner, l’Italia che vince”, “Un’Italia mai vista a Wimbledon”, “Il nostro onore italico salvato solo da Orsato” (il giorno prima, il giorno dopo l’arbitro – Orsato è un arbitro – non è stato designato per la finale dal designatore Rosetti, della tribù Collina, saldamente al comando del business). Non è linguaggio meloniano, o “fascista”, è giornalìstico.
Fa piacere che Sinner vinca, ma che c’entra l’onore? Di fascista (nazionalista) residua sicuramente il linguaggio, anche a sinistra.
 
Grande vittoria del Pd a Firenze – dove ha sempre vinto. Grande vittoria di una sindaca a Firenze. Una donna. La nipote di Piero Bargellini. Etc. Che a un mese dal voto non riesce a varare una giunta – gli interessi del Pd a Firenze, dopo tante sindacature, sono una giungla.
 
Si fanno “svuotacarceri” – una volta erano chiamate amnistie o, surrettiziamente, indulti - per alleviare il sovraffollamento carcerario – e guadagnarsi due e trecento voti per ciascun beneficiario. Mentre non si fa quello che ormai è prassi, incivilire la carcerazione. Per esempio col lavoro. A Massa i detenuti lavorano tutti. Per lo Stato: fanno lenzuola, federe, coperte e copriletti per le altre carceri. Acquisiscono le manualità necessarie con un corso. Lavorano metà giornata, Vengono pagati.
 
Torna a scendere lo spread, dopo che Eurostat ha convalidato la richiesta di spalmare il debito da Superbonus su dieci anni invece che su quattro – il deficit di bilancio del 7 per cento del 2023, che ha posto l’Italia in difficoltà a Bruxelles, dovrebbe appiattirsi già quest’anno. Ma di questo non sappiamo nulla. Va bene l’opposizione al governo, ma un minimo d’informazione – l’indebiamento e lo spread interessano tutti quanti?
 
“La prima priorità è sicuramente il sistema sanitario nazionale”, spiega lo storico inglese David Sassoon dopo la vittoria laburista: “Ci sono sette milioni di britannici in lista d’attesa, per visite, esami, interventi”. E aggiunge: “La sanità si regge su lavoratori immigrati o figli di immigrati”. Il personale sanitario, ma anche i medici. In Inghilterra lo sanno.

Vecchia vera Italia

Nel 1940-41, nel pieno di una guerra oltraggiosa, di un regime sofferto, Calamandrei si concede una vacanza mentale. Cioè torna ai fondamentali: la vita, il linguaggio (la letteratura, la poesia), la natura. Questa soprattutto, che lui vive, in questo frangente storico, con abbandono. In una casa di campagna che in realtà è la sua casa al mare, al Poveromo di Marina di Massa, vicino di casa di moltri altri personaggi. Savinio, Longhi, et al. Sotto le Apuane, a portata di passeggiata – e saranno la parte centrale, forse la più evocativa tra le tante, del Calamandrei cercatore provetto di funghi. E per Natale 1941 invia agli amici questo libro, di cui ha fatto stampare 300 copie, a uso solo personale, dall’editore Lemonnnier, con le illustrazioni di Pietro Parigi – “discusse minuziosamente con l’autore”, annota nella presentazione Silvia Calamandrei.
Un capolavoro nascosto. Di forte letteratura – linguaggio – benché di giurista. Di studiatissima naturalezza, e avvincente, benché di argomenti poveri. Il ricordo del padre. Del padre col figlio. Del nonno, giudice istruttore, con cui l’autore fa tutto e impara tutto, dalle aste alla rifioritura del cappero (provarsi!), o alla smielatura, con l’eccidio delle api – e l’“acqua melata”. Di Montauto e di Montepulcano. Delle prime avventure solitarie, fuori casa, fuori paese. Dei fiori e le piante. La vita bella e infelice delle farfalle, lunghi capitoli, Col trionfo finale dei funghi: la sveglia all’alba, il bosco, i “posti”, e la vita e la società dei funghi - i lunghi capitoli finali si leggono come un’odissea, altrettanto pieni di piccole e grandi sorprese. La maggiore, e quella che definisce l’opera, la sensibilità di Calamandrei? I funghi sono vegetali e animali, con una loro fisionomia, mobile, alla maniera delle forme ibride marine, da cui la vita si è messa in movimento, le meduse, le stelle di mare, i coralli….
Una lettura semplice, di cose minute, e invece avvincente: il severo giurista fa rivivere l’infanzia, “il dolce tempo della libertà”, in un tempo senza tempo, in luoghi estremamente caratterizzati che sanno di ovunque - si legge come se si fosse cullati.
La narrazione si vuole ed è giocosa anche se l’occasione è mesta. I ricordi fluiscono vivaci, sereni, copme da bambino emergono le figurine delle decalcomanie: “Tali ancor oggi, fatti di tinte pure che si infiammano contro luce, mi appaioono i ricordi dell’infanzia”. Ciò avviene nell’“ambiguo tempo fra i quaranta e i cinquant’anni, in cui ci si accorge che la nostra tribù comincia a fare i preparativi per la partenza”. Nella “stagione degli addii”, che Calamandrei vuole “tempestosa”, fra le speranze della gioventù e la rassegnazione della vecchiaia”. Che sono poi le stagioni della vita: “Ieri sono partiti i nostri genitori verso la morte, domani partitanno i nostri figliuoli verso la loro vita”. Ma è un passaggio che è anche “un incantesimo”: “Ci accorgiamo che la gioventù è finita quando si è spenta in noi questa seconda vista infantile che nella labile parvenza delle cose riesce a secernere la convincente ed eterna verità delle cose sognte”.
Con una terminologia sempre precisa. Anche desueta. Parole ricorrono che si pensano locali, campanilistiche, da veglie di Neri, e invece hanno dignità di Crusca, per essere o dire cose precise - il lessico s’impoverisce più che arricchirsi?
Un’opera salvata da Christophe Carraud, il petrarchista francese, che prima l’ha tradotta una dozzina d’anni fa per le sue edizioni Conférence, e poi è riuscito a farla riprendere in originale. Con una messa in qadro di Silvia Calamandrei, la nipote di Piero – figlia di Franco Calamandrei. “In quest’opera la patria trova la sua lingua”, può annotare Carraud, senza ostentazioni polemiche, la sua vera natura. Come Iris Origo accennava nella lettera di ringraziamento: il fatto o l’idea che “in certe forme di letteratura la lingua faccia parte del paesaggio che descrive”. Qui modesta, diretta, veritiera. 
Piero Calamandrei,
Inventario della casa di campagna, Edizioni di Storia e Letteratura, pp. 293, ill. € 18

giovedì 11 luglio 2024

L’Aggiustizia in Italia e il modello Usa

È straordinario quanto il diffusissimo romanzo “Presunto innocente” dell’ex Procuratore pubblico e avvocato di Chicago Scott Thurow spieghi i punti nevralgici del processo penale americano in contraddizione  con la pratica, se non la deontologia, del nuovo processo penale che contemporaneamente si varava in Italia – il romanzo è del 1987, il nuovo codice di procedura penale, codice Vassalli (o Vassalli-Pisapia) e del 1988. Che introduceva in Italia il processo accusatorio, il “modello americano”. In contraddizione di fatto naturalmente, non c’è menzione nel romanzo del diritto italiano.
Marginale, ma non poi tanto, è costante è il richiamo nelle procedure americane, a un lessico giuridico romano, con formule ricorrenti, estremamente sintetiche ma note a tutti – cosa che non c’è nel codice Vassalli: vi et armis, o venire, duces tecum (subpoena duces tecum), habeas corpus naturalmente, etc.. E la raccomandazione costante del giudice alla giuria che tocca allo Stato provare la colpevolezza, che essere imputato non vuol direcessere colpevole, che ogni imputato è innocente fino alla condanna.
In Italia il “processo accusatorio” ha significato l’allargamento spropositato dei poteri e delle pratiche delle Procure. A fronte delle quali il giudice di convalida, gup o gip, è un mero archivista. Con gli effetti che conosciamo, quasi quarant’anni di scandalismi, più che di giudizi veri e di condanne fondate. Di dominio incontestabile delle Procure sull’opinione pubblica, a fini funesti, senza mai responsabilità. “Negli Stati Uniti”, è l’incipit del cap. 22, “l’accusa non può interporre appello. È un principio costituzionale sancito dalla Corte Suprema del paese”. Per controbilanciare i poteri del Procurare in istruttoria: “La maestà dell’incarico, il potere di dare disposizioni alla polizia, il pregiudizio in suo favore che è inevitabile da parte della giuria” - in Italia dell’opinione pubblica.
Il Procuratore Capo e il Sostituto che nel romanzo usano la loro funzione come punitiva, per convinzione o odio personale, sono italiani.
E naturalmente è come nei film: in America l’accusato può effettuare e valere in giudizio investigazioni difensive.



Simone, santa laica del Novecento

“Non provo in alcun grado amore per la Chiesa propriamente detta”. Questa “autobiografia spirituale” confidata al padre Perrin, suo sostegno negli anni tristi dello sfollamento a Marsiglia, 1940-1942, è una serie di fratture, di contraddizioni, ma tutte coerenti: lettere e riflessioni di straordinaria intensità, anche per uno spirito profano.
Simone Weil ha un senso preciso del religioso e della religione, e della sua aspirazione a “farsi cattolica”: Dio, Cristo e la fede sì, li ama “quanto può amarli “un essere così miserevolmente insufficiente”, i santi pure, “la liturgia, i canti, l’architettura, i riti, le cerimonie cattoliche”, anche “i sei o sette cattolici di autentica spiritualità che il caso mi ha fatto incontrare nel corso della vita”, la chiesa no. Della chiesa ha paura. “Non per la sua colpa”, non tanto, ma perché “essa è un fatto sociale”. Una comunità, che ingloba. Questo le fa paura. Non tanto per individualismo, quanto perché si sa “influenzabile”, con “una forte tendenza a essere gregaria”.
“Il cristianesimo” peraltro “è cattolico di diritto ma non di fatto. Tante cose ne sono fuori”. Soprattutto per l’uso del’anatema, della scomunica. Simone Weil lo integra, nel saggio formidabilmente denso che intitola “Forme dell’amore implicito di Dio”. Che propone una teologia oggi al centro del papato, di Ratzinger e di Bergoglio – anche se il credito non viene riconosciuto: “Distaccarsi dalla propria falsa divinità, negare se stessi, rinunciare ad immaginare di essere il centro del creato, riconoscere che tutti i punti del mondo sono altrettanti centri allo stesso titolo e che il vero centro sta fuori dal mondo, significa acconsentire al fatto che la necessità domina sulla materia e che la libera scelta sta al centro stesso di ogni anima. Questo consenso è amore. Questo amore, in quanto si rivolge alle persone pensanti è carità del prossimo, in quanto si rivolge alla materia è amore per l’ordine del creato, oppure – che è poi lo stesso – amore per la bellezza del creato”.
Con molti pilastri solidi piantati nell’antropologia e sociologia del religioso. Per un’etica e una filosofia pratica piene di verità. Su Amore, Bellezza, Piacere, Matrimonio, Assoluto, Poesia, Provvidenza, e sugli stessi misteri, Creazione, Incarnazione, Finalità, Necessità. La natura, la bellezza, la bellezza del creato. Una trattazione diversa “delle forme del potere”: dall’“Iliade”, il poema della forza, al Cristo in croce. Sulla misericordia divina. Sulla preghiera anche, dopo un primo rifiuto. Sulla compassione.
Interessante è il ritratto che della filosofa traccia il padre Perrin presentando la raccolta nel 1949.. Per l’esito deprimente dell’esperienza di operaia in fabbrica, che non la lascerà più: “La prova fu superiore alle sue forze: l’anima fu come schiacciata dalla coscienza della sventura ed ella ne rimase segnata per tuta a vita”. E per la poliedricità degli interessi e le enormi energie intellettuali, malgrado la prostrazione fisica, durante i due anni di sfollamento a Marsiglia. Malgrado lo sradicamento, elaborò e pubblicò numerosi e importanti saggi: “L’Iliade o il poema della forza”, “L’agonia di una civiltà”, “L’ispirazione occitanica”, Le “Intuizioni pre-cristiane”, su Platone e i pitagorici, e quelli confluiti in questa raccolta, “L’amore di Dio e il male”, e il fertilissimo “Forme dell’amore implicito di Dio”. Mentre come “letture predilette” aveva le “Memorie” del cardinale de Retz, e “I tragici” di Agrippa d’Aubigné.
L’”amore implicito di Dio” è la religione costituita: le chiese, l’intermediazione. La religione è senz’altro parte del sentimento religioso e va rispettata. Ma non tutte in egual modo: “La religione di Israele, per esempio, dev’essere stata un’intermediaria molto imperfetta, se si è potuto crocifiggere Cristo. La religione romana forse non meritava a nessun titolo il nome di religione”.
Singolare la confidenza di Simone al padre Perrin della tentazionne del suicidio a quattordici anni “a causa delle mie mediocri facoltà naturali”. Una delle incertezze dell’adolescenza, ma nel suo caso singolare, precisa: il confronto con “le doti straordinarie di mio frateo (il matematico André, n.d.r.), che ha avuto un’infanzia e una giovinezza paragonabili a quelle di Pascal”. Singolare anche la “conversione”: a Solesmes, celebre per i riti della Settimana Santa, nella Pasqua del 1938: l’arcangelo la visita in persona di “un giovane inglese cattolico”, che le fa conoscere i poeti secenteschi inglesi detti metafisici e le fa scoprire l’amore, nella forma del poemetto “Love” di George Hebert (“L’amore mi accolse… L’amore mi prese per mano… «Bisogna che tu sieda», disse l’Amore, «che tu gusti il mio cibo». Così mi sedetti e mangiai”).
Ma non è questo il tono delle lettere. Scrive a p. Perrin a un certo punto come una mistica, come in attesa di una impregnazione: “Il pensiero deve essere vuoto, in attesa, non deve cercare alcunché, ma deve essere pronto ad accogliere nella sua nuda verità l’oggetto che sta per penetrarvi”. Forse l’esperienza religiosa più vissuta – più elevata – di tutto il Novecento.
Pubblicazione in tascabile della riedizione di Sala e Gaeta del 2008. Con una notevole massa di note. E da alcuni materiali inediti, in aggiunta alle lettere. Una “Riflessione sul buon uso degli studi scolastici in vista dell’amore di Dio”. E appunti e brutte copie delle lettere. 
Simone Weil, Attesa di Dio, Adelphi, pp. 350 € 14

mercoledì 10 luglio 2024

Problemi di base stupidi ter - 815

spock


C’è stupidità e stupidità?
 
Come c’è ignoranza e ignoranza?
 
La stupidità non ha vergogna?
 
La stupidità non ha limiti?
 
La stupidità è contagiosa?
 
Si nasce stupidi, o si diventa?

spock@antiit.eu

Il futuro è statale

Le “transizioni”, sia quella verde, sia quella tecnologica (semiconduttori, terre rare, intelligenza artificiale), sono costose, e non si possono fare senza finanziamenti statali. Quelli decisi da Biden, con l’Ira (Inflation Reduction Act) e col Chips Act, che programmano investimenti pubblici per, rispettivamente, 369 e 280 miliardi di dollari,  sono solo un assaggio. Una fabbrica di semiconduttori di ultima generazione implica investimenti per venti-trenta miliardi di dollari. Si parla di mercato, di protezione o ricostituzione delle condizioni di mercato, ma gli investimenti sono pubblici.
Questo è almeno l’entità e la natura dell’investimento nell’ottica del reshoring, del rimpatrio in Usa e in Europa di produzioni già delegate all’Estremo Orioente  Il Chips Act di Biden, 9 agosto 2022, è un legge-quadro da 280 miliardi di spesa per  la rcerca e la produzione di semiconduttori, stanziandone 53 miliardi nei primi cinque anni, nei settori tecnologici – 39 dei quali destinati a nuove fabbriche negli Stati Uniti. Ne hanno già beneficiato General Motors (il fornitore di GM GlobalFoundries), Tsmc (Taiwan Semicondctor Manufacturing Company), Samsung, Micron. L’investimento di Tsmc è peraltro di ben 65 miliardi in sei anni (rivisto al rialzo dagli iniziali 45 miliardi due anni fa), e potrà contare su un sussidio americano di 6,6 miliardi – oltre a 6-7 miliardi  di prestiti garantiti, sempre dal governo federale Usa.
 

Non c’è Procuratore innocente – o gli ominicidi in Usa

Il vice-Procuratore concorre al posto di Procuratore Capo, vince l’elezione popolare, e incrimina l’altro Vice, il suo vecchio collega, fedele al Procuratore Capo uscente. Segue una causa lunga mezzo volume.
Questo romanzo del 1987 di Scott Thurow, dieci anni dopo l’esordio come scrittore, deve molto alla sua precedente esperienza di assistente del Procuratore  Capo di Chicago, ed è definito una sorte di capostipite del legal thriller. In realtà, è la storia di una vendetta, femminile. Un aspetto della famiglia americana di cui non si parla: gli ominicidi, più determinati anche se (molto) meno numerosi dei femminicidi. In forme anche sottili, studiate, fredde, oltre che violente. Un aspetto della libertà della donna americana, che l’ha avuta e l’ha esercitata da sempre, con decisione, anche se di questo non c’è traccia nella storia americana – l’ha esercitata in famiglia, su questioni familiari. Thurow è maestro di questo: della donna che si prende il suo piacere con chi vuole, senza limiti, di pratiche e di scelte, e della donna che si vendica, con astuzia, con freddezza. La gelosia è ingrediente femminile molto americano - come in Italia dovremmo sapere dal caso di Meredith Kercher, assassinata senza altro movente.
In tema di
legal thriller, è curioso che negli stessi anni l’Italia si studiava di introdurre il “processo accusatorio” all’americana, con l’allargamento spropositato dei poteri e delle pratiche delle Procure – con gli effetti che conosciamo, trent’anni di dominio dell’opinione pubblica, a fini funesti. Poteri e pratiche che nel romanzo, sempre avvincente, costituiscono la sua prima lunga parte. In una America peraltro che sembra molto democristiana, e meridionale: il posto, la raccomandazione, le clientele, i tradimenti, i pettegolezzi, anonimi e non.
Scott Thurow, Presunto innocente, I Miti, pp.604 € 7,90

martedì 9 luglio 2024

Il mondo com'è (476)

astolfo


Vincenzo Bianco
– Trascurato in morte, anche dalle storie del Pci, fu uno dei massimi rappresentanti del partito Comunista a Mosca subito prima e durante la guerra, delegato di Togliatti al Comintern, l’organizzazione dei partiti comunisti nel mondo, dove era in confidenza col segretario Dimitrov – l’artefice con Togliatti nel 1935, prima delle ”purghe” staliniane, della politica dei Fronti Popolari, cioè dell’alleanza del partito Comunista con i partiti progressisti “borghesi”, nelle democrazie “borghesi”.  Ebbe fama nel 1945,  nome di battaglia “Vittorio”, o “colonnello Krieger”, delle formazioni partigiane comuniste, in qualità di plenipotenziario del Pci a Trieste. Filotitino, a favore dell’annessione di Trieste alla Jugoslavia. Ma non al corrente, si dirà successivamente, delle foibe: ne fu chiesto il processo, una volta conclusa la vicenda di Trieste a favore dell’Italia, ma non fu processato. 
A suo merito fu invece ascritto l’interessamento a Mosca a favore dei militari italiani dell’Armir, il corpo di spedizione in Russia, prigionieri dell’esercito russo – un interessamento di cui fu incaricato da Togliatti, a scopo di proselitismo. “Bianco, in particolare”, scrive la storica che si è occupata da ultimo dell’Armir, Maria Teresa Giusti, “I prigionieri italiani in Russia”, “all’inizio del 1943, subito dopo la disfatta dell’esercito italiano sul fronte del Don, ebbe l’incarico di organizzare il lavoro politico tra i prigionieri di guerra italiani, creando le scuole politiche e il giornale per i prigionieri”.
Bianco allargò il suo campo d’azione in senso genericamente filantropico. Visitò i campi di prigionia e ne scrisse preoccupato a Togliatti, che anche lui risiedeva a Mosca. In una lettera presto famosa del 31 gennaio 1943 gli scriveva: “Ti pongo una questione molto delicata di carattere politico molto grande. Penso che bisogna trovare una via, un mezzo per cercare, con le dovute forme,con il dovuto tatto politico, di porre il problema, affinché non abbia a registrarsi il caso che i prigionieri di guerra muoiano in massa come ciò è già avvenuto”. Togliatti gli rispose celiando, il 15 febbraio, in un’altra lettera famosa resa pubblica trent’anni fa, quando si aprirono gli archivi di Mosca. Una lettera che fece “accapponare” Achille Occhetto, il segretario del Pci-Pds. Il giornale “la Repubblica” s’incaricò si svelenire la risposta di Togliatti, asserendo che lo storico che l’aveva recuperata aveva commesso errori di trascrizione o di lettura. Ma la lettera è chiara: “L’altra questione sulla quale sono in disaccordo con te è quella del trattamento dei prigionieri. Non sono per niente feroce, come tu sai. Sono umanitario quanto te. O quanto può esserlo una dama della Croce Rossa. La nostra posizione di principio rispetto agli eserciti che hanno invaso l’Unione Sovietica è stata definita da Stalin, e non vi è più niente da dire. Nella pratica, però, se un buon numero di prigionieri morirà in conseguenza delle dure condizioni di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire. Anzi. E ti spiego il perché”. Il perché è che “l’ideologia imperialista e brigantesca del fascismo” è penetrata nel popolo. Che quindi ha bisogno di un risveglio brusco: “Quanto più largamente penetrerà nel popolo la convinzione che aggressione contro altri paesi significa rovina e morte per il proprio, significa rovina e morte per ogni cittadino individualmente preso, tanto meglio sarà per l’avvenire d’Italia”. Proseguiva citando “i massacri” di Dogali e Adua, “uno dei più potenti stimoli allo sviluppo del movimento socialista” in Italia. E concludeva: “Io non sostengo affatto che i prigionieri si debbano sopprimere, tanto più che possiamo servircene per ottenere certi risultati in un altro modo, ma nelle durezze oggettive che può provocare la fine di molti di loro non riesco a vedere altro che la concreta espressione di quella giustizia che il vecchio Hegel diceva essere immanente in tutta la storia. 
“E ora alle questioni pratiche di lavoro.” 
Bianco replicò il 20 marzo - “seccamente", dice Giusti, ma senza seguito: “Non condivido il tuo punto di vista e perciò mi sono rivolto a Giorgio”. Giorgio è Dimitrov, il segretario del Comintern.  Che il 16 marzo annotava nel diario, poi pubblico: “Bianco mi ha informato del suo viaggio nel campo dei prigionieri di guerra di Tiomnikov…. Un’enorme mortalità. Deficienze nel campo. Impostazioni sbagliate del comandante del campo, ecc..Gli ho chiesto una relazione scritta”. La relazione fu dettagliata delle sofferenze inutili nei campi (Bianco prendeva le parti anche dei prigionieri tedeschi) ma restò negli archivi. 
Il seguito della vicenda è di venti mesi dopo. Per Natale del 1944, con le truppe sovietiche già in Germania, Togliatti chiese l’autorizzazione alla raccolta e distribuzione di “piccoli regali” ai soldati e agli ufficiali italiani  prigionieri, un “importante evento politico” . L’autorizzazione fu negata e Togliatti commentò che ne era compromesso il lavoro antifascista nei campi. Gli italiani prigionieri dopo il contrattacco sovietico erano 70 mila. Di essi 20 mila si calcola siano morti nel primo inverno, negli spostamenti tra i campi. Degli altri 50 mila sopravvivevano a fine guerra circa 10 mila, poi gradualmente rimpatriati.         
Nel 1950, pochi mesi dopo la “scomunica” staliniana di Tito nel 1948, Bianco fu sospeso da ogni incarico di partito. Per trent’anni lavorerà ignorato all’archivio dell’ “Unità”, addetto alla traduzione dal russo di articoli della  “Pravda”, il giornale del partito Comunista Sovietico.  


Regina Coeli
– Un carcere col nome della Madonna del “Salve, Regina”. Era un convento di suore, creato a metà Seicento, vittima delle leggi “eversive” (dell’asse ecclesiastico) dell’Italia laica, 1866 e 1867, applicate a Roma subito dopo Porta Pia. Una delle prime applicazioni a Roma delle leggi: nel 1881 il complesso era già destinato a carcere. La ristrutturazione fu completata nel 1900. 
Nel frattempo un edificio contiguo era stato destinato a carcere femminile, detto delle Mantellate. Un altro convento del Seicento - Mantellate dal nome popolare delle suore che lo abitavano – che serviva anche, attraverso una ruota aperta sulla strada, a riceve i neonati abbandonati. 
Poiché il carcere è sotto il Gianicolo, sotto la grande terrazza del colle, questa è stata a lungo luogo di comunicazione con i detenuti, che si riconoscevano sulle terrazze-tetto, e nei cortili. L’ultimo scampolo di questo commercio si ebbe quando vi fu detenuto Enzo Tortora: i fotografi puntarono per molti giorni tetti e cortili per carpire qualche immagine del popolare presentatore.

Sauditi – In Arabia Saudita, Stato patrimoniale secondo la terminologia di Max Weber, cioè proprietà privata, di una persona-famiglia-dinastia, tutto è di proprietà della famiglia regnante, i figli del fondatore del reame, Abdelaziz ibn Feisal al Saud. Il re in carica, Salman, è l’ultimo dei fratellastri figli di al Saud. Il suo successore designato, figlio del re in carica, Mohammed bin Salman, inaugura una seconda linea. 
Nel 1974, un anno dopo lo “shock petrolifero” che triplicò i prezzi del petrolio, un principe saudita teneva banco a Montecarlo, al casinò. Ljuba Rizzoli, oggi 92nne, allora vamp di gran lustro, moglie dell’editore-produttore Rizzoli, lo ricorda in un’intervista con Aldo Cazzullo sul “Corriere della sera”. La signora Rizzoli va “a prenotare il tavolo del baccarat, ma mi avvisano che è già riservato all’erede al trono saudita, appunto Fahd”. Non era esattamente così: l’erede al trono era Khaled. Che un anno dopo succederà al fratello Feisal, il primo sovrano che aveva introdotto un minimo di modernizzazione nel reame, consentendo l’uso della radio a transistor (veicolo dell’aborrita propaganda egiziana, “rivoluzionaria” - nasseriana, laica) e aprendo una scuola per fanciulle, con insegnanti ciechi. Feisal sarà assassinato a palazzo l’anno dopo, il 25 marzo 1975 – a opera, si disse, di un nipote squilibrato. 
Fahd non era ancora principe ereditario, lo sarà dopo la morte di Feisal, scelto dai fratelli. E sarà re nel 1982, dopo Khaled: regnerà a lungo, fino al 2005, nazionalizzerà il petrolio (fino ad allora di proprietà del consorzio americano Aramco), senza inimicarsi le compagnie, e modernizzerà l’Arabia Saudita dal punto di vista economico, creando industrie locali a valle della produzione di petrolio greggio - seppure con manodopera straniera (il saudita non fa lavori meniali). Ma è vero che a fine 1974-primi 1975 si era stabilito a Montecarlo con l’intento dichiarato di sbancare il casinò, rilanciando senza riserve. 
Avvenne come Ljuba Rizzoli dice: “Al casinò non si vince mai. Chi dice di poterlo fare scientificamente è uno stupido”.  Il banco non saltò. Del principe, dopo qualche mese, non si parlò più – fino a che non riemerse come principe ereditario.
Fahd non era il solo: i principi sauditi, per un paio d’anni dopo la colossale fortuna capitatagli con lo shock petrolifero, erano studiati in America, nelle pubblicazioni di psicologia, come portatori di una nuova sindrome. Che rimase poi senza nome, ma il dibattito fu concorde che era un disturbo forte della personalità, nel senso della megalomania.
Feisal si ricorda l’estate del 1959 al luna park londinese di Battersea sull’autoscontro, con un paio di ragazzette inglesi divertitissime di giocare col paludatissimo gentleman. Quando scese, fece un sorriso mesto mentre si girava per allontanarsi, alto, di figura ascetica. Le ragazze invece si commentavano eccitate, rosse in viso, l’avventura. Altre figure ieratiche, anche esse in tunica color dell’aria, seguivano sparse il principe. Una di esse si fermò a distanza, per ringraziare le ragazze. Non era dato sentire se parlava l’inglese, ma poi, sempre tenendosi a distanza, porse con la mano aperta due biglietti da venti sterline. Le ragazze si guardarono sorprese, e all’unisono, senza parlare, si misero a correre a tutta velocità – il cortigiano, ripiegati i biglietti nella manica, sorrise comprensivo.

Svizzera - La Svizzera nasce sacra: il capo degli Elvetici aveva nome tropaico, domotaurus, toro potente. Il toro con le corna è simbolo di potenza, anche i santi e i profeti se ne adornano.  


astolfo@antiit.eu

Come fare “piazza pulita” della democrazia

Un lungo articolo del giornale “la Repubblica” – il tinello degli zii brontoloni. Sul tema “libri e idee per un’dentità democratica”. Un libro di “assenze”, si vede che gli otto “zii” qui presenti leggono poco, o leggono male.
Otto “interventi” perfino svogliati. In linea con quanto il giornale vuole farsi dire? È possibile, cosa non si fa per una collaborazione – per “uscire sul giornale”, diceva già Gogol’.
Curiosa silloge per la figlia di un giornalista famoso come biografo del conterraneo Gramsci: Gramsci non c’è in questo aeropago della democrazia. Ma c’è poco di altro – Croce almeno ha una menzione, una sola, di passaggio, Gobetti pure.
Simonetta Fiori, La biblioteca di Raskolnikov, Einaudi, pp. X + 218 € 18€

lunedì 8 luglio 2024

Macron riporta la destra al centro

Come i lettori del sito sanno,
http://www.antiit.com/2024/07/ombre-727.html
http://www.antiit.com/2024/07/ma-parigi-il-governo-non-sara-di-le-pen.html
la “scommessa” di Macron col voto anticipato era la ricostituzione del “fronte repubblicano” al ballottaggio, al secondo turno di voto. Per isolare e battere la destra lepenista. Bloccando lo scìvolamento in atto da oltre un anno verso il Rassemblement National, il partito dei Le Pen, degli elettori moderati, che sono il perno del peso politico di Macron.
La scommessa è riuscita, gli elettori non lepenisti di fronte alla “minaccia” si sono recati in massa alle urne al ballottaggio, e ora Macron ha probabilmente più deputati del Rassemblement, anche se meno del Fronte Popolare.
Resta che il Rassemblement è  ora il primo partito, anche se penalizzato al secondo turno dalle desistenze. Più pesante del partito di Macronbe dei Repubblicani, ex gollisti: la minaccia è stata evitata ma non disinnescata. Ora il problema di Macron è quindj di fare un governo senza il Fronte Popolare, alle cui desistenze deve la riuscita dei suoi canddati. Non sarà facile sbarazzarsi del Fronte, ma l’esito non può essere altrimenti. La Francia ha una situazione finanziaria sui mercati internazionali perfino più debole in questo momento di quella dell’Italia, per un disavanzo di bilancio elevatissimo, il 7 per cento, e non riducibile in tempio brevi, e il Fronte assolutamente non può andare al governo. Non con Macron – baluardo e alfiere dell’osservanza finanziaria.
L’alternativa però è dfficile – è la parte difficile della “scommessa”. Dividere il Fronte Popolare lasciando fuori i “comunisti”. Oppure far convivere i lepenisti con i macroniani al governo, sotto un primo ministro forse neutro ma di nomina macroniana.
I mercati finanziari oggi sono “riflessivi”, che vuol dire niente panico, e fiducia in Macron. Il quale già prima del voto, giovedì, aveva chiarito che la vittoria al secondo turno non avrebbe implicato  un “cambio di regime”.

Totò in America e la transizione verde

Un lunga story , di una truffa degli anni 2010,  durata una dozzina d’anni, a danno del fisco americano, per qualche miliardo, con un generatore mobile e greeen, montato su un caravan, a pannelli solari. Che era stato all’origine il ripiego di un meccanico mezzo fallito, senza più un’officina, o un’idea di cosa fare. Un generatore non inquinante, e mobile? Ma è un’idea geniale.
Inizialmente i primi mediatori pensarono di venderlo come impianto di pannelli solari mobile, che evitasse quindi i furti degli stessi pannelli in assenza, per lavoro o vacanza, i pannelli solari installati sul tetto di casa. Finché uomini (donne nel caso) d’affari e un primario studio legale non trovarono che si poteva vendere a caro prezzo a clienti facoltosi, che così potevano portare in deduzione dal fisco il 30 per cento del valore del manufatto – più caro il manufatto, più alto il credito di imposta. Senza bisogno del manufatto.
I generatori non  si fabbricavano – giusto un centinaio da esibire nelle fiere e nei contest. Si vendevano in lend-lease al 30 per cento del costo dichiarato, quanto bastava all’acquirente per dedurne il costo come credito fiscale. Molti grandi investitori ci hanno messo molti soldi.
Una serie di equivoci e di trucchi esilaranti – sembra una gag di Totò. Se non per l’esito finale, il fallimento. Ma dopo molti anni, a causa principalmente del covid, e dopo aver truffato il Tesoro americano di molti miliardi in crediti fiscali per la transizione verde.
Ariel Shabar, The billion-dollar Ponzi Scheme that hooked Warren Buffett and the U.S.Treasury, www.the atlantic.com, free online

domenica 7 luglio 2024

Ecobusiness

“Il tappo che non si stacca” è “l’arma decisiva” per salvare il mare, e le balene – ne divorano a migliaia. Il tappo delle bottiglie di plastica. Dell’acqua minerale: “La norma europea per limitare il dilagare di microplastiche negli oceani”. Le magaplastiche possono tranquillamente navigare? Se non fosse un dramma, che commedia!
 
L’uso smodato dell’acqua “minerale”, cioè in bottiglia, quello invece è salubre. Che l’Italia fa in concorrenza con il Messico a chi ne consuma di più, pro capite. Ora, in Messico si può capire, l’acqua corrente va con la “maledizione di Montezuma”, solo un gradino più giù del colera. Ma in Italia? Con le Alpi, gli Appennini, le sorgenti?
 
L’uso dele fonti di energia rinnovabili, alternative alle fossili, è in Italia, in Europa, all’8 per cento del totale, o al 12?  Se fosse al 12 cosa cambia? Le fonti alternative non possono sostituire niente finché la circolazione automobilistica cresce. Come è anche giusto che sia, non solo gli americani e gli europei possono andare in macchina. Il consumo di fonti fossili cresce anche con la macchina elettrica – cresce forse di più, poiché bisogna produrre molta più elettricità. Tanto più che i volumi delle automobili sono ora il triplo di quello che erano quarant’anni fa – più dispendio di materiali, da produrre con consumo di energia, più peso, più consumo di combustibile – oltre che di spazio, di aria, di ambiente (con più o con meno sicurezza? a giudicare dalla Rca con meno, molto meno).

Le due Resistenze – le due narrazioni

Un racconto-verità. Tra fine 1943 e primi del 1945, nelle valli di Comacchio, della guerra civile, tra i fascisti, con i volenterosi collaboratori, comandati dai tedeschi, le esecuzioni sommarie, i lavori forzati in Germania, e la Resistenza, politica, organizzata, e occasionale, disperata. L’“Agnese” del racconto è personaggio reale, assicura l’autrice in una nota al testo. E Renata Viganò stessa è personaggio in dramma, “Contessa”, alla macchia con un bambino piccolo, nelle alterne vicende del marito, comandante di formazione partigiana, prigioniero dei tedecshi e poi evaso, per diciannove lunghi mesi.
Un racconto sommesso, mai un trionfalismo. Ma alla rilettura datato, all’ombra delle “magnifiche sorti e progressive”, quali erano forse d’obbligo subito dop la guerra, quando il racconto fu scritto e subito pubblicato – Renata Viganò era personaggio letterario noto, poetessa esordiente già a dodici anni, nel 1912. L’uscita occasionale in questa serie del “Corriere della sera” dopo “Il partigiano Johnny” delinea due modi di raccontare (avere vissuto?) la Resistenza. Quella fattuale, anche nela sua casualità, di Fenoglio, della narrazione piemontese in genere, di Pavese e si può aggiungere di Calvino (“Ultimo viene il corvo”, “Il sentiero dei nidi di ragno”), e quella invece, più o meno, di partito, politica, pedagogica.
Renata Viganò, L’Agnese va a morire, “Corriere della sera”, pp. 287 €8,90