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sabato 3 agosto 2024

Dazi, contingenti e aiuti di Stato – la deglobalizzazione Usa

La deglobalizzazione è iniziata prima di Trump, nella seconda presidenza Obama, 2012-2016, con limiti e vincoli agli scambi commerciali. È quindi considerata una tendeza di lungo periodo, del cosiddetto deep State, dell’interesse nazionale americano. Quando si è aperta l’ipotesi che la Cina diventasse la maggiore economia del mondo, e anche autonoma, con autonoma capacità di sviluppo, cioè, nella tecnologia. Trump l’ha cavalcata. La presidenza Biden l’ha radicalizzata, con enormi aiuti di Stato.
L’American Rescue Plan (Arpa), la primissima legge di Biden, il piano per le infrastrutture subito dopo, la legge per la transizione verde e le materie rare, detta legge anti-inflazione, Inflation Reduction Act, e il Chips Act hanno pompato quantità immani di fondi federali nell’economia.
L’impatto dei dazi e contingenti all’importazione (“America First”) di Trump, e delle leggi di sviluppo di Biden è visibile nell’irrobustimento dell’economia americana. Mentre, per converso, il piano di stimoli europeo è praticamente fallito, il Pnrr. Per essersi indirizzato non verso gli assetti produttivi ma verso la burocrazia, incapace peraltro di progettare e spendere - comuni, scuole, ospedali.
La Cina ha finito il ciclo della grande corsa, al 10 e più per cento di crescita l’anno dell’economia. Con una demografia calante, e un invecchiamento della popolazione. Le previsioni sono di un’economia cinese che dimezza il tasso di crescita, per stabilizzarsi sul 3 per cento annuo all’orizzonte 2030. Ma anche in questo ridimensionamento viene ancora considerata concorrente pericoloso.

Senza immigrati siamo finiti

Nella Ue vivono 37,5 milioni di cittadini stranieri, l’8,4 peer cento della popolazione complessiva, e di questi poco meno di 24 milioni sono extra-Ue. Considerando i naturalizzati, sono europei di recente immigrazione 55,3 milioni di persone.
La presenza di immigrati ha percentuali diversissime fra i vari paesi, secondo l’atlante che Eurostat ha creato - con i dati anche di Norvegia, Svizzera, Liechtenstein e Islanda, che aderiscono a Schengen. Il peso dei nati all’estero sulla popolazione residente è superiore al 30 per cento, secondo questo atlante, in Svezia, Svizzera, Austria e Lussemburgo. In Estonia, Irlanda e Islanda si colloca tra il 20 e il 29,9 per cento. In Germania, Spagna, Norvegia, Belgio tra il 15 e il 19,9 per cento. In Italia, Francia, Grecia, Portogallo, Olanda, Slovenia e Croazia tra il 10 e il 15 per cento. Altrove sotto il 10 per cento.
Dalle analisi Eurostat per classi di età, la risultante è che i non-cittadini, cioè immigrati di prima generazione, che hanno una diversa cittadinanza, sono indirizzati (necessari) a colmare la fascia d’età 18-50 anni, quella che è centrale per il sistema produttivo, e che è attualmente la più scoperta, secondo le proiezioni demografiche.

Candido o dell’Italia

L’adozione della ritenuta d’acconto, “che lo zio Sam ha inventato”, ha prodotto in Italia una serie d’invenzioni per evitarla. Se proprio bisogna pagarla, si fa il meno possibile, riservando al doppio lavoro tempo e attenzione. E così via: l’Italia repubblicana “è riuscita, con caratteristico virtuosismo, a creare una società che combina alcuni aspetti non attraenti del socialismo con praticamente tutti i vizi del capitalismo”. È l’Italia dei tardi anni 1970, del sociologo Luciano Gallino, che “scoprì” il secondo (e terzo) lavoro.
È la recensione del “Candido” di Sciascia in traduzione. Svogliata - sembra che Vidal non abbia nemmeno letto il racconto. Senza interesse per la Sicilia probabilmente, e poca corrività verso il moralismo, o illuminismo, di Sciascia. Una divagazione più che altro sull’Italia – come se lo scrittore approfittasse dell’occasione che la rivista gli offriva con
 l’uscita in traduzione del racconto di Sciascia per fare un racconto della sua Italia, dove risiedeva da quasi sempre ma di cui nessuno gli richiede va il racconto. Gore Vidal, On the Assassin’s Trail, “The New York Review of Books”, 25 ottobre 1978

venerdì 2 agosto 2024

Secondi pensieri - 541

zeulig


Arte
– “Nell’arte non c’è fascismo”, afferma S garbi, “e nel fascismo non c’è arte”. Cosa non vera, nella duplice affermazione. Nell’arte il fascismo, come il sovietismo-comunismo, c’è eccome. E si parli di arte nel senso di arti figurative – come regimi si aprirebbe un abisso.
Novecento e futurismo precedettero Mussolini, ma quante (ottime) cose non hanno realizzato sotto di lui, e su sua commissione. Non solo sulla monumentalità, la figurazione preferita dei regimi monocratici - ma non solo: si veda il film di Winterbottom sulla romanità voluminosa, gigantesca, che invece era dell’architetto rivoluzionario Roullier. Della Germania di Hitler non è rimasto niente. Ma durò poco, sei anni, e il molto di Speer è sotto i bombardamenti.
Si può concordare che il fascismo non è arte – è impositivo. Ma negare il fascismo – non dare “cittadinanza” al fascismo – come ora e sempre si tende a fare, è dannoso, oltre che inutile. Hitler non è morto, e bisogna chiedersi il perché – il perché anteriore non serve, anche perché bisogna vedere da che pulpito.
 
Coerenza - Si vuole, dai pensatori, e da ognuno di noi, di bennati – si voleva, queste cose contavano, ed era sinonimo di rettitudine.
Questo dovere di coerenza che si richiede ai bennati vuole peraltro una spiegazione. L’identità, che è immutabilità, viene anch’essa da sant’Agostino, che la storia rappresenta in marcia verso qualcosa. Contro l’idea della storia come cerchio, ciclo ripetitivo, ma muovendosi sulla traccia dei sofisti. Della scoperta d’una natura umana da opporre alla legge o convenzione. Con l’esito, sofistico alla potenza, del nulla dell’individuo, annullandosi esso nella natura ingovernabile, ancorché umana. A cui è anzi doveroso sfuggire.
Abbiamo tante vite, per cambiamenti considerati di poco conto e innocui, lo studio, la professione, la città, perfino i diversi anni dello studio, o la diversa ubicazione del posto di lavoro nella stessa città, o dell’abitazione. La vita urbana nasconde nell’apparente uniformità diversità profonde. È un viaggio nella preistoria, anche, nella concrezione strato per strato della crosta di ognuno, per quanto sottile.
 
Ex - Un Levasseur de la Sarthe ha fatto scrivere sulla sua tomba, in qualche posto in Francia, “ex convenzionale”. È morto vecchio, ha avuto tempo per ricredersi. Ma è come dire ex boia, una cosa che in parte dipende dalla funzione in parte dall’animo. Si può dire ex anarchico? Si può dire ex oste, o vigile urbano, perché queste sono condizioni accidentali. Ma ex assassino? Forse di uno che lo è stato una volta, accidentalmente. Ma forse siamo tutti ex: ex bambini, amanti, figli, studenti. Si può pensare la vita una serie di cicatrici, tutte in varia misura morbose, buone o cattive, utili o ingombranti - Levasseur era anche Thérése, la donna prolifica di Rousseau. René Levasseur, detto Levasseur de la Sarthe per esserne stato eletto alla Convenzione, fu medico, fece votare l’abolizione della schiavitù, che Napoleone restaurò, votò la morte del re, e volle il tribunale rivoluzionario, al quale, caso unico, riuscì a sfuggire. Esiliato in quanto regicida nel 1816, fece in tempo a scrivere due libri di Mémoires.
 
Occidente – Inventato da Guillaume Postel, a metà 1550 (ma la cosa fu nota un secolo dopo, quando le sue opere vinsero la censura, dello stesso suo ordine, gesuita). Con l’invenzione dell’Oriente.
Studioso dell’ebraismo, Postel codificava una cosa che già c’era. Doppiamente. Perché se c’era, codificabile, un Oriente, c’era un Occidente. E perché per la prima volta, poco prima di lui, l’Occidente si era esercitato “più a Occidente”: nelle Americhe di Diaz del Castillo.
E con la raya ponrìtificia, che tagliava trasversalmente-…. L’Africa, quela arabo-islanica considreando già Oriente, anche se non lo è – non topograficament e, Un Ocidente che si riporrà anche come Nord, in Italia , e in Europa dentro la Ue. rispetto all’asse auropeo.
 
È sempre stato un concetto vagante. La raya, il meridinao con cui i papi dividevano l’Atlantico e le America tra Spagna e Portogallo vagava in continuo. Per cui il Portogallo, che doveva stare al di quale di San Tomé, ha potuto occupare e possedere il Brasile.
È dizione precisa nella Costituzione americana, ed è gli Stati Uniti. Cosa che ora, di fronte alla costante diversità americana, si tende a contestare. Dall’interno, con la critical theory  e la cancel culture. E dall’esterno, da molti europei (non solo russi).
 
Si dice l’equivalente della democrazia. Cosa che più spesso però non è stato – se non in ambiti ristretti, quali la chiesa. Specie nelle rivoluzioni democratiche. E per due secoli buoni è stato il colonialismo, sotto la bandiera della civiltà da esportare.
Più spesso è un brand, di piazzisti americani o europei che si applicano a vendere qualche caccia (aereo) o Volkswagen. Pretendendosi la democrazia.
È vero che la democrazia è stata occidentale. Greca fino a un certo punto (ma già nel suo periodo aureo zoppicante, stando agli studi di Canfora). Romana nei primi tempi storici (documentati), repubblicani, fra i sette re e Cesare-Augusto. Poi della chiesa. Illuminista – ma senza escludere il buon re, soprattutto se pagava, Federico di Prussia, Caterina di Russia. E rivoluzionaria, ma con l’accetta.
Si dice la democrazia regime imperfetto come titolo di merito – vuole e premia l’attenzione continua. E in certa misura lo è – lo è stata nel confronto col sovietismo (la democrazia produceva più merci). È in difficoltà col moderato monolitismo asiatico, coreano (anche giapponese), cinese, indiano.
Si è voluto monopolista, nonché della politica, anche dell’estetica. Della filologia. Della scienza. Ma con sempre minori titoli. Si ritorna a scoprire il resto del mondo, per esempio l’Oriente, come i primi missionari – che tra l’altro erano, anche loro, gesuiti. Di un mondo diverso ma non peggiore. .
 
Riserbo - Si addice alla cultura laica, che non è libera-liberale ma “all’orecchio”, non detta, segreta, da iniziati. È buona ricetta già dal Cinquecento e dagli Illuminati. Nella più cupa gerarchia che si conosca, l’obbedienza perinde ac cadaver.
I laici sono gelosi dei gesuiti, questa è la storia - 
prima non c’erano, prima dei gesuiti. Ai laici sono mancati l’oratorio e i boy scout, e ne ripetono i riti malinconici proiettandoli in un’aura d’eccellenza e novità. È così che Lelio Basso, l’avvocato della liberazione dei popoli, fu legale di Gheddafi, uno che faceva sterminio dei gitanti a Fiumicino.

 
Nel riserbo si produce il più grande golpe della storia, la desacralizzazione del mondo di Guénon e Schmitt. Ma questa non era già opera dei cristiani, contro gli dei onnipresenti?
 
Storia - “La storia occidentale contemporanea è in larga parte opera di esiliati, emigrati, rifugiati”, assicura Edward Said, dalle dittature e da se stessi. Si diventa gelosi di quello che si è, si fa, si pensa, sia pure stupido. È una vita “contrappuntistica”, dice Said. No, è regolata sul canone della fuga: non appena s’individua un assetto se ne genera un altro.
L’illustre esiliato in petto Edward W. Said torna spesso su questo argomento (qui in “The Mind of Winter. Reflections on life in exile”) - l’esiliato politico si fa forte delle radici, del rapporto negato con le proprie origini: “L’interconnessione tra nazionalismo ed esilio è come la dialettica hegeliana di servo e padrone, opposti che informano e si costituiscono l’un l’altro”,
Si può dire la negazione del divino – è per questo che il romanzo di Manzoni appassiona ma non convince? Nelle guerre, nella violenza in genere.
La storia quindi come male? Se perfino la mafia è nella storia divina, non si può pensare le due cose se non distinte e opposte, la storia e al divinità.
 
La storia come vita non è male. “Ogni vita umana racconta la sua storia, e la Storia diventa alla fine il libro dei racconti dell’umanità” – uno Schopenhauer conciso e senza astio.
 

zeulig@antiit.eu

Il senso di sé, un continente da scoprire

A Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto succedono Ansia, Invidia, Imbarazzo e Noia. Riley è cresciuta, ha ora 13 anni, e le emozioni che la agitano sono divese, a partire giustamente dall’ansia. Nel mentre che è al campo estivo, a tentare di entrare nella squadra di hockey del college, le Firehawks.
Le vecchie emozioni hanno creato nella sua mente una nuova sezione, il Senso di sé, e Riley si avvia a un nuovo apprendistato anche emotivo. Anche perché alla viglia del campo hockey risuona l’Alarme Pubertà.
Un’animazione affollatissima di personaggi e di voci, una trentina. Ma riconoscibili, il racconto fila.
Aveva 11 anni Riley nel primo film, una ragazzina del Minnesota, in disagio a San Francisco, dove il padre si era trasferito con la famiglia, che viveva cinque esperienze, o “isole della personalità”: famiglia, onestà, “stupidera” (la tentazione di fare e dire cose buffe), hockey e amicizia. Aveva un amico imaginario, Bing Bong, una madre gentile e affettuosa, che anche lei viveva le emozioni di Riley ma tutte di sesso femminile e a lei stessa irresistibilmente somiglianti, e un padre, che viveva anche lui le emozioni di Riley ma di sesso maschile, e dall’aspetto uguale a se stesso, abbigliamento, barba, baffi.
Non un trattato di psicologia, una favola. Nel sequel si vede meglio che nel primo episodio. Molto ben raccontata: si entra nel mondo bambino con grande interesse.
È anche la riprova di una autorialità molto brutalmente diversa. Il regista è, quando lo è, un montatore, le produzioni sono dello studio, nel caso della Pixar.  
Kelsey Mann,
Inside Out 2

giovedì 1 agosto 2024

Kamala Harris e il mugugno Democratico

Partita sprint sui social, grazie ad accordi dei suoi consulenti con influencer, cantanti, elaboratori grafici, con l’interesse subito declamato che i grandi donatori avrebbero manifestato, e con qualche sondaggio addomesticato, la campagna presidenziale di Kamala Harris è in un percorso difficile all’interno del partito Democratico. Dagli Stati del Sud viene una diffida: l’immagine della vice-presidente non è gradita, né ai bianchi né ai neri - e anche i latinos, finora pro Democratici  sono tiepidi. E molti rank-and-file del partito sono scontenti, criticano che “lei si è presa la nomina”, senza fare campagna, senza passare da primarie, senza confrontarsi con altri candidati.
Questi malumori ritardano la scelta del candidato vice-presidente. Un nome su cui il partito dovrebbe poi fare affidamento.
Harris non ha mai avuto un buon rapporto con il partito. Grazie al quale ha fatto carriera, nel sistema giudiziario, in California. Ma al quale non avrebbe dato contributi politici, di opinione, organizzativi – “ha solo preso” è il mugugno.

Giallo dell’assassino incerto

Holiday non nel senso di vacanza, ma di pausa. Tra un’assoluzione per una ragazza, dopo due anni di carcere, per l’assassinio della madre e dell’amante, e la verità o realtà della stessa ragazza. In simbiosi con la migliore amica, la cui testimonianza l’ha fatta assolvere.
Una storia piena di immagini che catturano, ma che lascia fuori lo spettatore. Dalla soluzione del giallo non solo, chi ha ucciso chi?, ma già a cominciare dalla dizione delle due protagoniste, che aprono il film nella scena-madre, la seriosa-afflitta Margherita Corradi e la spumeggiante Giorgia Frank: nella copia di Sky, a soli otto mesi dalla Festa romana del Cinema, si afferrano a stento un paio di battute.
Un film alla Guadagnino, anche troppo. Immagini belle e dubbi. Sesso insapore, relazioni incerte, un po’ intime un po’ no, una generica gaytudine di fondo, intesa come indifferenza, e ambiguità a piene mani, l’anti-verità – la verità è che non c’è la verità. Lasciando lo spettatore col dubbio, anche, su chi è stato il vero assassino.  
Edoardo Gabbriellini,
Holiday
, Sky Cinema

mercoledì 31 luglio 2024

A Sud del Sud - il, Sud visto da sotto (566)

Giuseppe Leuzzi


Il giudice Luca Tescaroli si è insediato da pochi giorni a capo della Procura di Prato e subito ci scopre la mafia. Quella cinese, delle “triadi”. Impegnata in una “guerra delle grucce”, gli appendiabiti di plastica – di filo di ferro per le lavanderie. La mafia è il dio dei giudici, è in ogni luogo.
 
A Firenze, dove era Procuratore Antimafia, il giudice Tescaroli lascia aperto il caso delle stragi del 1993 – a Firenze in via dei Georgofili. Aspettava sempre testimoni e prove che i mandanti sono stati Berlusconi e Dell’Utri. Questa è un’altra mafia, o è la stessa?
 
Si indaga per mafia anche il giudice Pignatone, quello che la mafia aveva scoperto anche a Roma. Per avere insabbiato trent’anni fa le indagini su “mafia e appalti”, il dossier aperto da De Donno e Falcone, su cui poi continuava a lavorare Borsellino. È incolpato insieme con l’allora sostituto Gioacchino Natoli e col generale della Finanza Screpanti, all’epoca capitano. L’accusa è di favoreggiamento - molto più che il solito concorso esterno che non si nega a nessuno: i tre avrebbero avvisato i mafiosi Buscemi e Bonura di indagini sui loro rapporti con la Ferruzzi di Raul Gardini, disponendo la distruzione di intercettazioni rilevanti, e l’archiviazione di fatti penalmente rilevanti. La mafia dei giudici però non sarebbe una novità.
 
“Sette in italiano, otto in aritmetica e nove in educazione civica: la pagella di Totò Riina alla terza elementare, a 22 anni, nel 1952. Il voto che più colpisce è il 9 in educazione morale e civica. Il maestro usava un tono reverenziale nei confronti di Riina, che già si atteggiava a boss”. A volte, la predestinazione.
 
Il recinto della memoria
Celebra Carlo Michelstaedter, nella sua rubrica sul settimanale femminile del “Corriere della sera”, Vittorio Sgarbi, celebrando anche Antonio Piromalli: “Coltivavo una vera passione per la sua opera”, di Michelstaedter, “grazie agli studi anticipatori di Antonio Piromalli, che per primo ne scrisse e che era di casa a Ferrara per il suo stretto rapporto con mio zio, Bruno Cavallini, alle origini della mia formazione”.
Piromalli, oggi dimenticato, è stato un letterato di variegato indirizzo, e di varie occupazioni (insegnante di liceo, preside, professore universitario) in varie città su e giù per l’Italia, perlopiù a Nord: Torino, Ferrara appunto, Bologna, Urbino. Nato a Maropati, nella piana di Gioia Tauro, al paese restando legato per affetti familiari. Finendo anche per morirvi – non proprio a Maropati, lì accanto, a Polistena: stroncato da infarto mentre si accingeva a presentare un romanzo di Fortunato Seminara, “Il viaggio”, da lui esumato postumo – con Seminara, anche lui di Maropati, è ora vicino di tomba nel cimitero del paese, in un “Recinto della Memoria”.
 
Callido Sud
La giudice catanese Maria Fascetto Civillo, condannata per tentata concussione e imputata di avere usato la qualità di magistrato “al fine di conseguire ingiusti vantaggi”, va al Csm dalla consigliera quasi conterranea e “amica” di partito (democristiani di Fratelli d’Italia), l’avvocata Rosanna Natoli, a chiedere consiglio su come comportarsi. Alla sezione disciplinare dello stesso Csm, di cui Natoli fa parte, che deve valutare gli “ingiusti vantaggi”. Le due usano anche il comune dialetto: quando Fascetto Civillo dice di voler denunciare tutti i suoi “colleghi invidiosi” a Catania, “io sono disposta a tutto, dottoressa”, l’avvocata consigliera Csm ribatte: “Sì, lei lo fa, ma noi ci facemu i pernacchi”, per dire non otteniamo nulla, accuse senza prove.
Martedì 16 luglio, quando la sezione disciplinare del Csm si accinge a ritirarsi in camera di consiglio per decidere sulla revoca cauteare dalle funzioni, Fascetto Sivillo, racconterà qualche giorno dopo  Bianconi sul “Corriere della sera”, “ha detto di dover riferire un fatto «grave» riguardante la consigliera Natoli: ha raccontato l’incontro, e il suo avvocato Carlo Taormina ha consegnato audio e trascrizione del dialogo”. Sconcerto. Al Csm, ma non a Catania.
Non in Sicilia. Neppure nella stessa Natoli, che si è limitata a lasciare la sezione disciplinare del Csm: il saltafosso, il trainello, il trabocchetto del dialettismo di Camilleri (o dialettalismo, il dialetto è altra cosa, di cui ora i “Quaderni camilleriani”, già al 22mo numero, avviano uno studio  “parola per parola”, alla ricerca del meccanismo della”consapevole creazione del vigatese”), è parte del bagaglio culturale, si direbbe morale, “superiore” dell’isola. Si dice – anche Sciascia – che sia l’amicizia a “perdere” l’isola, e invece no, è piuttosto il contrario, l’inimicizia, il sentirsi ostili a tutti, anche agli amici, specie agli amici. Da qui la furbizia, che sempre fa aggio – sulla dirittura, e perfino sull’interesse proprio. L’intelligenza in forma distruttiva. Non difensiva, aggressiva.
Papà, che in gioventù trovava i modi più disparati per spendere i soldi di suo padre, di cui si riteneva creditore perché lo aveva portato con sé in campagna dopo la sesta, quindi ai dodici anni, “ogni mattina alle cinque”, invece di lasciarlo agli studi e ai baciamano come suo fratello e le sorelle, volentieri anticipava dei soldi a chi glieli chiedeva per un bisogno urgente. O per comprarsi il biglietto per l’Australia o il Canada. O anticipare 400 lire, in società con l’apicultore, per comprare le arnie verticali invece di quelle orizzontali. O garantire il carrettiere che vuole passare, giustamente, al camioncino, e pagare qualche rata. Finché, presto, non sentì dicerie malevole sul suo conto, come prestare a strozzo. Allora adottò la frase: “Volentieri, come no, solo che adesso mi trovi in un momento di difficoltà”. Solo uno degli emigrati usava scrivere ogni anno per Nataale per ringraziare – la le ultime letere erano timbrate da un carcere.
L’esigenza di spendere riprese papà negli anni 1950, quando per una quindicina d’anni finanziò la banda cittadina, pagando un ottimo concertista, il maestro Perri, che la portò al livello di Fasano, allora la banda più quotata, e perfino a esibirsi un paio di volte con i Metropolitani di Roma, l‘eccellenza degli ottoni. Per non vedersi – ma ormai era morto – nemmeno nominato, nemmeno per caso, nella storia che è stata fatta del complesso bandistico “A. Rendano”.
Calabria non è Sicilia. Ma sì per il linguaggio, per la comune matrice, latina, del dialetto. In latino proprio la settimana del “trainello” al Csm il linguista Antonelli argomentava su “7”, a proposito del termine “callido”, ritenuto di uso letterario, che nell’archivio del “Corriere della sera” ne ha trovato invece, quando l’italiano era ancora impastoiato, poche ricorrenze, “ma concentrate più nelle pagine di cronaca giudiziaria che in quelle d’argomento letterario”. In latino, dove origina, callido ricorre come avveduto, accorto, ma anche astuto, “abile a fare i propri interessi, anche a discapito di quelli degli altri”.
È il segno - la “colpa” - di una società disgregata. Postborghese senza mai essere stata borghese. Autodistruttiva. Per invidia sociale. Sotto apparenze di legalità, progresso, intelligenza, cultura. Si confronti, per esempio, il democristianesimo locale, che si ritrova nel Pd come con Meloni, e già con Berlusconi, di parrocchia, così pieno di buone parole e così individuale, familiare, distruttivo, col parrocchialismo fattivo della Lombardia, del Veneto, del lavorerio. In Sicilia e anche in Calabria. Le regioni dove l’unica borghesia che si è formata nella Repubblica è quella mafiosa, che sempre si rigenera, della violenza. Della violenza illegale, a differenza della violenza dell’invidia, ma non, evidentemente, altrettato distruttiva.
La vera ragione del ritardo del Sud è stata, per un secolo e mezzo ormai, l’incapacità-impossibilità di organizzarsi, di avere una borghesia, un ceto sociale che costruisce piuttosto che distruggere il bene altrui. Di un senso di classe – si sarebbe detto qualche anno fa. Ma alla sommatoria costruttivo, produttivo di un valore aggiunto. Invece che distruttivo.
 
Cronache della differenza: Napoli
La capitana di una nave crociera saluta i suoi passeggeri allo sbarco a Napoli augurando “una buona pizza!”, e raccomandando “niente gioielli, troppi borseggiatori”. Sdegno della città. Perché, i borseggiatori non ci sono?
 
L’elogio di Montella allenatore della Turchia agli Europei Leo Turrini chiude ricordandolo come “un tipo che viene da Pomigliano d’Arco, patria della gloriosa Alfasud”. Il disegno fallito dell’allora ministro delle Partecipazioni Statali De Michelis, perché faceva ombra agli Agnelli – che cosa non si è fatto per “salvare” gli Agnelli (Pomigliano poi Marchionne l’ha salvata malgrado la Fiat e resta ottimo sito produttivo).
Pensare la Nissan al Sud, che poi ha fatto grande la Renault. Le case d’auto giapponesi rinvigorivano in quegli anni gli Stati americani del Sud, poveri e trascurati.
 
Riccardo Muti evoca la nascita e gli studi a Napoli, con casa a Chiaia, via Cavallerizza 14, e ricorda che quando ci è tornato qualche anno per curiosità, il portiere lo ha salutato così: “Vi tengo innanzi agli occhi ogni giorno”. Bello. Fiorito? Immaginifico? Sentimentale? Opportunista? Di tutto un o’.
 
Il nuovo allenatore del Napoli Antonio Conte si presenta ai tifosi parlando per due ore. Mah, non lo faceva nemmeno De Gaulle.  Castro però sì. Napoli avrà un’anima cubana?
 
Conte, licenziato da un paio di squadre in Inghilterra, viene assunto in pompa a Napoli. Per la presentazione si sceglie il Palazzo Reale. E 400 giornalisti si accreditano, si dice da tutto il mondo ma perlopiù locali, per ascoltarlo - “il massimo che consente l’affascinante location”. Sarà l’esagerazione pubblicitaria? O non sarà il massimo della stupidità?
 
“Due uomini entrano armati e col viso coperto in spiaggia a Torre Annunziata. Tempo di fare un giro fra i bagnanti del Lido Azzurro, probabilmente alla ricerca di qualcuno, per poi uscire. Ma non prima di aver sparato due colpi, con i fucili a pompa che imbracciavano”.
La mafia si sa che è spietata. A Napoli è teatrale.
 
All’Europeo di calcio Calzona ha tenuto sotto scacco l’Inghilterra di Bellingham, Kane, Fode per 95 minuti. Umiliato a Napoli, nello squadrone milionario, un allenatore tappabuchi, si è rifatto bello con la Slovacchia, ranking Uefa 45 – Inghilterra 3.
 
Per un calabrese a Napoli quello di Calzona era un esito scontato. In tanti secoli, millenni, di Regno, quanti calabresi ha illustrato Napoli? Campanella lo tenne prigioniero per 27 anni (Yourcenar se ne stupiva, più che scandalizzarsi), san Francesco di Paola preferì salvarsi in Francia, Telesio saltò sempre Napoli, stava meglio Roma e a Venezia (fu solo ospite del duca Alfonso Carafa, ma a Nocera). E così via, fino al rigetto del Procuratore Capo Cordova – e anche l’attuale, Gratteri, comincia a dire “quanto mi manca la Calabria”.

leuzzi@antiit.eu

Calvino comunista liberale

Un primo tentativo (nell’ambito di un progetto più “completo”) di delineare una filosofia dello scrittore. Che dalla filosofia però rifuggiva – aveva molte curiosità filosofiche ma non sistemiche, non basiche (l’esistenza, i fini ultimi, eccetera). E per quel poco che era o si sentiva ancorato a delle idee, era ancora quello dell’illuminismo – post-adolescenziale. Fra i suoi tantissimi critici attenti, prediligeva Sciascia in quanto compagno su questo terreno. La prefazione alla riedizione 1960 in volume unico delle tre storie degli Antenati ha una mezza pagina che si può dire marxista, ma è un unicum, ed è anche liberal-conservatrice.

Nel 1978, quando debutta su “la Repubblica”, sotto l’interrogativo “Sono stato stalinista anch’io?, dice che “lo stalinismo si presentava come il punto d’arrivo del progetto illuminista di sottomettere l’intero meccanismo della società al dominio dell’intelletto” – per concludere: “Era invece la sconfitta più assoluta (e forse ineluttabile) di questo progetto”. Ma la sua prima reazione alla delusione è stata giocosa, il barone Cosimo Piovasco di Rondò che si ribella al padre e sale su un albero.
Fineschi, un cultore della materia, battitore libero, è peraltro soprattutto impegnato ad analizzare il rapporto tra intellettuali e partito Comunista negli anni 1960. Dopo cioè l’onda d’urto dell’occupazione militare sovietica dell’Ungheria e della scoperta, nella stessa Mosca, dello stalinismo. Come se il Pci fosse marxista, prima e dopo del 1956 – o se lo stalinismo fosse fino ad allora incognito
Il tentativo di delineare una “filosofia” di Calvino è però non solo curioso, ma anche per più aspetti (contro probabilmente le intenzioni del ricercatore) illuminante. Calvino era un liberale. Aveva aderito al partito Comunista nel momento in cui nel 1943 era andato in montagna. E subito poi nella collaborazione all’“Unità”, estensione naturale dell’impegno libellista in guerra. Ma non partecipava alla cellula Einaudi, non firmava manifesti, non scendeva in piazza. Ha scritto molto ma senza mai nominare Marx. E al mondo pensava come pensa un liberale: una palestra aperta a tutti.
Fineschi non lo dice ma questa conclusione è nelle cose che individua e analizza. Da membro esimio del panel di cultori della materia che continuano a curare la pubblicazione in italiano delle opere di Marx e Engels, potrebbe avere pure lui individuato in Marx l’anima del liberale – fatta salva naturalmente l’ultima esperienza, di capopartito. Non per nulla Einaudi rifà Marx nei Millenni facendolo presentare

e da un liberale. Lo è nello stile della scrittura, nelle “cose” che analizza, e nel metodo. Alla dittatura del proletariato non ci credeva – il “Manifesto” non è quello.
Grande borghese, non inconsapevole: snobbò Eugène Sue, “piccolo borghese sentimentale, socialista della fantasia”, candidato dai socialisti “per far piacere alle grisettes”, perché era liberale. Chiudendo il “Manifesto”, alla vigilia del ‘48, offre un’alleanza ai borghesi, l’alleanza dei produttori, roba da Saint-Simon. La “Neue Rheinische Zeitung” non spiacque ai borghesi renani, il suo giornale, nell’intento che ritenevano condiviso di sottrarsi al Congresso di Vienna di Metternich, che li aveva annessi alla Prussia. Non si può legarlo al sovietismo – nemmeno nella fase leninista. O fargli colpa di Stalin, che non lo realizzò ma l’affossò: la rivoluzione che doveva eliminare lo Stato ribaltò nello Stato totalitario, per primi liquidando i comunisti.
Roberto Fineschi, Italo Calvino e la crisi del marxismo italiano negli anni Sessanta, Sinistra in rete, free online

martedì 30 luglio 2024

Problemi di base mafiosi bis (818)

spock


Più polizie, più mafie?
 
Più Procure, più mafie?
 
E Campobasso, perché non lavora?
 
O Perugia?
 
E L’Aquila, sempre terremotata, anche alla Procura antimafia?
 
È per questo che si  dice che la mafia crea lavoro?

spock@antiit.eu

Lo Stato, il terrore, gli ostaggi

Scorrendo la corrispondenza fra Calvino e Sciascia, di un’intesa politica, letteraria e caratteriale eccezionale, una frattura imprevedibile insorge dopo il sequestro Moro, nella polemica che divise la politica e gli intellettuali sullo Stato e il terrorismo, sull’obbligo o l’opportunità di trattare o non trattare per il rilascio dell’ostaggio – come l’ostaggio chiedeva. Calvino risolutamente per il no – per una volta dopo vent’anni di lontananza e polemiche, con il Pci, con Berlinguer. Sciascia risolutamente per il sì – tanto più che non si sentiva rappresentato da “questo Stato”, come aveva avuto a dire già prima del rapimento Moro.
Lo stesso dilemma che ha visto Netanyahu opporsi all’opinione nel suo stesso Paese e anche in quella internazionale. Era il dilemma che hanno vissuto le famiglie in Sardegna e in Calabria nella stagione dei rapimenti di persona.
Una teoria giuridica non è mai stata elaborata. Una teoria giuridica della violenza contro lo Stato – in fondo si è rimasti a Machiavelli, tra “virtù” (forza) e “fortuna”.

Saba è Debenedetti – l’autore è il suo critico

A cura di Stefano Carrai, i saggi e gli interventi di Giacomo Debenedetti, una decina, in mezzo secolo, che hanno rivelato e poi dato spessore alla poesia di Saba. Un rapporto si può dire simbiotico – anche personale (Saba era di casa a Roma, nella famiglia Debenedetti). Un tema già discusso, che ora si è abbandonato – insieme con la scomparsa del critico militante, quello che opera(va) in contemporanea con l’autore. Nella stessa scena, mettendone in chiaro i punti di interesase e di forza. Ma anche la riprova che l’autore, specie il poeta, è il “suo” critico: colui che ne “legge” la vis e la condivide.
I lettori di Debenedetti, e anche di Saba, ne sono a conoscenza. Ma cinquant’anni di attenzione messi assieme fanno un’altra storia, la storia di Saba.
Giacomo Debenedetti, Saba. Scritti e saggi (1923-1974), Carocci, pp. 208 € 22.
 

lunedì 29 luglio 2024

Problemi di base mafiosi - 817

spock


Più droga, più mafia?
 
Più appalti, più mafie?
 
Più immigrati, più mafie?
 
Ma quanti sono, questi siciliani e calabresi?
 
Più giornalisti, più mafie?
 
No, questo no?

spock@antiit.eu

Caro Sciascia, caro Calvino, ma con Einaudi è dura

La corrispondenza fra i due scrittori, dal 1953 al 1985, intensa fino al 1967, poi più rada, specie dopo la diversa posizione assunta nel 1977 sui processì ai terroristi, con Calvino schierato “per lo Stato”, mentre Sciascia giustifica chi si rifiuta di prestarsi come giurato popolare. Una lettura che sa d’antan, anche se di qualche decennio fa, di una maniera di pensarsi e relazionarsi subito remota - forse perché non ci sono più epistolari.
Calvino e Sciascia si apprezzavano, senza riserve e anzi cn entusiasmo. E questo è il punto forte della accolta, questo giusto equilibrio fra stima e amicizia. Sciascia in particolare, ha avuto in Calvino un primo lettore eccezionale: sempre disponibile, e attento, acuto, concludente (il contrasto con Vittorini nei primi approcci di Sciascia in Einaudi è abissale). Non una delle narrative. anche brevi, di Sciascia dopo il felice debutto semisaggistico con Laterza che non trovi Calvino interessato. e compartecipe.
La lettura sa però oggi di una curiosa amalgama: sa di notabilato- Di due scrittori chiusi sulle reciproche opere e i reciproci  interessi e non aperti sul mondo, anche solo italiano. Il notabilato, naturalmente in Sicilia, era un “racconto sociale” su cui Sciascia ha lavorato per qualche tempo, dopo “Le parrocchie di Regalpetra”, d’accordo con l’editore delle “Parrocchie”, Laterza.
Laterza è anche l’editore che a un certo punto punto Sciascia dichiara il migliore: “Il mio editore ideale è Vito Laterza: non solo perché paga i diritti con puntualità e scrupolo (cosa di cui non m’importa poi molto), ma perché diffonde il libro come meglio non si potrebbe”. Dopo la premessa: “Con tutta franchezza”. 
Un secondo punto di interesse della corrispondenza è proprio  questo: le difficoltà che Sciascia ebbe a essere pubblicato da Einaudi, per non dire valorizzato, malgrado la stima di Calvino. Sul piano editoriale la corrispondenza è di rinvii, ritardi, cattiva distribuzione, benché Sciascia fosse già un autore con molti lettori. Quanti titoli che non hanno lasciato traccia gli sono passati avanti nei “Gettoni”, per il debutto con i racconti “Gli zii di Sicilia” (li hanno letti e apprezzati prima, dattiloscritti, gli svizzeri di Libera Stampa, del premio omonimo).   
Con la prefazione di Mario Barenghi, una nota ai testi di Barenghi e Squillacioti, e alcuni testi (“scritti reciproci”) citati nella corrispondenza.
Italo Calvino-Leonardo Sciascia, L’illuminismo mio e tuo, Oscar, pp. pp. 272 €14

domenica 28 luglio 2024

Ombre - 730

Meloni in Cina? Una fotina. Solo “Il Sole 24 Ore” ci fa mezza pagina, Meloni portandosi dietro molti imprenditori, ma alla p. 8 – senza una riga di richiamo in prima. Odio politico? Anche dei giornali di destra? No, incapacità. Quando ci va Macron, paginate: basta tradurre (il giornalista italiano, se sa qualcosa, sa un po’ di francese). Non c’è altro criterio per sapere se una cosa è importante o no: copiare.
 
Il banchiere svizzero Foglia spiega a Bricco sul “Sole 24 Ore” la crisi bancaria. Trent’anni fa “i banchieri centrali riuniti a Basilea scelsero di fissare i requisiti patrimoniali al livello bassissimo delle banche del Giappone, allora chiamate Zombie Banks… Per non tenere fuori gli istituti giapponesi si sono stabiliti livelli di capitale infimi”. Si crearono cioè “le condizioni perché tutte le banche aumentassero esageratamente la leva finanziaria e diventassero zombie a loro volta”. Semplice. Una catastrofe che abbiamo pagato così cara, specie in Europa, specie in Italia (col tragico bail-in – le regole, l’Europa, i sordidi capitalisti….). Sarà una storia, se se ne faranno ancora, da ridere
 
Stellantis sprofonda in Borsa, il 9 per cento in poche ore – il 13 per cento in due sedute – e “la Repubblica” ha una pagina Stellantis, sì, ma sulla vendita di Comau a “un fondo americano” – nemmeno nominato, tanto si sa che i fondi comprano per guadagnarci subito dopo rivendendo a pezzi.
 
Su “la Repubblica”, “Il senso della storia”, Augias: “Il progetto iniziale di Scalfari era quello di incrinare la supremazia Dc avvicinando il Pci al governo e favorendo una maggioranza di tipo nuovo”. No, il progetto di Scalfari era di anestetizzare il Pci, con Andreotti e il banchiere Geronzi dapprima, poi con De Mita e il banchiere Ventriglia - sotto la guida di Carli, di cui era il ventriloquo.
Scalfari non ha voluto scrivere le memorie, ma se ne sarebbe vantato.
 
Lamenta l’architetto Yoram Ortona, un italiano di Libia, che a Milano, dopo le depredazione del governo libico dei beni suoi e di famiglia, la domanda di lavoro in un’azienda chiedeva la confessione religiosa di riferimento: “Fui convocato e mi venne comunicato che il posto non poteva essermi assegnato” perché “i paesi arabi con cui l’impresa lavorava non volevano tecnici di religione ebraica”.
L’Arabia Saudita ancora nel 1973, ma prima dello shock petrolifero, richiedeva per il visto un certificato di battesimo.
 
Farmoplant (ex Montedison, ora Edison) condannata , dovrà bonificare i terreni infettati col Rogor, l’antiparassitario velenoso, diffuso in nube tossica il 17 luglio 1988 con due esplosioni, sulla costa Apuana e parte della Versilia. Condannata dopo 36 anni. Il fascismo è durato vent’anni, solo.
 
Ha fatto tutto bene, per fare pipì ha avvisato il bagnino del bagno limitrofo. Ma al ritorno dal cesso “ha sistemato alcuni lettini e ombrelloni, cosa non consentita durante gli orari della sorveglianza”. Multato di 1.032 euro. È successo a Marina di Pietrasanta. La Capitaneria di porto di Viareggio che lo ha sgamato se ne vanta: è il terzo in due settimane. Perbacco. Poi si dice che le Capitaneria di porto sono luoghi di vacanza.
 
Si congratula Invalsi: “Ora i conti tornano e anche il Sud è in ripresa”, cioè impara la matematica. Concedendo: “L’aritmetica ha bisogno di esercizio e ripetizione”. Per questo hanno istruito tanti ragazzi, soprattutto ragazze, che non sanno fare addizioni e sottrazioni, essendo stata abolita la tabellina pitagorica. E per dare il resto del giornale, o del caffè, debbono usare la calcolatrice – per fortuna quella dei cellulari è veloce. Il progresso è dell’ignoranza?
 
Malagò malinconico sull’Olimpiade parigina: “E pensare che avremmo potuto farla a Roma”. Non finisce il conto a perdere dei 5 Stelle. Non è ancora chiuso il conto delle ciclabili, appalti di partito, inutili (a Roma non servono a nessuno) e cari. Oltre ai Superbonus e al regalo di cittadinanza. Utopia?  O stupidità? Della nazione, mica di Grillo – Grillo è furbo.
 
Per una settimana Firenze blocca in vari modi l’Alta Velocità, per ore. La prima alta velocità Fanfani la volle in Toscana, cinquant’anni fa, tra Arezzo a Roma. L’attraversamento di Firenze è questione aperta da quarant’anni e ancora niente – hanno fatto prima ad attraversare l’Appennino,  ad alta profondità, per 73 km. 
 
La Ue condanna Roma: bavaglio alla stampa, delitti impuniti, premierato incostituzionale, abolizione abuso d’ufficio illegale…. Scandalo, ìndignazione. In una metà dei giornali. Silenzio nell’altra metà della stampa. L’Italia è divisa? Fra i giornali sì.
 
La verità del rapporto Ue è che il rapporto non c’è. Ovvero c’è, ma non critica la derubricazione dell’abuso d’ufficio. Critica la lunghezza del processo – in effetti interminabile. Quello civile con effetti deleteri sugli affari – premia l’illecito. L’Italia non è paese di investimenti essenzialmente per questo, per la “giustizia”.
 
Perché si possono raccontare fandonie? “La Ue bacchetta Roma. Dubbi su premierato e libertà di stampa. «Manca indipendenza»”. Se non è vero (non è scritto) - e non può essere. E la presidenza francese, allora, cos’è, una dittatura? È censurata la stampa italiana? Certo giornalismo sembra assurdo, e lo è – o vuole fare un favore a Meloni?

Parigi vale una messa, ma solo in Italia

Grigiore e cattivo gusto, per ore davanti ai teleschermi- comprese le decapitazioni, islamiche? Che i giornali il giorno dopo magnificano. Hanno visto un altro spettacolo? No, è Parigi.
Parigi non è più niente. Né arte, né letteratura, né filosofia, né ville lumière, anzi sporca per lo più di turisti ignoranti, e corrucciata. Ma per l’Italia è - sembra essere – tutto.

La cosa, ancorché greve e noiosa, è piaciuta moltissimo ai francesi. A nove su dieci. “Di destra o di sinistra” indifferentemente, lo sciovinismo unisce i francesi. Ma in Italia?  

La Francia è tutto ancora per l’Italia – non per la Germania, non per gli inglesi, o gli americani. Dalle guerre d’indipendenza tradite. Rivoluzionaria, liberatrice, anche quando, da Carlo VIII a Napoleone e al generale poi maresciallo De Lattre de Tassigny, in Italia ha sempre dato libertà di saccheggio e stupro ai suoi soldati – di rubare, violentare, uccidere, distruggere.  
Per l’Italia dei giornali. Per una incultura che ha di sorprendente. La storia non si studia più, ma, insomma, la memoria ancora resiste. Nelle zone “liberate” dal generale-maresciallo per esempio, dalla Ciociaria all’Elba e alle Apuane, per i saccheggi di prammatica e gli stupri nel 1944 e ancora nel 1945. Nel cattivo esempio costituzionale e politico della Quarta Repubblica. Nel terrorismo rosso. Nella crisi del debito con Sarkozy. Nella creazione in Libia – paese limitrofo dell’Italia - del mercato degli schiavi africani, con una guerra anti-italiana. Negli schiaffi di Macron su ogni carico di africani che sbarchino in Francia.
C’è un motivo per tanta  fratellanza-sudditanza?

Cronache dell’altro mondo – americane (286)

James Baldwin “dal 1948 si trova in Francia e a Parigi, ha 24 anni, vuole incontrare gli scrittori africani…..Tuttavia, a Parigi, si rende conto del suo essere americano. Riflette sul destino di essere americano, come disse Henry James. Un destino inesorabile.
“Incontra gli scrittori africani e capisce di appartenere a un altro mondo. La sua americanità s’imponeva ogni volta che provava ad accostare la sua esperienza a quella africana.…
“Baldwin sapeva di di non appartenere all’Africa, non voleva che qualcuno parlasse di lui in quanto discendente dell’Africa. Quell’idea lo disturbava. In America, per Baldwin, nessuno era un privilegiato, nemmeno i bianchi, che si trasferirono nel Nuovo Mondo perché in Europa non c’era nulla per loro.
“In America sono stati tutti poveri, all’inizio.
“Un giorno Bob Kennedy disse a Baldwin: tra 40 anni potrebbe esserci un presidente nero. Glielo disse nel 1963. Jimmy pensa: siamo qui da circa 300 anni mentre tu, discendente di irlandesi, in questo Paese da un secolo, mi dici che, se mi comporterò bene, a un certo punto uno di noi potrà diventare presidente”.
(Colm Toibìn, “La Lettura”)

Essere o non essere – ma le nonne no

Il racconto del titolo da solo meriterebbe la lettura. Due amiche s’innamorano del figlio adolescente, l’una  dell’altra. Senza gelosie. Anzi, con una certa costanza, fino a che, di comune accordo, non decidono che i ragazzi si debbano fare una loro vita. Cioè rendersi indipendenti, sposarsi, avere figli. Ma con un ma: senza interrompoere la relazione. Un po’ tenero, un po’ erotico, e anche gaglioffo, un po’ satirico, di una certa invadenza femminile.
Della Nobel dimenticata, dalla critica, dagli editori, dalle donne – e dai lettori? Inglese, ma del genere apolide: nata a Kermanshah, Iran, da un padre mutilato di guerra impiegato di banca, cresciuta in Rhodesia, ora Zimbabwe, e solo a trent’anni stabilita in Inghilterra –wilipedia la definisce “scrittrice zimbabwese di origine britannica”. Predendo il nome dal secondo marito “zimbabweano”, l’immigrato tedesco Gottfried Lessing, nel momento di divorziare anche lui.
Il terzo racconto è del soldato che, sbarcato per una licenza in Sud Africa durante la guerra, si convince di avervi concepito un figlio, che lo ossssionerà tutta la vita. Un po’ filosofico, cos’è la realtà, e come ce la facciamo? Ma non troppo.
Il secondo racconto, “Victoria e gli Staveney”, è su come funziona\non funziona la mésalliance: Viktoria, di colore, orfana, povera, innamora un giovane bianco, ricco, progressista, e insieme fanno una bambina, che diventa la beniamina dei genitori di lui – come dire che, per il bene della bambina, Viktoria dovrà perderla.
Doris Lessing, Le nonne, Feltrinelli, pp. 250 € 7,50