sabato 3 agosto 2024
Dazi, contingenti e aiuti di Stato – la deglobalizzazione Usa
La deglobalizzazione è iniziata prima di Trump, nella seconda presidenza Obama, 2012-2016, con limiti e vincoli agli scambi commerciali. È quindi considerata una tendeza di lungo periodo, del cosiddetto deep State, dell’interesse nazionale americano. Quando si è aperta l’ipotesi che la Cina diventasse la maggiore economia del mondo, e anche autonoma, con autonoma capacità di sviluppo, cioè, nella tecnologia. Trump l’ha cavalcata. La presidenza Biden l’ha radicalizzata, con enormi aiuti di Stato.
Senza immigrati siamo finiti
Nella
Ue vivono 37,5 milioni di cittadini stranieri, l’8,4 peer cento della
popolazione complessiva, e di questi poco meno di 24 milioni sono extra-Ue.
Considerando i naturalizzati, sono europei di recente immigrazione 55,3 milioni
di persone.
La
presenza di immigrati ha percentuali diversissime fra i vari paesi, secondo l’atlante
che Eurostat ha creato - con i dati anche di Norvegia, Svizzera, Liechtenstein
e Islanda, che aderiscono a Schengen. Il peso dei nati all’estero sulla
popolazione residente è superiore al 30 per cento, secondo questo atlante, in
Svezia, Svizzera, Austria e Lussemburgo. In Estonia, Irlanda e Islanda si colloca
tra il 20 e il 29,9 per cento. In Germania, Spagna, Norvegia, Belgio tra il 15
e il 19,9 per cento. In Italia, Francia, Grecia, Portogallo, Olanda, Slovenia e
Croazia tra il 10 e il 15 per cento. Altrove sotto il 10 per cento.
Dalle
analisi Eurostat per classi di età, la risultante è che i non-cittadini, cioè
immigrati di prima generazione, che hanno una diversa cittadinanza, sono
indirizzati (necessari) a colmare la fascia d’età 18-50 anni, quella che è centrale
per il sistema produttivo, e che è attualmente la più scoperta, secondo le proiezioni
demografiche.
Candido o dell’Italia
L’adozione della ritenuta d’acconto, “che lo zio Sam ha inventato”, ha prodotto
in Italia una serie d’invenzioni per evitarla. Se proprio bisogna pagarla, si
fa il meno possibile, riservando al doppio lavoro tempo e attenzione. E così
via: l’Italia repubblicana “è riuscita, con caratteristico virtuosismo, a
creare una società che combina alcuni aspetti non attraenti del socialismo con
praticamente tutti i vizi del capitalismo”. È l’Italia dei tardi anni 1970, del
sociologo Luciano Gallino, che “scoprì” il secondo (e terzo) lavoro.
È la recensione del “Candido” di Sciascia in traduzione. Svogliata - sembra che Vidal non abbia nemmeno letto il racconto. Senza interesse per la Sicilia probabilmente, e poca corrività verso il
moralismo, o illuminismo, di Sciascia. Una divagazione più che altro sull’Italia
– come se lo scrittore approfittasse dell’occasione che la rivista gli offriva con l’uscita in traduzione del racconto di Sciascia per fare un racconto della sua
Italia, dove risiedeva da quasi sempre ma di cui nessuno gli richiede va il
racconto. Gore Vidal, On the Assassin’s
Trail, “The New York Review of Books”, 25 ottobre 1978
venerdì 2 agosto 2024
Secondi pensieri - 541
zeulig
Arte – “Nell’arte non c’è fascismo”, afferma S garbi, “e
nel fascismo non c’è arte”. Cosa non vera, nella duplice affermazione. Nell’arte
il fascismo, come il sovietismo-comunismo, c’è eccome. E si parli di arte nel senso
di arti figurative – come regimi si aprirebbe un abisso.
Novecento e futurismo precedettero Mussolini, ma
quante (ottime) cose non hanno realizzato sotto di lui, e su sua commissione.
Non solo sulla monumentalità, la figurazione preferita dei regimi monocratici -
ma non solo: si veda il film di Winterbottom sulla romanità voluminosa, gigantesca,
che invece era dell’architetto rivoluzionario Roullier. Della Germania di
Hitler non è rimasto niente. Ma durò poco, sei anni, e il molto di Speer è
sotto i bombardamenti.
Si può concordare che il fascismo non è arte – è
impositivo. Ma negare il fascismo – non dare “cittadinanza” al fascismo – come
ora e sempre si tende a fare, è dannoso, oltre che inutile. Hitler non è morto,
e bisogna chiedersi il perché – il perché anteriore non serve, anche perché
bisogna vedere da che pulpito.
Coerenza
- Si vuole, dai pensatori, e da ognuno di noi, di
bennati – si voleva, queste cose contavano, ed era sinonimo di rettitudine.
Questo dovere di coerenza
che si richiede ai bennati vuole peraltro una spiegazione. L’identità, che è
immutabilità, viene anch’essa da sant’Agostino, che la storia rappresenta in
marcia verso qualcosa. Contro l’idea della storia come cerchio, ciclo
ripetitivo, ma muovendosi sulla traccia dei sofisti. Della scoperta d’una
natura umana da opporre alla legge o convenzione. Con l’esito, sofistico alla
potenza, del nulla dell’individuo, annullandosi esso nella natura ingovernabile,
ancorché umana. A cui è anzi doveroso sfuggire.
Abbiamo tante vite, per cambiamenti
considerati di poco conto e innocui, lo studio, la professione, la città,
perfino i diversi anni dello studio, o la diversa ubicazione del posto di
lavoro nella stessa città, o dell’abitazione. La vita urbana nasconde
nell’apparente uniformità diversità profonde. È un viaggio nella preistoria,
anche, nella concrezione strato per strato della crosta di ognuno, per quanto
sottile.
Ex
- Un
Levasseur de la Sarthe ha fatto scrivere sulla sua tomba, in qualche posto in
Francia, “ex convenzionale”. È morto vecchio, ha avuto tempo per ricredersi. Ma
è come dire ex boia, una cosa che in parte dipende dalla funzione in parte
dall’animo. Si può dire ex anarchico? Si può dire ex oste, o vigile urbano,
perché queste sono condizioni accidentali. Ma ex assassino? Forse di uno che lo
è stato una volta, accidentalmente. Ma forse siamo tutti ex: ex bambini,
amanti, figli, studenti. Si può pensare la vita una serie di cicatrici, tutte
in varia misura morbose, buone o cattive, utili o ingombranti - Levasseur era
anche Thérése, la donna prolifica di Rousseau. René Levasseur, detto Levasseur
de la Sarthe per esserne stato eletto alla Convenzione, fu medico, fece votare
l’abolizione della schiavitù, che Napoleone restaurò, votò la morte del re, e
volle il tribunale rivoluzionario, al quale, caso unico, riuscì a sfuggire.
Esiliato in quanto regicida nel 1816, fece in tempo a scrivere due libri di Mémoires.
Occidente – Inventato da Guillaume Postel, a metà 1550 (ma
la cosa fu nota un secolo dopo, quando le sue opere vinsero la censura, dello
stesso suo ordine, gesuita). Con l’invenzione dell’Oriente.
Studioso dell’ebraismo, Postel codificava una
cosa che già c’era. Doppiamente. Perché se c’era, codificabile, un Oriente, c’era
un Occidente. E perché per la prima volta, poco prima di lui, l’Occidente si
era esercitato “più a Occidente”: nelle Americhe di Diaz del Castillo.
E con la raya ponrìtificia, che tagliava
trasversalmente-…. L’Africa, quela arabo-islanica considreando già Oriente,
anche se non lo è – non topograficament e, Un Ocidente che si riporrà anche
come Nord, in Italia , e in Europa dentro la Ue. rispetto all’asse auropeo.
È sempre stato un concetto vagante. La raya,
il meridinao con cui i papi dividevano l’Atlantico e le America tra Spagna e
Portogallo vagava in continuo. Per cui il Portogallo, che doveva stare al di
quale di San Tomé, ha potuto occupare e possedere il Brasile.
È dizione precisa nella Costituzione americana,
ed è gli Stati Uniti. Cosa che ora, di fronte alla costante diversità americana,
si tende a contestare. Dall’interno, con la critical theory e la cancel culture. E dall’esterno, da
molti europei (non solo russi).
Si dice l’equivalente della democrazia. Cosa che
più spesso però non è stato – se non in ambiti ristretti, quali la chiesa. Specie
nelle rivoluzioni democratiche. E per due secoli buoni è stato il colonialismo,
sotto la bandiera della civiltà da esportare.
Più spesso è un brand, di piazzisti americani
o europei che si applicano a vendere qualche caccia (aereo) o Volkswagen.
Pretendendosi la democrazia.
È vero che la democrazia è stata occidentale.
Greca fino a un certo punto (ma già nel suo periodo aureo zoppicante, stando
agli studi di Canfora). Romana nei primi tempi storici (documentati),
repubblicani, fra i sette re e Cesare-Augusto. Poi della chiesa. Illuminista –
ma senza escludere il buon re, soprattutto se pagava, Federico di Prussia,
Caterina di Russia. E rivoluzionaria, ma con l’accetta.
Si dice la democrazia regime imperfetto come
titolo di merito – vuole e premia l’attenzione continua. E in certa misura lo è
– lo è stata nel confronto col sovietismo (la democrazia produceva più merci).
È in difficoltà col moderato monolitismo asiatico, coreano (anche giapponese),
cinese, indiano.
Si è voluto monopolista, nonché della politica,
anche dell’estetica. Della filologia. Della scienza. Ma con sempre minori
titoli. Si ritorna a scoprire il resto del mondo, per esempio l’Oriente, come i
primi missionari – che tra l’altro erano, anche loro, gesuiti. Di un mondo diverso
ma non peggiore. .
Riserbo
- Si
addice alla cultura laica, che non è libera-liberale ma “all’orecchio”, non
detta, segreta, da iniziati. È buona ricetta già dal Cinquecento e dagli
Illuminati. Nella più cupa gerarchia che si conosca, l’obbedienza perinde
ac cadaver.
I laici sono
gelosi dei gesuiti, questa è la storia - prima non c’erano,
prima dei gesuiti. Ai laici sono mancati
l’oratorio e i boy scout, e ne
ripetono i riti malinconici proiettandoli in un’aura d’eccellenza e novità. È così
che Lelio Basso, l’avvocato
della liberazione dei popoli, fu legale di Gheddafi, uno che faceva sterminio dei
gitanti a Fiumicino.
Nel riserbo si produce
il più grande golpe della storia, la desacralizzazione del mondo di Guénon e
Schmitt. Ma questa non era già opera dei cristiani, contro gli dei onnipresenti?
Storia -
“La storia occidentale contemporanea è in
larga parte opera di esiliati, emigrati, rifugiati”, assicura Edward Said,
dalle dittature e da se stessi. Si diventa gelosi di quello che si è, si fa, si
pensa, sia pure stupido. È una vita “contrappuntistica”, dice Said. No, è regolata
sul canone della fuga: non appena s’individua un assetto se ne genera un altro.
L’illustre
esiliato in petto Edward W. Said
torna spesso su questo argomento (qui in “The Mind of Winter. Reflections on
life in exile”) - l’esiliato politico si fa forte delle radici, del rapporto
negato con le proprie origini: “L’interconnessione tra nazionalismo ed esilio è
come la dialettica hegeliana di servo e padrone, opposti che informano e si
costituiscono l’un l’altro”,
Si può dire la negazione del divino – è per
questo che il romanzo di Manzoni appassiona ma non convince? Nelle guerre, nella
violenza in genere.
La storia quindi come male? Se perfino la mafia è
nella storia divina, non si può pensare le due cose se non distinte e opposte, la
storia e al divinità.
La storia come vita non è male. “Ogni vita umana racconta la sua
storia, e la Storia diventa alla fine il libro dei racconti dell’umanità” – uno
Schopenhauer conciso e senza astio.
zeulig@antiit.eu
Il senso di sé, un continente da scoprire
A Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto succedono Ansia, Invidia,
Imbarazzo e Noia. Riley è cresciuta, ha ora 13 anni, e le emozioni che la
agitano sono divese, a partire giustamente dall’ansia. Nel mentre che è al
campo estivo, a tentare di entrare nella squadra di hockey del college,
le Firehawks.
Le vecchie emozioni hanno creato nella sua mente una nuova sezione, il
Senso di sé, e Riley si avvia a un nuovo apprendistato anche emotivo. Anche perché
alla viglia del campo hockey risuona l’Alarme Pubertà.
Un’animazione affollatissima di personaggi e di voci, una trentina. Ma
riconoscibili, il racconto fila.
Aveva 11 anni Riley nel primo film, una ragazzina del Minnesota, in
disagio a San Francisco, dove il padre si era trasferito con la famiglia, che viveva
cinque esperienze, o “isole della personalità”: famiglia, onestà, “stupidera”
(la tentazione di fare e dire cose buffe), hockey e amicizia. Aveva un amico
imaginario, Bing Bong, una madre gentile e affettuosa, che anche lei viveva le
emozioni di Riley ma tutte di sesso femminile e a lei stessa irresistibilmente
somiglianti, e un padre, che viveva anche lui le emozioni di Riley ma di sesso
maschile, e dall’aspetto uguale a se stesso, abbigliamento, barba, baffi.
Non un trattato di psicologia, una favola. Nel sequel si vede
meglio che nel primo episodio. Molto ben raccontata: si entra nel mondo bambino
con grande interesse.
È anche la riprova di una autorialità molto brutalmente diversa. Il
regista è, quando lo è, un montatore, le produzioni sono dello studio,
nel caso della Pixar.
Kelsey Mann, Inside Out 2
giovedì 1 agosto 2024
Kamala Harris e il mugugno Democratico
Partita
sprint sui social, grazie ad accordi dei suoi consulenti con influencer, cantanti,
elaboratori grafici, con l’interesse subito declamato che i grandi donatori avrebbero
manifestato, e con qualche sondaggio addomesticato, la campagna presidenziale
di Kamala Harris è in un percorso difficile all’interno del partito Democratico.
Dagli Stati del Sud viene una diffida: l’immagine della vice-presidente non è
gradita, né ai bianchi né ai neri - e anche i latinos, finora pro Democratici sono tiepidi. E molti rank-and-file del partito sono
scontenti, criticano che “lei si è presa la nomina”, senza fare campagna,
senza passare da primarie, senza confrontarsi con altri candidati.
Questi
malumori ritardano la scelta del candidato vice-presidente. Un nome su cui il partito
dovrebbe poi fare affidamento.
Harris non
ha mai avuto un buon rapporto con il partito. Grazie al quale ha fatto carriera,
nel sistema giudiziario, in California. Ma al quale non avrebbe dato contributi
politici, di opinione, organizzativi – “ha solo preso” è il mugugno.
Giallo dell’assassino incerto
Holiday non nel
senso di vacanza, ma di pausa. Tra un’assoluzione per una ragazza, dopo due
anni di carcere, per l’assassinio della madre e dell’amante, e la verità o
realtà della stessa ragazza. In simbiosi con la migliore amica, la cui testimonianza
l’ha fatta assolvere.
Una storia piena
di immagini che catturano, ma che lascia fuori lo spettatore. Dalla soluzione
del giallo non solo, chi ha ucciso chi?, ma già a cominciare dalla dizione delle
due protagoniste, che aprono il film nella scena-madre, la seriosa-afflitta
Margherita Corradi e la spumeggiante Giorgia Frank: nella copia di Sky, a soli
otto mesi dalla Festa romana del Cinema, si afferrano a stento un paio di battute.
Un film alla Guadagnino,
anche troppo. Immagini belle e dubbi. Sesso insapore, relazioni incerte, un po’
intime un po’ no, una generica gaytudine di fondo, intesa come indifferenza, e
ambiguità a piene mani, l’anti-verità – la verità è che non c’è la verità.
Lasciando lo spettatore col dubbio, anche, su chi è stato il vero assassino.
Edoardo Gabbriellini, Holiday, Sky Cinema
mercoledì 31 luglio 2024
A Sud del Sud - il, Sud visto da sotto (566)
Giuseppe Leuzzi
Il giudice Luca Tescaroli si è insediato da pochi
giorni a capo della Procura di Prato e subito ci scopre la mafia. Quella
cinese, delle “triadi”. Impegnata in una “guerra delle grucce”, gli
appendiabiti di plastica – di filo di ferro per le lavanderie. La mafia è il dio dei giudici, è in ogni luogo.
A Firenze, dove era
Procuratore Antimafia, il giudice Tescaroli lascia aperto il caso delle stragi
del 1993 – a Firenze in via dei Georgofili. Aspettava sempre testimoni e prove
che i mandanti sono stati Berlusconi e Dell’Utri. Questa è un’altra mafia, o è
la stessa?
Si indaga per mafia anche
il giudice Pignatone, quello che la mafia aveva scoperto anche a Roma. Per avere
insabbiato trent’anni fa le indagini su “mafia e appalti”, il dossier aperto da
De Donno e Falcone, su cui poi continuava a lavorare Borsellino. È incolpato insieme
con l’allora sostituto Gioacchino Natoli e col generale della Finanza
Screpanti, all’epoca capitano. L’accusa è di favoreggiamento - molto più che il
solito concorso esterno che non si nega a nessuno: i tre avrebbero avvisato i
mafiosi Buscemi e Bonura di indagini sui loro rapporti con la Ferruzzi
di Raul Gardini, disponendo la distruzione di intercettazioni rilevanti, e l’archiviazione
di fatti penalmente rilevanti. La mafia dei giudici però non sarebbe una
novità.
“Sette in italiano, otto in
aritmetica e nove in educazione civica: la pagella di Totò Riina alla terza
elementare, a 22 anni, nel 1952. Il voto che più colpisce è il 9 in educazione
morale e civica. Il maestro usava un tono reverenziale nei confronti di Riina,
che già si atteggiava a boss”. A volte, la predestinazione.
Il recinto della memoria
Celebra Carlo
Michelstaedter, nella sua rubrica sul settimanale femminile del “Corriere della
sera”, Vittorio Sgarbi, celebrando anche Antonio Piromalli: “Coltivavo una vera
passione per la sua opera”, di Michelstaedter, “grazie agli studi anticipatori
di Antonio Piromalli, che per primo ne scrisse e che era di casa a Ferrara per
il suo stretto rapporto con mio zio, Bruno Cavallini, alle origini della mia
formazione”.
Piromalli, oggi dimenticato,
è stato un letterato di variegato indirizzo, e di varie occupazioni (insegnante
di liceo, preside, professore universitario) in varie città su e giù per l’Italia,
perlopiù a Nord: Torino, Ferrara appunto, Bologna, Urbino. Nato a Maropati, nella piana di Gioia Tauro, al paese restando legato per affetti familiari.
Finendo anche per morirvi – non proprio a Maropati, lì accanto, a Polistena:
stroncato da infarto mentre si accingeva a presentare un romanzo di Fortunato
Seminara, “Il viaggio”, da lui esumato postumo – con Seminara, anche lui di Maropati,
è ora vicino di tomba nel cimitero del paese, in un “Recinto della Memoria”.
Callido Sud
La giudice catanese Maria
Fascetto Civillo, condannata per tentata concussione e imputata di avere usato
la qualità di magistrato “al fine di conseguire ingiusti vantaggi”, va al Csm
dalla consigliera quasi conterranea e “amica” di partito (democristiani di
Fratelli d’Italia), l’avvocata Rosanna Natoli, a chiedere consiglio su come
comportarsi. Alla sezione disciplinare dello stesso Csm, di cui Natoli fa
parte, che deve valutare gli “ingiusti vantaggi”. Le due usano anche il comune
dialetto: quando Fascetto Civillo dice di voler denunciare tutti i suoi “colleghi
invidiosi” a Catania, “io sono disposta a tutto, dottoressa”, l’avvocata
consigliera Csm ribatte: “Sì, lei lo fa, ma noi ci facemu i pernacchi”,
per dire non otteniamo nulla, accuse senza prove.
Martedì 16 luglio, quando la
sezione disciplinare del Csm si accinge a ritirarsi in camera di consiglio per
decidere sulla revoca cauteare dalle funzioni, Fascetto Sivillo, racconterà
qualche giorno dopo Bianconi sul
“Corriere della sera”, “ha detto di dover riferire un fatto «grave» riguardante
la consigliera Natoli: ha raccontato l’incontro, e il suo avvocato Carlo
Taormina ha consegnato audio e trascrizione del dialogo”. Sconcerto. Al Csm, ma
non a Catania.
Non in Sicilia. Neppure nella
stessa Natoli, che si è limitata a lasciare la sezione disciplinare del Csm: il
saltafosso, il trainello, il trabocchetto del dialettismo di Camilleri
(o dialettalismo, il dialetto è altra cosa, di cui ora i “Quaderni
camilleriani”, già al 22mo numero, avviano uno studio “parola per parola”, alla ricerca del
meccanismo della”consapevole creazione del vigatese”), è parte del bagaglio culturale,
si direbbe morale, “superiore” dell’isola. Si dice – anche Sciascia – che sia l’amicizia
a “perdere” l’isola, e invece no, è piuttosto il contrario, l’inimicizia, il
sentirsi ostili a tutti, anche agli amici, specie agli amici. Da qui la
furbizia, che sempre fa aggio – sulla dirittura, e perfino sull’interesse
proprio. L’intelligenza in forma distruttiva. Non difensiva, aggressiva.
Papà, che in gioventù trovava
i modi più disparati per spendere i soldi di suo padre, di cui si riteneva creditore
perché lo aveva portato con sé in campagna dopo la sesta, quindi ai dodici anni,
“ogni mattina alle cinque”, invece di lasciarlo agli studi e ai baciamano come suo
fratello e le sorelle, volentieri anticipava dei soldi a chi glieli chiedeva
per un bisogno urgente. O per comprarsi il biglietto per l’Australia o il Canada.
O anticipare 400 lire, in società con l’apicultore, per comprare le arnie
verticali invece di quelle orizzontali. O garantire il carrettiere che vuole
passare, giustamente, al camioncino, e pagare qualche rata. Finché, presto, non
sentì dicerie malevole sul suo conto, come prestare a strozzo. Allora adottò la
frase: “Volentieri, come no, solo che adesso mi trovi in un momento di
difficoltà”. Solo uno degli emigrati usava scrivere ogni anno per Nataale per
ringraziare – la le ultime letere erano timbrate da un carcere.
L’esigenza di spendere riprese
papà negli anni 1950, quando per una quindicina d’anni finanziò la banda cittadina,
pagando un ottimo concertista, il maestro Perri, che la portò al livello di Fasano,
allora la banda più quotata, e perfino a esibirsi un paio di volte con i Metropolitani
di Roma, l‘eccellenza degli ottoni. Per non vedersi – ma ormai era morto –
nemmeno nominato, nemmeno per caso, nella storia che è stata fatta del complesso
bandistico “A. Rendano”.
Calabria non è Sicilia. Ma
sì per il linguaggio, per la comune matrice, latina, del dialetto. In latino
proprio la settimana del “trainello” al Csm il linguista Antonelli argomentava
su “7”, a proposito del termine “callido”, ritenuto di uso letterario, che nell’archivio
del “Corriere della sera” ne ha trovato invece, quando l’italiano era ancora
impastoiato, poche ricorrenze, “ma concentrate più nelle pagine di cronaca
giudiziaria che in quelle d’argomento letterario”. In latino, dove origina,
callido ricorre come avveduto, accorto, ma anche astuto, “abile a fare i propri
interessi, anche a discapito di quelli degli altri”.
È il segno - la “colpa” - di una società
disgregata. Postborghese senza mai essere stata borghese. Autodistruttiva. Per
invidia sociale. Sotto apparenze di legalità, progresso, intelligenza, cultura.
Si confronti, per esempio, il democristianesimo locale, che si ritrova nel Pd
come con Meloni, e già con Berlusconi, di parrocchia, così pieno di buone
parole e così individuale, familiare, distruttivo, col parrocchialismo fattivo della
Lombardia, del Veneto, del lavorerio. In Sicilia e anche in Calabria. Le
regioni dove l’unica borghesia che si è formata nella Repubblica è quella
mafiosa, che sempre si rigenera, della violenza. Della violenza illegale, a differenza
della violenza dell’invidia, ma non, evidentemente, altrettato distruttiva.
La vera ragione del
ritardo del Sud è stata, per un secolo e mezzo ormai, l’incapacità-impossibilità
di organizzarsi, di avere una borghesia, un ceto sociale che costruisce
piuttosto che distruggere il bene altrui. Di un senso di classe – si sarebbe
detto qualche anno fa. Ma alla sommatoria costruttivo, produttivo di un valore
aggiunto. Invece che distruttivo.
Cronache della
differenza: Napoli
La
capitana di una nave crociera saluta i suoi passeggeri allo sbarco a Napoli augurando
“una buona pizza!”, e raccomandando “niente gioielli, troppi borseggiatori”. Sdegno della città. Perché, i
borseggiatori non ci sono?
L’elogio di Montella allenatore
della Turchia agli Europei Leo Turrini chiude ricordandolo come “un tipo che viene
da Pomigliano d’Arco, patria della gloriosa Alfasud”. Il disegno fallito
dell’allora ministro delle Partecipazioni Statali De Michelis, perché faceva
ombra agli Agnelli – che cosa non si è fatto per “salvare” gli Agnelli
(Pomigliano poi Marchionne l’ha salvata malgrado la Fiat e resta ottimo sito
produttivo).
Pensare
la Nissan al Sud, che poi ha fatto grande la Renault. Le case d’auto giapponesi
rinvigorivano in quegli anni gli Stati americani del Sud, poveri e trascurati.
Riccardo Muti evoca
la nascita e gli studi a Napoli, con casa a Chiaia, via Cavallerizza 14, e
ricorda che quando ci è tornato qualche anno per curiosità, il portiere lo ha
salutato così: “Vi tengo innanzi agli occhi ogni giorno”. Bello. Fiorito?
Immaginifico? Sentimentale? Opportunista? Di tutto un o’.
Il nuovo allenatore
del Napoli Antonio Conte si presenta ai
tifosi parlando per due ore. Mah, non lo faceva nemmeno De Gaulle. Castro però sì. Napoli avrà un’anima cubana?
Conte, licenziato da un paio di squadre in Inghilterra,
viene assunto in pompa a Napoli. Per la presentazione si sceglie il Palazzo Reale.
E 400 giornalisti si accreditano, si dice da tutto il mondo ma perlopiù locali, per ascoltarlo - “il massimo
che consente l’affascinante location”. Sarà l’esagerazione pubblicitaria?
O non sarà il massimo della stupidità?
“Due uomini entrano armati e col viso coperto in spiaggia a
Torre Annunziata. Tempo di fare un giro fra i bagnanti del Lido Azzurro,
probabilmente alla ricerca di qualcuno, per poi uscire. Ma non prima di aver sparato due colpi, con i fucili a pompa che imbracciavano”.
La mafia si sa che è spietata. A Napoli è teatrale.
All’Europeo di calcio Calzona ha tenuto sotto scacco l’Inghilterra
di Bellingham, Kane, Fode per 95 minuti. Umiliato a Napoli, nello squadrone milionario, un allenatore tappabuchi, si è rifatto bello con la Slovacchia, ranking Uefa 45 – Inghilterra 3.
Per un calabrese a Napoli quello di Calzona era un esito scontato.
In tanti secoli, millenni, di Regno, quanti calabresi ha illustrato Napoli?
Campanella lo tenne prigioniero per 27 anni (Yourcenar se ne stupiva, più che
scandalizzarsi), san Francesco di Paola preferì salvarsi in Francia, Telesio
saltò sempre Napoli, stava meglio a Roma e a Venezia (fu solo ospite del duca Alfonso
Carafa, ma a Nocera). E così via, fino al rigetto del Procuratore Capo Cordova –
e anche l’attuale, Gratteri, comincia a dire “quanto mi manca la Calabria”.
leuzzi@antiit.eu
Calvino comunista liberale
Un primo tentativo (nell’ambito di un progetto più “completo”) di delineare una filosofia dello scrittore. Che dalla filosofia però rifuggiva – aveva molte curiosità filosofiche ma non sistemiche, non basiche (l’esistenza, i fini ultimi, eccetera). E per quel poco che era o si sentiva ancorato a delle idee, era ancora quello dell’illuminismo – post-adolescenziale. Fra i suoi tantissimi critici attenti, prediligeva Sciascia in quanto compagno su questo terreno. La prefazione alla riedizione 1960 in volume unico delle tre storie degli Antenati ha una mezza pagina che si può dire marxista, ma è un unicum, ed è anche liberal-conservatrice.
Nel 1978, quando debutta
su “la Repubblica”, sotto l’interrogativo “Sono stato stalinista anch’io?, dice
che “lo stalinismo si presentava come il punto d’arrivo del progetto
illuminista di sottomettere l’intero meccanismo della società al dominio
dell’intelletto” – per concludere: “Era invece la sconfitta più assoluta (e
forse ineluttabile) di questo progetto”. Ma la sua prima reazione alla delusione è stata giocosa, il barone Cosimo Piovasco di Rondò che si ribella al padre e sale su un albero.
Fineschi, un cultore della materia, battitore libero, è peraltro soprattutto
impegnato ad analizzare il rapporto tra intellettuali e partito Comunista negli
anni 1960. Dopo cioè l’onda d’urto dell’occupazione militare sovietica dell’Ungheria
e della scoperta, nella stessa Mosca, dello stalinismo. Come se il Pci fosse
marxista, prima e dopo del 1956 – o se lo stalinismo fosse fino ad allora incognito
Il tentativo di delineare una “filosofia” di Calvino è però non solo
curioso, ma anche per più aspetti (contro probabilmente le intenzioni del ricercatore)
illuminante. Calvino era un liberale. Aveva aderito al partito Comunista nel
momento in cui nel 1943 era andato in montagna. E subito poi nella collaborazione
all’“Unità”, estensione naturale dell’impegno libellista in guerra. Ma non partecipava
alla cellula Einaudi, non firmava manifesti, non scendeva in piazza. Ha scritto
molto ma senza mai nominare Marx. E al mondo pensava come pensa un liberale:
una palestra aperta a tutti.
Fineschi non lo dice ma questa conclusione è nelle cose che individua e
analizza. Da membro esimio del panel di cultori della materia che continuano
a curare la pubblicazione in italiano delle opere di Marx e Engels, potrebbe avere
pure lui individuato in Marx l’anima del liberale – fatta salva naturalmente l’ultima
esperienza, di capopartito. Non per nulla Einaudi rifà Marx nei Millenni facendolo presentare
e da un liberale. Lo è nello stile della scrittura, nelle “cose” che
analizza, e nel metodo. Alla dittatura del proletariato non ci credeva – il “Manifesto”
non è quello.
Grande borghese, non inconsapevole: snobbò
Eugène Sue, “piccolo borghese sentimentale, socialista della fantasia”,
candidato dai socialisti “per far piacere alle grisettes”, perché era liberale. Chiudendo il “Manifesto”, alla vigilia del ‘48,
offre un’alleanza ai borghesi, l’alleanza dei produttori, roba da Saint-Simon.
La “Neue Rheinische Zeitung”
non spiacque ai borghesi renani, il suo giornale, nell’intento che ritenevano
condiviso di sottrarsi al Congresso di Vienna di Metternich, che li aveva
annessi alla Prussia. Non si può legarlo al sovietismo – nemmeno nella
fase leninista. O fargli colpa di Stalin, che non lo realizzò ma l’affossò: la
rivoluzione che doveva eliminare lo Stato ribaltò nello Stato totalitario, per
primi liquidando i comunisti.
Roberto Fineschi, Italo Calvino e la
crisi del marxismo italiano negli anni Sessanta, Sinistra in rete, free online
martedì 30 luglio 2024
Problemi di base mafiosi bis (818)
spock
Più
polizie, più mafie?
Più
Procure, più mafie?
E
Campobasso, perché non lavora?
O
Perugia?
E
L’Aquila, sempre terremotata, anche alla Procura antimafia?
È
per questo che si dice che la mafia crea
lavoro?
spock@antiit.eu
Lo Stato, il terrore, gli ostaggi
Scorrendo la corrispondenza fra Calvino
e Sciascia, di un’intesa politica, letteraria e caratteriale eccezionale, una
frattura imprevedibile insorge dopo il sequestro Moro, nella polemica che divise
la politica e gli intellettuali sullo Stato e il terrorismo, sull’obbligo o l’opportunità
di trattare o non trattare per il rilascio dell’ostaggio – come l’ostaggio
chiedeva. Calvino risolutamente per il no – per una volta dopo vent’anni di lontananza
e polemiche, con il Pci, con Berlinguer. Sciascia risolutamente per il sì –
tanto più che non si sentiva rappresentato da “questo Stato”, come aveva avuto
a dire già prima del rapimento Moro.
Lo stesso dilemma che ha visto
Netanyahu opporsi all’opinione nel suo stesso Paese e anche in quella
internazionale. Era il dilemma che hanno vissuto le famiglie in Sardegna e in
Calabria nella stagione dei rapimenti di persona.
Una teoria giuridica non è mai stata elaborata.
Una teoria giuridica della violenza contro lo Stato – in fondo si è rimasti a
Machiavelli, tra “virtù” (forza) e “fortuna”.
Saba è Debenedetti – l’autore è il suo critico
A cura di Stefano Carrai, i saggi e gli interventi di Giacomo Debenedetti,
una decina, in mezzo secolo, che hanno rivelato e poi dato spessore alla poesia
di Saba. Un rapporto si può dire simbiotico – anche personale (Saba era di casa
a Roma, nella famiglia Debenedetti). Un tema già discusso, che ora si è
abbandonato – insieme con la scomparsa del critico militante, quello che opera(va) in contemporanea
con l’autore. Nella stessa scena, mettendone in chiaro i punti di interesase e
di forza. Ma anche la riprova che l’autore, specie il poeta, è il “suo”
critico: colui che ne “legge” la vis e la condivide.
I lettori di Debenedetti, e anche di Saba, ne sono a conoscenza. Ma
cinquant’anni di attenzione messi assieme fanno un’altra storia, la storia di
Saba.
Giacomo Debenedetti, Saba. Scritti e
saggi (1923-1974), Carocci, pp. 208 € 22.
lunedì 29 luglio 2024
Problemi di base mafiosi - 817
spock
Più
droga, più mafia?
Più
appalti, più mafie?
Più
immigrati, più mafie?
Ma
quanti sono, questi siciliani e calabresi?
Più
giornalisti, più mafie?
No,
questo no?
spock@antiit.eu