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sabato 17 agosto 2024

Il mondo com'è (478)

astolfo

Barbizon – È il sito della Francia che Robert L. Stevenson ha a lungo prediletto: i villaggi di Barbizon e Greg-sur-Loing, e la vicina foresta di Fontainebleau, scrivendone diffusamente in “Attraverso le pianure”, il suo classico del girovagare – del trekking si direbbe oggi, che un sentiero è stato disegnato per gli amanti dello scrittore e dei boschi, chiamato col suo nome. Un mondo di campagna vicino Parigi - il paese di Fontainebleau è a una cinquantina di km dal centro della capitale (tema peraltro frequente, di molti racconti e romanzi, e di passeggiate d’autore, romantiche o solitarie): “Lo charme  di Fontainebleau è una cosa a parte. È un posto che la gente ama anche più di quanto lo ammiri.”. O anche: “Il posto è salutare (sanative), l’aria, la luce,  i profumi e le forme delle cose concordano in felice armonia.
Erano anche posti scelti da colonie di artisti, soprattutto i pittori, per la possibilità che offriva di lavorare a cielo aperto, allora molto apprezzata in pittura. Soprattutto Barbizon che ospitò una “scuola” a suo nome, di una certa fortuna, commerciale e di stima. Apprezzata in particolare per l’apprezzamento di Stevenson.  Che vi amava la vita di bohème, e a Barbizon fece la conoscenza di Fanny van der Grift Osbourne, poi sua moglie. Vi si recava di preferenza col cugino omonimo. Bob Stevenson e col comune amico Walter Simpson. Ci fu in vari periodi, dal 1875al 1881 - ad aprile, in questo ultimo soggiorno, di ritorno da Davos, dove aveva passato l’inverno per curare i polmoni. Ne scrisse diffusamente, oltre che in “Attraverso le pianure”, sotto il titolo “Fontainebleau”, anche nella raccolta “Eassays of Travel” (in it., in traduzione parziale, “Appunti di viaggio in Francia e in Svizzera”), sotto il titolo “Forest Notes”. Ne fece anche punto di riferimento di vari episodi narrativi, sicuramente “Il tesoro di Franchard” (1881) e “Il relitto”, 1892.
La “scuola di Babizon, di paesaggisti, attiva negli anni fra il 1830 e il 1880, annovera nomi affermati, Corot, che non vi risiedeva ma amava venirci per lavorare en plein air, Théodore Rousseau, che ne era l’animatore, Millet – e tanti altri: Daubigny, Diaz de la Pena, Palizzi.   


Jacques Santer
– Lussemburghese, ministro e primo ministro del granducato, designato dal partito Popolare nel quale militava – i democristiani europei – e successivamente governatore della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers) dei paesi dell’Est, ex comunisti, succedette al socialista Jacques Delors a capo della Commissione Europea di Bruxelles a gennaio del 1995. Resta negli annali come il presidente della Commissione di Bruxelles che si dovette dimettere, quattro anni dopo,  per accuse di corruzione.
Fu nominato presidente della Commissione all’unanimità dai governi Ue mentre si accingeva a un terzo mandato da primo ministro del Lussemburgo, a opera di Berlusconi e del premier socialista spagnolo Felipe Gonzalez, dopo lo stallo determinato dal rifiuto britannico di votare il belga Dehaene, che allo scrutinio preliminare aveva ottenuto i maggiori consensi. L’insediamento di Santer coincise con l’allargamento Ue a Svezia, Finlandia e Austria. Santer avviò i negoziati per l’adesione alla Ue dei paesi esteuropei, ma fu costretto alle dimissioni, a seguito di uno scandalo che aveva colpito diverse amministrazioni della Commissione (gli succedette Romano Prodi).
Le accuse furono gravi. Un audit indipendente sui bilanci della Commissione Santer, di esperti contabili nominati dal Parlamento europeo, accertò un buco di bilancio macroscopico, non denunciato. E una serie di operazioni corruttive: “frode, cattiva gestione, nepotismo,  favoritismi, contratti fittizi”. Sotto accusa soprattutto Edith Cresson, ex primo ministro francese, commissaria alla Ricerca.
Santer non fu coinvolto personalmente nello scandalo – non ci fu un processo vero e proprio, fu uno scandalo politico. Ma la Commissione di Bruxelles è articolata come la presidenza del consiglio italiana: se un ministro non si dimette, anche se colpevole di reati, il presidente del consiglio non ha il potere di rimuoverlo, per rimuoverlo deve dimettersi con tutto il governo. Nel 1995, visto il rifiuto dei commissari accusati di dimettersi, e l’impossibilità per il presidente della Commissione di rimuoverli, Santer si dimise con tutta la Commissione.
Il Parlamento, che aveva promosso il controllo contabile, aveva anche promosso e votato una mozione “di censura”, che, se approvata con due terzi del voto, avrebbe imposto la decadenza della Commissione – la censura passò a maggioranza semplice. Si convocò allora una commissione d’inchiesta. Che rapidamente chiuse i lavori scrivendo: “Non una sola persona nella commissione Santer ha dimostrato di essere affidabile”. Ne facevano parte, indicati da Berlusconi, Mario Monti e Emma Bonino.
Cresson aveva incautamente provocato l’audit iniziale, querelando il quotidiano francese “Libération”,  che l’aveva accusata di corruzione per la nomina di un dentista parigino, Philippe Berthelot, “visitatore scientifico” a Bruxelles. Cresson, socialista, ministro in vari governi e per un anno primo ministro sotto Mitterrand, fu famosa per avere adottato come macchina ufficiale una Lancia, la “Thema” – regalo personale, dell’Avvocato Agnelli? Poi, nello  scandalo, emerse che Berthelot era il suo amante.
 
Stati Uniti-Hitler
– Le aziende americane in Germania hanno continuato a produrre e vendere anche durane la guerra. Ford e General Motors perfino con la fornitura di mezzi pesanti e cingolati alla Wehrmacht, l’esercito tedesco. Fino ai motori per il  il nuovo caccia Me-262, il primo con propulsione a reazione. Esso e Texaco con la fornitura dapprima di petrolio e  poi con la produzione di benzina sintetica. Sono i casi maggiori di continuità industriale malgrado la guerra, a un certo punto dichiarata, fra Stati Uniti e Germania.
Dopo la guerra si è discusso a Washington se processare per tradimento le aziende coinvolte, per l’attività delle loro consociate estere. Ma non se ne è fatto nulla – eccetto qualche blanda multa. Jacques Pauwels, lo storico belga-canadese specialista del Terzo Reich, ha scritto molto sulla presenza e l’attività delle multinazionali americane nella Germania di Hitler. Allargando la ricostruzione ai grandi gruppi chimici, Du Pont, Union Carbide. E a General Electric, Itt, Ibm e Westinghouse, che collaborarono agli avvisatori radar di incursioni aeree, e a sistemi radio ad alta frequenza - così come alle incursioni aeree tedesche su Londra il primo anno di guerra, con componenti per le bombe-razzo.
Più nota la collaborazione finanziaria, delle grandi banche, inglesi oltre che americane, con Berlino. Soprattutto quando al Tesoro era Hjalmar Schacht, l’ex presidente della Bundesbank  “salvatore del marco”.    


astolfo@antiit.eu

Giallo divino

“Da Jahvé a Voltaire”, da Dio al miscredente, sette racconti “gialli” ante quem. Del Buono si supera per ingegnosità – si superava, la raccolta è del 1991. Si diverte a nobilitare la “tribù del giallo” – e/o a sfruttare su tutto il campo il nascente boom del “giallo made in Italy”. Impiantandolo su radici solide: la violenza è dappertutto. Non una grande invenzione, ma curiosa.
Una nota di Vittorini all’epoca ipotizzava “il giallo come Ersatz del Sacro”, un sottoprodotto o un surrogato – la violenza è con noi, unde malum, etc. Ma quello si sa, che siamo tutti buoni e tutti cattivi. Più che altro l’idea di Del Buono è una curiosità, ancorché golosa.
Si parte da “Caino e Abele”, naturalmente. Seguiti da “Susanna e il giudizio di Daniele”, e da “Daniele e i sacerdoti di Bel”. Poi vengono Erodoto, “I tesori di Rampsinito”, “Le mille e na notte” col racconto “Alì az-Zaibaq il Cairino”, l’ “Amleto” con l’episodio “la trappola”,  “Il monaco che invocava Buddha”, uno de “I casi del giudice Bao”, epoca Ming. Per finire con “Zadig o il destino”.
Si potrebbe continuare. Il giudizio di Salomone, perché no. O il cavallo di Ulisse. O anche la mela di Eva - meglio: Dio e la mela avvelenata di Eva.
Oreste Del Buono, I padri fondatori, Einaudi, pp. 200 € 7,70

venerdì 16 agosto 2024

Cronache dell’altro mondo – democostali (289)

Il partito Democratico ha una propensione netta a conoscere - e a riconoscervisi – la gente delle due coste, Atlantico e Pacifico: “Non abbastanza Democratici sanno abbastanza della parte degli Stati Uniti che non sono le coste”.
Il candidato vice-presidente di Kamala Harris, Tim Waltz, potrebbe avviare una nuova era politica. Governatore del Minnesota, è nativo del Nebraska. E parla con accento del Nebraska – accentuato, come per imitare Johnny Carson, il celebre intrattenitore tv alla Nbc per trent’anni, “The tonightshow”. È anche il solo che “sembra conoscere e occuparsi dei posti, oltre che della storia, del Midwest.
In foto, la didascalia: il governatore del Minnesota e la signora Waltz rompono lo schema Democratico, di occuparsi solo delle coste?
(“The New York Review of Books”)

Cronache dell’altro mondo – native (288)

“Se Tim Walz”, il governatore del Minnesota in corsa con Kamala Harris, “diventa vice-presidente, il vice-governatore del Minnesota diventerebbe governatore e farebbe immediatamente la storia”.
È Peggy Flanagan, una native¸benche bionda, alta e prosperosa. Una Ojibwe, della tribù White Earth (White Earth Nation), nel Minnesota di Nord-Ovest (di ascendenza in realtà mista, irlandese - la madre, che l’ha cresciuta da sola, senza il padre - e ojibwe, n.d.r.).
Flanagan viene rappresentata a una vecchia protesta, circondata da altri Ojibwe, Dakota, e Lakota. Contro la squadra di football di Washington, che mantiene – manteneva – il nome di Redskins, pellerossa. Ha fatto anche cambiare la bandiera del Minnesota, che aveva al centro un uomo bianco al lavoro sulla terra mentre un nativo americano se ne andava a cavallo.
“I Nativi Americani sono la minoranza razziale minore”. E molto divisa: “Ci sono 574 tribù riconosciute a livello federale, e ogni tribù o nazione è diversa per linguaggio, politica, abitudini, cucina e spiritualità. Non tutte le tribù vivevano in tenda, e non tutte le nazioni indossavano copricapi di penne d’aquila”.
(“The Nation”)

Appalti, fisco, abusi (243)

Sky manda due e tre avvisi ogni giorno. Poi aumenta il canone di 15 euro e lo manda solo in bolletta, nessun preavviso. Perché, obietta alla protesta, ora si paga anche il calcio. La piattaforma avrà ora anche il calcio (un po’ di calcio, tre o quattro partite), ma non si può obiettare che non si vuole il calcio. Impossibile, nessun risponditore lo vuole fare. Bisogna scrivere. Ma in forma complessa, meglio andare dal notaio. E non c’è rimedio, non c’è protezione, A meno di non riunnciare al satellite.


La banca fa pagare 66 centesimi,1.100 lire, la stampa inavvertita al terminale (è partito da solo) degli cinque ultimi movimenti del conto, un foglietto di 10 x 15. Poi dice che le banche sono disfunzionali.


Si riasfaltano a Roma le strade, per il Giubileo, e l’Anas procede nei piccoli Comuni al rifacimento del manto coi soldi del Pnrr, ovunque senza la necessaria scarificazione del manto precedente. Si solleva di fatto il livello stradale, a volte perfino al livello del marciapiede. Basta poco in queste condizioni per allagare, quando piove, i pianoterra. Come si vede in tutta Italia ogni inverno. È la regola della Repubblica, l’incuria.


“La burocrazia sottrae fino a 100 giorni l’anno di lavoro in azienda”, denuncia Donne Coldiretti – ma i Nas e tutti gli altri organissmi delegati ai controlli sono operosi anche con gli uomini. E sempre nella maniera meno pratica e produttiva e più impositiva, “nemica”. C’è il Nas (i Carabinieri), il Nucleo repressione frodi, e una decina di altri organismi. Che moltiplicano i controlli senza ,migliorare l’equità e la regolarità. Un burocrazia fine a se stessa, solo distruttiva. Si sa, si dice, ma non si cambia.

Gialli d’autore, un po’ sbiaditi

Nel 1992, un anno dopo l’esperimento Einaudi con Oreste Del Buono e i “gialli” dalla Bibbia a Voltaire, ma prima del fenomeno Camilleri (“Un filo di fumo”, Garzanti, 1980, era finito al macero) Sellerio ci provava con questa antologa al n. 41 della sua collana grande, “Il Castello”, presto poi abbandonata. Si parte da Sancho Panza governatore dell’isola di Baratteria, due paginette, e si spazia per autori altrettanto inattesì: Lincoln, Whitman, Tolstoj, Henry James, Cechov, Yeats. Oltre a Jack London, che di violenza se ne intende, E a Chesterston, a modo suo cultore della materia.
Curiosità più che racconti. A parte l’avvio con Sancho Panza, che potrebbe a buon diritto rientrare, anche lui, nella genealogia affollata di Sherlock Holmes, con l’indizio-non indizio, e tanto di umbertoechiana induzione e deduzione. Curioso anche Lincoln, trentenne avvocato autodidatta, in un pezzo che sembra di cronaca giornalistica, del filone cold case-casi irrisolti: racconta di tre fratelli che si confessano assassini, e circostanziano il delitto, ma la cui vittima viene poi trovata viva e vegeta, solo un po’ suonata, come lo era prima - un racconto alla Gogol.
Balzac, “La casa del mistero”, non è più misterioso dopo il titolo: è un racconto splatter, alla Quentin Tarantino, su una vendetta coniugale. La “Vendetta” di Cechov è invece solo una beffa, peraltro garbata. Anche Saki è sul satirico: ridicolizza l’indizio rivelatore. H. James e il poeta Yeats se la cavano col soprannaturale – Vernon Lee se la sarebbe cavata molto meglio, e molto più “gialla”.
L’anno prima Einaudi aveva dissodato il terreno del “tutto giallo” con Oreste Del Buono e l’antologia “I padri fondatori” – “Da Jahvé a Voltaire”, dalla Bibbia al mangiapreti. Questa di Sellerio si pregia dei racconti non ortodossi, avvertono i curatori, dissodati da “Ellery Queen”, il nome d’autore dei due cugini (russi di origine) Frederic Dannay e Manfred Lepofsky, nella loro rivista cult “Ellery Queen Mistery Magazine” – edita anche in italiano, da Garzanti, “I gialli di Ellery Queen”. Di fatto solo tre racconti sono ripresi dalla rivista, quelli di Whitman, Lardner e Čapek, gli altri vengono dalle varie collane di gialli Mondadori.
Andrea Ambri-Marzio Tosello (a cura di), Racconti gialli, Sellerio, pp. 296  12
 


giovedì 15 agosto 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (568)

Giuseppe Leuzzi


Preliminare ai bandi per le concession balneari è la mappatura degli arenili disponibili. Una legge del 1922 regolamenta la mappatura. Che è stata effettuata a livello nazionale invece che regionale, come si saprebbe dovuto fare perché la legge intanto è cambiata– gli arenili sono materia regionale, in base alle riforme Bassanini anni 1990. C’è un perché? Sì, nella mappatura nazionale il Veneto, o la Liguria, potrà variare i coefficienti di “scarsità” utilizzando nel calcolo gli spazi dei litorali del  Sud meno turistici. Siamo fratelli, ma alcuni sono più vispi.
 
“D’ora in avanti tirerò fuori i numeri ufficiali che dicono come vengono spese le risorse dello Stato dalle Regioni. Perché il punto è tutto lì”. Il ministro Calderoli non è simpatico, ma su questo ha ragione, il punto è proprio lì. 


Il Trentino, zona depressa, si è rilanciato, oltre che con la pulizia veneta, il rispetto del territorio (insomma) e il turismo, con i pometi o meleti. Che si è rifatti con i soldi dello Stato sicuramente due volte, forse tre, avendo sbagliato cespi o colture. Ma è ora una delle aree più prospere d’Europa, se non la più prospera – così dicono i tedeschi, invidiosi degli stadi per hockey in legno, piscine coperte, palestre, case della cultura. La Sicilia, un giardino, sta ancora a cercare l’acqua. Eppure di risorse ne ha avute dallo Stato, più del Trentino, anche pro capite.

 
Estesi i controlli a tutta Italia si è scoperto che caporalato e lavoro immigrato a un euro l’ora, con baraccamenti connessi, sono diffusi in tutta Italia. Cosa che tutti sanno, ma non si dice. Si dice, si diceva, solo di Rosarno, oh, lo scandalo! Cambia qualcosa? Sì, moltissimo: è buttare la spazzatura tutta al Sud. È anche coercere l’autostima dei meridionali.
 
Pitagora 
über alles
“Quando ho studiato e ero già scrittore ho pensato che molte frasi che si ritengono essere dei Vangeli sono invece del pensiero di Pitagora”. In una lunga meditata intervista, nel 2009, con l’allora direttore del “Quotidiano di Calabria” Matteo Cosenza, che si è rieditata il 14 per il centenario della nascita (“La mia età? Tremila anni di Calabria”), lo scrittore Saverio Strati si diffonde sulla sua recente esperienza e riflessione da “filosofo”. Da Scandicci, case giardino di periferia costruite a Firenze negli anni 1970 per l’immigrazione calabrese professionale  (insegnanti, infermieri, medici, tecnici), dove viveva con qualche problema i suoi ultimi giorni, il mondo centrava sulla “sua” particolare Calabria. Qualche parallelo più su di Sant’Agata del Bianco, il paesino dove era nato e cresciuto: a Crotone, con Pitagora. In un’argomentazione sicuramente eccessiva, ma piena di buoni, enormi, spunti, partendo dal presupposto che il nostro mondo – la filosofia, l’Europa, l’Occidente - è nato con Pitagora
“Quando io stavo in mezzo a loro”, in Calabria, nella locride, “ho visto che i contadini avevano pensieri altissimi senza rendersene conto….. La filosofia è nata in Calabria, con Pitagora che si fermò a Crotone, il luogo giusto dove poteva esprimersi. Il pitagorismo è stato diffuso molto ai suoi tempi, anche quando
ci furono la rovina della Magna Grecia e l’arrivo dei romani, che erano barbari come gli americani di oggi. A Crotone sotto Pitagora c’era una grande università., la parola filosofia nasce lì. E c’erano dei medici straordinari che avevano già sezionato l’occhio e l’orecchio. Penso ad Alcmeone.
“Un altro medico, che fu prigioniero di Dario, riuscì a curare la moglie di Dario di tumore, la operò e la salvò.
“Sotto Pitagora c’era lo studio dellamusica, la medicina a questi livelli, la matematica, e poi il suo pensiero. Pitagora, i cui testi erano custoditi segretamente da Filolao, un crotoniate suo discepolo, e da Timeo di Locri, è in assoluto il primo che dice che al centro dell’univevrso sta ilsole e non la terra. E quando Platone lascia Siracusa per andare a Taranto si ferma a Locri, dove incontra, secondo me, Timeo, ci parla, se ne serve e scrive il suo grande dialogo.
“Perché grande?”, chiede l’intervistatore, Matteo Cosenza, il direttore allora del “Giornale”. “Perché c’è l’anima intellettiva, l’anima sensitiva e l’anima generativa. Questo è Freud. Pitagora lo anticipa in quanto dialogo di Platone. Filolao vende per poche mine i testi, che vanno a finire nelle mani di Platone e poi in quelle di Aristotele, per cui da Pitagora si aprono due correnti di pensiero: quella del mondo delle idee di Platone e quella del mondo che pensava a se stesso di Aristotele. Quindi Platone e Aristotele discendono da Pitagora, e questi anticipa il cristianesimo”.
Un po’ complottista, ma nella giusta misura – si copiava molto, non c’era il copyright.
A obiezione Strati poi risponde “spartano”: “Licurgo di Sparta i menomati non li vuole, li butta dalla rupe. E  qui siamo a Hitler. I pitagorici accumulavano tutto e ognuno poi se ne serviva secondo i suoi bisogni, e questo è il comunismo”.
 
Saverio Strati santo subito
Sant’Agata del Bianco, dove è nato Saverio Strati, respinge un finanziamento di 250 mila euro della Regione Calabria per le celebrazioni del centenario della nascita dello scrittore. “Faremo da soli”, proclama il sindaco. Ne voleva 500 mila.
Sant’Agata è un paesino di qualche centinaio di persone. Alcune peraltro residenti ma non abitanti. Nell’entroterra jonico.
Mezzo milione di euro, per intendersi, è quanto lo Stato ha stanziato per Taurianova capitale del libro, in mezzo ai mormorii di mezza Italia. Serve, dovrebbe servire, per un paio di tavole rotonde su Strati – peraltro già onorato, gratis, dai giovani del paese con vivaci murales dei suoi personaggi. Su uno scrittore di lungo corso, debuttante giovane col patrocinio di Giacomo Debenedetti, ma morto nella disattenzione. Indigente, si disse, tra proposte e promesse di legge Bacchelli, quella che sovviene agli artisti impecuni. Che forse fu diceria di amici poco avveduti per rilanciarne il nome – Strati viveva in famiglia, con la moglie accudente, aveva almeno un figlio, e nipoti che frequentavano la sua casa, in una cittadina, Scandicci, alle porte di Firenze, ben costruita e servita.
Poi il sindaco e il presidente della Regione Calabria Occhiuto si sono accordati, il mezzo milione ci sarà. I soldi non mancano, dunque, in Calabria. Ma il senso del denaro, quello sì – nei nuovi ceti.
 
Cronache della differenza: Sicilia
Scrivendo a Sciascia il 10 novembre 1965, sull’entusiasmo per la lettura del dattiloscritto di “A ciascuo il suo”, Calvino ha la nota afferamzione che “vi viene dimosrata l’impossibiltià del romanzo giallo nell’ambiente siciliano”. E dove allora, c’è più giallo della Sicilia?
 
“Sto per consegnare a Laterza un’antologia sul «notabile» siciliano”, scrive Sciascia a Calvino il 7 settembre 1961. Poi evidentemente non ne ha fatto nulla – non si ritrovano neanche i materiali per la progettata antologia. Il notabile, una figura insidiosa. Per uno scrittore.
 
Spiritoso come sempre ma cattivello Ipolito Ninevo, trentenne colonnello garibaldino, Intendente di Palermo, nelle lettere dalla Sicilia (“Lettere garibaldine”): “I Siciliani sono tutti femmine; hanno la passione del tumulto e della comparsa; e i disagi e i pericoli li trovano assai meno pronti delle parate e delle feste”. Come dirli paurosi e vigliacchi.
 
Resta ignota ai più la più vera, comunque spericolata, resistente all’occupazione nazista, Maria Ciofalo, di Santo Stefano di Camastra, che pure ha vissuto a lungo nel dopoguerra, fino ai 96 anni. Entrata in clandestinità a Napoli nel 1943, dove lavorava al Comune, per non fornire dei documenti richiesti agli uffici dagli occupanti tedeschi. E subito in azione, già il 30 settembre, col lancio di bombe a mano contro un posto di blocco. Bilingue, avendo vissuto la prima infanzia a New York, per poi tornare a quindici anni in Sicilia, fu presa in carico dal servizio segreto inglese, che l’addestrò agli sbarchi, marittimi e paracadutati, e poi al comando di Bari come liaison con i partigiani del padovano e del vicentino.
 
Presentando la corrispondenza fra Calvino e Sciascia, Mario Barenghi nota che a un certo punto l’ultima lettera di Calvino, datata 26 maggio 1981, contiene un invito a pranzo o a cena, nella casa di piazza Campo Marzio a Roma. “Quell’incontro avvenne”, scrive. E aggiunge: “Ricordo di aver sentito Chichita Calvino parlare di una cena in cui la colpì il fatto  che la moglie di Sciascia non profferisse quasi parola”. È possibile, anzi probabile, il siciliano chiacchierone sa essere mutangolo. Chichita non era il tipo da suscitare simpatia in Maria Andronico? Che invece aveva il culto di Calvino. E allora – Barenghi non si chiede? La lettera dell’invito è l’ultima perché la rottura di vent’anni di amicizia stretta sull’affare Moro non si ricompone.  
 
Quando uscì “Il contesto”, nel 1972, che fece sbandare la critica, Maria Andronico confessava, nell’unica intervista che le fu richiesta (per la serie di Grazia Livi “Gli scrittori a casa loro”), sul “Corriere della sera” del 13 aprile: “Anche questa volta ho aspettato la lettera di Calvino con grandissima emozione!”. Per i tanti problemi che Calvino sollevava, poco umoristico e molto cattivo, sul “Contesto”, seppure  con un giudizio aperto. Lei e Calvino erano i primi lettori dei nuovi racconti di Sciascia, dice. E conlude: “Il giudizio di Calvino mi ha molto confortata, somigliava al mio”.
 
Dialettismo, o dialettesimo: si è inventato un neologismo per la lingua di Camilleri montalbaniano – diverso dai romanzi “storici” o dai racconti seri (anche da quelli “di costume”, un po’ sexy). Il dialetto è altra cosa, è una lingua: quella di Camilleri, già nominato, vigatese, che non si può dire una parodia, si definisce una lingua personale, dialettizzante.
 
Camilleri scherzoso è molto studiato filologicamente. Una serie di “Quaderni” è già al n. 22. E l’ultimo avvia una ricerca sulla lingua montalbaniana. Si direbbe una Sicilia (quasi) teutonica.
 
Carlo Dalla Chiesa nipote del generale ha inventato con un gruppo di amici e gestisce una catena di alberghi molto social, con ristorante e bar aperti ai non clienti, e attività-eventi culturali. È dappertutto, ben accolto – chi si oppone a un albergo?: a Milano, Firenze, Napoli, eccetera. Ma a Palermo apre con qualche difficoltà: “Con il poprietario della struttura palermitana (Dalla Chiesa non costruisce ex novo,per evitare il”consumo del territorio”, riadatta vecchi stabili) mi sono dato la mano che non avevo ancora figli”, confida al “Corriere della sera”, “adesso ne ho quattro… Ci sono stati due ricorsi al Tar, uno al Consiglio di Stato”.
Forse è per questo che la Sicilia non è più ricca di Milano, e anzi (molto) più povera.
 
Questo Dalla Chiesa, palermitano di nascita, è e si ritiene milanese: “Io non ho ma vissuto a Palermo anche se ci sono nato e se tutta la famiglia di mia madre e parte di quella di mio padre sono di Palermo”.
 
Spiegando l’apertura del suo primo Ostello Bello a Milano Dalla Chiesa ricorda così il primo cliente, un signore che di passaggio aveva domandato a una signorina sulla porta se c’era posto: “Un signore siciliano che eravamo convinti fosse un poliziotto in borghese o un agente della Digos”.
Il siciliano a Milano è sbirro – magari al palazzo di Giustizia – quando non è mafioso?
 
Si può dire che abbia “conquistato” i famosi viaggiatori che ne hanno creato il culto, i quali partivano come per un viaggio in terra incognita. Goethe, il più famoso dei celebratori, scriveva a un corrispondente mentre organizzava il viaggio: “La Sicilia è per me un preannuncio dell’Asia e dell’Africa”. E Stendhal, come ricorda Attanasio Mozzillo in “Stendhal au bout d’Italie”, sempre a un amico: “…. Questa parte dell’Africa che si chiama la Sicilia”. Da obliterare la fede nella letteratura.
 
Stendhal, che alla fine ci ha passato ben sessanta giorni nel 1828, poi ne parlerà ripetutamente, in “Passeggiata a Roma”, “Roma-Napoli-Firenze”, “Vita di Rossini”, “La duchessa di Paliano”.
 
Tallona la Toscana per numero di b&b, non si può dire che sia fuori mercato. La Toscana, tre milioni e mezzo di persone, ha di gran lunga il record, il 12,9 di tutti i b&b italiani censiti a giugno. La Sicilia viene seconda, con l’11,4, ma su sei milioni di residenti  – più comunque della Lombardia, 10 milioni di abitanti, e 11,1 per cento di tutti i b&b italiani.


leuzzi@antiit.eu

 


Con la logica, contro la metafisica

Di misticismo ce n’è poco, giusto una rilettura di Eraclito, abbondante. Col Platone della caverna. Di Eraclito postulando “la vera unione del mistico e dell’uomo di scienza, la più alta vetta, così penso, cui si possa attingere nel mondo del pensiero”. Ma sulla premessa: “Non so niente della realtà o dell’irrealtà del mondo mistico”.
Ne sa però abbastanza per concludere, in apertura, che “tale visione (mistica, n.d.r.), non dimostrata e non appoggiata da prove, è insufficiente come garanzia di verità, a dispetto del fatto che molte delle verità più importanti vengano suggerite per la prima volta per suo mezzo”. La mistica insomma di tutti e ognuno, come intuizione, immaginazione, parto di ipotesi. Lo scienziato invece è un po’ diverso da come si vuole: è un visionario, uno illuminato da una scintilla, una folgore, l’ipotesi  – prima di affrontare il ragionamento, le deduzioni e le controdeduzioni.
È il primo saggio, questo del titolo, 1914. Di un Russell già quarantenne, e autorevole – la raccolta fa un secolo di vita.
Più pertinenti, attinenti agli interessi etici e scientifici e alla personalità di Russell, eminente uomo pubblico ancora per un ventennio nel dopoguerra, gli altri saggi, sulla matematica, la matematica e la metafisica, il concetto di causa, la fisica e la materia, E “sul metodo scientifico in filosofia”, che si direbbe non c’entri nulla e invece è ottima pedagogia, l’autoanalisi. Sulla premessa: la filosofia scientifica non c’è, ma la logica vi ha buone pretese, certamente superiori a quelle della metafisica che hanno irreggimentato a lungo il pensiero, ma non possono non essere mosse da premesse etiche, risultando di ostacolo al “progresso della filosofia”, del pensiero. Meglio la logica – Russell è un principe dei logici – della metafisica, il dibattito di un secolo fa.
Bertrand Russell, Misticismo e logica, “Corriere della sera”, pp, 195 € 8,90

mercoledì 14 agosto 2024

Secondi pensieri - 542

zeulig


Cancel culture
– Si dimentica o si trascura, ma è, è stato, l’approccio rivoluzionario occidentale, dalla prima rivoluzione, del 1789, alla Guardie Rosse di Mao negli anni 1960-1970. Si abbattevano statue, si incendiavano palazzi, si  distruggevano quadri e specchiere, vetri e lampioni a Parigi nella prima rivoluzione.. Quella sovietica debuttava con la conquista del palazzo d’Inverno – peraltro non più abitato dalla famiglia reale ma sede del governo socialista da abbattere. Le Guardie Rosse si accanirono contro i monumenti lapidei.
Lo stesso ha fatto l’islamismo, in Afghanistan (Banyan) e altrove, ma forse non è considerato rivoluzionario.
 
Idealismo - Si creano forme ideali che sono formule, e uno rischia di camminare sulla testa come il poeta Lenz di Büchner. Piegando la realtà e la storia a paranoie evidenti e incessanti. L’idealismo viene con la poesia prima che con la filosofia, il suo errore è per questo pervicace. È difficile provare che è un errore, poiché si tratta d’un impulso e una passione. I poeti che pretendono di andare al fondo della realtà non ne hanno idea, di solito, e tuttavia sono indelebili, con la loro realtà. Non sono maschere e non fanno trucchi, sono uomini adulti, senza più quindi il realismo degli infanti. Ma il loro idealismo, ancorché rovesciato in materialismo, è sbagliato, e se non è consolazione va rigettato, è una serie di furfanterie. Dio ha creato il mondo, e come si può pretendere di saperne di più? Volendo nutrire aspirazioni, queste dovrebbero portare a imitare il mondo, in qual-che modo e misura. Insomma a non strafare, sapendo di che si parla.
L’idealismo, dice pure Lenz, “è il disprezzo della natura umana”. È i fianchi grassi che lo struzzo vuole esibire, per questo s’è inventato di sotterrare la testa. Ma, affannato, Jacob Michael Reinhold Lenz si fa opporre dallo svizzero Kaufmann, pietista idealista, che l’Apollo del Belvedere non c’è in natura, né la Madonna di Raffaello. Fa anzi di peggio, concorda con l’idealista che i fiamminghi sono idealisti e gli italiani no, uno dei luoghi comuni più vieti. Ma continua a guardare le persone in viso. Che è il modo di comunicare più pieno, e creativo.
Si può presumere di sé, e anche esagerare. Ma non al modo di Stendhal-Brulard, inventandosi. E questo per l’estetica prima che per la morale.


Mercato – Ha sconfitto il bolscevismo, la dittatura manageriale, e ancora domina. È una forma di religione, impera anche quando si nega. Come gli Stati Uniti fanno da una decina d’anni, per il mercato che avevano imposto, ideologicamente e di fatto (regole, accordi), imponendo dazi e contingenti unilateralmente, finanziando industrie e servizi propri con ingenti aiuti di Stato, imponendo sanzioni. Sempre nel nome del mercato. Un paradosso? Meglio, è una petizione di principio, una religione laica (ma non del tutto, stando allo “spirito del capitalismo” maxweberiano). Tanto più imposta come dottrina quanto più è vuota – mutevole, contraddittoria. Nel contestato, avventuroso, “Dopo l’Occidente” l’antropologa Ida Magli ha un’osservazione incontestabile: “«Mercato» e «crescita sono diventati ormai concetti e termini assoluti e al tempo stesso apotropaici”, lasciano la realtà fuori – “analogamente agli enormi falli priapeschi che un tempo sorgevano nei campi a proteggere le messi”, contro parassiti molesti e malocchi.
 
Natura –  “La Natura è il trono esterno della magnificenza Divina: l’uomo che la contempla, che la studia, s’innalza per gradi al trono interno dell’onnipotenza; fatto per adorare il Creatore, comanda a tutte le creature; vassallo del Cielo, re della Terra, la nobilita, la popola e l’arricchisce: stabilisce tra gli esseri viventi l’ordine, la subordinazione, l’armonia; abbellisce la Natura stessa, la coltiva, la distende e la leviga….” - Buffon, Histoire naturelle, générale et particulière, 1764. Non si è andati oltre.
 
Omosessualità – Freud aveva detto chiaro che la psicoanalisi  non era adatta a comprendere l’omosessualità – anche se poi una parte della letteratura, e dei “coming out”, e soprattutto dei film, vi ha fatto ricorso ampio (nelle figure genitoriali, soprattutto la madre, e sororali, nell’infanzia, nelle prime esperienze). Perché Freud escludeva l’omosessualità dalla sua terapia? Non la riteneva un problema, forse, non personale, non individuale. Sociale? E non per la tabuizzazione, la Vienna dei suoi giorni era bene trasgressiva e tollerante, ma per la riproduzione della specie? Vasto programma, si direbbe con De Gaulle.  
 
Storia – “Il senso della storia, la consapevolezza oggettivante del proprio esistere e il piacere di conservarne la memoria, la scoperta della storia come «coestensiva alla vita» è una delle maggiori conquiste dell’Occidente” – Ida Magli, “Dopo l’Occidente”.
 
Telesio – “Bacone definisce Telesio il primo uomo moderno. Telesio è molto importante perché innanzitutto troncò parte del pensiero di Aristotele quando disse che bisogna conoscere le cose e poi parlarne. Da lui nasce la metodologia scientifica dei nostri giorni….. Galileo nasce per via di Telesio. E poi c’è Campanella che accetta tutto il pensiero di Telesio e si dichiara apertamente contro Aristotele. Quando Cartesio mette il dubbio come sistema della ricerca viene da Telesio anche senza conoscerlo”.
È il parere di uno scrittore, Saverio Strati (intervista con il “Quotidiano della Calabria”, 2009), che peraltro vi celebra il suo essere calabrese (“La mia età? Tremila anni di Calabria”), ma il nome è troppo dimenticato, nonché il metodo.
   
Uguaglianza – Si afferma, in tutte le novità politiche (“uno vale uno”, “il non voto è un voto”, “la rappresentanza è un vuoto”) e nelle nuove forme culturali come una forma di eguaglianza che nega l’individualità, la singolarità. Che moltiplica i diritti, cioè, nel mentre che li appiattisce o abolisce, se non per categorie sociopolitiche. Vuole un mancanza di identità piuttosto che la diversità che in teoria celebra – i “diritti” nascono per i “diversi”. Il politicamente corretto, la critical theory, la cancel culture, e la stessa nuova culture woke , o dei diritti, invece di difendere e affermare l’esistenza del singolo, ne condensa la non-forma, la mancanza d’identità, se non per categorie.
Una indifferenza macroscopica nelle nuove forme di pretesa democrazia: uno vale uno, il non voto è un voto, la rappresentanza è un vuoto, l’indifferenza, l’avalorialità, la vita-per-il-consumo. Dove il soggetto ha più rilievo, benché minimo, è come spenditore, un influencer dei consumi, della produzione per l’uso singolo.

zeulig@antiit.eu

Telesio “primo dei moderni”, f.to Bacone

Wikipedia cita molti “precursori” di Bacone il Cancelliere (Francis Bacon è ora il pittore horror irlandese del Novecento), pensatori che in qualche modo hanno influenzato il “sistematore” della modernità, ma non Telesio – cita Aristotele e Platone ovviamente, Bacone Ruggero, Machiavelli, Montaigne, e Democrito, Parmenide, Empedocle, perfino Cicerone. Mentre l’inverso è vero: Bacone stesso dice Telesio “il migliore dei filosofi nuovi”, e gli studiosi di Bacone lo riconoscono. Fino a Charles de Rémusat: “Tra i precursori Telesio è quello che egli distingue. Lo riconosce per primo degli uomini nuovi….È  con l’Italia del Cinquecento e in quel paese con Telesio che Bacone è il più indebitato. Questo fatto ci pare pacifico”. Rémusat scriveva nel 1867, quando Telesio sprofondava, con la Calabria originaria con cui viene identificato, e con il Sud tutt’inrero, nell’“Affrica”.
Dopo Bacone Telesio è noto a Pierre Gassendi, il teologo francese del primo Seicento che fu matematico e astronomo – anche se non a Descartes (ma sì, certamente, a Galileo) - che nel primo volume dei “Syntagma philosophicum”,  pubblicato postumo, 1658, tre anni dopo la morte, annota: “Poi ci sono stati di recente alcuni i quali, intenti a fabbricare una nuova fisica, si discostarono dal suddetto sitema”, aristotelico (gli “alcuni” potrebbero essere Galileo e Descartes). “Primo fra questi può essere considerato Bernardino Telesio, che nel secolo precedente ha stabilito il caldo e il freddo come due principi attivi e incorporei e ne ha aggiunto uno passivo e inerte”.
Di Francis Bacon basti il riferimento nel “Dei principi e delle origini”, pubblicato postumo nel 1653 (“De principiis atque originibus secundum fabulas Cupidinis et Coeli”) “Di Telesio abbiamo una buona opinione e riconosciamo che è stato amante della verità, utile alle scienze, riformatore di non poche opinioni e primo degli uomini nuovi”.
La studiosa milanese (poi alla Boston University School of Business) ricerca e cita i riferimenti a Telesio negli scritti di Bacone, diretti e indiretti – ma desumibili con buone argomentazioni.
Valeria Giachetti Assenza, Bernardino Telesio, il migliore dei moderni, “Rivista di storia della filosofia”, 35 (1):41 (1980), jstor

martedì 13 agosto 2024

Problemi di base femminili - 817

spock

Femminili

Perché negare il femminile?

 

Senza la maternità, e la grazia, alle donne che rimane?

 

Che rimane di differente, di buono?

 

Il posto assicurato (la riserva dei posti) e le quote rosa (le presidenze, le vice-presidenze)?

 

“La prima penetrazione è sempre uno stupro”, Simone de Beauvoir?

 

Perché la donna dovrebbe non avere volontà?

 

“Di tutte le passioni (per il potere, la gloria, le droghe, le donne) quella per la donna è tuttavia la meno forte”, Nina Berberova?

 

Era la passione già spenta nel 1939 – o era solo dei romanzi dell’Ottocento?


spock@antiit.eu

Green deal e immigrazione, Bruxelles volta a destra

Si è celebrato il Von der Leyn bis a Bruxelles come una vittoria della sinistra e una sconfitta per Meloni e la sua destra, conservatrice. La ripresa politica, con la costituzione della nuova Commissione, sarà diversa: su green deal, la transizione verde, e immigrazione il voto ai Popolari tedeschi (la Cdu-Cs, i vecchi democristiani), gli elettori di Von der Leyen, che sono il pilastro e il dominus delle politiche comunitarie, guardano verso lo schieramento conservatore. La destra di Meloni, Ecr, Conservatori e Riformisti Europei, ha vinto le Europee, con 23 eurodeputati in più - i Popolari seguono, con più 13 deputati. 
Sul green deal il ritiro un anno fa di Frans Timmermans dall’incarico di responsabile per la Commissione Ue segnala la fine della transizione a oltranza, veloce, anticipata. Un passaggio che non andava bene all’Italia, ma anche all’industria tedesca, e per questo è già caduto di fatto.
Sull’immigrazione basti ricordare che, a differenza della sua prima candidatura, nel 2019, Ursula von der Leyen non si è presentata a giugno come la madre di sette figli che nel 2015 ha accolto in casa il suo rifugiato sirano, come chiedeva Merkel (semrpe furba: meglio avere immigrati sirani, più coltivati e meglio assmilabili, che bande di ventura). E in campagna elettorale ha già detto che la questione immigrazione sarà all’ordine del giorno a Bruxelles.

La favola della fortuna, cornuta

La scrittura sempre accesa, con l’uso pregnante di un vocabolario spesso locale, dialettale – ma significante. E il racconto legato ai personaggi – qui uno solo – che fanno seppuku davanti al lettore (comunemente si dice “si confessano”, di fatto si eviscerano, compiaciuti ma anche cattivi, non solo con gli altri), che sono la cifra di Strati. Qui mostrano la sua vena sommersa, portante: l’affabulazione.
Strati è uno scrittore favolistico, applicato alla cosiddetta nuda realtà, cioè faticata, dura – non povera, che c’entra, fa obiettare qui al suo indiavolato “diavolaro”, non ci possono essere persone che muoiono di fame (“ci sono erbe, ci sono olive, avete la testa”). Favolistica l’infanzia del futuro “diavolaro” - il grande imprenditore, direbbe il linguaggio del mercato, il manager di se stesso, che soprattutto perde le occasioni, ma poi rimedia. Favolistica la remotezza dei villaggi sul mare, con la strada, la ferrovia, e uno perfino con l’ospedale – siamo in Calabria, si sa ma non si dice. Favolistici i villaggi interni, senza la “rotabile” e senza nemeno case, giusto tuguri. Favolistici i “mastri”, lo scalpellino, il mutarore, con i quali il “diavolaro” bambino è cresciuto. Favolistico il massaro, il pastore, ricco più di ogni altro – come lo erano i “pastori” del paese di C.Alvaro (compresa la famiglia dell’altera madre) – e ingegnoso, generoso, duro, su cui il “diavolaro” si modellerà.
Favolistica la “greciomagna”, ancora più derelitta – l’area grecanica che ora, con i fondi Ue, si è ripittata. “Fra gli ejeni”, elleni, “che parlano un’altra lingua”: “Non c’era medico a Zeusia (forse Samo, forse Africo, n.d.r.), e non c’era farmacia e non c’era la carrabile. La gente viveva in delle tane fetide, buie, e le strade facevano da fogna. Nei giorni di sole, specie d’estate, non si respirava dalla puzza, e le mosche e gl’insetti erano a nuvole e i bambini correvano nudi, giocavano nudi sulle due piazzuole polverose e non esisteva una sola donna che portasse le scarpe” – e si è dimenticato dei porci che grugolavano liberi, come le galline, con gli escrementi, le pecore, le capre, ma si è ricordato che “si nutrivano di castagne e di polenta”. Ma le parole, e il ritmo sono tali che non si disprezza né si va sul “sociale”. Semplicemente, si rivive un’altra realtà – la stessa, si può testimoniare, che perdurava ancora negli anni 1950, e 1960. Straordinaria è la narrativa, in questo racconto che si vuole minore ed è trascurato, di un mondo così vicino e così remoto, gli ambienti, gli usi, i linguaggi. Profuso e anche ripetitivo, attorno alla verghiana roba, ma con effetto di trasfigurazione, come vuole la favolistica, invece della semplice descrizione/denuncia naturalista o verista - il leitmotiv deve essere esposto, come un suono ritmato di campana, per quanto monotono. 

L‘editore vuole il romanzo “un incentivo alla rivisitazione della memoria”. Sì, e anche eccellente, molto formativo. Ma “nella convinzione, tutta di Strati, che il suo Sud debba imparare a cambiare, a partire dall’antica divaricazione tra chi resta e chi se ne va”. No, questo in Strati non c’è. Lui è uno che se ne è andato, anche molto lontano, senza staccarsi dalla sua terra, dal vissuto – è perfino morto, dimenticato e forse indigente, a Scandicci, sobborgo di Firenze, mentre al Paese pensavano al monumento (ora, per il centenario della nascita, discutono se spendere in convegni 250 mila euro oppure mezzo milione – mai nessun autore ha potuto contare su un simile investimento, seppure postumo). Soprattutto, in Strati non c’è sociologia, non ce’è polemica - lui è uno che, come diceva, mangiava comunista, ma non lo faceva pesare. Il diavolaro è uno che si è fatto da sé, lontano da casa, a differenza del massaro ricco, il suo maestro, ma non è di questo che dovrà soffrire. Prima della Lega c’era per il Sud un problema in meno, si soffriva come ogni altro.
La lettura favolosa del “reale” è la chiave che aveva sorpreso Giacomo Debenedetti, nel tempo in cui insegnava a Messina, quando Strati, suo allievo, su suggerimento di Walter Pedullà, compagno di studi, gli sottopose i primi racconti. Era il 1953. Debenedetti ne organizzò l’immediato debutto, e poi lo segui per molti anni. Introducendo lo scrittore, che di sé faticava a non pensarsi come un “franco narratore”, nelle riviste e gli ambient letterari più coltivati, “Paragone”, “Il Ponte”, e i premi importanti.  
Saverio Strati, Il diavolaro, Rubbettino, pp. 209 € 19
 

lunedì 12 agosto 2024

Letture - 555

letterautore


Capelli - L’antropologa Ida Magli li vuole – quelli femminili – “quella parte del corpo che partecipa in modo determinante ai significati positivi e negativi della trascendenza” (“Dopo l’Occidente”, p. 120). Poi non delucida il mistero. Ma nei primi tempi del khomeinismo, mentre l’Iran era in guerra con l’Iraq, si ricorda il presidente iraniano Bani Sadr, un economista di formazione, concionare alla televisione per un lungo pomeriggio (tre ore?) sulla capigliatura femminile, perché va coperta con il velo.

 
Editoria –“«L’arte della gioia», di Goliarda Sapienza, pubblicato postumo nel 1998 (22 anni dopo la stesura), venne stampato in un migliaio di copie, a proprie spese, dal marito di Goliarda, Angelo Pellegrino, per Stampa Alternativa. Solo dopo il successo raggiunto all’estero – in Francia, Germania e Spagna – venne rivalutato anche in Italia” – “7”.
 
Gesù romano – È una delle riflessioni fulminanti dell’antropologa Ida Magli in ”Dopo l’Occidente” – il suo epicedio all’antropologia e all’Italia (da destra dopo una vita vissuta a sinistra, tra femminismo e rinnovamento della chiesa). Partendo a ritroso dal passaggio di Pietro, e di Paolo, a Roma: Pietro non era uno capace di trasferirsi a Roma se Gesù non ce lo aveva indirizzato: “Le decisioni che sono state prese subito dopo la morte di Gesù dovevano essere state per forza ideate, programmate e spiegate ai discepoli da lui…Non può essere stato altri che lui a dire che bisognava trasferirsi nel mondo romano per avere un ambiente di libertà dal sacro adatto al suo messaggio”. E così via, per alcune pagine: “I primi passi concreti nell’organizzare il messaggio di Gesù come una religione sono stati compiuti in funzione del mondo romano” O: “La presenza dei tratti culturali romani nelle parole e nel comportamento di Gesù sono evidenti”. Con molte deduzioni. La lingua franca era il greco, anche in Palestina, e fra gli stessi Romani “delle classi alte”, ragione per cui i Vangeli, “anche se forse sono stati scritti in aramaico, sono stati però trascritti e diffusi in greco”. Ma, allora, “perché il cristianesimo ha scelto fin dall’inizio come propria lingua ufficiale il latino?”
E così via, i Romani hanno lascito Gesù predicare per tre anni benché creasse disordini – e anche all’ultimo non lo volevano giustiziare.
Senza un’indicazione precisa di Gesù, i discepoli mai e poi mai avrebbero potuto pensare a Roma: “Come potevano pensare che i Romani, gente pagana, considerata con enorme disprezzo dagli Ebrei, fossero adatti, disponibili a una religione proveniente comunque dagli Ebrei, popolo di pastori molto pieno di sé ma di livello poco più che primitivo, considerati meno che nulla nel vastissimo Impero?”.    
 
Giallo – Nel Mediterraneo è sbarcato tardi. A  lungo è stato di nicchia, un “sottogenere”, o genere di genere, per un pubblico fisso ma ridotto, “cultori della materia”, quello dei Gialli Mondadori. Con titoli tutti o quasi anglo-americani – Scerbanenco è stato riconosciuto tardi, nei tardi anni 1970, e a opera dei francesi. Dello Scerbanenco greco, Ghiannis Maris, pseudonimo del giornalista Ghiannis Tsirimokos, vissuto a cavaliere della guerra, 1916-1979, si legge: ha scritto “oltre 40 romanzi brevi, che all’epoca non ottennero il successo che avrebbero meritato ma che sono diventati negli anni dei classici del giallo”. È curioso, ma è arrivato tardi anche in Spagna: Montalbàn dilaga nei tardi anni 1970.
 
Nudismo – È diffuso in letteratura? “Virginia (Woolf) amava stare in acqua”, dove finirà: “Non è tutto. Amava immergersi senza vestiti  (non era la sola, accadeva a molti, per esempio a Colette, Goethe, London)”: così Valentina Fortichiari, “appassionata di nuoto e letteratura” (autrice di “Lezione di nuoto. Colette e Bertrand, estate 1920” e “Il mare non aspetta”), Non sono i soli: “Anche l’austero Bertrand Russell  aveva l’abitudine di immergersi”, anche senza costume.
“Austero” Bertrand Russell non si direbbe, ma è vero che almeno una volta usci dal fiume nudo, racconta nell’autobiografia, per trovarsi di fronti “chi se non il primo ministro”, Asquith? – “mi rivestii più in fretta che potei, mentre lui conversava amabilmente. E quella fu l’ultima volta che ebbi dei rapporti pacifici e cordiali con Mr. Asquith”.
Si tuffava anche Byron, “nella riserva naturale di Byron’s Pond, ancora oggi famosa”, ma non sappiamo se nudo.
Goethe preferiva il bagno di notte.
Katherine Mansfield non praticava il nuoto nuda, attesta Fortichiari, ma lo esercitava in ogni condizione. Almeno una volta anche a pagamento: “A Londra, controfigura per un film americano, si era tuffata nel Tamigi dal Battersea Bridge. L’avevano raccolta ammaccata e infreddolita, ma aveva rifiutato l’abbraccio del grande panno di spugna”, ed “era corsa, affannata, a cambiarsi”. Quindi aceveva il costume.
                     
Occidente - C’è anche Harold Bloom nella lunga schiera di teorici del “tramonto dell’Occidente”, dopo Spengler, Musil e l’empiriocriticismo o concezione negativa della metafisica del circolo di Vienna. Gli Stati Uniti, in “La religione americana. L’avvento della nazione postcristiana”, l’opera appena precedente “Il canone americano” che ne avrebbe fondato l’autorevolezza, definisce “terra dell’imbrunire”.
 
Ucraina - “Nel 1954 (un anno, dunque, dopo la morte di Stalin, avvenuta il 3 marzo 1953) per celebrare il terzo centenario dell’unione dell’Ucraina con la Russia, le è stata ceduta la Crimea, in cui la popolazione è russa all’80 per cento” – Ida Magli, “Dopo l’Occidente”, 2012, p. 196.
 
Usa – “Lo spirito della Conquista non ha mai abbandonato gli Americani. È la forza che, insieme all’affidamento mistico (il misticismo è un carattere primario che non sempre dipende dalla fede in una religione), ne sottende l’omogeneità nazionale, malgrado le innumerevoli differenze razziali, linguistiche etniche degli oltre trecento milioni di cittadini che la compongono”, Ida Magli, “Dopo l’Occidente”, pp. 154-155.
Per “spirito della Conquista” l’antropologa intende “l’«improntitudine» con la quale si sentono chiamati a mettere ordine nel mondo, con le buone o (anche più spesso) con le cattive”.
In contraddizione, si può aggiungere, benché istituzionalmente molto “romani”, con i Senati, i Campidogli, le aquile, etc, col precetto che Magli richiamava in precedenza (p. 136), “esposto chiaramente da Cesare nel «De bello gallico» e al quale si sono sempre attenuti, che per condurre bene qualsiasi guerra bisogna prima studiare i costumi e la mentalità del popolo da combattere”.
 
Verginità – “La prima istituzione stabilita dai suoi fondatori nell’organizzare la Chiesa è stata la «consacrazione delle vergini» (definita in questo modo in tutti gli atti ufficiali e nel rituale apposito” –Ida Magli, antropologa cattolica, in “Dopo l’Occidente”, p. 110. Impantanando la chiesa nel terreno scivoloso della sessualità. E “una scelta, però, inventata con grandissimo entusiasmo dai maschi”.   


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Il mercato del debito – o la ricchezza di carta

McKinsey Global Institute calcola che dal 2000, pur con sfasamenti temporali tra i vari paesi, il valore netto dei patrimoni, dei beni mobili e immobili e dei debiti sono crecsiuti all’interno dei paesi del G 7 più del pil. Mentre la produttività rallentava, passando dall’1,8 per cento annuo del ventennio 1980-2000 allo 0,8 fra il 2000 e il 2018.
Tra il 2000 e il 2021, secondo la ricerca, la crescita più elevata dei prezzi dei beni mobili e immobili rispetto al pil ha creato 160 trilioni (migliaia di miliardi) di “ricchezza di carta”. Per ogni dollaro d investimento netto sono stati creati 1,90 di debito netto, quasi il dopio,
Il “bilancio patrimoniale globale” nei venti anni si è quadruplicato. Il valore degli immobili si è gonfiato a 810 trilioni. Quello dei beni finanziari esterni al settore finanziario a 520 trilioni. Quello intero al settore di 500 trilioni.

Gli Usa avanti coi debiti e coi migranti

Negli ultimi cinque anni, da fine 2019 a inizio 2024, l’economia americana è cresciuta in termini reali dell’8 per cento. L’Eurozona del 3. Il Giappone dell’1 – la Gran Bretagna è rimasta ferma.
È l’effetto di un “diluvio” di sussidi publici, contributi, incentivi, piani multimiliardari di spesa pubblica per investimenti. Nel solo biennio 2020-2021 il deficit pubblico è ammontato al 14 per cento del pil Usa – nell’Eurozona del 6 per cento.
Una ulteriore spinta è venuta dal lavoro immigrato. Nei cinque anni il mercato del lavoro è cresciuto del 4 per cento, a 158 milioni di lavoratori. Un incremento dovuto principalmente all’immigrazione: i lavoratori nati all’estero sono cresciuti nel quadriennio di oltre 4 milioni – del 16 per cento rispetto al totale dei lavoratori nati all’estero in attività nel 2019.

Un Sud iperattivo, attorno alla Madonna

Una delle tante storie locali (la microstoria non è nata con Le Ry Ladurie e Carlo Ginzburg), di ricercatori non storici di mestiere (Raffaele è medico oculista), della vecchia cultura notabilare, ma piena di tagli sorprendenti, per qualche verso “narrativi”, evocativi. Arricchita da una  documentazione notevolissima di immagini: santini, cartoline, foto d’epoca, e riproduzioni di documenti, cartacei o marmorei, testimoniali.
Delianuova è un paese detto di montagna, anche se a soli 600 metri di altitudine. Ma è il paese più elevato dell’Aspromonte, e a lungo anche il più isolato, arduo da raggiungere. Rifugio quindi nei secoli, nelle sue due parti costitutive, i paesi storici di Pedavoli e di Paracorio, di persone di ogni ceto, e anche allogene, benché cristianizzate, di saraceni sperduti e famiglie ebree.
La ricerca di Raffaele Leuzzi, in tutti gli archivi disponibili, soprattutto quello diocesano, di Oppido Mamertina, ha un oggetto delimitatissimo: l’introduzione e lo sviluppo del culto della Madonna Assunta in una delle due componenti di Delianuova, il paese storico di Paracorio. Si parte quindi dalla magnogreca Bova, di cui Paracorio è stato rifugio da scorrerie saracene e colonia, dalle Persephoni bovesi, e si arriva a Maria Assunta in cielo, tra vari terremoti, a partire dal Cinquecento. Il culto vero e proprio si precisa dopo il grande terremoto del 1783, nel quadro della devozione mariana diffusa in tutta la Calabria bizantina, da Tiriolo in giù.
Molte naturalmente le curiosità. Ma due significative, dovendo ambientare la microstoria nel quadro del Sud, del ritardo o isolamento del Sud. Una frazione minuscola dell’abitato, Cozzapodine, tanto minuscola che poi è scpmparsa, aveva  nel secondo Cinquecento una confraternita del SS.mo Sacramento aggregata alla Confraternita del Corpo di Cristo di Santa Maria sopra Minerva, al centro di Roma, con notula di Alessandro Farnese, il nipote di Paolo III cardinale e vescovo di Tuscolo. Mentre la notevolissima variazione di nomi e di famiglie nella storia dell’Assunta nel piccolo paese ne testimonia, nel Sette-Ottocento, una composizione sociale si direbbe proto-borghese, senza i feudalesimi rituali, le servitù, gli sfruttamenti della storiografia aulica - un po’ stanca, ripetitiva?
Una terza curiosità notevole, a proposito di storiografie d’obbligo o ufficiali, emerge dalla ricerca di Raffaele: l’estrema povertà dei parroci di Paracorio nei secoli, benché il paese fosse relativamente ricco, di acque e quindi di orti, e di castagneti, faggete, uliveti. Con “benefici” che non rendevano nulla. La storia della manomorta ecclesiastica va rifatta.
Raffaele Leuzzi, La chiesa e il culto di Maria SS.ma Assunta a Delianuova, Nuove Edizioni Barbaro, pp. 224, ill. € 12

domenica 11 agosto 2024

Ombre - 732

Pagina trionfale del “Sole 24 Ore” per i fondi d’investimento: rendimenti mirabolanti da inizio d’anno. JPMorgan, per es., svetta, più 8,8 per cento. O Morgan Stanley, più 6 per cento. Senza dire che sono ancora sotto la parità. Non solo non c’è protezione ma non c’è più rispetto per il risparmio,   se ne fa ludibrio, la banca ìnefficiente e forse incaace, è divinità assoluta.
 
Tamberi non è il solo, o la pugile che ha abbandonato contro Khelif: migliaia, milioni di atleti lavorano quattro anni per gareggiare all’Olimpiade. Per questo delude e deprime il Cio di quest’anno, il Comitato Olimpico, pieno di ladri – altrimenti sarebbero stupidi.
Naturalmente non è così, ma è quello che è avvenuto e ognuno è visto. Con l’allenatrice delle ginnaste che va a spiegare alla giuria, con la solita rumena, come va letto un esercizio. O gli errori-non errori nella scherma, nella pallanuoto. O il nuoto nella Senna, per bloccare i velocisti (italiani).
 
L’errore arbitrale ci può stare, ma non al modo di Italia-Ungheria di pallanuoto: triplice in un colpo solo, e scorretto (gli arbitri dicono di basarsi sulle immagini video, mentre le immagini li smentiscono). E allora? C’è corruzione all’Olimpiade, nella pallanuoto come nella scherma, nel pugilato e ovunque il risultato dipenda dai giudici. Arbitri rumeni? montenegrini?
 
Fa senso anche il presidente del Coni Malagò, che sempre fa o dice la cosa sbagliata. Non fa i  complimenti ai pallanotisti, al ventenne Codemi, ma li rimprovera in nome del Cio. Come aveva fatto per il fiorettista Macchi, con i serafici orientali che confucianamente hanno fatto vincere il cinese. Dovrà lasciare il,Conio e aspira al Cio? O semplicemente non capisce?
 
Poniamo che Hamas avesse l’aviazione e bombardasse una scuola, o un ospedale, dicendo che nascondeva un ministro israeliano, avremmo obiettato? Si. Israele lo fa normalmente, cambia qualcosa? Senza dirci quanti e quali capi nemici ha ucciso in questi raid. Mentre vanta di avere ucciso in questa guerra “330 militanti di Hezbollah”, con l’intelligenza artificiale.
Ma un problema sicuramente c’è, con Israele: è l’esercito che rivendica le rappresaglie, parola terribile, non i servizi segreti o speciali, l’esercito dei coscritti.
 
“Per ammazzare a gennaio Saleh Arouri, uno dei vicecapi di Hamas ospite a Beirut sotto la protezione di Hezbollah, il missile è entrato nella sua finestra senza fare altri danni”, Andrea Nicastro, “Corriere della sera”. Perbacco, un missile come una cerbottana - solo “intelligente”? “artificiale”? È così difficile immaginare un missile, che arriva di corsa ed esplode?
Dice: Israele non ha colpa dei giornalisti. Vero. Però li pasce.
 
Scandalo della ginnastica femminile, la maestra Mancinelli sadica, bimbe frustrate, famiglie all’attacco.  Questo qualche mese fa. Poi le ginnaste di Mancineli vanno a Parigi e vincono – una volta perfino contro Simone Biles, l’invitta – comunque sorridenti. La realtà è diventata social: la violenza verbale (avvocatesca) fa aggio sulla realtà, gli indifesi non sono più i deboli, o i perseguitati, sono “i meritevoli”, la legge è dell’invidia.
 
Procuratore della Repubblica Italiana per una vita, Pignatone è da qualche tempo il giudice del papa, in Vaticano. Esemplarmente severo nell’unico caso, probabilmente, su cui si è pronunciato, contro il cardinale Becciu. Non per colpe specifiche del porporato ma per una conduzione non esemplare (profittevole) degli affari. E se il giudice che si troverà a Caltanissetta fosse uno come lui?
 
Singolare condanna della pugile che ha abbandonato il match contro Khelif di Laura Boldrini e Salis padre (un’altra saga di “parenti” sanguisughe?). Non per le giuste considerazioni in materia di sesso dell’avversaria, ma per la “ paura” della sfidante italiana. La mancanza di coraggio si direbbe argomento di destra.
Singolare anche il dibattito sul rifiuto di Khelif da parte della federazione pugilistica mondiale come ispirato da Putin: guerra “totale” ai russi, anche sul ring?

Lucia, o la follia dei Joyce

Perché la chiave di “Finnegans Wake” non sarebbe Lucia? Lucia Joyce era psicotica, con James parlavano in una lingua chiusa a loro due. Lo dice Carson McCullers, che di mondi proibiti se n’intende. All’interramento di James Lucia dice: “Ora è sepolto nella terra, e sente tutto quello che si dice. Furbo, no?” Senza ombra d’incesto, è l’amore filiale, una forma di esclusione, e in questo caso un dolore, non un desiderio proibito.
Guarnieri ricostruisce la vicenda, il genio e le vicssitudini, della figlia di Joyce amatissima.  Nata a Trieste, come il fratello maggiore Giorgio, che il padre volle italiani, di nome e di lingua. Di cui si ricorda poco: che fu per due terzi della vita in mancomio, per segni di malessere psichico evidenti. In realtà internata da Giorgio, pur amatissimo – mentre la memoria, non simpatetica, è stata ricostruita dal nipote Stephen, il figlio di Giorgio.Il padre James, che la vezzeggiava, se ne occupò sempre, ma non con decisione.
Qualche anno fa, sul sito, nella rubrica “Il mondo com’è”, astolfo ha dedicato a Lucia Anna Joyce una estesa trattazione:
Lucia Anna Joyce – La figlia amatissima di Joyce, finita in manicomio, per quasi cinquant’anni, vittima evidente di un conflitto madre-figlia, tenuta ai margini della storia e della critica joyciana (il Joyce Museum di Trieste le dedica una didascalia, imprecisa), si rivaluta da qualche tempo come artista dotata, per il disegno e il balletto, e ispiratrice di vasti passaggi di “Finnegans Wake”, se non dell’intera opera. Era stata a scuola, e scriveva, in italiano, e a Parigi e Londra, dove visse da adulta, con la famiglia e con Harriett Weawer, padroneggiava ugualmente il francese e l’inglese. Finora è stata presente, marginalmente, al meglio (Natalia Aspesi) come “l’ennesima donna il cui talento, all’ ombra di un uomo, si è persa nella follia: come Zelda Fitzgerald, come Vivien Eliot, come Sylvia Plath”, un punto interrogativo. 
Vari episodi di stranezze, almeno per come sono state raccontate al biografo di Joyce Ellmann dal fratello Giorgio e dal nipote Stephen, figlio di Giorgio, molto prevenuti, culminarono nel ricovero definitivo di Lucia il giorno del cinquantesimo compleanno del padre, che amava festeggiarlo con solennità. Il 2 febbraio 1932 – a seguito evidentemente di una lite, l’ennesima, ma questo Ellmann non lo dice - Lucia scagliò una sedia contro la madre. Il fratello la fece ricoverare in “sanatorio” (manicomio). Aveva venticinque anni e vi resterà fino alla morte, di 75 anni, a Northampton nel 1982, dopo aver cambiato due o tre “sanatori”. Con brevi intervalli nei primi anni, a iniziativa del padre, che la portò a fare esaminare da vari luminari per mezza Europa, compreso Jung – la tenne in osservazione per alcune settimane e la dichiarò ingovernabile.
Lucia Anna era nata a Trieste, all’Ospedale Civico, nella corsia dei poveri. James Joyce stentava a guadagnarsi la vita come insegnante alla Berlitz e in lezioni private. Conviveva con Nora, giovane cameriera conosciuta a Dublino, che non aveva voluto sposare, e dalla quale aveva già avuto un figlio, Giorgio. Era il 26 luglio del 1907: Lucia fu dalla nascita una figlia non amata dalla madre, che durante la gravidanza e dopo continuò ad allattare il primogenito Giorgio. I Joyce vivranno a lungo in alloggi modesti. Lucia crescerà col fratello, praticamente nello stesso letto, “come due porcellini in una stalla”, è stato scritto da una frequentatrice dei Joyce, la madre non volendo separarsi la notte dal padre. “Lucia ha avuto molte storie d’amore, anche col fratello”, scriverà una sua tarda amica, Hélène Vanel, maestra di ballo. 
Nel settembre 1913 venne iscritta alla Scuola Parini, vicino alla Barriera Vecchia, che frequentò per due anni. Quando i Joyce ritornarono a Trieste nel 1919, frequentò per un anno una scuola femminile evangelica in via S. Giorgio. L’italiano, lingua con la quale corrispondeva col padre, preferirà sempre al francese e all’inglese.
“Richard Ellmann, il biografo di Joyce, di parte, lavorando d’intesa con Giorgio e Stephen, ostili a Lucia, annota che “le stranezze di comportamento” di Lucia emersero nel 1929, quando il fratello Giorgio si fidanzò con Helen Kastor Fleischman. Prima “ai ricevimenti era allegra e loquace”, scrive il biografo autorizzato, “e talvolta imitava Charlie Chaplin con i pantaloni cadenti e il bastoncino”. Charlot e Napoleone erano i suoi personaggi preferiti, ai quali aveva dedicato ai diciassette anni un articolo che una rivista belga, “Le Disque Vert”, aveva pubblicato, con una breve nota di Valéry Larbaud. Aveva studiato piano per tre anni, a Zurigo e Trieste, canto a Parigi e Salisburgo, disegno a Parigi, alla Académie Julian. A Parigi soprattutto aveva studiato danza – “con un impegno che eguagliava quello paterno”, deve dire Ellmann, “aveva studiato sei ore al giorno, dal 1926 circa al 1929”.
I primi anni di vita di Lucia, fra Trieste e Zurigo, furono segnati dall’instabilità: numerosi i traslochi, frequenti i trasferimenti da un istituto scolastico a un altro (a Zurigo durante la guerra deve ricominciare daccapo a scuola, in tedesco, a Parigi nel 1920 deve ricominciare col francese), con continui cambiamenti di ambienti, amici e lingua. A Zurigo cominciò a studiare danza, secondo i metodi del ginevrino Institut Jacques-Dalcroze. Nel 1920 la famiglia si trasferì a Parigi e nel 1922 Lucia riprese la danza alla scuola di Raymond Duncan, fratello di Isadora, un personaggio, pacifista, vegetariano, capelli lunghi sulle spalle, sandali ai piedi, tunica. Poi con madame Egorova – Liubov Nikolaievna, ex Balletti Russi. Seguitò con Jean-Borlin (svedese), Madika (ungherese), e con vari maestri: Lois Hutton e Hélène Vanel (ritmo e colore); Margaret Morris (danza moderna), oltre a Raymond Duncan. “Come danzatrice”, ammette Ellmann, “Lucia, alta, snella e aggraziata, aveva raggiunto uno stile assai personale”. Ha sicuramente preso parte a un film di Renoir, “La piccola fiammiferaia”.
Varie esibizioni sue sono state registrate. Alla Comédie des Champs-Elysées in tre riprese: il 20 novembre 1926 nel “Ballet Faunesque” di Lois Hutton, il 19 febbraio 1927 in “Vignes sauvages”, il 18 febbraio 1928 in “Le Pont d’or”, un’operetta buffa musicata da Émile Fernandez. Con la stessa compagnia danzò anche a Bruxelles. Al Vieux Colombier aveva partecipato il 9 aprile 1928 al balletto “Prétresse  Primitive”. L’ultima esibizione, il 28 maggio 1929, al Bal Bullier, fu un trionfo: fu classificata seconda, ma James scrisse agli amici che la sala era impazzita per lei (citando da un giornale, vero o inventato che fosse: “Un giorno il nome di James Joyce verrà ricordato solo in quanto padre di un’incredibile danzatrice”). Spopolò, se è vero quello che il padre scrisse, in abito da lei disegnato e in una coreografia da sirena - una delle foto che lo testimoniano e ora vagano per i social è stata ritrovata tra le carte di Samuel Beckett, sessant’anni dopo.
A Parigi avrebbe avuto una cotta per Beckett, allora giovane e bello, che frequentava casa per conversare col padre (non spesso, Beckett si alzava al più presto dopopranzo) – Beckett lo avrebbe confidato a Peggy Guggenheim, sua compagna per un breve periodo nel 1937, subito dopo l’internamento di Lucia. Wikipedia dice che “lo stretto rapporto fra Beckett, Joyce e la sua famiglia si raffredda quando respinge la figlia di Joyce, Lucia, che soffriva di schizofrenia”, ma la cosa non è attestata in nessun luogo. Di Lucia dopo l’internamento il poco loquace Beckett ha invece scritto a un corrispondente: “Non è pazza, ha solo accumulato troppa tristezza”.
Altre infatuazioni la sua unica biografa, Carol Loeb Shloss, studiosa di letteratura angloamericana (nota per gli studi su Flannery O’Connor), le attribuisce per Alexander Calder, per
Altre infatuazioni la sua unica biografa, Carol Loeb Shloss, studiosa di letteratura angloamericana (nota per gli studi su Flannery O’Connor), le attribuisce per Alexander Calder, per un Émile Fernandez, “poeta surrealista” (in realtà il musicista di “Le pont d’or), per l’insegnante di russo di Joyce, Alexander Ponisovsky, con cui si sarebbe fidanzata, prima che lui le preferisse la ricca Hazel Guggenheim, sorella di Peggy, e per una donna, Lyrsine Moschlos (si vede in una foto online della National Portrait Gallery), lesbica, assistente di Sylvia Beach, della libreria Shakespeare&Company a Parigi, l’editrice coraggiosa dell’“Ulisse”.
Più che ai flirt, Lucia teneva all’attività di disegnatrice (vari suoi schizzi furono utilizzati dal padre per le sue pubblicazioni) e alla passione per la danza. Ai vent’anni aveva anche abbozzato un romanzo, in italiano. Morto Joyce nel 1941, nessuno più la cercherà: 
Più che ai flirt, Lucia teneva all’attività di disegnatrice (vari suoi schizzi furono utilizzati dal padre per le sue pubblicazioni) e alla passione per la danza. Ai vent’anni aveva anche abbozzato un romanzo, in italiano. Morto Joyce nel 1941, nessuno più la cercherà: gli zii Joyce, con i quali aveva avuto lunga confidenza, la madre, il fratello, il nipote Stephen, erede dei diritti. Seppe della morte del padre dai giornali. Gli studiosi di Joyce la trascurano anche loro volentieri, pur valutando solitamente con perspicuità il rapporto del padre con la madre, la ex cameriera d’albergo – che Joyce non volle mai sposare, malgrado le tante e insistenti pressioni familiari.
Il biografo di Joyce, Ellmann, si limita a elencare le stranezze di Lucia e i ricoveri – lui senza speciale infamia, tratta Lucia come ogni altro: ha lavorato con gli eredi, Giorgio e il figlio Stephen, e ne riflette i limiti (“si comunicò la morte del padre a Lucia, che non volle crederci”, eccetera).
Il biografo di Joyce, Ellmann, si limita a elencare le stranezze di Lucia e i ricoveri – lui senza speciale infamia, tratta Lucia come ogni altro: ha lavorato con gli eredi, Giorgio e il figlio Stephen, e ne riflette i limiti (“si comunicò la morte del padre a Lucia, che non volle crederci”, eccetera). Stephen Joyce, l’erede dei diritti, persona invisa a tutti i cultori della materia, figlio di Giorgio e della sua prima ricca e anziana moglie Helen Fleischman Kastor, in un congresso a Venezia nel 1988 ha annunciato con soddisfazione di aver distrutto tutte le lettere di Lucia in suo possesso e di aver convinto Beckett a fare lo stesso, per evitare “che occhietti rapaci e rapaci ditine se ne impossessino”. Distrutto – o forse solo occultato (le carte joyciane si cominciano solo ora a esplorare senza censure, morto Stephen e scaduti i diritti) – con tutte le carte di Lucia anche il romanzo abbozzato ai vent’anni.

Luigi Guarnieri, Il segreto di Lucia Joyce, La Nave di Teseo, pp. 192 € 19