astolfo
Barbizon – È il
sito della Francia che Robert L. Stevenson ha a lungo prediletto: i villaggi di
Barbizon e Greg-sur-Loing, e la vicina foresta di Fontainebleau, scrivendone
diffusamente in “Attraverso le pianure”, il suo classico del girovagare – del trekking si direbbe oggi, che un sentiero
è stato disegnato per gli amanti dello scrittore e dei boschi, chiamato col suo
nome. Un mondo di campagna vicino Parigi - il paese di Fontainebleau è a una
cinquantina di km dal centro della capitale (tema peraltro frequente, di molti
racconti e romanzi, e di passeggiate d’autore, romantiche o solitarie): “Lo charme di Fontainebleau è una cosa a parte. È un
posto che la gente ama anche più di quanto lo ammiri.”. O anche: “Il posto è
salutare (sanative), l’aria, la luce, i
profumi e le forme delle cose concordano in felice armonia.
Erano anche
posti scelti da colonie di artisti, soprattutto i pittori, per la possibilità che
offriva di lavorare a cielo aperto, allora molto apprezzata in pittura.
Soprattutto Barbizon che ospitò una “scuola” a suo nome, di una certa fortuna,
commerciale e di stima. Apprezzata in particolare per l’apprezzamento di
Stevenson. Che vi amava la vita di bohème, e a Barbizon fece la conoscenza
di Fanny van der Grift Osbourne, poi sua moglie. Vi si recava di preferenza col
cugino omonimo. Bob Stevenson e col comune amico Walter Simpson. Ci fu in vari
periodi, dal 1875al 1881 - ad aprile, in questo ultimo soggiorno, di ritorno da
Davos, dove aveva passato l’inverno per curare i polmoni. Ne scrisse
diffusamente, oltre che in “Attraverso le pianure”, sotto il titolo “Fontainebleau”,
anche nella raccolta “Eassays of Travel” (in it., in traduzione parziale, “Appunti
di viaggio in Francia e in Svizzera”), sotto il titolo “Forest Notes”. Ne fece
anche punto di riferimento di vari episodi narrativi, sicuramente “Il tesoro di
Franchard” (1881) e “Il relitto”, 1892.
La “scuola di Babizon, di
paesaggisti, attiva negli anni fra il 1830 e il 1880, annovera nomi affermati,
Corot, che non vi risiedeva ma amava venirci per lavorare en plein air, Théodore Rousseau, che ne era l’animatore, Millet – e
tanti altri: Daubigny, Diaz de la Pena, Palizzi.
Jacques
Santer – Lussemburghese, ministro e primo ministro del granducato, designato dal
partito Popolare nel quale militava – i democristiani europei – e
successivamente governatore della Banca Europea per la Ricostruzione e lo
Sviluppo (Bers) dei paesi dell’Est, ex comunisti, succedette al socialista
Jacques Delors a capo della Commissione Europea di Bruxelles a gennaio del
1995. Resta negli annali come il presidente della Commissione di Bruxelles che
si dovette dimettere, quattro anni dopo, per accuse di corruzione.
Fu nominato presidente della Commissione all’unanimità
dai governi Ue mentre si accingeva a un terzo mandato da primo ministro del
Lussemburgo, a opera di Berlusconi e del premier socialista spagnolo Felipe
Gonzalez, dopo lo stallo determinato dal rifiuto britannico di votare il belga
Dehaene, che allo scrutinio preliminare aveva ottenuto i maggiori consensi.
L’insediamento di Santer coincise con l’allargamento Ue a Svezia, Finlandia e
Austria. Santer avviò i negoziati per l’adesione alla Ue dei paesi esteuropei,
ma fu costretto alle dimissioni, a seguito di uno scandalo
che aveva colpito diverse amministrazioni della Commissione (gli succedette
Romano Prodi).
Le accuse furono gravi. Un audit indipendente sui
bilanci della Commissione Santer, di esperti contabili nominati dal Parlamento
europeo, accertò un buco di bilancio macroscopico, non denunciato. E una serie
di operazioni corruttive: “frode, cattiva gestione, nepotismo, favoritismi, contratti fittizi”. Sotto accusa
soprattutto Edith Cresson, ex primo ministro francese, commissaria alla
Ricerca.
Santer non fu coinvolto personalmente nello scandalo
– non ci fu un processo vero e proprio, fu uno scandalo politico. Ma la Commissione
di Bruxelles è articolata come la presidenza del consiglio italiana: se un
ministro non si dimette, anche se colpevole di reati, il presidente del
consiglio non ha il potere di rimuoverlo, per rimuoverlo deve dimettersi con
tutto il governo. Nel 1995, visto il rifiuto dei commissari accusati di dimettersi,
e l’impossibilità per il presidente della Commissione di rimuoverli, Santer si
dimise con tutta la Commissione.
Il Parlamento, che aveva promosso il controllo
contabile, aveva anche promosso e votato una mozione “di censura”, che, se approvata
con due terzi del voto, avrebbe imposto la decadenza della Commissione – la censura
passò a maggioranza semplice. Si convocò allora una commissione d’inchiesta.
Che rapidamente chiuse i lavori scrivendo: “Non una sola persona nella
commissione Santer ha dimostrato di essere affidabile”. Ne facevano parte,
indicati da Berlusconi, Mario Monti e Emma Bonino.
Cresson aveva incautamente provocato l’audit iniziale,
querelando il quotidiano francese “Libération”, che l’aveva accusata di corruzione per la nomina
di un dentista parigino, Philippe Berthelot, “visitatore scientifico” a
Bruxelles. Cresson, socialista, ministro in vari governi e per un anno primo
ministro sotto Mitterrand, fu famosa per avere adottato come macchina ufficiale
una Lancia, la “Thema” – regalo personale, dell’Avvocato Agnelli? Poi, nello scandalo, emerse che Berthelot era il suo amante.
Stati
Uniti-Hitler – Le aziende americane in Germania hanno continuato a
produrre e vendere anche durane la guerra. Ford e General Motors perfino con la
fornitura di mezzi pesanti e cingolati alla Wehrmacht, l’esercito tedesco. Fino ai motori per il il nuovo caccia Me-262,
il primo con propulsione a reazione. Esso e Texaco con la fornitura dapprima di
petrolio e poi con la produzione di
benzina sintetica. Sono i casi maggiori di continuità industriale malgrado la
guerra, a un certo punto dichiarata, fra Stati Uniti e Germania.
Dopo la guerra si è discusso a Washington se
processare per tradimento le aziende coinvolte, per l’attività delle loro
consociate estere. Ma non se ne è fatto nulla – eccetto qualche blanda multa.
Jacques Pauwels, lo storico belga-canadese specialista del Terzo Reich, ha scritto molto sulla presenza e l’attività delle multinazionali americane nella
Germania di Hitler. Allargando la ricostruzione ai grandi gruppi chimici, Du
Pont, Union Carbide. E a General Electric, Itt, Ibm e Westinghouse, che
collaborarono agli avvisatori radar di incursioni aeree, e a sistemi radio ad
alta frequenza - così come alle incursioni aeree tedesche su Londra il primo
anno di guerra, con componenti per le bombe-razzo.
Più nota la collaborazione finanziaria, delle grandi
banche, inglesi oltre che americane, con Berlino. Soprattutto quando al Tesoro
era Hjalmar Schacht, l’ex presidente della Bundesbank “salvatore del marco”.
astolfo@antiit.eu