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sabato 7 settembre 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (570)

Giuseppe Leuzzi
“I risarcimenti per l’alluvione: bocciate 8 domande su 10”. Dove, in Sicilia, in Campania? In Emilia-Romagna. Naturalmente, è un complotto del governo.
 
Che un vice-Procuratore Nazionale Antimafia venga arrestato per avere fatto commercio di informazioni riservate, carpite peraltro dolosamente (non è sta arrestato ma il giudice che lo ha lasciato a piede libero dice che il reato lo ha commesso), avrebbe dell’incredibile – giusto la trama di un romanzo giallo. Ma non lo è nell’antimafia, che è, anzitutto e soprattutto, carrierismo – con assegno adeguato più pensione. E affarismo – i beni di cui si può disporre, per amici e parenti, solo ipotizzando, senza provarlo, un concorso esterno in associazione mafiosa.  
Che invenzione, povero Falcone – un altro insulto alla memoria.
 
Sudismi\sadismi – mafia vincit omnia
Achille, l’Achille eroe dell’“Iliade”, è un mafioso nel “Troilo e Cressida” di Shakespeare? È uno che fa ammazzare i nemici dagli sgherri, e vuole che si sappia. Uccide Ettore a tradimento. Anzi, da capo mafioso, lo fa uccidere: lo fa inseguire al ritorno a casa, e mentre si spoglia delle armi, lo fa attaccare a tradimento. Dopodiché incita i killer: “Avanti, Mirmidoni, gridate a tutti a gran voce: «Achille ha ucciso il potente Ettore»”.
Bene, Shakespeare l’ha scritto. L’anglista Boitani, specialista anche di Omero, fa per questo di Shakespeare (“L’epica classica chiusa dal Bardo” “Domenica-Sole 24 Ore” 25 agosto) il “moderno perfetto”. Dopo aver osservato dubitativo: “Forse la vera guerra si fa così, facendo attaccare il nemico disarmato in questo modo”, cioè a tradimento.
E così anche il moderno è mafioso. E “la vera guerra”. E Shakespeare?
La mafia metro di ogni cosa, nazionale ormai, non più regionale, meridionale, è un altro segno della sciasciana “linea della palma” che sale? O di un’Italia cialtrona – pigra, sbadata, conformista, un gregge - che scende?
 
La mafia in curva – o il mafioso condannato in libertà
Non si capisce bene cosa è successo, ma un fatto è certo: un mafioso, uno ‘ndranghetista, che (forse) voleva uccidere il suo rivale al comando del business Curva Inter allo stadio di Milano, ma (forse) non sapeva sparare, è stato ucciso dal rivale a coltellate.
Le “curve” allo stadio sono un grande business? Tanto da ingenerare una guerra di mafia, i morti della curva Inter sono già due o tre? Che cosa si fa, o si faceva prima degli omicidi, per contrastarla? Ma anche dopo, la città, i giornali, la polizia, i giudici non sembrano preoccupati: c’è licenza di mafia in curva allo stadio? la mafia è piccola cosa?
Ma soprattutto il morto suscita perplessità. Nella ricostruzione dettagliata del “Fatto Quotidiano” l’assassinato era stato condannato in via definitiva nel 2019 a nove anni di carcere. Ma era in libertà, da alcuni anni, tanto da aggregarsi ai vertici che controllano la Curva Inter, in una città grande come Milano. Aveva scontato alcuni anni di carcere nelle more del processo? Probabile. Ma, dopo, poteva agire liberamente, anzi in attività e posti di rilievo, a Milano? La mafia è, prima di tutto, un problema dei Carabinieri, della forza pubblica. Una banda di ladri non verrebbe punita, e comunque controllata?
 
Niente Lep, vogliamo i Lup
“I Lep sono troppo poco”, lamenta “Il Quotidiano del Sud”: “Servono i Lup”.
I Lup? Non i livelli essenziali di prestazioni – per non morire, di fame, o di febbre - ma livelli uniformi. Falla come la vuoi, sempre è cocuzza, voleva il detto. Ma la fantasia non difetta, se c’è da chiedere – da fare è un po’ arduo.
È perfino incredibile la fame del Sud, sempre e solo, di elemosine. Coi Lep, lo spiegavamo qui qualche settimana fa, è difficile fare la guerra, i trasferimenti sono uguali per tutti, pro capite. Poi c’è chi ne fa tesoro, e chi invece se li divide, sotto il materasso, magari senza mettere su un mattone. Non è che Bressanone abbia più soldi per abitante per la sanità di Enna, ma quello (poco, è sempre poco nella sanità, poco nella scuola, eccetera) lo spende bene.
Il Sud non solo non si sa governare, con circoscritte eccezioni. Ama, o sa solo, sprecare. Soprattutto, fra le aree conosciute personalmente, in Calabria, che ha l’addizionale regionale più alta ma ha pure da dodici anni la sanità commissariata perché non sa fare i conti. Pur beneficiando, rispetto alle altre regioni, della quota minore di anziani bisognosi di assistenza. Ed è la regione che spende di più, pro capite e forse in assoluto, benché abbia una popolazione di soli due milioni, per spese sanitarie in trasferta, in altre regioni. Non ci sono ragionieri in grado di fare i conti? O in Sicilia: cosa non ha sprecato la Sicilia in settant’anni di Repubblica, quasi ottanta. Si gira per la Sicilia come per un paradiso: città, palazzi, giardini, chiese, mari, montagne. Ma, poi, manca l’acqua. Come manca l’acqua, la siccità? No, l’acqua c’è, ma si disperde e non si accumula: in settanta anni, ottanta, di Repubblica quanti miliardi non ha avuto la Sicilia per rifarsi il giardino degli arabo-berberi? Dagli anni 1980 in poi, almeno tre grandi piani idrici (non) sono stati realizzati – dopo aver speso un congruo numero di milioni. Non ci sono “amici” nel business idrico – si fa, non solo in Sicilia, quel che si può, cioè quello che gli “amici” sanno fare (sanno? Insomma, in qualche modo fanno)? Urgono nuove “specializzazioni” amichevoli.  
In un certo senso l’opposizione all’autonomia differenziata un fondamento ce l’ha. Come farà la Sicilia, o la Campania, che hanno le province più povere d’Italia – in Campania Caserta, a due passi da Napoli, la Terra di lavoro per un secolo celebrata – a organizzarsi? Magari a spendere i soldi europei più spesso intonsi per le aree disagiate – la Polonia è diventata più ricca del Sud con questi fondi in soli venti anni? Peggio la Calabria, che ha ingoiato milioni e miliardi di cui poco e niente si vede, non essendoci il lusso della grande storia - la provincia di Reggio specialmente, dove si gira tra favelhas, immondizia, case sghembe in attesa del terremoto, e rugginosi tondini di ferro, senza tetto (case per i senzatetto, sembra una freddura).
 
Cronache della differenza: Milano
Il boss di ‘ndrangheta che per impadronirsi della Curva Inter al Meazza sbaglia un colpo a bruciapelo contro il suo ex amico ora avversario, è una storia calabrese. Anche la seconda parte della storia, che vede il boss soccombere al coltello dell’avversario, un milanese: il mafioso non è uno da duello, è un vile – è uno che lavora per fregare chi lavora. Ma la storia è molto milanese nella “organizzazione” del tifo, i biglietti, il merchandising eccetera – il mafioso non è il primo morto della curva Inter. Questa è mafia, dura.
 
“La premier e Tajani hanno preso più voti di Macron e Scholz, a Roma un ruolo forte”: è chiaro Manfred Weber, il presidente dei Popolari europei, intervistato da Guerzoni sul “Corriere della sera”. I Popolari guardano a destra, i problemi in corso si risolvono lì, per evitare lo slittamento dell’elettorato all’estrema destra. Ma lo stesso giornale continua a presentare l’Italia – non Meloni, l’Italia – come l’eterna elemosinante. Curiosa postura, elogiare Meloni e diminuire l’Italia. Curiosa Milano.
 
È curioso anche che lo stesso giornale, e probabilmente la città, di cui il giornale riflette gli umori, ora che Salvini è al 4 per cento, il suo vero elettorato, lo snobbi, anzi lo tratti da ragazzotto, demente. Ma fu Milano a intronare Bossi, quando ancora non era nemmeno al 4 per cento. Milano 1, la circoscrizione più ricca, intellettuale, fine, di Milano e dell’Italia.
 
Analizzata in ogni piega, e in fondo celebrata, da scrittori lombardi anche critici residenti, per scelta, a Roma. Gadda sopra tutti e Arbasino – ma già Dossi. Di Gadda, famoso per il “Pasticciaccio”, polpettone molto romanesco, la mostra milanese “Cantieri di Gadda”, architettata dall’università di Pavia, si distingue soprattutto per ricreare il mondo romano dello scrittore, con una mappa interattiva. Dei luoghi di una città che definisce “città-mondo”. Milano si loda non lodandosi.
 
Arnoldo Mosca Mondadori organizza, con la sua Fondazione, un concerto straordinario – di straordinaria emotività - di Riccardo Muti a Lampedusa, con la sua orchestra di giovani Cherubini, e strumenti ricavati dai barconi sfasciati in mare. Un compianto intelligente oltre che generoso. E questa è la chiave di Milano, l’ingegneria minuta, l’imprenditoria piccola. È la favola, la storia della ricottina, a lieto fine.
 
Scandalo all’organizzazione Milano-Cortina, dell’Olimpiade invernale 2026: stipendi di 100 e 200 mila euro a gente mai vista. Ferrarella sul “Corriere della sera” e la Procura di Milano ne fanno uno scandalo della destra al governo in Regione. In realtà è la normalità. La differenza è che la Procura di Milano, saldamente di sinistra dopo il democristiano pentito Borrelli, a sinistra non indaga – ci sarebbero di mezzo la curia, la banca, la tradizione, e non si può.
 
L’ex direttore, per 15 anni, del carcere di San Vittore, Luigi Pagano, spiega a “7”: “Mani Pulite mi ha deluso. Non tanto per i magistrati, … quanto per i cittadini. Hanno riposto nella magistratura speranze eccessive. Non mi sono piaciuti i cortei, le scritte, l’esaltazione dei giudici”. È la tecnica del “falso scopo” in artiglieria? La corruzione c’era, e c’è – c’era anche in Mani Pulite.

leuzzi@antiit.eu 

La vita nel tubo

Un’opera tra forme solide (geometriche) e allestimento. Si entra passando sotto tubi gonfiabili appesi al soffitto: sono i Phallus Mobilis, che introducono a un tunnel trasparente. Si passa dentro il tunnel tra palloncini colorati, che rappresentano l’ovulazione-gestazione. Il tunnel è collegato a un compressore esterno tramite un tubo, che sarebbe il cordone ombelicale. Una mostra semplice, che l’artista così presentava: Volevo che tutti gli spettatori tornassero alle loro origini, al luogo in cui un tempo eravamo, nel grembo delle nostre madri, un’immagine molto poetica».

Léa Lublin è nata nel 1929 in Polonia, a Lublino. Da genitori ebrei che due-tre anni dopo emigrarono in Argentina. Nella seconda parte della sua vita e della sua attività si è trasferita in Francia - dove poi è morta, a Dieppe (1999) - e figura artista franco-argentina. Nel 2015 il Madre di Napoli l’ha celebrata con una mostra, in coproduzione con il Lenbachhaus di Monaco. Il Maxxi di Alessandro Giuli, da ieri ministro della Cultura, ha voluto onorarla ricostruendo l’allestimento da lei presentato il 30 aprile 1970 a Medellin in Colombia, alla seconda Biennale locale d’arte. Con una didascalia lusinghiera: “Iconoclasta, radicale, emblematica. Con i suoi lavori ambientali Léa Lublin decostruisce e sfida le strutture di dominazione temporale o di controllo mentale - coloniale, imperialista, paternalista”. Ma anche pittrice insoddisfatta dei limiti della pittura.

In Francia partecipò alle mostre come perfomances di artista. Famosa per “Mon fils”, una performance del 1968 in cui portava il suo bambino per i musei, nelle ore di apertura, e gli cambiava i pannolini, lo allattava, lo addormentava, praticava le occorrenze della vita quotidiana. Successivamente tornata alla pittura figurativa, “al Rinascimento” diceva, si specializzò con criteri psicoanalitici a separare il Bambino dalla Madre nei quadri delle Madonne. E a figurare il bambino come l’artista stesso, osservatore della madre nella sua corporeità, in immagini eroticizzate – “per rivelare i sottintesi sessuali dell’immaginario cristiano”.

Un documento d’epoca. Ma un’arte non significante a distanza, neanche come proposito, come arte dialettica. Per quanto ingegnosa nell’uso di materiali. Manca a distanza anche la sorpresa, l’ingrediente delle performances. Tanto più negli impossibili, forse ingestibili parallelepipedi di Zaha Hadid adibiti a Maxxi. Spazi enormi vuoti e mostre su per scalette, corridoi, alte pareti, piccole didascalie. Spazi che impediscono ogni immedesimazione o emozione, solo di fastidio. Perfino per l’aria condizionata, pure benefica nella calura di Rma, per il dispendio che si presume di energia, tra riscaldamento e condizionamento di quegli spazi enormi, inutili, e quindi anche ingestibili.

Un’opera in “PVC, nylon, tubi, T-Shirt dipinte e bianche, acqua, compressore radiale, schiuma, valvole, ganci, legno.”, promette la locandina. L’esposizione è nel quadro della mostra “Ambienti 1956-2010. Environments by Women Artists II”, ideata e realizzata da Andrea Lissoni come “un’inedita ricerca sul contributo femminile, spesso trascurato, nella storia e nella creazione di ambienti immersivi” – il 2020 è stato scelto come termine perché si ultimava la costruzione del Maxxi.

Léa Lublin, Penetraciòn/Expulsiòn (del Fluvio Subtunal), 1970, Maxxi Roma

Léa Lublin, Penetraciòn/Expulsiòn (del Fluvio Subtunal), 1970, Maxxi Roma


venerdì 6 settembre 2024

Il cappio del rating

“L’Italia è un debitore onorabile” – non onorevole, onorabile. Detta da Mattarella, la cosa ha ancora un senso. Ma da tempo, da molto prima della tempesta sul debito italiano scatenata dai ribassisti nel 2011, si è saputo che le agenzie di rating, americane, sono an forma di “gestione del mercato” del debito, non ne sono lo specchio.
Il lamento del presidente della Repubblica riflette questo ordine di valutazioni. S&P valuta l’Italia un po’ peggio di Bulgaria, Cipro, Perù, Filippine, Indonesia, Messico, un po’ meglio di Perù, Colombia, Kazakistan.
Moody’ mette l’Italia alla pari con il Paraguay. Un po’meglio della Grecia. Peggio di Cipro e le Filippine, l’Indonesia, il Messico e il Kazakistan. Molto peggio del Perù e dell’Uruguay. Malgrado gli stati di emergenza politica in molti di questi paesi.
 L’Italia viene al 62mo posto nella media delle tre valutazioni (con S&P e Moody’s si calcola anche DBRS). In una numerazione media fra le tre valutazioni che va da 100, il massimo, a 20.
Molto più dell’Italia sono valutati pagatori attendibili Malesia e Botswana – si investe nel debito del Botswana?

La destra al potere anche in Francia

Al primo ministro più giovane, Attal, che passa nella “riserva della Repubblica” per prepararsi alla successione presidenziale fra due anni, Macron fa succedere il primo ministro più anziano della Quinta Repubblica, l’ultrasettantenne Barnier, gollista (Les Républicans), l’ex commissario a Bruxelles. Ma non è questa la novità: con Barnier primo ministro si conclude a sorpresa la lunga crisi istituzionale in Francia, aperta da Macron chiamando a sorpresa le elezioni, con la caduta della clausola ad excludendum, dell’ostracismo al Rassemblement National, al lepenismo. Barnier, il premier scelto dal presidente Macron dopo lunghissime consultazioni con tutti i partiti in Parlamento, avrà un occhio benevolo in Parlamento - dove non ha una maggioranza precostituita, fra Repubblicani e Macroniani – di Marine Le Pen.  È la prima volta per i Le Pen, dopo quarant’anni di presenza politica ingombrante ma alla macchia.
La scelta era forse necessaria, poiché è nei numeri. Il Rassemblement di Marine Le Pen è il partito più largamente rappresentativo, se si escludono le città (Parigi, Lione, Bordeaux, Nantes, Le Havre, Rennes, Strasburgo - ma Marsiglia e Nizza sono lepeniste): alle legislative è andato al ballottaggio in quasi tutte le circoscrizioni, mentre i macroniani solo in 321 circoscrizioni su 577 e le sinistre unite in 414. Ed è andato al ballottaggio al primo posto in 297 circoscrizioni, quasi il triplo delle legislative di due anni prima, 110.
Una piattaforma o un traguardo, un successo da cui si può solo perdere? Marine Le Pen vira, se non verso il centrismo, per un abbandono deciso del radicalismo, anti-immigrati, anti-Europa, anti-Ucraina. Alcune grandi famiglie sono, con i media da esse controllati, per un’apertura della destra gollista al Rassemblement – tra esse le più note sono i Bollorè e i Dassault.  

Il ricatto al potere, femminista

Una ricattatrice che si fa fustigatrice di ignoti ricattatori (presumibilmente ministeriali, pensare...) è roba da farsa. Una vicenda da ridere. Che invece eccita a pensieri pensosi e preoccupazioni giganti la migliore opinione italiana. Non si sa più ridere, ma questo si sa. Ora non si capisce più niente, è come uno che fosse preso calci nello scroto e se la ride.
Ancora oggi, venerdì, quinto o stesso giorno del “Boccia event”, sei pagine “la Repubblica”, cinque il “Corriere della sera”, compresa la prima. Senza mai dire di Boccia quello che è, una ricattatrice.  Si può fare l’opposizione al governo scatenando una persona e una rete palesemente intesi al ricatto, della politica – quanti ami gettati prima del credulo ministro?
Una storia da “Bulli e pupe”, quella di Sangiuliano con la dama gialla di Pompei, a generi rovesciati, tra lui e lei, di maschi timidi e femmine feroci. La ricattatrice è infatti la fronte emergente di una rete di “relazioni umane”, cioè di affarucci, femminili e femministi. Uno, un uomo, che va in giro con occhiali spia, per registrare le donne con cui si accompagna, non è immaginabile – non si è mai sentito di un toyboy che lavora con occhiali spia. Molto femminismo va ripensato – c’era, c’è, vendicativo, distruttivo, già nel patriarcato.
Non ci fa gran figura il ministro della Cultura nella sua avventura con la dama di Pompei che tanto gli è costata: le dimissioni non lo salvano, sembra un allocco (la dama avrà i suoi richiami segreti, ma irresistibili?) – e da come si giustifica lo è. Si spiega solo così la protezione che la moglie gli accorda, su due mesi di spese straordinarie per la circe con gli occhiali spia. Ma perché Meloni, che vuole “fare la storia”, ha difeso un giovane cinquantenne come questo, poco cresciuto? Qualcuna delle virtù di destra, la lealtà per esempio, va misurata: la connivenza non è intelligente, mentre invece bisogna – bisognava – dire all’amico che è stupido, se fa lo stupido. Innamorarsi della mantide di Pompei è colpa grave. E il ridicolo può uccidere, questo Meloni lo saprà.

Lamine e Nico Williams isolano Vox

È bastata una piccola mossa al Partito Popular, la Dc spagnola, per liberarsi di Vox nei cinque governi regional nei quali aveva accolto il movimento di estrema destre per esorcizzarlo. Le regioni hanno acceduto alla richiesta del governo centrale di prendersi qualche centinaio di minorenni immigrati dei seimila stipati nelle Canarie, e Vox scandalizzata ha sbattuto la porta – uscendo anche dal raggruppamento conservatore europeo, quello di Meloni, atlantista, per fare massa con Orbàn, tra i (pochi) filo-russi.
Il partito Popolare ha agito perché si ritiene coperto a destra dall’Europeo di calcio. Che per la Spagna hanno vinto, con un bel calcio e nel tripudio di tutto il paese, due baby immigrati. Il minore catalano figlio di un marocchino e di una guineana, Lamine Yamal, ha portato la Spagna alla finale. Che un navarrino figlio di due ghanesi, Nico Williams, ha vinto. E non c’è stata più partita.

Oh l'amore, non c’è

Due atti unici, brevi, del repertorio esile di Natalia Ginzburg, sul tema dell’amore è cieco, che lo Stabile di Torino ha voluto esumare la passata stagione e Nanni Moretti si è assunto il compito di mettere in scena e in tour. Con un certo successo, forse per il richiamo Moretti e la bravura degli interpreti - Valerio Binasco, Daria Deflorian, Alessia Giuliani, Arianna Pozzoli, Giorgia Senesi.
Due commedie svelte, a una sola scena. Due dialoghi di fatto, senza drammaturgia, se non spiegata – due raccontini dialogati. Di vita borghese, sotto la vecchia forma connotante della tresca.
Il secondo è una gag da cabaret – stand-up comedy: lei confessa a lui di avere una storia col vicino, che invece sta partendo in vacanza con la moglie e lascia alla coppia il cane da accudire. “Fragole e panna”, più articolato, con una serva padrona e due coniugi che convivono per abitudine, mette in scena l’innamoramento folle di una giovane, madre, sposa, per lui, l’uomo della coppia abitudinaria, che non ne vuole sapere, senza drammi, anche questo giocato sull’“allegria”.
L’amore “allegro” di N. Ginzburg, qui come altrove, si segnala per la sua inesistenza-inconsistenza – è abitudine, fantasticheria, scemenza. Specie in famiglia: Natalia Ginzburg, sposa felice due volte, madre di molti figli, storica-narratrice di grandi famiglie, non ama molto le famiglie. Moretti l’avrà riproposta per questo, da vecchio lupo solitario, nel quadro di una generale misantropia.
Di curioso c’è il femminicidio. “Ma no, i mariti nn ammazzano mai”, dice un personaggio donna alla giovane moglie che teme il marito tradito. “Veramente;” obietta la moglie dell’amante della giovane, “di mariti che ammazzano le mogli sono pieni i giornali”, nel 1966.
“Fragole e panna” è precedente a “Ti ho sposato per allegria”, la commedia per cui l’autrice è ricordata, e sarà sceneggiato, dice la quarta di copertina, alla Rai nel 1975 (ma Teche-Rai, che tiene una documentazione particolareggiata degli sceneggiati, non ne dà traccia). “Dialogo”, 1970, sarebbe stato scritto per la televisione (neanche di questo c’è traccia negli archivi Rai).
Natalia Ginzburg, Fragole e panna – Dialogo, Einaudi, pp. 77 € 10

giovedì 5 settembre 2024

Letture - 556

letterautore


Calvino
– “Se avesse voluto avrebbe potuto darci il grande romanzo della nostra epoca”, diceva Giulio Bollati di Italo Cavino, compagno di lavoro di una vita alla casa editrice Einaudi, in un’intervista con la redazione della rivista “Idra”, fine 1991 (n.4\1991). Continuando, quasi lamentoso, che il meglio ha dato in “Le città invisibili”, “libro perfetto” ma “remoto”, di altri mondi.
 
Leopardi – Una sorta di ultra-Cristo ateo, se-poiché il suo “Infinito” è ultra-Vangelo – il meglio-del-meglio del Vangelo? È l’ipotesi di Piero Boitani nella critica del lungo saggio dello storico del cristianesimo Gaetano Lettieri, “Dulce naufragium. Desiderio infinito e ateofania in Leopardi”. Prima del verso che chiude l’infinito”, “e ilnaufragr l’è dolce in questo mare”, viene il distico: “Così tra questa\ immensità s’annega il pensier mio”. L’argomento di Lettieri come sintetizzato da Boitani: “Leopardi come un’opera gigantesca di «vanificazione» del cristianesimo”, ma l’infinità è divina – come aveva argomentato Gregorio di Nissa, Dio essendo l’infinito per eccellenza, l’unico infinito.
Lo stesso il “voto seren” de “La Ginestra”: “Poeta patiens nel deserto de La ginestra, Leopardi fa esperienza dell’«ateofania», per cui “quello leopardiano «più che un anti-vangelo»”, continua Boitani con le parole di Lettieri, “si rivela «un ultra-vangelo, intento a custodire il nucleo patico della tradizione cristiana»”.
 
Marcia nuziale – “Ha mai notato come rassomiglia a una marcia funebre?”, chiede l’ispettore capo Mason al giovane giornalista Michael Quigly che lo segue, nel giallo di E. Wallace “Maschera bianca”: “Basta rallentare un po’ il ritmo”.
 
Mediterraneo – Un personaggio del “Minotauro” di Benjamin Tammuz, un giovane greco diventato filologo in Spagna, ricordando una notte l’adolescenza, ha una visione del Mediterraneo. Ascolta la sorella cantare “le parole di una canzone greca, una canzone d’amore e di morte, una lunga storia raccontata da una melodia ripetitiva”, con “ritornello infinito”, che ora individua come “un miscuglio ben dosato di musica liturgica ebraica, flamenco spagnolo, canzone napoletana, e un flebile ricordo del lamento del coro dell’antica tragedia greca”. Un miscuglio che aveva ritrovato “in tutto il Mediterraneo”. E ora si dice il perché: “La loro origine è nei canti dei marinai fenici i quali, migliaia di anni fa, spingendo i remi e spiegando le vele,  erano salpati dalla riva le cui acque ora lambivano il giardino della loro casa, ed erano arrivati all’oceano; e in ogni posto avevano la sciato un segno e un ricordo, che nei secoli avrebbe fatto di questo mare l’anima della cultura. Ebrei, elleni, mussulmani e cristiani si sarebbero incontrati e divisi, si sarebbero massacrati e poi avrebbero avuto nostalgia gli uni degli altri, e alla fine, uno dopo l’altro, sarebbero usciti di scena”.
Ma non finisce qui: “Se ne sarebbero andati per poi tornare, ciclicamente, in una terrorizzante fuga, tra grida di dolore e distruzione…. Poi ci sarebbe stato un lungo silenzio, come se si levassero dalla tomba e ritornassero, nell’odore dell’arrosto di agnello, nelle canzoni che si trascinano stanche, lunghe e disperate”.
 
Melodramma – Russo, cubofuturista? “Com’è noto i cubofuturisti, e Pasternàk ne fornisce  l’esempio in liriche come Marburgo e nei poemi, non furono alieni dalle cadenze, dai modi e dalle tirate del melodramma” – Angelo Maria Ripellino, introduzione a B. Pasternàk, “L’infanzia di Zenja Ljuvers”.
 
Pasto nudo – “Titolo misterioso e di gran fascino originato da un refuso, si parlava in realtà di Naked Lust, nuda libidine”, invece che Naked Lunch, pasto nudo, il romanzo messicano di William Burroughs, scrittore beat un po’ a disagio – Mariarosa Mancuso, “La Lettura”.
Ma anche queer, il tema del libro, la passione libidinosa di un anziano per un ragazzo, si presta a equivoco. “Queer” è il titolo del film che Luca Guadagnino ha tratto dal romanzo. Ricevendone a Venezia, sulla prima pagina del “Corriere della sera”, un titolo come il seguente: “«Queer», l’amore tossico di Guadagnino”. Illustrato da una foto del regista con i suoi due interpreti, Daniel Craig e Drew Starkey, tre personaggi famosi tutt’e tre in occhiali neri, la sera, sul “tappeto rosso” delle celebrità - queer a chi?
 
Romanticismo italiano – Contestualizzando gli umori instabili della sua “Crestomazia italiana”, l’antologia cui Leopardi volle dedicarsi a tutti i costi negli anni 1820 benché da tutti sconsigliato, Giulio Bollati rileva che il lavoro, molto personale e per più aspetti anche bislacco (
non c’è il Trecento - Dante, Petrarca - né il Quattrocento), si svolge “in corrispondenza della massima caduta della corrispondente curva romantica fornita agli italiani dalla Staël, dagli Schlegel, dal Bouterwerk” e dal Sismondi (“L’invenzione dell’Italia moderna”, p. 12). Il romanticismo “fornito” agli italiani?

 
Sacro – È scomparso, sia la pratica (religiosa), col “vasto patrimonio di conoscenze” connesso, “non importa se credenti o no”, sia il concetto. È la conclusione di Marco Ventura su “La Lettura”. Rileggendo e chiosando il “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia”, curato dieci anni fa dallo storico del cristianesimo Alberto Melloni.
 
Società civile - Non più in uso, fu dizione specialmente usata sul finire del Novecento, accompagnando la nascita dell’Ulivo-Pd, come dei “belli-e-buoni” della Repubblica. Ma ha origini antiche, soprattutto, come tutto ciò che concerne la politica moderna, britanniche, in uso a Londra. Già una ispettrice di Scotland Yard che veniva dal popolo, si chiede a un certo punto nel giallo di P.D.James “La stanza dei delitti”, 2003, se “non era il ceto medio facoltoso, istruito, progressista che, alla fin fine, controllava le loro vite”. Aprendosi a una lunga lamentela, non del tutto reazionaria, o da invidia sociale: “Ci criticano per reazioni grette e meschine che loro non avranno mai bisogno di sperimentare. Loro non sono costretti a vivere in uno di quei quartieri di case popolari con l’ascensore vandalizzato e una costante violenza incipiente. Non fanno frequentare ai figli scuole dove le aule sono campi di battaglia e l’ottanta per cento degli allievi non è in grado di parlare l’inglese. Se i loro ragazzini sono delinquenti vengono mandati da uno psichiatra, non in un tribunale per minori. Se hanno bisogno di cure mediche urgenti sono sempre in grado di pagarsele privatamente. Non c’è da meravigliarsi che possano permettersi di essere così maledettamente progressisti”. Permettersi di essere progressisti? Maledettamente?  P.D.James, funzionario poi dirigente del ministero dell’Interno a  Londra, per meriti letterari nominata alla camera dei Lord dalla regina Elisabetta, era di orientamento conservatore. Ma il suo detective, l’ispettore Dalgliesh, era un indeciso e un poeta.
 
Treno - I treni “corrispondono nell’arte pasternakiana ai vascelli di Blok, emblema della speranza”, A.M.Ripellino, intr. a B. Pasternàk, “L’infanzia d Zenja Ljuvers”, XI.
I treni saranno importanti nel “Dottor Živago”. Specie nel film, le scene più strazianti tra Julie Christie e Omar Sharif.

letterautore@antiit.eu

L’Europa violenta alle frontiere

L’ultima scena è solare. Piena di luce, di persone ben vestite e affabili, che s’incontrano quasi festive, alle, stazioni, nelle piazze, agli aeroporti, a colori, con la didascalia: marzo 2022, la Polonia ha dato asilo a due milioni di rifugiati ucraini. Il primo episodio vede una famiglia siriana, nonno, figlio, con nuora e nipoti, in volo verso Minsk, Bielorussia, con regolare visto: hanno liquidato le loro attività in patria per sfuggire alle vessazioni dello Stato Islamico, e da Minsk in qualche modo giungere in Svezia, dove un fratello ha organizzato il trasferimento. A Minsk hanno per cellulare le istruzioni sul passaggio della frontiera organizzato. Ma alla frontiera la famiglia, cui si è aggiunta un’afghana, viene vessata dalla polizia bielorussa, “trecento dollari”, e poi buttata materialmente oltre il filo spinato, nella terra di nessuno con la Polonia. Il seguito è un crescendo di violenza, da film dell’orrore. Nelle luci di un bianco e nero livido, di fango, freddo, fame.
Altri episodi vedono in azione i gruppi polacchi di giovani, un po’ strafottenti, impegnati nel soccorso gli immigrati, specie se clandestini. Una psicologa cambia attività scoprendoli, e combinerà molti colpi a effetto. L’afghana non sa far valere il suo statuto di rifugiata politica in Polonia, e perde, disperata, inconsolabile, il figlio adolescente del la famiglia siriana, che si è legato a lei per imparare l’inglese. Il lito fine sarà casuale, per un raptus di un giovane militare polacco di frontiera, che chiude gli occhi al passaggio verso la Svezia.
Un film dall’impianto ambizioso, si direbbe si volesse la storia in fieri dell’immigrazione in Europa. Dell’insipienza europea, delle tragedie che vi avvengono senza una ragione, un motivo qualsiasi. Dura due ore e mezzo. Ma naviga a vista – come se la regista in fase di montaggio non abbia voluto rinunciare a niente delle scene girate. Un po’ è questa la non-politica europea, oscillante. Tra la violenza, le ruberie e la generosità. Ma il racconto non lega, eccetto che nella storia della famiglia siriana. Il governo polacco che si denuncia come para-nazista alla fine è quello che accoglie miracolosamente e bene due milioni di rifugiati in pochi giorni.
Agniezka Holland, Green Border, Sky cinema 2, Now

mercoledì 4 settembre 2024

Problemi di base letterari bis - 819

spock


“Poesia è tutto ciò che si perde in traduzione”, Robert Frost?
 
“Si traduce poesia attraverso la poesia”, Ottavio Fatica?
 
Dickens sì, De Amicis no?
 
“I memorialisti sono quelli che hanno troppo poca immaginazione per scrivere romanzi e troppo cattiva memoria per scrivere la verità”, Arthur Freeman?
 
“Abbiamo l’Arte per non morire di Verità”, F. Nietzsche?
 
“Un (giornale) quotidiano è come fare un figlio al giorno”, Gianni Agnelli?

spock@antiit.eu

L'ideale d'Italia in Leopardi e Manzoni

Si ripropone, in chiave commemorativa di un personaggio tra i più amabili dell’editoria del secondo Novecento, lettore attento delle proposte che finivano sul suo tavolo, epistolografo diffuso e partecipe, memoria quindi grata per molti, una serie di suoi dotti e acuti - oggi più di prima, degli euforici anni 1960 - saggi. Questo “Leopardi, Manzoni e altre imprese ideali prima dell’Unità”, è la sua “opera”, la raccolta di una ricerca puntigliosa e ingegnosa sulla formazione intellettuale dell’Italia. Analizzando gli autori centrali del secolo precedente l’unità e specialmente, in dettaglio, nella scrittura, nel contesto, nelle polemiche, Leopardi e Manzoni, come i due numi della patria da fare, ma anche Cattaneo, Alfieri e Pietro Verri, arriva a una conclusione a tutti visibile ma non percepita, della pascoliana “proletaria”, il Grande Paese che il mondo imperialista non ci riconosce. L’Italia arriva all’unità senza fare tesoro dell’illuminismo, e spesso anzi in polemica (Leopardi, Manzoni). Con l’esito negativo che tuttora dura: incapace all’origine di scollarsi di dosso il mito confuso del “primato”, morale e civile direbbe Gioberti, continua ad arrancare nelle sfide contemporanee.
Un tema che Bollati ha ripreso in un paio di interventi trent’anni fa sulla rivista “Micromega”. I testi qui riuniti sono del 1965, “Le tragedie di Alessandro Manzoni” (prefazione all’edizione Einaudi delle tragedie); del 1968, “La «Crestomazia italiana. La prosa» di Giacomo Leopardi”, introduzione alla pubblicazione Einaudi della “Crestomazia. La prosa”; del 1985, “Vittorio Alfieri e la Rivoluzione francese”, “Alessandro Manzoni e la Rivoluzione francese”, due voci del volume collettivo “L’albero della Rivoluzione”; del 1995 “La prosa morale e civile. Da Verri a Cattaneo”.
L’esito, o la chiave, è l’insistenza, intellettuale prima che sociale o politica. sulla “diversità”, sulla “specificità”, oggi più che mai forte col populismo in cattedra. Che ha impedito e, bizzarramente, continua a impedire, alla cultura italiana di entrare nella modernità senza complessi e quindi con intelligenza, senza remore preliminari. Un esito specialmente visibile nell’ambito culturale, o intellettuale, che lo ha determinato: dall’opinione pubblica alle scienze umane, dal giornalismo cioè all’accademia (ricerca), l’Italia è fuori degli schemi, ma complessivamente a disagio – costante è la domanda di “riconoscimento”.
Giulio Bollati, L’invenzione dell’Italia moderna, Bollati Boringhieri, pp.  195 €24

martedì 3 settembre 2024

Nostalgia di un’Europa russo-tedesca

C’è la Russia al cuore della ex Germania Est? Non si direbbe, visto che il Muro nel 1989 è stato abbattuto dall’Est, dai tedeschi della Germania Est. Ma se non c’è nostalgia della Russia in Germania, ce n’è invece per la Russia grande partner della Germania. Per un’Europa russo-tedesca di fatto – in Turingia la poesia del Reno è sconosciuta. Dev’essere così se il partito socialdemocratico, Spd, del cancelliere in carica è stato doppiato domenica dal Bsw, “Patto di Sahra Wagenknecht”, che ne è una costola ma su un punto è agli antipodi: la politica anti-russa.
C’entreranno, non sarebbe una novità, gli umori oscillanti dell’elettorato tedesco, tipo gregge. Ma due punti sono fatti e non umori. La Germania è un paese continentale, grande, tra la Francia e la Russia, e all’Est vede più la Russia: il Reno, la Francia, la Repubblica Federale di Bonn sono lontane dall’Est tedesco – più lontani, per dire, che dalla Lombardia o dal Veneto. La seconda ragione è che la Germania ha prosperato, dopo un lungo periodo di crisi successivo alla riunificazione, negli anni del cancellierato Schroeder e successivi, per il rapporto privilegiato instaurato con la Russia, soprattutto favorevole per i costi dell’energia - oltre che con quella sorta di unione doganale con la Cina ora da smantellare (gli scambi con gli Usacsono già tornati al primo posto). Una rendita svanita con la guerra in Ucraina, il primo motore del successo travolgente dell’estrema destra.

L’estrema destra secondo partito in Germania

Il successo di Afd e Bsw in Turingia e Sassonia è un fatto localizzato, per ora limitato a due piccoli Laender, due (come il Brandeburgo, prossimo Land al voto, dal 1990 governato dai socialisti9) e quattro milioni. Ma potrebbe fare breccia in Baviera, Land da sempre conservatore in politica, il più numeroso dopo la Renania, tredici milioni. Peggio, può già portare Afd dall’11-12 per cento nazionale al 20 e oltre, secondo partito più votato dopo i Cristiano-Demcratici (Cdu-Csu), più dei Verdi e dei Socialdemocratici.

L’opinione prevalente è che Afd non ci arriverà. Che beneficia del  ruolo di opposizione unica, mentre tutti gli altri partiti sono al governo, e questo è vero. E che il successo in Turingia e Sassonia suonerà da allarme nella coscienza dell’elettorato - questo non certo, storicamente  l’elettorato segue la corrente, è portato al plebiscitarismo. Oggi la guerra senza soluzione di continuità all’Est lascia in realtà aperto ogni esito.
In più peserà la crisi economica, che tradizionalmente in Germania ha avvantaggiato le destre, se all’opposizione. E accanto a Afd, benché su presupposti opposti, è in corsa ora anche il movimento di Sahra Wagenknecht, che si liquida come rosso-bruno, cioè di un’estrema sinistra fascistoide, ma di fatto ha richiamo tra i ceti professionali e gli intellettuali.  

Il libero arbitrio sul libero arbitrio

Ci si può fermare alla prefazione, critica, di Sergio Quinzio: “Una vittora di Pirro”, se “l’ideale erasmiano di un umanesimo cristiano si è dimostrato, storicamente, un equivoco….. Il conciliazionismo, il pluralismo, il relativismo che Erasmo intendeva affermare nell’orizzonte del Vangelo, riconducendo in qualche modo tutto ad esso, oggi si affermano in un orizzonte in cui prevale un paganeggiante scetticismo, o addirittura la caotica riduzione di qualsiasi verità a precaria e labile opinione”.
Un capolavoro dialettico di Erasmo, in contesa vittoriosa col negazionista Lutero, ripieno anche di molti saperi, teologici e filosofici, di metodo, di ricerca, si legge oggi come inutile. Non utile, quindi non significante, se non in astratto. Alieno da ogni e qualsiasi riflessione del momento presente. Peraltro poco pensieroso, forse per niente, anche a non voler dare ragione all’apocalittico Quinzio – che ne scriveva nel 1989, c’era ancora la Repubblica, cosiddetta Prima, dove la politica aveva un senso. Oggi non ci sarebbe stato duello tra Erasmo e Lutero, l’epoca essendo volgarmente materialista, da centro commerciale – non ha essa travolto anche il luteranesimo?  
Ma poi, anche a contestualizzare la disputa, a rileggere Erasmo come un libro di storia, come non dirla bizzarra? Molta teologia, e molta sapienza - discernimento, critica – ma come sempre una discussione del genere il libero arbitrio non lo presuppone?
Erasmo da Rotterdam, Sul libero arbitrio, Edizioni Studio Tesi, pp. 123 € 12

lunedì 2 settembre 2024

Ombre - 735

Dunque, l’inchiesta sule intercettazioni abusive della Procura Nazionale Antimafia non dormiva, come si lamentava in questa rubrica qualche settimana fa: c’è addirittura pendente la richiesta di arresto per il sostituto Procuratore Nazionale Antimafia Laudati e per il suo braccio destro, il tenente della Finanza Strano. Manca il nobiluomo napoletano Cafiero de Raho, il Procuratore Antimafia, dal quale Laudati dipendeva. E l’uso delle informazioni per lo scandalismo grillino - con il quale Cafiero de Raho si è assicurata la pensione alla Camera, eletto in pompa in Emilia.
 
Il russo Ildar  Abdrazakov, “il miglior basso oggi in circolazione, eludendo i veti politici che gli impediscono attualmente in esibirsi in Occidente, potrà invece di nuovo farsi ascoltare dal pubblico di Tokyo”, nell’“Attila” di Verdi, che il maestro Muti promuove -  Carla Moreni, “Sole 24 Ore Domenica”. In effetti, Netrebko canta perché ha perso la nazionalità austriaca. Eyvazov, peraltro nato in Algeri, perché è azero. Ma le sanzioni al basso come se fosse un boiardo di regime un po’ fanno ridere.
 
“Toti registrato per tre anni”, il presidente della Regione Liguria, sui telefoni e con le cimici in ufficio e nelle abitazioni, e anche in video. Tanto che il server della Procura è in tilt, come al flipper, incapace di fornire il materiale d’imputazione alla difesa. La polizia giudiziaria ha giudicato peraltro di suo, fornendo alla Procura solo alcuni materiali, quelli a suo giudizio criminosi.  Sembra una commedia e invece è l’inchiesta di Genova - come ricostruita da “la Repubblica”, il giornale, si direbbe, della pubblica accusa in Italia e anche a Genova.
 
Ma. ci sono voluti te anni per trovare un capo d’imputazione valido contro questo Toti? O i giudici sono lavativi? O si erano dimenticati di avere dato alla questura l’ordine d’intercettarlo, in ogni singolo atto, anche non parlato. Naturalmente non è più l’Italia in cui la polizia giudiziaria (Polizia o Carabinieri o Guardia di Finanza) autonomamente incolpa qualcuno – non c’è regime di polizia in Italia.
 
“Da cattolico trovo offensivo che si ipotizzino cattolici buoni e cattivi, così cattivi da pianificare di lasciar morire di fame i primi”. Zaia è un politico, sa usare il linguaggio, ma il suo uppercut è da ko, rispetto ai politicanti della Cei – Zuppi è un buon uomo, ma cardinale?
 
Ora si vuole fare di Durov, l’inventore e padrone di Telegram, un martire di Putin, un uomo in fuga che si consegna per protezione alla polizia francese, dicendo “arrestatemi”.  È la tesi dei servizi francesi, a copertura della magra che hanno fatto obbedendo alla Cia, per conto degli affaristi americani che vogliono Telegram gratis. Non è più un pedopornografo. Strano che i giornali italiani, “la Repubblica”, “Corriere della sera”, pubblichino tal quale l’imbeccata quotidiana. O non è strano?
 
L’Ucraina vince, l’Ucraina perde, sullo stesso giornale, anche nella stessa giornata, giusto in pagine differenti, persino con la stessa firma. È la guerra che fa perdere il senno?  Non si può fare cronaca della guerra con giudizio?
 
“La Ferrari vince il GP dei mercati”, non vincendo mai una gara (prima di Monza, erano anni). Sunseri fa il conto: “La capitalizzazione di mercato ha toccato quota 84 miliardi di euro, quasi il doppio di Stellantis. Colossi industriali come l’Eni, l’Enel o Leonardo valgono molto di meno”. Il mercato è una favola.
 
“La premier e Tajani hanno preso più voti di Macron e Scholz, a Roma un ruolo forte”: il “Corriere della sera” dà risalto a Manfred Weber, il presidente dei Popolari europei, intervistato da Guerzoni. I Popolari guardano a destra, i problemi in corso si risolvono lì, per evitare lo slittamento dell’elettorato all’estrema destra, come è già avvenuto nella ex Ddr, la Germania Orientale. E non da ora: lo stesso Weber era venuto cinque anni a corteggiare Salvini, dopo il suo exploit alle politiche e alle europee. L’estrema destra è un pericolo reale, e si combatte con la destra moderata. Non chiudendo gli occhi, magari eleggendosi “società civile”.
 
La sinistra ridicolizza la maestra Salis, ora eurodeputata. perché vuole l’occupazione delle case, “contro la speculazione” in agguato. Ma non la voleva e la praticava, da giudice, anche Kamala Harris a San Francisco, quando era giudice (era giudice Dem, cioè nominata e votata come candidata Democratica)?
 
Si continua a propalare la politica monetaria delle banche centrali (tassi su-tassi giù) come obbligata e dirimente. Ma la Federal Reserve, contro un’inflazione in netto calo, non ha ridotto i tassi. La Banca centrale europea, contro un’inflazione un tantino più resistente di quella americana, invece si. Ed ecco allora la Federal Reserve precipitarsi ad annunciare, mentre le Borse cominciavano a tremare sotto gli attacchi ribassisti, il taglio dei tassi. Il preannuncio è già una politica monetaria, in grado di muovere montagne di capitali, ed è tutto dire – la politica monetaria  è la politica del denaro.

La vita oltre la morte

 


Un film di sentimenti, non sentimentale. Non è il film strappalacrime che si poteva paventare all’uscita, alla promozione: la storia vera di una partoriente cui viene diagnosticato un tumore terminale poco prima del parto, che decide di lasciare alla sua creatura, una bambina, 18 regali, uno l’anno fino alla maggiore età. Un atto di possessione del futuro della figlia? No, regali ingenui, solo atto di presenza, un momento, un’idea, un suggerimento, anche solo un passatempo.
Grande aneddoto, grandioso, ma rischioso. Amato sa però raccontarlo col taglio giusto, sempre sorprendente. Misurati gli interpreti, il giusto: Vittoria Puccini, la madre , delicatezza e forza, Edoardo Leo, il padre, che seguirà la figlia anche in questa cerimonia, altrettanto partecipe senza strafare, e Benedetta Porcaroli, l’adolescente (il film non segue passo passo i diciotto anni) che ogni anno abbandona se stessa per confrontarsi col vuoto in cui è cresciuta e col dolore altrui, della madre, per una disgrazia, l’ evento irreparabile.
Un film di sentimenti, non facile in immagine, non sentimentale.
Francesco Amato, 18 regali, Raiplay

domenica 1 settembre 2024

Cronache dell’altro mondo – scolastiche (290)

La chiusura delle scuole un anno e mezzo per il covid ha avuto ripercussioni pesanti per le famiglie meno abbienti, della scuola pubblica, moltiplicando l’assenteismo cronico. Durante la pandemia e dopo, per difficoltà di reinserimento.
Il calo delle iscrizioni, in distretti scolastici sottopopolati, ha portato alla chiusura di scuole pubbliche “su scala senza precedenti”: “A livello nazionale le iscrizioni alla scuola pubblica sono diminuite di oltre un milione di studenti, molte famiglie avendo optato per scuole private o per l’alfabetizzazione domestica”.
Le chiusure di scuole pubbliche sono più numerose “nei luoghi dove le scuole sono state chiuse più a lungo durante la pandemia”.
A Rochester, nello stato d New York, “il distretto ha appena deciso di chiudere undici delle sue  quarantacinque scuole”. Ma il fenomeno è nazionale: “L’istruzione pubblica in America ha in atto un processo di chiusure”.
(“The New Yorker”)

Giallo imperiale

Furfanterie a Londra al tempo dell’impero, tra vergini inglesi bionde e celesti e bellimbusti che vengono da lontano, in questo caso da Sud Africa e Australia. A caccia di eredità, gioielli, conti in banca, vantando miniere, tenute e altri imperi da mettere in valore, alla credula Inghilterra. Contrastati dal solito giornalista investigativo, e da professionisti inglesi - è la polizia che ne sa di più, Scotland Yard. Con molte inversioni: i buon saranno cattivi, e viceversa, l'umanità, come si sa, è imprevedibile. 
Wallace va veloce, scriveva anche sette-otto romanzi l’anno – in tutto lasciò, fra “I quattro giusti”, l’esordio di successo istantaneo mondiale, 1905, e “King Kong”, 1932, 175 romanzi e 15 drammi. Più di Simenon, forse. Sette opere l’anno nella vita lavorativa. E si vede. Anche la lettura va veloce, le sorprese si accavallano. I personaggi lasciando un po’ poco credibili: la vicenda ha bisogno di un epilogo alla Poirot, una lenta spiegazione  - Poirot era nato nel 1920, con successo immediato, questo Wallace è del 1930.
La nuova traduzione di Giovanni Viganò, invece di quella datata dei Gialli Mondadori, di Alberto Tedeschi, non garantisce la verosimiglianza.
Edgar Wallace, Maschera Bianca, Polillo, pp. 256 € 16,90