sabato 14 settembre 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (571)
Giuseppe Leuzzi
L’imprenditrice di Pompei, organizzatrice di eventi,
“dottoressa” senza studi, amante senza amore, soprattutto interessata a un posto
statale, che sembra inventata da Checco Zalone, è “la donna del Sud”, secondo i
cliché di “Milano”, oppure è nata e vissuta a Pompei per caso? Per caso
no, ci è nata da genitori stanziali – in questo è donna del Sud. E caratterialmente,
sarebbe lo stesso modello possibile a Milano? Questo c’è da tanto - più d’uno.
Dal “cigno nero” impavido dello scandalo Montesi, la “contessa” Marianna Augusta,
detta Annamaria, Moneta Caglio Monneret De Villard. La questione femminile,
dunque, potrebbe unire l’Italia.
Però, non si riflette mai abbastanza, è sempre Milano che detta l'agenda al Sud. Nel linguaggio ancora più che mei modi e nei consumi. Al Sud non si riesce a pensare in altra forma che quella leghista, del noi e loro.
La desertificazione del Sud
Paolo Florio emigrò per cercare fortuna, sulla traccia di parenti e paesani già
a Palermo. Era un commerciante, e si vede che i commercianti di Bagnar sono o erano specialmente intraprendenti - la fama è ancor a recente delle bagnarote, donne intrepide dalle sette gonne e i piedi scalzi, con molti figli ma non un marito, in testa una cesta larga, che hanno fatto per secoli il piccolo commercio nei paesi sparsi per il versante tirrenico della Montagna (Aspromonte). Però, il terremoto è congrua causa, delle fortune future, fuori
dalla Calabria.
La scoperta dell’amore
Maria,
donna delle pulizie diarista emotiva, e Hubert, portiere col pallino della
danza, già in là con gli anni, lavorano e vivono nell’ambiente più alieno, la
scuola parigina di Belle Arti. Arti più parlate, filosofiche, che realizzate,
con ingegno cioè e applicazione. Ma insomma in un mondo moderno, o del futuro. Di
chiacchiere e “allestimenti”. Dove si fa l’amore ogni sera, dopo avere bevuto,
con chi capita, senza ricordarne nemmeno il nome, forse giusto il sesso. Di
passioni cioè vaganti, come le “opere d’arte”.
Due
generazioni e due mondi, il futuristico-presente e il tradizionale-sorpassato. Maria
e Hubert sono ligi al dovere e collaborativi. Aiutano molto gli artisti in petto,
con la semplicità e con lo humour. Ma una vecchia Cinquecento li attende
- di quelle con la levetta dello starter, che spesso la mattina facevano le
bizze per accendersi, bisognava calibrare “l’aria” (e vedendola non si capisce
come due persone ci entrassero, anzi tre).
Snobbato dai media, e quindi anche dal pubblico. Una
commedia francese, su un aneddoto semplice, e senza Grandi Problemi o Grandi Colpe. Lieve e sorprendente, sulle forme dell’amore – c’entra pure quello tra
genitori (madre) e figli (figlia, Maria ne ha una). Maneggiata con misura dalle
registe. E con maestria dai due interpreti, Karin Viard e Gregory Gadebois.
Geniale pure l’invenzione del setting, posto ideale delle chiacchiere
che esauriscono la contemporaneità. Per un amore talmente esile da suscitare
solo per questo la meraviglia.
Lauriane
Escaffre-Yvonnick Müller, Maria e l’amore, Rai 3, Raiplay
venerdì 13 settembre 2024
Cronache dell’altro mondo – se Trump è Jackson (291)
La presidenza Trump richiama quella di Jackson,
1829-1837, il primo presidente Democratico?
Il parallelo è stato avanzato il 14 luglio,
sul “Wall Street Journal”, “America’s Jacksonian Turn”, da Walter Russell Mead,
cattedratico di Relazioni Internazionali a Yale e al Bard College, uno dei collaboratori
di “The American Interest”, il quindicinale di politica estera promosso da Francis
Fukuyama nel 2005: “Trump è parte di una varietà di politica estera che Andrew
Jackson portò al potere nel 1828. In politica interna, i jacksoniani sono guardinghi
col big business, odiano l’establishment sociale e politico, e richiedono
soluzioni di «senso comune» a problemi complessi. Sostengono i militari, ma non
una classe di ufficiali che si consideri lontana dai valori e le abitudini della
nazione – le camicie inamidate di West Point nel 19mo secolo, i «generali woke»
oggi. Ritengono la classe politica profondamente e irrimediabilmente corrotta”.
Una sorta di populismo, si direbbe, Democratico.
Il paralllelo è ripreso ora da Robert O’Brian,
un avvocato d’affari di Los Angeles che è stato nel 2019-2020 consigliere per
la Sicurezza Nazionale di Trump, con un saggio su “Foreign Affairs” di
luglio-agosto, “The Return of Peace Trough Strenghth”. O’Brian parla delle guerre
in corso, e comincia rifacendosi all’antica Roma, “Si vis pacem, para bellum”.
Un concetto, dice, del quarto secolo, del tardo impero. Ma di origine più antica,
spiega, fu dell’imperatore Adriano: “L’origine del concetto è anteriore, è dell’imperatore Adriano, secondo secolo, al quale si attribuisce la massima: «La pace attraverso
la forza – o, se necessario, la pace attraverso la minaccia»”. È questo che
unisce Trump a Jackson: “Trump ha un’alta opinione del suo predecessore Andrew
Jackson e dell’approccio di Jackson in politica estera: essere concentrati e
forti quando si è costretti all’azione, ma diffidare degli eccessi”.
Di Jackson in realtà non c’è una
politica estera – la “dottrina Monroe” trovò già all’opera, con la presidenza precedente
la sua. Fu un comandante militare. Famoso per la battaglia di New Orleans, alla
fine della guerra anglo-americana del 1812-1814: gli inglesi ebbero 700 morti,
compreso il loro generale, Pakenham, e 1.500 feriti, Jackson 8 morti e 14
feriti – ma due settimane prima la pace era già stata firmata, a Gand, in
Belgio. Fu famoso anche per lo sterminio degli indiani, dei Creek in Luisiana
durante la guerra, e dei Seminole in Florida, allora dominio spagnolo, dopo la
guerra anglo-americana – restò in Florida fino a che il governo spagnolo non si
decise di venderla agli Stati Uniti, nel 1819, divenendone il primo governatore.
Da presidente espropriò, contro una decisione della Corte Suprema, i Cherokee
della Georgia, quando vi fu scoperto l’oro, con un decreto, Indian Removal Act,
1830, che sarà la base della cancellazione degli indiani dalla storia dell’America
– che ora si definisce “una delle peggiori leggi della storia degli Stati Uniti”.
L’impero al colosseo tv
Il mondo – il “mondo libero” nella
fattispecie, ma di fatto anche il resto del mondo – governato da uno dei due duellanti
in tv si vede come un incubo, o una distopia, come usa dire. Un uomo d’affari,
immobiliarista per cominciare, un “palazzinaro”, e una donna viziata, che non
ha mai fatto nulla nella sua vita, di grande famiglia, giudice distrettuale per
diritto clanico, snob, per questo dalla parte degli occupanti di case a San Francisco
(sempre condannava i poliziotti degli sgomberi forzati). Uno già presidnete
degli Stati Uniti, poi animatore di un complotto anti-complotto. Lei
vice-presidente di nessuna virtù, scelta per questo – nonché per essere donna,
e di colorito bruno – e ligia al ruolo.
Visto da fuori Europa il duello tv tra
i futuri presidenti dell’America è questo: strano, bizzarro, ridicolo anche. In
Europa il ruolo dell’America è diverso: contano le radici storiche comuni, e
conta soprattutto il piano Marshall. Il geniale governo dell’Europa da parte
americana molto meglio di come abbiano mai saputo fare gli europei tra di loro.
Con la ricostruzione e il rilancio dell’Europa dopo la rovina, invece di farne
bottino di guerra o di pretenderne “riparazioni” – se non altro il ripagamento
dei crediti di guerra.
Anche sul resto de mondo l’emprise
americana è stata ingegnosa e liberatoria – per l’arricchimento di tutti
attraverso l’arricchimento degli altri. Col trentennio della globalizzazione,
che ha portato al benessere una buona metà, se non i due terzi, dell’umanità.
In entrambi i casi la pax americana
ha suscitato gratitudine e immedesimazione. Non solo i Treasury Usa e Hollywood,
anche le università, le tecnologie, le arti e le letterature, e perfino l’american
way of life, con l’obesità del panino e degli snacks, sono stati per
decenni l’orizzonte e la meta del mondo – la figlia del presidente cinese Xi si
è formata in America. Malgrado le tante guerre, di cause dubbie, combattute
male, e perse.
Ora non più. Ma chi sono questo Trump e
questa Harris che ci governeranno? Nel dibattito lo avranno detto, ma non si
ricorda. Le immagini restano di un colosseo “nel tinello”, piccolo borghese. Uno
studio chiuso, con le luci di scena, su una palcoscenico piatto. Non
gladiatori ma figure remote, che sembrerebbero ologrammi, se non creazioni IA.
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Il Montalbano di Markaris ha l’affanno
Si vede che in Grecia
non hanno filmato le storie di Kostas Charitos, il commissario di Polizia modellato
dall’autore, Petros Markaris, sul Montalbano di Camilleri, e ci ha pensato la
Rai. Con un cameo di riconoscimento per lo stesso Markaris, incontro casuale di
Charitos in un corridoio. Ma facendone un altro.
Il Charitos-Montalbano
di Markaris è lento. È sposato e ha una figlia diciottenne – di cui si occupa,
quindi problemi a non finire. Ma si muove come il suo modello siculo. Non ha la
Tipo, peggio, ha una Mirafiori. Non ha fretta di chiudere i casi. A casa soprattutto
si riposa: non ha la verandina ma un solido vocabolario, col quale dialoga. Ordinario, perfino lento. Soffre
una Atene sempre trafficata. E non si sconvolge ai richiami, frequenti, del commissario
Capo, tramite della politica. La grande differenza dal modello, in Markaris, è
che ad Atene non ci sono gli arancini, ci sono i ghemistà - pomodori ripieni e i pipi chini calabresi.
I ghemistà
ci sono anche nella riduzione Rai, ma non sappiamo cosa sono, giusto una fugace
denominazione. E così tutto il resto, Kostas corre veloce. Sola resta con i tempi
originari la moglie Adriana, Francesca Inaudi, ma ringiovanita e imbellita - e non cucina, e non si (pre)occupa della figlia. A Fresi,
attore ordinariamente misurato, il Kostas Rai toglie il respiro: parla, si
muove, s’arrabbia a velocità doppia - come in un film d’azione, mentre è solo
discorsivo.
Una produzione Rai
al risparmio, benché firmata dalla Palomar di Degli Esposti che “inventò” il Montalbano
televisivo – a dialoghi più veloci pose più rapide? Atene non c’è, solo qualche
foto aerea.
Milena Cocozza, Kostas,
Rai 1
giovedì 12 settembre 2024
Il mondo com'è (479)
astolfo
Dawes Plan – È il piano concluso
nel 1924, dopo un duro negoziato, nell’ambito del Dawes Committee, delle potenze
Alleate, per riordinare e rendere esigibili le riparazioni di guerra che la
Germania doveva agli Alleati. L’allora presidente della Reichsbank (ora
Bundesbank) che lo negoziò per la parte tedesca, Hjamar Schacht, dà conto nelle
memorie, “Confessions of the Old Wizard”, di avere avuto un occhio di riguardo solo
da parte dei rappresentanti italiani nel Committee, prima il “professore di
economia Flora, di Bologna”, poi di “Feltrinelli”.
Feltrinelli è Carlo,
figlio di Giovanni (e di Maria Pretz, austriaca), che succedendo al padre e allo
zio Giacomo, aveva spostato le attività di famiglia dal legno /(la forniture di
traversine per le ferrovie italiane, e anche austriache) verso l’immobiliare
(la Nord Milano) e la finanza. Rafforzando la banca di famiglia, la banca
Feltrinelli, con l’acquisizione di importanti clienti a Milano (Edison, Falck):
Nel 1915 era riuscito a entrare nell’istituto per il credito a medio termine creato
dalla Banca d’Italia per finanziare l’industria degli armamenti, il Csvi. Nel
1919 aveva trasformato la banca di famiglia in società per azioni, la Banca
Unione, divenendo quindi consigliere, poi presidente, del Credito Italiano,
seconda banca italiana dopo la Commerciale, nonché marchese, e uomo pubblico. Consigliere
di molte banche europee, compresa la Reichsbank, la banca centrale tedesca (1924-1930, per conto del governo italiano), rappresentò l’Italia nel Dawes Committee nelle sedute
finali. Era l’unico membro del comitato che parlasse tedesco, avendo fatto il liceo
a Bolzano, allora austriaca.
“Il senso di durezza”, ricorda Schacht del
suo primo approccio a Parigi con la commissione, “svanì solo quando l’italiano –
il professor Flora di Bologna – mi strinse calorosamente la mano col vecchio buon
austriaco «Habe die Ehre»”, onorato. Federico Flora, nativo di
Pordenone, insegnava Scienza delle Finanze a Bologn – dove presiedette la Banca
Popolare. Fu anche giornalista, direttore infine del “Resto del Carlino”, e
senatore, promosso da Vittorio Emanuele III.
La Commissione Riparazioni
fra gli Alleati essendo a un punto motto, poiché la Germania semplicemente non
poteva pagare, una nuova Commissione fu costituita che prese il nome dal suo
presidente, il rappresentante degli Stati Uniti, Charles G. Dawes – un banchiere
di Chicago che aveva diretto in guerra il Bureau of the Budget a Washington, e
sarà il vice del presidente Calvin Coolidge, 1924-1929. Ebbe il Premio Nobel
per la pace nel 1925, per il Piano Dawes per le riparazioni.
Il negoziato si
tenne a Parigi, essendo la Francia la più dura ed esigente fra le potenze
vincitrici per quanto concerneva le riparazioni di guerra – aveva già promosso
l’occupazione militare della Ruhr, come arma di pressione sul governo di Berlino,
e favoriva il “secessionismo renano”, proponendo una sorta di banca centrale locale,
con fondi francesi e, Parigi sperava, inglesi. Schacht riuscì a scongiurare la
secessione finanziaria per l’aiuto del governatore della Banca d’Inghilterra,
Montagu Norman, che in sua presenza rispose negativamente alla richiesta del
ministro francese delle Finanze. D’altra parte, gli Stati Uniti esigevano il ripagamento
dei prestiti concessi durante la guerra agli Alleati, oltre 10 miliardi di dollari.
Dawes riuscì a coordinare le due esigenze.
Il piano Dawes fu
presentato nell’aprile del 1924. Non fu fissata una cifra, solo si disse “ridotto”
l’ammontare totale delle riparazioni, e anche l’ammontare annuale. Da
incrementare man mano che l’economia tedesca avesse ripreso a marciare – le richieste
di Schacht. I franco-belgi avrebbero evacuato la Ruhr occupata militarmente. Le
banche anglo-americane avrebbero finanziato con un prestito di 200 milioni di dollari
l’economia tedesca.
Il meccanismo
messo in moto era una triangolazione. Le banche americane avrebbero continuato
a prestare alla Germania, per metterla in condizione di pagare, con la valuta
dei prestiti e con l’accresciuta attività economica, cioè con le esportazioni, le
riparazioni a Francia e Gran Bretagna. Che a loro volta avrebbero impiegato queste
entrate per ripagare i debiti di guerra con gli Stati Uniti.
La Germania dovette
comunque pagare ogni anno due miliardi di marchi oro in riparazioni – lo fece per
sette anni, fino alla crisi del 1931.
Eufemio da Messina –
Soggetto di una tragedia di Silvio Pellico, 1820, e di un’opera di Carolina
Uccelli, 1836, andata perduta, è il governatore bizantino in Sicilia che si alleò
con l’emiro di Kairuan (oggi Tunisia) per portare gli arabi nell’isola, nell’827.
Accusato del rapimento di una vergine dal chiostro si ribellò e si alleò con i mussulmani.
In un primo momento si era difeso erigendosi a comandante dell’isola: aveva
preso Siracusa e aveva sconfitto la milizia mandata al suo arresto. Poi,
essendoglisi anche la popolazione rivoltata contro per l’empietà di cui si era macchiato,
si era rivolto all’emiro. Sarebbe stato ucciso mentre trattava la resa di Castrogiovanni,
oggi Enna.
Karl Haushofer - Albrecht
Haushofer, autore dei commoventi “Sonetti
di Moabit”, arrestato a Natale (1944), fu ucciso il 23 aprile 1945 in
quella prigione, un mese prima della fine del Reich, dopo che il padre Karl, il
geopolitico, si era rifiutato d’intercedere: “Ha tradito la patria”, dicendo –
un anno dopo si suiciderà, con la moglie ebrea, ma non per la vergogna, per la
povertà.
Irlanda – Era il paese
più povero dell’Europa occidentale, in assoluto e pro capite, mezzo secolo fa, prima
dell’accesso alla Comunità poi Unione Europea. Con un reddito pro capite di
poco più della metà del reddito medio pro capite europeo. È diventata con la Ue
il paese più ricco pro capite, più della Svizzera. Il paese europeo dai
cittadini più ricchi, se si eccettua il piccolo Lussemburgo, con 106 mila dollari
(il reddito medio italiano è di 40 mila dollari). E può proporsi nella pubblicità come innovation hub. È bastato avere l’inglese
come idioma – e non essere Londra (cara).
San Giovanni
– L’evangelista è un altro? Non “il discepolo che Gesù amava” ma un dotto
giurisperito. Anche lui un apostolo, ma tardo: uno “che non fece parte della
cerchia dei dodici apostoli, ma che ebbe comunque conoscenza diretta del maestro
di Nazaret”, spiega Giulio Busi nell’introduzione al suo studio “Giovanni. Il
discepolo che Gesù amava” - pubblicata sul “Sole 24 Ore Domenica”, l’8
settembre. Giovanni l’Anziano, o il Presbitero, noto finora come autore di tre
lettere conservate e riconosciute nel Nuovo Testamento. Che “in una data
antecedente alla rivolta anti-romana del 55-70 e alla distruzione del Tempio di
Gerusalemme si trasferisce a Efeso, capitale romana dell’Asia Minore”. Dove
compone il suo Vangelo, che verrà pubblicato dopo la sua morte, avvenuta “in tarda
età, verso l’anno 100”. Uno “di stirpe sacerdotale”, così lo voleva la tradizione
diffusa a Efeso.
Busi parte dalla constatazione che il “il
Vangelo di Giovanni, detto anche Quarto Vangelo, poiché ritenuto più tardo… è
il più ebraico dei quattro Vangeli. Il suo autore conosce a fondo gli usi
giudaici, e cerca di spiegarli ai lettori non ebrei. È a proprio agio nella topografia
di Gerusalemme, come chi sia nato nella città santa. Anche il greco con cui si esprime
tradisce l’origine ebraica e aramaica dei suoi pensieri”. Mentre è allo stesso
tempo il più anti-ebraico: “Usa parole dure contro i «giudei», e li accusa,
addirittura, di avere per padre il diavolo”.
Carolina Uccelli – Ignorata perfino da wikipedia
fino a ieri, riscoperta da un musicista americano, Will Crutchfield, direttore
della compagnia d’opera “Teatro Nuovo” del New Jersey, che ne ha riproposto una
delle sue due opere, “Anna di Resburgo”, è una poetessa, cantante e compositrice
fiorentina, vissuta tra Firenze e Parigi dal 1810 al 1858. Fu boicottata
inquanto compositrice donna in vita, e presto dimenticata.
Aveva esordito
molto giovane con successo, anche per il patrocinio benevolo di Rossini. “Anna
di Resburgo” fu rappresentata a Napoli nel 1835, al teatro del Fondo, oggi
Mercadante. Dopodiché la stella della compositrice svanì. Si ha notizia dell’esecuzione
a Milano dell’ouverture di una sua terza opera, “Eufemio da Messina”,
sul governatore bizantino che portò gli arabi in Sicilia, ma non dell’opera.
La sua prima
opera, “Saul”, era stata rappresentata alla Pergola a Firenze il 2 giugno 1830
con successo. Col plauso, anche, di Rossini. Carolina Uccelli non aveva ancora
venti anni e la cosa non le fu perdonata. L’apprezzamento di Rossini, si disse,
era dovuto ai favori che la giovane gli aveva concesso. Una giovane già sposa
peraltro: nata Pazzini, alta borghesia fiorentina, aveva sposato a quindici
anni Filippo Uccelli, pisano, chirurgo, facoltoso, vedovo. Un uomo di più del
doppio dei suoi anni, che l’aveva sostenuta nella passione musicale, alla quale
Carolina si era educata, e la sostenne anche finanziariamente, nella produzione
delle sue opere.
Alla morte del marito,
nel 1843, si trasferì a Parigi, al seguito della figlia Giulia, che vi avviava
una carriera da cantante – soprano, studiò canto col maestro Marco Bordogni, famoso
tenore di scuola bergamasca, insegnante al Conservatorio di Parigi, Legione d’onore
nel 1839 in compagnia di Berlioz (che lo incoronava miglior cantante sulla
scena). E la seguì nelle sue tournées di concerti, in Belgio, Olanda e Svizzera.
Morì a Firenze, nel 1858.
Fu dunque a Parigi
negli anni di Rossini – e come lui vi smarrì la vena compositiva? Il successo
del “Saul” nel 1830 non era passato inosservato: Crutchfield ne ha trovato echi
anche nella stampa inglese – seppure su sfondo pettegolo (amante di Rossini).
astolfo@antiit.eu
Le sorprese dell’amore, esagerate
Il titolo italiano (l’originale è
“She came to me”) rende bene la trama: l’amore sconvolge. Vecchio tema, molto usato,
che la regista, soggettista e sceneggiatrice ravviva nei toni della “surrealtà”,
allucinata e pratica quotidiana. Una coppia di ragazzi che si fa, come usa, le foto a letto, per di più in polaroid. Una coppia di genitori “americana”, lui stenografo di tribunale, quindi
automaticamente giurisperito, che passa i week-end nelle rievocazioni in
costume delle battaglie storiche, lei di recente immigrazione ancora senza
cittadinanza che si aiuta facendo le pulizie. E una coppia della New York “in”
- la scena di apertura, già un romanzo, è di un ricco party nella ricca
casa, lei di buona famiglia cattolica ed ebraica, perfetta, lui compositore
d’opera di successo, affetto fa nanismo e scarruffato, tra alcol e ispirazione.
Il marito compositore troverà l’ispirazione,
e anche il libretto, portando fuori il cane, incombenza di cui ha l’incarico. La
coppia di ragazzi sono, lui, figlio della donna di buona famiglia
cattolico-ebraica allevata dalle suore, lei figlia dell’immigrata slava senza cittadinanza.
Che fa le pulizie nella casa di lui. Ci saranno problemi? Ovvio. Ma non solo
per loro: il più grosso è del musicista, che viene rimorchiato mentre porta a
spasso il cane da una capitana di rimorchiatore al porto di New York che è
malata d’amore, un tempo si diceva ninfomane – è appena uscita dalla comunità
di recupero, ma non resiste.
Un soggetto e una resa spettacolari.
Anche se non è girato in Italia in sala, non avendo distribuzione. Classificato
romantico, è invece del genere grottesco, lieve – umoristico. Che in Italia non
ha grande seguito - lo ha invece in Germania, dove è stato apprezzato al festival
di Berlino. Rebecca Miller è scrittrice prima che regista, ma ha già all’attivo
una mezza dozzina di film – tutti presentati, qualcuno anche premiato, alla
Berlinale, la mostra del cinema di Berlino.
Con interpretazioni super di Marisa
Tomei, la dipendente d’amore: ruolo improbabile che invece, in un ruolo
finalmente non di contorno, da caratterista, rende magnetico. Mentre Anna
Hathaway ha il difficile ruolo di psicologa in esercizio, che è moglie e madre
accudente, sempre molto elegante e molto bella, igienista alla paranoia, sta
sempre a pulire, e nell’intimo frigida – da suora. Due personaggi di difficile
caratura che le due interpreti tengono vivi per tutto il film. A Peter Dinklage, l’artista ex bohème, ora molto off e molto in, basta la figura,
il testone scarruffato e il corpo esile, e la fama acquisita col “Trono di spade”.
Le sorprese dell’amore, non si
direbbe. Il tutto regge la sceneggiatura. E un montaggio millesimato, che non
lascia mai cadere l’attenzione.
Rebecca Miller, E all’improvviso
arriva l’amore, Sky Cinema, Now
mercoledì 11 settembre 2024
Letture - 558
letterautore
Constant – Apprezzato
vastamente in Italia quale campione del liberalismo (Croce), ma non in Francia,
dove è discusso, ma solo per l’opera letteraria - che è solo il racconto
“Adolphe”. Così Teresa Cremisi, che cura l’edizione Garzanti del racconto.
De André – Un poeta per i
fan. Ma “a chi lo definiva poeta”, ricorda Mastrantonio (“7”. 6
settembre), “De André rispondeva rifugiandosi in un citazione di Benedetto
Croce, per cui fino ai 18 anni tutti scrivono poesie, mentre dopo lo fanno solo
poeti e cretini; e lui, prudentemente, si era rifugiato nella canzone”. Ma con
riferimenti poetici quasi letterali. Mastrantoio ne cita due. “L’inizio della
canzone «Nei quartieri dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi…» è preso
dalla poesia di Jacques Prévert «Embrasse-moi»” – no, è il Brassens di “Embrasse-les
tous”, abbracciali tutti, al sole è possibile.
Ne “La città vecchia” (1965), una delle prime composizioni, insiste Mastrantonio,
“sviluppa temi, atmosfere e persino la morale dell’omonima poesia di Umberto Saba”
– una poesia della raccolta “Trieste e una donna” (1910-1912) del “Canzoniere”. No, è la stessa, quella di Brassens - non i metri ma il tema, e molte figure e parole.
De Staël - Ebbe con
Benjamin Constant, fra i tanti, “la più verbosa relazione che la storia
ricordi”, Teresa Cremisi, intr. a B. Constant, “Adolphe”, ed. Garzanti. A
partire dal settembre 1794, entrambi trentenni, età allora considerevole (lei del
1766, lui del 1767), lei scrittrice, lui aspirante scrittore. Ricorda lui nel
diario ultimamente pubblicato: era “la persona più celebre del nostro secolo”,
ma intende riferirsi all’Ottocento, quando scrive, e non al Settecento, quando
la incontra, “per i suoi scritti e la sua conversazione. Non avevo ma visto nulla
di simile al mondo. Ne divenni pazzamente innamorato”. Si dimentica di Charlotte
von Hardenberg, che aveva divorziato per lui: “Charlotte fu completamente
cancellata…. Non risposi più alle sue lettere. Ella cessò infine di scrivermi”.
Fu un sodalizio rafforzato, dice Cremis, dai “solidi fili del lavoro letterario
e della passione politica”. Ma “Germaine lo ama, e lo proclama ai quattro veti,
Benjamin la tradisce in continuazione e cerca (invano) tutti i giorni di
prendere le distanze”. Sono anni, Constant ripete mille volte nel diario,
“insopportabili, terribili, spaventosi”. Le relazioni poetiche possono essere
terribili.
Il 20 settembre1807 Constant annota: “Era ieri l’anniversario del quattordicesimo
anno di questo legame funesto. è da dodici che cerco invano di spezzarlo”. L’anno
seguente sposa in segreto l’abbandonata Charlotte. Ma fino a metà 1811 continua
a convivere con Germaine de Staël – che morirà presto, nel 1817, un 14 luglio.
Interviste tv – “Naomi
Campbell è stata insopportabile”, risponde Mara Venier a Renato Franco nel medaglione
“Le Capitane” del “Corriere della sera” sulle sue famose interviste in tv: “Non
voleva rispondere a niente. È arrivata con otto ore di ritardo e a ogni domanda
continuava a ripetere (it) is my privacy. Le avevamo dato quaranta
milioni di lire”.
Jus Scholae – Alcuni dei
migliori scrittori francesi sono svizzeri: Rousseau, Constant, de Staël,
Cendrars. Sismondi. Anche belgi: Simenon.
Sono svizzeri anche importanti scrittori tedeschi: Gotthelf, Keller,
Robert Walser, Dürrenmatt, Max Frisch - e Johanna Spiri, “Heidi” (e Joël
Dicker).
Leopardi – Uno “spettatore
che perde quasi coscienza di sé”: lo inquadrava ai margini Carlo Cassola in uno
dei “Fogli di diario” che tenne sul “Corriere della sera” dopo il 1968. Non
avendone per questo grande opinione: “Poche poesie vale la pena di tornare sempre
a rileggere”.
Politicamente corretto – Non è una novità, nei limiti del buonsenso. Non nell’Italia repubblicana:
Massimo De Luca, l’antico radiocronista sportivo, ha messo in scena la vicenda
di Niccolò Carosio, il cronista sportivo canonico allora della Rai, esonerato dallo
storico Italia-Germania 4-3 a Città del Messico, per un insulto razzista al guardialinee
etiope che aveva annullato un gol a Riva nell’eliminatoria con Israele.
“Riascoltando la telecronaca”, De Luca spiega a Tomaselli sul “Corriere della
sera”, “quella parola non fu mai detta: Carosio dice solo, stizzito, «l’etiope
annulla»”. E ricorda: “Enzo Tortora sul «Carlino» disse: «Se non fate più dire
etiope a Carosio, non trasmettete più l’Aida, che contiene quella parola»”.
De Luca ricorda an che fu Ghirelli a dire, in tono scherzoso: “Nelle interviste
post partita il grande giornalista Antonio Ghirelli – sottolineando il carattere
scherzoso della sua affermazione – parlò di «vendetta del Negus»”. Ma anche queto urtò qualche sensibilità: “Di
questo si trova traccia in una lettera di Carmelo Bene all’Unità” – Bene
il trasgressivo facendo notare di Carosio (reo di non essere “riveriano” come
lui): “Non diede mai del ’signor’ – come si usa fare ai direttori di gara – a
Seyoum Tarekegn”.
Del “caso Carosio” De Luca si era già occupato nel 2009 durante la
trasmissione la Domenica Sportiva di cui era conduttore. Su
quella che considera “la prima fake news del calcio e dello
sport italiano” De Luca è poi tornato nel 2010 con un capitolo del saggio Sport
in tv. Storia e storie dalle origini a oggi (Rai Eri, scritto a
quattro mani con Pino Frisoli) e ora con uno spettacolo teatrale, Quasi
goal.
Recensione - Se ne lamenta
la scomparsa, da tempo ormai – insieme con quella del critico militante. Se ne
fanno molte e moltissime, i settimanali letterari sono almeno quattro, e recensiscono
un centinaio di libri a uscita. Ma non è la stessa cosa. Per questo si segnala
la pagina lirica che lo psichiatra Eugenio Borgna ha dedicato a Rosella Postorino,
“Nei nervi e nel cuore”, sul “Corriere della sera”, che è il giornale dell’editore
di Solferino, la casa che pubblica Pastorino.
Sceneggiati – È incredibile
il numero e la qualità degli sceneggiati, per autori, registi e interpreti
coinvolti, cinquant’anni fa. Solo negli anni 1975-1977,
https://www.teche.rai.it/sceneggiati-e-fiction-1975-1977/.
Tra essi molti capolavori, “La baronessa di Carni”, di Daniele D’Anza, o “Il
maestro e Margherita”, con l’epico, per ascolti, “Sandokan”. I romanzi più
famosi, ridotti dagli scrittori di maggior nome. Con i registi e gli attori di maggior
talento.
Teche-Rai ne elenca sessanta per ogni triennio precedente,
https://www.teche.rai.it/sceneggiati-e-fiction-1970-1973/
https://www.teche.rai.it/sceneggiati-e-fiction-1973-1975/
Umorismo – Abatantuono
lo vuole finito. “È Tik Tok la prova che l’umanità non potrà mai più essere quella
di prima”, spiega in un’intervista su “7”: “Su 500 mila filmati ce n’è uno che
fa ridere ma i ragazzi ridono per tutti. Il senso dell’umorismo è finito lì”.
letterautore@antiit.eu
Ritorno allo sceneggiato, in grande stile
Magistrale la
scena iniziale del terremoto a Bagnara, breve, il tempo giusto del terremoto, e
da cine-verità. Grandi panoramiche delle piazze, i mercati, i palazzi, esterni
e interni, di Palermo. Dove i Florio, poveri “putighari”, bottegai, di spezie, di
Bagnara in Calabria, decidono di stabilizzarsi – sulle orme di parenti e paesani
che, come avviene in tutte le emigrazioni (a quella italiana in Nord America, in
Perù, in Argentina, in Venezuela, in Australia), se ne fanno una piccola rendita,
con “sistemazioni” e anticipi a larga resa. Dialoghi appropriati. Interpreti aderenti al ruolo, in
queste prime puntate, Marchioni (Paolo Florio), Briguglia (il fratello
Ignazio), Ester Pantano (moglie di Paolo, ma innamorata di Ignazio) e il figlio
e nipote Ignazio, artefice delle future fortune, almeno finché lo interpreta Eduardo
Scarpetta – Riondino, nella scena madre dei titoli di testa, e poi Ignazio
adulto, ha sempre la stessa espressione, quella dal “Giovane Montalbano” alla “Palazzina
Laf”.
Costumi, interni, esterni, una grande
produzione, senza le furbe economie delle “serie” - viaggi attorno a una stanza:
la Rai apre la stagione tornando ai fasti degli sceneggiati anni 1970. Palermo
peraltro si presta, è scena incomparabile. Peccato che la Rai (Genovese?) la
legga nello “stile Rai”, tristanzuolo, cieli grigi, visi pallidi, interni luttuosi,
invece che luminosa, come è, vedi la serie “Montalbano”. Peccato anche per le musiche,
stranissime, hop, funk, perfino, sembra, electronic –
pubblicità occulta? Peccato anche (ma forse è di Auci, l’autrice
del romanzo dei “Leoni”?) che il terremoto a Bagnara sia datato 1802, 1799 e
1788 – nessuna data plausibile (è stato nel 1783): Paolo Florio non emigra per cercare
fortuna?
Paolo Genovesi, I
Leoni di Sicilia, Rai 1, RaiPlay
martedì 10 settembre 2024
Ma Meloni è la spalla di von der Leyen
Non ci sarebbe mai stato un taglio alla “relazione
speciale” stabilita tra Meloni e von der Leyen nella passata legislatura
europea. Il sentiment della Farnesina è forse d’obbligo. Ma è
argomentato.
Meloni non ha votato von der Leyen, se non su
richiesta di quest’ultima, comunque per non scomodare la vecchia comoda alleanza
che l’aveva votata cinque anni fa. Ma mantengono il rapporto personale. Con speciale
sintonia su tutte le questioni, le politiche di bilancio, restrittive ma non
troppo, le liberalizzazioni (concessioni balneari), l’immigrazione.
Sull’immigrazione la posizione era comune fra le
due statiste prima dell’allarme suonato in Germania con la crescita
esponenziale di Afd. Convergono sulla posizione italiana, che va regolata all’origine,
nei paesi di provenienza. Sul “patto migratorio” Fratelli d’Italia aveva già
votato con i Popolari – il partito di
von der Leyen. Distintamente, cioè, da Orbàn e Le Pen (e Salvini).
Analoghe, se non comuni, sono le posizioni sul green
deal: non abbandonare il pian radicale della passata legislatura europea ma
ammorbidirlo - adattarlo alle congiunture di mercato e alle capacità produttive.
È anche vero, a prescindere dalle valutazioni
della Farnesina, che von der Leyen è Manfred Weber, il bavarese (quindi moderato,
se non di destra) coordinatore dei Popolari al Parlamento. Che si sbraccia a
dire il governo Meloni “pro Europa, pro Stato di diritto, pro Ucraina”. Un dieci
e lode.
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Il mondo com'è,
Si dice in città
Euromissili di ritorno
Delle due grandi opzioni prospettate necessarie da
Draghi, la legislatura europea che si apre sarà quella del bond europeo,
di Francoforte piazza finanziaria mondiale, di attrazione del risparmio di grandi
capitalisti e grandi esportatori? Oppure quella della difesa europea, di forze
armate coordinate strategicamente e tatticamente, e armate cn piani unitari? Per
ora è più probabile la seconda novità. Ma, a quello che finora si é deciso, nella
forma degli “euromissili di ritorno”.
Il sistema sovetico fu scartinato, si ricorderà,
dalla decisione americana di schierare in Europa sistemi missilistici in grado
di coprire il vasto impero russo – per una ritorsione cioè non più lasciata ai
missili intercontinentali.
Due mesi fa, a margine delle celebrazioni dei 75
anni della Nato, Stati Uniti e Germania hanno annunciato un accordo per l’installazione
su suolo tedesco, entro due anni, di missili americani a lungo arggio – in grado
cioè di colpire aree anche remote della Russia. La notizia non ha destato interesse
in Italia. Ma negoziato sono da allora in corso per posizionare missili
americani a lunga gittata anche in Italia.
Il governo tedesco ha minimizzato l’accordo. Ha spiegato
che non si tratta egli euromissili degli anni 1980. E che lo schieramento in
Germania è provvisorio.
Ma il provvisorio è, secondo il ministro tedesco
della Difesa, Boris Pistorus, “il tempo necessario all’Europa per sviluppare la
propria arma”. E questi missili a lunga distanza sono “non nucleari”. Sono in realtà
“duali”, in grado cioè di essere armati con testate nucleari.
Masada non fu una grande resistenza
L’assedio di Masada fu montato in pochi
giorni, e si risolse in pochi giorni. Un episodio cardine della storia ebraica,
come ricostruita in Israele, la resistenza all’espansione romana duemila anni
fa, esattamente nel 73 d.C., nella rocaforte di Masada, sul mar Morto, viene
ridimensionato dalle ultime ricerche archeologiche, a opera di archeologi
israeliani del’università di Tel Aviv, che ne pubblicano i risultati nel “Journal
of Roman Archeologuy”.
L’assedio, la resistenza all’assedio
dopo la rivolta, sono una pietra miliare della “storia di Israele”, come è
stata ricostituita finora sule fonti classiche. Nel caso, sulla storia di Giuseppe
Flavio, lo storico romano del primo secolo, di origine ebraica, che scriveva in
greco. Autore di “La guerra giudaica”, oltre che di “Antichità giudaiche”. Giuseppe
Flavio dice che l’assedio fu lungo, e che i ribelli ebrei preferirono uccidersi
che consegnarsi ai romani di Vespasiano. La ricerca ora pubblicata, condotta con
i più modern ausili tecnici e di calcolo, di cui la pubblicazione dà gli esatti
riferimenti e i criteri d’uso, accerta invece che fu una cosa di pochi giorni. “Vennero”,
commenta Stiebel presentando al ricerca, “assestarono un colpo mirato, e se ne
andarono. I dati sono molto chiari. Parliamo di un periodo brevissimo per costruire
il sistema d’assedio”.
Dei tanti calcoli che hanno portato
a questa conclusione, il più discorsivo è quello dei “carichi di lavoro”, dedotti
in riferimento a quelli noti dell’assedio di Gerusalemme tre anni prima: “I
nostri calcoli sui carichi di lavoro danno che 5.000 uomini potrebbero aver
costruito il sistema d’assedio attorno a Masada in 11-16 giorni…. Nell’assedio di
Gerusalemme del 70 d.C. le forze romane, cinque volte più grandi di numero di
quelle di Masada, costruirono 7 km di mura di circonvallazione e 13 campi in tre
giorni…. Se assumiamo che gli altri parametri erano simili (p.es. l’altezza e la
larghezza del muro, le pietre portate dalla stessa distanza) possiamo calcolare
il tempo necessario per costruire il sistema d’assedio di Masada in rapporto alle
giornate di lavoro impiegate per il sistema di Gerusalemme moltiplicate per 5
(la forza lavoro a Masada era cinque volte più piccola) e divisa per 1 e due
terzi (il sistema d’assedio di Gerusalemme era 1 e due terzi più grande).”
Hai Askenazi- Omer Ze’evi-Berger,
Boaz Gross- Guy D. Stiebel, The Roman siege system of Masada: a 3D
computerized analysis of a conflict landscape, “Journal of Roman Archeology”, 29 agosto 2024, Cambridge University Press free online
lunedì 9 settembre 2024
Meloni e i suoi cari – l’’intelligenza di destra
L’intelligenza di destra è tribale, in
Italia, clanica, familiare, amichevole? È quello che si vede. L’intelligenza di
destra non manca, non in Italia: ci sono manager, artisti e intellettuali che
simpatizzano per la destra, moderata e anche non (lasciando stare l’arte, che
un po’ ovunque, ora e prima, è più opera di conservatori). Ma le scelte di questo
governo, il primo di destra, sono da “Amici miei”, da cazzeggio, da complicità
adolescenziali, un tempo si diceva da “prima visita casino”. Anche in consessi
di prestigio, e di tradizione, che richiedono competenze, almeno un simulacro.
O da imperatori che fanno senatore il cavallo – ma per disprezzo di chi,
essendo poi solo parlamentari eletti? Amici di scuola, di quartiere, di famiglia,
perfino di vicinato.
Il consiglio del Maxxi di Roma, p. es.,
che si rivela inutilizzabile per la successione al presidente dimissionario –
il presidente divenuto ministro. Lo stesso alla Rai per la successione alla presidente
dimissionaria. E lo stesso si direbbe per Sangiuliano, che va in tv per giurare e spergiurare: il minimo che si richiede a un politico è il sangue freddo.
Nei passati governi di destra che in realtà
erano di centro-destra e non di destra-centro, Berlusconi s’illustrava al contrario
cooptando personaggi il più possibile eminenti o capaci, Monti e Bonino,
Letizia Moratti o Cingolani - ci provò perfino con Gianni Agnelli.
Un’Europa con meno Germania – e meno Usa
Il piano Draghi per l’Europa dice molte cose, che,
sintetizzate in una formula da lui evitata, significano: l’Europa a trazione
tedesca non funziona. La Germania ha prosperato negli anni di Merkel con la
politica più mercantilistica (nazionalistica) mai registrata nel dopoguerra,
nel campo bancario e in quello industriale (salvataggi e aiuti di Stato), con
accordi privilegiati con la Cina, politici oltre che industriali e commerciali
- e con l’energia a sconto fornita dalla Russia, si scopre ora che ha dovuto
chiudere quella fonte. L’Europa tenendo sotto la sferza delle “compatibilità”
(La Malfa) o dell’austerità.
È così che, a partire dal crac bancario americano
del 2007, aggravato per l’Europa dalla crisi del debito del 2011, e con la
crisi mondiale del covid 2019-2021, l’Unione Europea ha registrato la crescita
più bassa rispetto al resto del mondo. Complessivamente, negli anni del
Millennio, quasi un quarto di secolo, dal 2000 al 2023, il pil reale europeo è
cresciuto nel periodo dell’1,6 per cento, contro il 2,1 per cento degli Stati Uniti,
il 5,1 delle economie emergenti, l’8,3 della Cina. La quota della Ue a 28 sul
pil mondiale si è conseguentemente ridotta, dal 25 per cento circa al 16,6 per
cento a fine 2022.
Gli altri vanno in qualche modo veloci, l’Europa
ristagna. Nella produzione, e nella produttività che è il vero motore della
produzione. È come se fosse invecchiata: non investe, non a sufficienza, giusto
per la sostituzione, e non innova. Draghi vuole una serie di investimenti. Specie
per la difesa – dove però non sono augurabili. L’Europa va liberata dalle pastoie
del ventennio merkeliano. Il debito va affrontato, alcune economie ne sono strozzate
– per prima l’italiana. Le politiche fiscali vanno armonizzate – com’è che si
può scappare in Olanda, o in Irlanda? E soprattutto, i mercati finanziari vanno
irrobustiti. Allargando le scadenze e alleggerendo i pesi. Rafforzando l’euro, fino
ai treasury Ue, come polo d’attrazione dei capitali. Comunque ricordando
che non c’è salvezza dentro la gabbia del dollaro. Se non nei limiti e al
volere deel deep State di Washington, che non sempre combacia con
l’interesse dell’Europa, più spesso collide, da qualche tempo, già prima della
guerra in Ucraina, dichiaratamente.
Roma Nord non fa ridere
La notevole stand-up
comedian, o cabarettista, di tanti programmi tv di successo, con partecipazioni
in molti film, si prova con una commedia a soggetto tutta per sé, con una
storia e dei personaggi. Di un ambiente che conosce, venendo dalla Balduina, studi
al Mamiani, dice la bio, benché da una famiglia di nonni e bisnonni calciatori
oplontini (Torre Annunziata): Roma Nord. Che vive di shopping, parrucchieri,
coppie asiatiche, relazioni sociali, club esclusivi, minicooper, fragole e
panna. Figli sparsi, e amiche, di vario colore, bionde, brune, castane, ma
tutte in silhouette.
Tutto Roma Nord, dunque,
benché da posizioni contestatrici. Fino al giorno in cui il padre non introduce
in casa un’altra figlia, confinata a una comunità per giovani autistici: grassa,
goffa e vorace. La sorellastra rovinerà il matrimonio di Flaminia, e fin qua
poco male – il fidanzato è un debole, da un paio di pose (serve da gancio per
la sua famiglia, reputata “di più”). Se non che tutto girerà attorno a lei,
Ludovica - grande interpretazione di una ignota Rita Abela. E Flaminia-Giraud
ci priva del suo talento. Nemmeno una battuta.
Un film sociale,
firmato da un’attrice brillante. Contro la vacuità borghese - tutta femminile,
per la verità. E per l’inclusività.
Michela
Giraud, Flaminia, Sky Cinema
domenica 8 settembre 2024
Ombre - 736
Lo spagnolo
Borrell, commissario Ue per gli Esteri e la Difesa, critica Meloni perché “non
permette all’Ucraina di usare le armi che le fornisce per colpire le basi russe
all’interno del territorio russo”. Borrell è socialista e quindi ci sta che critichi
Meloni il giorno in cui incontra un riconoscente Zelensky - non è la prima
volta che lo fa, mentre non lo fa per Francia e Germania. Ma è anche spagnolo:
la guerra in effetti è diversa vista dalla Spagna, la Russia, gli slavi, la
vedranno come un videogioco.
“Paisans for Harris\Walz”,
s’intitola così il manifesto degli italo-americani Democratici, lanciato ieri
in rete, firmato da nomi eccellenti, tra essi Nancy Pelosi e Robert De Niro,
Lorraine Bracco dei “Sopranos”, Bill de Blasio. Peggio lo slogan, tutto alto,
in tricolore: PASTA AND PROGRESS. Mah! Per
raccogliere voti? L’America è un altro mondo.
Sangiuliano annuncia
cause contro Boccia. Anche Meloni si mete a polemizzare. Un tappeto rosso per
la dottoressa in eventi. Sapendo già che il marito non è riuscito a ottenerne il
divorzio in dieci anni – dopo appena uno di matrimonio? Ci vuole giudizio, il potere
è nudo, come diceva il bambino della favola di Andersen.
Dodici pagine alla
ricattatrice di Pompei ancora dopo le dimissioni di Sangiuliano. Ce l’avremo
ancora sul gobbo? Senza mai dire chi è, cosa ha atto, cosa fa questa donna.
Giusto poche righe dell’ex marito, da lei martirizzato con un processo di
divorzio interminato dopo dieci anni. Voglia di scandalismo? È l’opposizione,
bellezza? Poi dice che nessuno compra più il giornale.
È una gigantessa
la “dottoressa” nel salotto televisivo cairota “In onda” su “La 7”, i
conduttori Aprile e Telese fanno da spalla ala primadonna – Aprile con belle
palle per gli smash della “dottoressa”.
Trattata non solo come una persona normale, anche come un personaggio,
una diva. È anche vero che la donna ha portato la tv di Cairo al 10 per cento
di share, quasi.
“L’Italia ha
pagato per interessi più di Francia e Germania insieme”, può dire il presidente
Mattarella, e spiegare anche il perché: “Il motivo è nella diversa valutazione del
debito”. In effetti, non si riesce a far dire che il debito italiano è una vacca
da mungere. Da quando nel 1992 il padre della speculazione made in America
Soros ci fece in poche ore molti miliardi.
Il rating
dell’Italia, che definisce il costo del debito, di agenzie di rating diversificate
ma tutte di Wall Street, è lo stesso del Paraguay – l’America non ha molto il
senso del ridicolo, basta il potere.
http://www.antiit.com/2024/09/il-cappio-del-rating.html
Una speculazione,
così, facile facile – Soros aveva dovuto studiare. Mattarella dice: “Ma l’Italia
è un paese solvibile”. Questo lo sanno tutti, ad abundantiam –
altrimenti dove sarebbe l’utile?
Spettacolare,
incredibile, conclusione della vicenda decennale, ventennale?, delle
concessioni balneari. Con l’ok distratto di Bruxelles – come a dire “un ce ne po’
frega’ de meno”. Dopo mes, anni, di pagine allarmate, contro questo o quel governo
in nome di Bolkestein, della concorrenza, del mercato, della spiaggia libera
(da poter sporcare a piacimento), la vicenda si risolve con gaudio di tutti in
cinque o dieci anni – su questo poche righe. Non bisogna essere complottisti,
ma se non non è complotto cos’è, stupidità?
Non si penserebbe
mai i giornali a corto di argomenti, che per anni abbiano dovuto rompere con le
concessioni balneari. Cos’era, una frontiera? Una barricata? Contro la libertà?
C’è un giornalista che vada alla spiaggia libera? Senza lo spritz?
Si susseguono in
Ucraina le rimozioni, i licenziamenti, i rimpasti, le dimissioni, senza mai una
ragione specifica. Il paese è in guerra e forse non è opportuno. Ma dare
un’indicazione del perché? Non ci sono in realtà inviati in Ucraina? Ci sono ma
non sanno che succede e non gliene frega – basta riscrivere le agenzie sulle bombe
e i morti del giorno?
La “politica” o
“strategia dei tassi” è in realtà la sfida dei tassi. Una sfida tra banche
centrali. Peraltro limitata all’Occidente: se la Fed americana taglio o aumenta,
la Bce taglia e aumenta di più. L’obiettivo primario della politica dei tassi regolare
il valore di cambio della moneta.
Roma colpita da un
temporale si allaga. Succede, non è una novità, le acque non hanno dove
defluire. Anche il fossato, per modo dire, attorno al Pantheon – nei
lungoteveri si guidava come su un lago a fondo piatto, sperabilmente. Ora, va
bene anche rispettare il sindaco e la maggioranza in Campidoglio, ma “la Repubblica-Roma”
si supera: poche righe al nubifragio, e tutte diminutive: “Danni alla viabilità,
alle abitazioni e agli esercizi commerciali” – e hai detto niente. Con molti,
ripetuti, anche nelle poche righe, elogi al sindaco Gualtieri e alla sua task
force anti-temporali.
Un servizio che può
leggersi come una presa in giro. Ci vuole abilità nella complicità.
Non dice mai
“false” le dichiarazioni rese dall’ex Procuratore della Dna Laudati la giudice
Elisabetta Massini, che lo ha ritenuto colpevole di dossieraggio illegale ma
non carcerabile. Dice “non corrispondenti al vero”, anzi “in parte non
corrispondenti al vero”. È qui la differenza, per cui Laudati, che la stessa
giudice dice spergiuro, poi decide che in libertà non proverà a inquinare le
prove. Logica non c’è, solo rispetto, di classe.
Si celebrano quest’anno
le feste dell’Unità con rinnovato impegno. Fa piacere, si vede che ci sono più
risorse. Ma fa senso aggirarsi fra i banchi, pochi e vuoti. E ascoltare
democristiani sul palco che insultano altri democristiani (Gentiloni, Renzi,
Franceschini…). Cui bono?
Fa notizia Renzi
che “guida” il Pd, dopo averlo comandato, esserne uscito e averlo combattuto in
mille modi. La rottamazione della vecchia politica, di trasformismi piccoli e grandi,
era solo un gioco di ruolo, Renzi è un vero democristiano, di destra e di
sinistra indifferentemente, purché stia a galla, in posizione di comando.
Una linea tranviaria
dorsale di mezza città, la 8, sconvolta, per la seconda volta in due anni, per
il rifacimento della massicciata. Rifatta due anni fa con diciotto mesi di
lavori invece di sei. Un ponte chiuso, Garibaldi, che è l’unico utilizzabile da
due quartieri di quasi mezzo milione, Trastevere e Monteverde. E niente. Le
cronache romane saranno ben al carro della galassia Pd al Campidoglio. Ma che
uno dei due megappalti per il rifacimento dei quasi 5 km. dell’8 sia stato truffaldino,
anche su questo si tace. L’Atac, l’azienda della commessa, mantiene la stessa
dirigenza. Il Campidoglio non ne chiede conto all’Atac. La Procura non ne
chiede conto al Campidoglio. Poi si dice la mafia.
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Leopardi censura Dante, Petrarca e Boccaccio
Un’opera trascurata di
Leopardi a cui egli però teneva moltissimo. La realizzò benché vivamente
sconsigliato dai migliori letterati dell’epoca, per esempio Giordani. E la
redasse di sua iniziativa e su suo progetto, benché poi per conto, remunerato,
dell’editore Stella di Milano. In meno di un ano, spiega Giulio Bollati: “Incurante
dell’avviso dell’amico, Leopardi «stacca» e «straccia» brani di prosa da una
montagna di libri tirati giù di furia dagli scaffali paterni, e finalmente
pubblica di slancio la sua Crestomazia dopo neppure un anno dall’inizio
dei lavori”.
L’antologia è annunciata
nella prefazione “come un saggio e uno specchio della letteratura italiana”. Gli
autori sono un’ottantina, i brani inclusi circa trecento. Divisi per generi retorici
(“narrazioni”, “descrizioni e immagini”, “apologhi”, “allegorie…..). Un’opera
che si segnala per le bizzarrie. Il Trecento non c’è. Un’esclusione non
spiegata, e aggravata sarcasticamente da una nota – “la sola di questo tipo”,
nota a sua volta il curatore di questa riedizione – per scusarsi di avere
incluso il “Lamento della madre di Eugenia”, un frammento dalle “Vite dei Santi
Padri” di Domenico Cavalca. Il Quattrocento c’è, poco. Il lavoro entra nel
pieno col Cinquecento, con l’individuazione di una vena protoromantica. E s’ingrossa
via nei secoli seguenti, perfino nel Seicento, su questo filo.
Alla “Prosa” seguirà la “Poesia”,
un altro volume di altrettante pagine. Malgrado il silenzio siderale che
accolse la prima pubblicazione. Specie da parte degli amici fiorentini, e di
quelli del Vieusseux – la rivista del gabinetto, l’“Antologia”, non ne registrò
nemmeno l’uscita. Col paterno Giordani il giovane Leopardi, 23 anni, si
giustificava nel 1821 con un grande proposito: “Chiunque vorrà far bene all’Italia,
prima di tutto dovrà mostrarle una lingua filosofica”. Qualcosa effettivamente l’ha
mostrata, Machiavelli, Guicciardini, Galilleo, ma in subordine.
Uno degli ultimi gioielli
Nue, la Nuova Universale Einaudi. Col testo originale, introdotto, con una
dissertazione elaborata e piena di riferimenti, e annotato da Giulio Bollati.
Giacomo Leopardi, Crestomazia
italiana. La prosa, Einaudi, pp. VII-CXIV+662, pp.vv.
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