sabato 14 settembre 2024
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (571)
Giuseppe Leuzzi
L’imprenditrice di Pompei, organizzatrice di eventi,
“dottoressa” senza studi, amante senza amore, soprattutto interessata a un posto
statale, che sembra inventata da Checco Zalone, è “la donna del Sud”, secondo i
cliché di “Milano”, oppure è nata e vissuta a Pompei per caso? Per caso
no, ci è nata da genitori stanziali – in questo è donna del Sud. E caratterialmente,
sarebbe lo stesso modello possibile a Milano? Questo c’è da tanto - più d’uno.
Dal “cigno nero” impavido dello scandalo Montesi, la “contessa” Marianna Augusta,
detta Annamaria, Moneta Caglio Monneret De Villard. La questione femminile,
dunque, potrebbe unire l’Italia.
Però, non si riflette mai abbastanza, è sempre Milano che detta l'agenda al Sud. Nel linguaggio ancora più che mei modi e nei consumi. Al Sud non si riesce a pensare in altra forma che quella leghista, del noi e loro.
La desertificazione del Sud
Paolo Florio emigrò per cercare fortuna, sulla traccia di parenti e paesani già
a Palermo. Era un commerciante, e si vede che i commercianti di Bagnar sono o erano specialmente intraprendenti - la fama è ancor a recente delle bagnarote, donne intrepide dalle sette gonne e i piedi scalzi, con molti figli ma non un marito, in testa una cesta larga, che hanno fatto per secoli il piccolo commercio nei paesi sparsi per il versante tirrenico della Montagna (Aspromonte). Però, il terremoto è congrua causa, delle fortune future, fuori
dalla Calabria.
La scoperta dell’amore
Maria,
donna delle pulizie diarista emotiva, e Hubert, portiere col pallino della
danza, già in là con gli anni, lavorano e vivono nell’ambiente più alieno, la
scuola parigina di Belle Arti. Arti più parlate, filosofiche, che realizzate,
con ingegno cioè e applicazione. Ma insomma in un mondo moderno, o del futuro. Di
chiacchiere e “allestimenti”. Dove si fa l’amore ogni sera, dopo avere bevuto,
con chi capita, senza ricordarne nemmeno il nome, forse giusto il sesso. Di
passioni cioè vaganti, come le “opere d’arte”.
Due
generazioni e due mondi, il futuristico-presente e il tradizionale-sorpassato. Maria
e Hubert sono ligi al dovere e collaborativi. Aiutano molto gli artisti in petto,
con la semplicità e con lo humour. Ma una vecchia Cinquecento li attende
- di quelle con la levetta dello starter, che spesso la mattina facevano le
bizze per accendersi, bisognava calibrare “l’aria” (e vedendola non si capisce
come due persone ci entrassero, anzi tre).
Snobbato dai media, e quindi anche dal pubblico. Una
commedia francese, su un aneddoto semplice, e senza Grandi Problemi o Grandi Colpe. Lieve e sorprendente, sulle forme dell’amore – c’entra pure quello tra
genitori (madre) e figli (figlia, Maria ne ha una). Maneggiata con misura dalle
registe. E con maestria dai due interpreti, Karin Viard e Gregory Gadebois.
Geniale pure l’invenzione del setting, posto ideale delle chiacchiere
che esauriscono la contemporaneità. Per un amore talmente esile da suscitare
solo per questo la meraviglia.
Lauriane
Escaffre-Yvonnick Müller, Maria e l’amore, Rai 3, Raiplay
venerdì 13 settembre 2024
Cronache dell’altro mondo – se Trump è Jackson (291)
La presidenza Trump richiama quella di Jackson,
1829-1837, il primo presidente Democratico?
Il parallelo è stato avanzato il 14 luglio,
sul “Wall Street Journal”, “America’s Jacksonian Turn”, da Walter Russell Mead,
cattedratico di Relazioni Internazionali a Yale e al Bard College, uno dei collaboratori
di “The American Interest”, il quindicinale di politica estera promosso da Francis
Fukuyama nel 2005: “Trump è parte di una varietà di politica estera che Andrew
Jackson portò al potere nel 1828. In politica interna, i jacksoniani sono guardinghi
col big business, odiano l’establishment sociale e politico, e richiedono
soluzioni di «senso comune» a problemi complessi. Sostengono i militari, ma non
una classe di ufficiali che si consideri lontana dai valori e le abitudini della
nazione – le camicie inamidate di West Point nel 19mo secolo, i «generali woke»
oggi. Ritengono la classe politica profondamente e irrimediabilmente corrotta”.
Una sorta di populismo, si direbbe, Democratico.
Il paralllelo è ripreso ora da Robert O’Brian,
un avvocato d’affari di Los Angeles che è stato nel 2019-2020 consigliere per
la Sicurezza Nazionale di Trump, con un saggio su “Foreign Affairs” di
luglio-agosto, “The Return of Peace Trough Strenghth”. O’Brian parla delle guerre
in corso, e comincia rifacendosi all’antica Roma, “Si vis pacem, para bellum”.
Un concetto, dice, del quarto secolo, del tardo impero. Ma di origine più antica,
spiega, fu dell’imperatore Adriano: “L’origine del concetto è anteriore, è dell’imperatore Adriano, secondo secolo, al quale si attribuisce la massima: «La pace attraverso
la forza – o, se necessario, la pace attraverso la minaccia»”. È questo che
unisce Trump a Jackson: “Trump ha un’alta opinione del suo predecessore Andrew
Jackson e dell’approccio di Jackson in politica estera: essere concentrati e
forti quando si è costretti all’azione, ma diffidare degli eccessi”.
Di Jackson in realtà non c’è una
politica estera – la “dottrina Monroe” trovò già all’opera, con la presidenza precedente
la sua. Fu un comandante militare. Famoso per la battaglia di New Orleans, alla
fine della guerra anglo-americana del 1812-1814: gli inglesi ebbero 700 morti,
compreso il loro generale, Pakenham, e 1.500 feriti, Jackson 8 morti e 14
feriti – ma due settimane prima la pace era già stata firmata, a Gand, in
Belgio. Fu famoso anche per lo sterminio degli indiani, dei Creek in Luisiana
durante la guerra, e dei Seminole in Florida, allora dominio spagnolo, dopo la
guerra anglo-americana – restò in Florida fino a che il governo spagnolo non si
decise di venderla agli Stati Uniti, nel 1819, divenendone il primo governatore.
Da presidente espropriò, contro una decisione della Corte Suprema, i Cherokee
della Georgia, quando vi fu scoperto l’oro, con un decreto, Indian Removal Act,
1830, che sarà la base della cancellazione degli indiani dalla storia dell’America
– che ora si definisce “una delle peggiori leggi della storia degli Stati Uniti”.
L’impero al colosseo tv
Il mondo – il “mondo libero” nella
fattispecie, ma di fatto anche il resto del mondo – governato da uno dei due duellanti
in tv si vede come un incubo, o una distopia, come usa dire. Un uomo d’affari,
immobiliarista per cominciare, un “palazzinaro”, e una donna viziata, che non
ha mai fatto nulla nella sua vita, di grande famiglia, giudice distrettuale per
diritto clanico, snob, per questo dalla parte degli occupanti di case a San Francisco
(sempre condannava i poliziotti degli sgomberi forzati). Uno già presidnete
degli Stati Uniti, poi animatore di un complotto anti-complotto. Lei
vice-presidente di nessuna virtù, scelta per questo – nonché per essere donna,
e di colorito bruno – e ligia al ruolo.
Visto da fuori Europa il duello tv tra
i futuri presidenti dell’America è questo: strano, bizzarro, ridicolo anche. In
Europa il ruolo dell’America è diverso: contano le radici storiche comuni, e
conta soprattutto il piano Marshall. Il geniale governo dell’Europa da parte
americana molto meglio di come abbiano mai saputo fare gli europei tra di loro.
Con la ricostruzione e il rilancio dell’Europa dopo la rovina, invece di farne
bottino di guerra o di pretenderne “riparazioni” – se non altro il ripagamento
dei crediti di guerra.
Anche sul resto de mondo l’emprise
americana è stata ingegnosa e liberatoria – per l’arricchimento di tutti
attraverso l’arricchimento degli altri. Col trentennio della globalizzazione,
che ha portato al benessere una buona metà, se non i due terzi, dell’umanità.
In entrambi i casi la pax americana
ha suscitato gratitudine e immedesimazione. Non solo i Treasury Usa e Hollywood,
anche le università, le tecnologie, le arti e le letterature, e perfino l’american
way of life, con l’obesità del panino e degli snacks, sono stati per
decenni l’orizzonte e la meta del mondo – la figlia del presidente cinese Xi si
è formata in America. Malgrado le tante guerre, di cause dubbie, combattute
male, e perse.
Ora non più. Ma chi sono questo Trump e
questa Harris che ci governeranno? Nel dibattito lo avranno detto, ma non si
ricorda. Le immagini restano di un colosseo “nel tinello”, piccolo borghese. Uno
studio chiuso, con le luci di scena, su una palcoscenico piatto. Non
gladiatori ma figure remote, che sembrerebbero ologrammi, se non creazioni IA.
Il Montalbano di Markaris ha l’affanno
Si vede che in Grecia
non hanno filmato le storie di Kostas Charitos, il commissario di Polizia modellato
dall’autore, Petros Markaris, sul Montalbano di Camilleri, e ci ha pensato la
Rai. Con un cameo di riconoscimento per lo stesso Markaris, incontro casuale di
Charitos in un corridoio. Ma facendone un altro.
Il Charitos-Montalbano
di Markaris è lento. È sposato e ha una figlia diciottenne – di cui si occupa,
quindi problemi a non finire. Ma si muove come il suo modello siculo. Non ha la
Tipo, peggio, ha una Mirafiori. Non ha fretta di chiudere i casi. A casa soprattutto
si riposa: non ha la verandina ma un solido vocabolario, col quale dialoga. Ordinario, perfino lento. Soffre
una Atene sempre trafficata. E non si sconvolge ai richiami, frequenti, del commissario
Capo, tramite della politica. La grande differenza dal modello, in Markaris, è
che ad Atene non ci sono gli arancini, ci sono i ghemistà - pomodori ripieni e i pipi chini calabresi.
I ghemistà
ci sono anche nella riduzione Rai, ma non sappiamo cosa sono, giusto una fugace
denominazione. E così tutto il resto, Kostas corre veloce. Sola resta con i tempi
originari la moglie Adriana, Francesca Inaudi, ma ringiovanita e imbellita - e non cucina, e non si (pre)occupa della figlia. A Fresi,
attore ordinariamente misurato, il Kostas Rai toglie il respiro: parla, si
muove, s’arrabbia a velocità doppia - come in un film d’azione, mentre è solo
discorsivo.
Una produzione Rai
al risparmio, benché firmata dalla Palomar di Degli Esposti che “inventò” il Montalbano
televisivo – a dialoghi più veloci pose più rapide? Atene non c’è, solo qualche
foto aerea.
Milena Cocozza, Kostas,
Rai 1
giovedì 12 settembre 2024
Il mondo com'è (479)
astolfo
Dawes Plan – È il piano concluso
nel 1924, dopo un duro negoziato, nell’ambito del Dawes Committee, delle potenze
Alleate, per riordinare e rendere esigibili le riparazioni di guerra che la
Germania doveva agli Alleati. L’allora presidente della Reichsbank (ora
Bundesbank) che lo negoziò per la parte tedesca, Hjamar Schacht, dà conto nelle
memorie, “Confessions of the Old Wizard”, di avere avuto un occhio di riguardo solo
da parte dei rappresentanti italiani nel Committee, prima il “professore di
economia Flora, di Bologna”, poi di “Feltrinelli”.
Feltrinelli è Carlo,
figlio di Giovanni (e di Maria Pretz, austriaca), che succedendo al padre e allo
zio Giacomo, aveva spostato le attività di famiglia dal legno /(la forniture di
traversine per le ferrovie italiane, e anche austriache) verso l’immobiliare
(la Nord Milano) e la finanza. Rafforzando la banca di famiglia, la banca
Feltrinelli, con l’acquisizione di importanti clienti a Milano (Edison, Falck):
Nel 1915 era riuscito a entrare nell’istituto per il credito a medio termine creato
dalla Banca d’Italia per finanziare l’industria degli armamenti, il Csvi. Nel
1919 aveva trasformato la banca di famiglia in società per azioni, la Banca
Unione, divenendo quindi consigliere, poi presidente, del Credito Italiano,
seconda banca italiana dopo la Commerciale, nonché marchese, e uomo pubblico. Consigliere
di molte banche europee, compresa la Reichsbank, la banca centrale tedesca (1924-1930, per conto del governo italiano), rappresentò l’Italia nel Dawes Committee nelle sedute
finali. Era l’unico membro del comitato che parlasse tedesco, avendo fatto il liceo
a Bolzano, allora austriaca.
“Il senso di durezza”, ricorda Schacht del
suo primo approccio a Parigi con la commissione, “svanì solo quando l’italiano –
il professor Flora di Bologna – mi strinse calorosamente la mano col vecchio buon
austriaco «Habe die Ehre»”, onorato. Federico Flora, nativo di
Pordenone, insegnava Scienza delle Finanze a Bologn – dove presiedette la Banca
Popolare. Fu anche giornalista, direttore infine del “Resto del Carlino”, e
senatore, promosso da Vittorio Emanuele III.
La Commissione Riparazioni
fra gli Alleati essendo a un punto motto, poiché la Germania semplicemente non
poteva pagare, una nuova Commissione fu costituita che prese il nome dal suo
presidente, il rappresentante degli Stati Uniti, Charles G. Dawes – un banchiere
di Chicago che aveva diretto in guerra il Bureau of the Budget a Washington, e
sarà il vice del presidente Calvin Coolidge, 1924-1929. Ebbe il Premio Nobel
per la pace nel 1925, per il Piano Dawes per le riparazioni.
Il negoziato si
tenne a Parigi, essendo la Francia la più dura ed esigente fra le potenze
vincitrici per quanto concerneva le riparazioni di guerra – aveva già promosso
l’occupazione militare della Ruhr, come arma di pressione sul governo di Berlino,
e favoriva il “secessionismo renano”, proponendo una sorta di banca centrale locale,
con fondi francesi e, Parigi sperava, inglesi. Schacht riuscì a scongiurare la
secessione finanziaria per l’aiuto del governatore della Banca d’Inghilterra,
Montagu Norman, che in sua presenza rispose negativamente alla richiesta del
ministro francese delle Finanze. D’altra parte, gli Stati Uniti esigevano il ripagamento
dei prestiti concessi durante la guerra agli Alleati, oltre 10 miliardi di dollari.
Dawes riuscì a coordinare le due esigenze.
Il piano Dawes fu
presentato nell’aprile del 1924. Non fu fissata una cifra, solo si disse “ridotto”
l’ammontare totale delle riparazioni, e anche l’ammontare annuale. Da
incrementare man mano che l’economia tedesca avesse ripreso a marciare – le richieste
di Schacht. I franco-belgi avrebbero evacuato la Ruhr occupata militarmente. Le
banche anglo-americane avrebbero finanziato con un prestito di 200 milioni di dollari
l’economia tedesca.
Il meccanismo
messo in moto era una triangolazione. Le banche americane avrebbero continuato
a prestare alla Germania, per metterla in condizione di pagare, con la valuta
dei prestiti e con l’accresciuta attività economica, cioè con le esportazioni, le
riparazioni a Francia e Gran Bretagna. Che a loro volta avrebbero impiegato queste
entrate per ripagare i debiti di guerra con gli Stati Uniti.
La Germania dovette
comunque pagare ogni anno due miliardi di marchi oro in riparazioni – lo fece per
sette anni, fino alla crisi del 1931.
Eufemio da Messina –
Soggetto di una tragedia di Silvio Pellico, 1820, e di un’opera di Carolina
Uccelli, 1836, andata perduta, è il governatore bizantino in Sicilia che si alleò
con l’emiro di Kairuan (oggi Tunisia) per portare gli arabi nell’isola, nell’827.
Accusato del rapimento di una vergine dal chiostro si ribellò e si alleò con i mussulmani.
In un primo momento si era difeso erigendosi a comandante dell’isola: aveva
preso Siracusa e aveva sconfitto la milizia mandata al suo arresto. Poi,
essendoglisi anche la popolazione rivoltata contro per l’empietà di cui si era macchiato,
si era rivolto all’emiro. Sarebbe stato ucciso mentre trattava la resa di Castrogiovanni,
oggi Enna.
Karl Haushofer - Albrecht
Haushofer, autore dei commoventi “Sonetti
di Moabit”, arrestato a Natale (1944), fu ucciso il 23 aprile 1945 in
quella prigione, un mese prima della fine del Reich, dopo che il padre Karl, il
geopolitico, si era rifiutato d’intercedere: “Ha tradito la patria”, dicendo –
un anno dopo si suiciderà, con la moglie ebrea, ma non per la vergogna, per la
povertà.
Irlanda – Era il paese
più povero dell’Europa occidentale, in assoluto e pro capite, mezzo secolo fa, prima
dell’accesso alla Comunità poi Unione Europea. Con un reddito pro capite di
poco più della metà del reddito medio pro capite europeo. È diventata con la Ue
il paese più ricco pro capite, più della Svizzera. Il paese europeo dai
cittadini più ricchi, se si eccettua il piccolo Lussemburgo, con 106 mila dollari
(il reddito medio italiano è di 40 mila dollari). E può proporsi nella pubblicità come innovation hub. È bastato avere l’inglese
come idioma – e non essere Londra (cara).
San Giovanni
– L’evangelista è un altro? Non “il discepolo che Gesù amava” ma un dotto
giurisperito. Anche lui un apostolo, ma tardo: uno “che non fece parte della
cerchia dei dodici apostoli, ma che ebbe comunque conoscenza diretta del maestro
di Nazaret”, spiega Giulio Busi nell’introduzione al suo studio “Giovanni. Il
discepolo che Gesù amava” - pubblicata sul “Sole 24 Ore Domenica”, l’8
settembre. Giovanni l’Anziano, o il Presbitero, noto finora come autore di tre
lettere conservate e riconosciute nel Nuovo Testamento. Che “in una data
antecedente alla rivolta anti-romana del 55-70 e alla distruzione del Tempio di
Gerusalemme si trasferisce a Efeso, capitale romana dell’Asia Minore”. Dove
compone il suo Vangelo, che verrà pubblicato dopo la sua morte, avvenuta “in tarda
età, verso l’anno 100”. Uno “di stirpe sacerdotale”, così lo voleva la tradizione
diffusa a Efeso.
Busi parte dalla constatazione che il “il
Vangelo di Giovanni, detto anche Quarto Vangelo, poiché ritenuto più tardo… è
il più ebraico dei quattro Vangeli. Il suo autore conosce a fondo gli usi
giudaici, e cerca di spiegarli ai lettori non ebrei. È a proprio agio nella topografia
di Gerusalemme, come chi sia nato nella città santa. Anche il greco con cui si esprime
tradisce l’origine ebraica e aramaica dei suoi pensieri”. Mentre è allo stesso
tempo il più anti-ebraico: “Usa parole dure contro i «giudei», e li accusa,
addirittura, di avere per padre il diavolo”.
Carolina Uccelli – Ignorata perfino da wikipedia
fino a ieri, riscoperta da un musicista americano, Will Crutchfield, direttore
della compagnia d’opera “Teatro Nuovo” del New Jersey, che ne ha riproposto una
delle sue due opere, “Anna di Resburgo”, è una poetessa, cantante e compositrice
fiorentina, vissuta tra Firenze e Parigi dal 1810 al 1858. Fu boicottata
inquanto compositrice donna in vita, e presto dimenticata.
Aveva esordito
molto giovane con successo, anche per il patrocinio benevolo di Rossini. “Anna
di Resburgo” fu rappresentata a Napoli nel 1835, al teatro del Fondo, oggi
Mercadante. Dopodiché la stella della compositrice svanì. Si ha notizia dell’esecuzione
a Milano dell’ouverture di una sua terza opera, “Eufemio da Messina”,
sul governatore bizantino che portò gli arabi in Sicilia, ma non dell’opera.
La sua prima
opera, “Saul”, era stata rappresentata alla Pergola a Firenze il 2 giugno 1830
con successo. Col plauso, anche, di Rossini. Carolina Uccelli non aveva ancora
venti anni e la cosa non le fu perdonata. L’apprezzamento di Rossini, si disse,
era dovuto ai favori che la giovane gli aveva concesso. Una giovane già sposa
peraltro: nata Pazzini, alta borghesia fiorentina, aveva sposato a quindici
anni Filippo Uccelli, pisano, chirurgo, facoltoso, vedovo. Un uomo di più del
doppio dei suoi anni, che l’aveva sostenuta nella passione musicale, alla quale
Carolina si era educata, e la sostenne anche finanziariamente, nella produzione
delle sue opere.
Alla morte del marito,
nel 1843, si trasferì a Parigi, al seguito della figlia Giulia, che vi avviava
una carriera da cantante – soprano, studiò canto col maestro Marco Bordogni, famoso
tenore di scuola bergamasca, insegnante al Conservatorio di Parigi, Legione d’onore
nel 1839 in compagnia di Berlioz (che lo incoronava miglior cantante sulla
scena). E la seguì nelle sue tournées di concerti, in Belgio, Olanda e Svizzera.
Morì a Firenze, nel 1858.
Fu dunque a Parigi
negli anni di Rossini – e come lui vi smarrì la vena compositiva? Il successo
del “Saul” nel 1830 non era passato inosservato: Crutchfield ne ha trovato echi
anche nella stampa inglese – seppure su sfondo pettegolo (amante di Rossini).
astolfo@antiit.eu
Le sorprese dell’amore, esagerate
Il titolo italiano (l’originale è
“She came to me”) rende bene la trama: l’amore sconvolge. Vecchio tema, molto usato,
che la regista, soggettista e sceneggiatrice ravviva nei toni della “surrealtà”,
allucinata e pratica quotidiana. Una coppia di ragazzi che si fa, come usa, le foto a letto, per di più in polaroid. Una coppia di genitori “americana”, lui stenografo di tribunale, quindi
automaticamente giurisperito, che passa i week-end nelle rievocazioni in
costume delle battaglie storiche, lei di recente immigrazione ancora senza
cittadinanza che si aiuta facendo le pulizie. E una coppia della New York “in”
- la scena di apertura, già un romanzo, è di un ricco party nella ricca
casa, lei di buona famiglia cattolica ed ebraica, perfetta, lui compositore
d’opera di successo, affetto fa nanismo e scarruffato, tra alcol e ispirazione.
Il marito compositore troverà l’ispirazione,
e anche il libretto, portando fuori il cane, incombenza di cui ha l’incarico. La
coppia di ragazzi sono, lui, figlio della donna di buona famiglia
cattolico-ebraica allevata dalle suore, lei figlia dell’immigrata slava senza cittadinanza.
Che fa le pulizie nella casa di lui. Ci saranno problemi? Ovvio. Ma non solo
per loro: il più grosso è del musicista, che viene rimorchiato mentre porta a
spasso il cane da una capitana di rimorchiatore al porto di New York che è
malata d’amore, un tempo si diceva ninfomane – è appena uscita dalla comunità
di recupero, ma non resiste.
Un soggetto e una resa spettacolari.
Anche se non è girato in Italia in sala, non avendo distribuzione. Classificato
romantico, è invece del genere grottesco, lieve – umoristico. Che in Italia non
ha grande seguito - lo ha invece in Germania, dove è stato apprezzato al festival
di Berlino. Rebecca Miller è scrittrice prima che regista, ma ha già all’attivo
una mezza dozzina di film – tutti presentati, qualcuno anche premiato, alla
Berlinale, la mostra del cinema di Berlino.
Con interpretazioni super di Marisa
Tomei, la dipendente d’amore: ruolo improbabile che invece, in un ruolo
finalmente non di contorno, da caratterista, rende magnetico. Mentre Anna
Hathaway ha il difficile ruolo di psicologa in esercizio, che è moglie e madre
accudente, sempre molto elegante e molto bella, igienista alla paranoia, sta
sempre a pulire, e nell’intimo frigida – da suora. Due personaggi di difficile
caratura che le due interpreti tengono vivi per tutto il film. A Peter Dinklage, l’artista ex bohème, ora molto off e molto in, basta la figura,
il testone scarruffato e il corpo esile, e la fama acquisita col “Trono di spade”.
Le sorprese dell’amore, non si
direbbe. Il tutto regge la sceneggiatura. E un montaggio millesimato, che non
lascia mai cadere l’attenzione.
Rebecca Miller, E all’improvviso
arriva l’amore, Sky Cinema, Now
mercoledì 11 settembre 2024
Letture - 558
letterautore
Constant – Apprezzato
vastamente in Italia quale campione del liberalismo (Croce), ma non in Francia,
dove è discusso, ma solo per l’opera letteraria - che è solo il racconto
“Adolphe”. Così Teresa Cremisi, che cura l’edizione Garzanti del racconto.
De André – Un poeta per i
fan. Ma “a chi lo definiva poeta”, ricorda Mastrantonio (“7”. 6
settembre), “De André rispondeva rifugiandosi in un citazione di Benedetto
Croce, per cui fino ai 18 anni tutti scrivono poesie, mentre dopo lo fanno solo
poeti e cretini; e lui, prudentemente, si era rifugiato nella canzone”. Ma con
riferimenti poetici quasi letterali. Mastrantoio ne cita due. “L’inizio della
canzone «Nei quartieri dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi…» è preso
dalla poesia di Jacques Prévert «Embrasse-moi»” – no, è il Brassens di “Embrasse-les
tous”, abbracciali tutti, al sole è possibile.
Ne “La città vecchia” (1965), una delle prime composizioni, insiste Mastrantonio,
“sviluppa temi, atmosfere e persino la morale dell’omonima poesia di Umberto Saba”
– una poesia della raccolta “Trieste e una donna” (1910-1912) del “Canzoniere”. No, è la stessa, quella di Brassens - non i metri ma il tema, e molte figure e parole.
De Staël - Ebbe con
Benjamin Constant, fra i tanti, “la più verbosa relazione che la storia
ricordi”, Teresa Cremisi, intr. a B. Constant, “Adolphe”, ed. Garzanti. A
partire dal settembre 1794, entrambi trentenni, età allora considerevole (lei del
1766, lui del 1767), lei scrittrice, lui aspirante scrittore. Ricorda lui nel
diario ultimamente pubblicato: era “la persona più celebre del nostro secolo”,
ma intende riferirsi all’Ottocento, quando scrive, e non al Settecento, quando
la incontra, “per i suoi scritti e la sua conversazione. Non avevo ma visto nulla
di simile al mondo. Ne divenni pazzamente innamorato”. Si dimentica di Charlotte
von Hardenberg, che aveva divorziato per lui: “Charlotte fu completamente
cancellata…. Non risposi più alle sue lettere. Ella cessò infine di scrivermi”.
Fu un sodalizio rafforzato, dice Cremis, dai “solidi fili del lavoro letterario
e della passione politica”. Ma “Germaine lo ama, e lo proclama ai quattro veti,
Benjamin la tradisce in continuazione e cerca (invano) tutti i giorni di
prendere le distanze”. Sono anni, Constant ripete mille volte nel diario,
“insopportabili, terribili, spaventosi”. Le relazioni poetiche possono essere
terribili.
Il 20 settembre1807 Constant annota: “Era ieri l’anniversario del quattordicesimo
anno di questo legame funesto. è da dodici che cerco invano di spezzarlo”. L’anno
seguente sposa in segreto l’abbandonata Charlotte. Ma fino a metà 1811 continua
a convivere con Germaine de Staël – che morirà presto, nel 1817, un 14 luglio.
Interviste tv – “Naomi
Campbell è stata insopportabile”, risponde Mara Venier a Renato Franco nel medaglione
“Le Capitane” del “Corriere della sera” sulle sue famose interviste in tv: “Non
voleva rispondere a niente. È arrivata con otto ore di ritardo e a ogni domanda
continuava a ripetere (it) is my privacy. Le avevamo dato quaranta
milioni di lire”.
Jus Scholae – Alcuni dei
migliori scrittori francesi sono svizzeri: Rousseau, Constant, de Staël,
Cendrars. Sismondi. Anche belgi: Simenon.
Sono svizzeri anche importanti scrittori tedeschi: Gotthelf, Keller,
Robert Walser, Dürrenmatt, Max Frisch - e Johanna Spiri, “Heidi” (e Joël
Dicker).
Leopardi – Uno “spettatore
che perde quasi coscienza di sé”: lo inquadrava ai margini Carlo Cassola in uno
dei “Fogli di diario” che tenne sul “Corriere della sera” dopo il 1968. Non
avendone per questo grande opinione: “Poche poesie vale la pena di tornare sempre
a rileggere”.
Politicamente corretto – Non è una novità, nei limiti del buonsenso. Non nell’Italia repubblicana:
Massimo De Luca, l’antico radiocronista sportivo, ha messo in scena la vicenda
di Niccolò Carosio, il cronista sportivo canonico allora della Rai, esonerato dallo
storico Italia-Germania 4-3 a Città del Messico, per un insulto razzista al guardialinee
etiope che aveva annullato un gol a Riva nell’eliminatoria con Israele.
“Riascoltando la telecronaca”, De Luca spiega a Tomaselli sul “Corriere della
sera”, “quella parola non fu mai detta: Carosio dice solo, stizzito, «l’etiope
annulla»”. E ricorda: “Enzo Tortora sul «Carlino» disse: «Se non fate più dire
etiope a Carosio, non trasmettete più l’Aida, che contiene quella parola»”.
De Luca ricorda an che fu Ghirelli a dire, in tono scherzoso: “Nelle interviste
post partita il grande giornalista Antonio Ghirelli – sottolineando il carattere
scherzoso della sua affermazione – parlò di «vendetta del Negus»”. Ma anche queto urtò qualche sensibilità: “Di
questo si trova traccia in una lettera di Carmelo Bene all’Unità” – Bene
il trasgressivo facendo notare di Carosio (reo di non essere “riveriano” come
lui): “Non diede mai del ’signor’ – come si usa fare ai direttori di gara – a
Seyoum Tarekegn”.
Del “caso Carosio” De Luca si era già occupato nel 2009 durante la
trasmissione la Domenica Sportiva di cui era conduttore. Su
quella che considera “la prima fake news del calcio e dello
sport italiano” De Luca è poi tornato nel 2010 con un capitolo del saggio Sport
in tv. Storia e storie dalle origini a oggi (Rai Eri, scritto a
quattro mani con Pino Frisoli) e ora con uno spettacolo teatrale, Quasi
goal.
Recensione - Se ne lamenta
la scomparsa, da tempo ormai – insieme con quella del critico militante. Se ne
fanno molte e moltissime, i settimanali letterari sono almeno quattro, e recensiscono
un centinaio di libri a uscita. Ma non è la stessa cosa. Per questo si segnala
la pagina lirica che lo psichiatra Eugenio Borgna ha dedicato a Rosella Postorino,
“Nei nervi e nel cuore”, sul “Corriere della sera”, che è il giornale dell’editore
di Solferino, la casa che pubblica Pastorino.
Sceneggiati – È incredibile
il numero e la qualità degli sceneggiati, per autori, registi e interpreti
coinvolti, cinquant’anni fa. Solo negli anni 1975-1977,
https://www.teche.rai.it/sceneggiati-e-fiction-1975-1977/.
Tra essi molti capolavori, “La baronessa di Carni”, di Daniele D’Anza, o “Il
maestro e Margherita”, con l’epico, per ascolti, “Sandokan”. I romanzi più
famosi, ridotti dagli scrittori di maggior nome. Con i registi e gli attori di maggior
talento.
Teche-Rai ne elenca sessanta per ogni triennio precedente,
https://www.teche.rai.it/sceneggiati-e-fiction-1970-1973/
https://www.teche.rai.it/sceneggiati-e-fiction-1973-1975/
Umorismo – Abatantuono
lo vuole finito. “È Tik Tok la prova che l’umanità non potrà mai più essere quella
di prima”, spiega in un’intervista su “7”: “Su 500 mila filmati ce n’è uno che
fa ridere ma i ragazzi ridono per tutti. Il senso dell’umorismo è finito lì”.
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