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mercoledì 18 settembre 2024

Problemi di base di genere - 821

spock


Il genere è un mistero?
 
Oppure una guerra?
 
Se ne distinguono una dozzina, compreso l’asterisco, non bastano?
 
E il genere non-genere?
 
“Il rapporto sessuale non esiste”, Lacan?
 
Non esiste il sesso o non esiste il rapporto?

spock@antiit.eu

Il narratore Pasternàk inappetente

“La nube diede un’occhiata alle stoppie basse, cotte dal sole. Si stendevano fino all’orizzonte… La nube ricadde sulle zampe anteriori e, attraversando lenta la strada, scivolò silenziosa lungo la quarta rotaia”. C’è una bambinaia. C’è un bambino che striscia, “fino al rubinetto dell’acqua”. Ci sono i genitori del bambino rapito che ancora non lo sanno e si recano al porto a salutare l’amico di lui, “il guardiamarina che un tempo aveva amato lei”. E poi, dopo quindici anni, ci sono le “vie aeree”: “Le vie aeree per le quali, come treni, partivano quotidianamente i pensieri rettilinei di Liebknecht, di Lenin e di altri spiriti del loro calibro…. Era il cielo dela Terza Internazionale”. Sotto il quale lei ritrova lui, “membro del Presidio del Comitato esecutivo provinciale”, gli fa parte che il bambino era suo… La traccia di un romanzo?
Un libro prezioso, perché di racconti singolarmente inanimati, tradotti in fretta e pubblicati sulla scia del “Dottor Živago”. Nella veste che oggi appare lussuosa della vecchia Universale Einaudi, grafica, carta, dorso che imita la cucitura, copertina protetta da velina solida, scheda bibliografica. Racconti poveri. Pieni di parole, esagerati linguisticamente, ma poco significanti, nei personaggi o caratteri, nelle vicende.
È la prima raccolta pubblicata in traduzione, nel 1960, dei racconti di Pasternàk, col racconto lungo del titolo, “Il rìtratto di Apelle”, “Le vie aeree”, e un altro testo lungo dal titolo “Racconto”. Verrà ripresa negli Oscar Mondadori nella stessa traduzione, di Clara Coisson, con l’aggiunta di “Lettera da Tula” e “Disamore”, postfazione (tiepida) di Vittorio Strada. E da Studio Tesi con una nuova traduzione, e l’aggiunta di “Lettera da Tula” e “Storia di una controttava”.
Einaudi contro Feltrinelli, beneficiario del boom “Živago”, ha arruolato lo slavista allora principe, Angelo Maria Ripellino, che la prefazione fa breve, e stroncatoria. Proprio così, e non proprio tra le righe – in questa accoppiata la pubblicazione si può dire eccezionale. Ripellino parte denunciando “abusioni stilistiche”, abusi. E a seguire “una prosa convulsa, come il salto del cavallo nel giuoco degli scacchi”. Per concludere: “La dovizia dei particolari sommerge l’insieme” - con l’aggiunta perfida: “Come accade d’altronde nei poemi”.
Onestamente ha premesso, in apertura del saggio: “I racconti in questo volume risalgono alla giovinezza di Pasternàk”, sono “caratteristiche prove di un poeta lirico”, e “non tutti hanno uguale valore”. Salva solo il racconto del titolo, del 1918, che “ha la stessa sostanza verbale delle migliori liriche di Pasternàk”, e “può servire di chiave all’intendimento di tutta la sua creazione”. La novità essendo “l’innesto dell’analisi psicologica con il vivido metaforismo tipico della scuola cubofuturistica”. Non risolto però, rigido, da programma o scuola.
Di fatto - Ripellino lo ribadisce più in là - aggravato, da un “assieparsi dinamico delle metafore in una sorta di pantomima, di colorito «Mysterienspiel» del linguaggio”. E intende un linguaggio allusivo. Per una chiusa micidiale, tanto più per un lettore come lui, di suo anche poeta fiorito: “È un giuoco analogico, simile a quello dei clowns e dei bambini, che scambiano la doccia per telefono”. Prose farcite di “feticci verbali, come arroganti arabeschi, senza nesso col racconto”, e “povere di avvenimenti, ma in cambio quante notazioni sul variare del tempo, sulle qualità delle stagioni, sui gesti della natura”.
“L’infanzia di Ženja Ljuvers” fa la psicologia di un’adolescente, e in questo è una novità: mette in scena paure, ansie, sensi di colpa, infatuazioni, abbandoni. Di un’adolescente per la prima volta slegata dalla famiglia – come di fatto avveniva, ricorderà lo stesso Pasternak nell’“Autobiografia”: “Tutto ciò che i figli ricevevano dai genitori arrivava nel momento sbagliato, dal di fuori, ed essi sentivano che non era voluto da loro ma dovuto a cause estranee…”.  
“Il tratto di Apelle” è l’Italia come si figurava, vista da Heine, del classicismo – un’Italia che Pasternak conosceva poco, ma gli serviva per uscire dal romanticismo di gioventù - “Lettere da Tula”, 1918, spiegherà questo distacco, da tutto ciò che è o si vuole “artistico”, cioè autoreferente, snob, “decadente”. Nel racconto senza titolo, “Racconto”, la reviviscenza della vecchia Mosca nel dormiveglia di un soldato reduce da non si sa quale fronte nel 1918, se dei Rossi o dei Bianchi, e nella memoria e le attività della sorella che lo ospita, sempre più pragmatica, prima e ora, del fratello sognatore. Un testo lungo, frammentario e circostanziato, profuso in ogni lacerto, con alcune figure sbalzate con cura ma non interrelate – abbozzo di un romanzo? L’unico filo vede Serjoža, il reduce, istitutore a Mosca prima della guerra, che non sapendo come fare fa una proposta di matrimonio all’istitutrice di una delle case in cui ha lavorato, confondendola. Terminata l’esposizione dell’aggrovigliata dichiarazione decide di scrivere una storia, e per una quindicina di pagine vi si dedica, di fatto accumulando riflessioni sullo scrivere.
Molto è stato perdonato a Pasternàk in virtù del romanzo. Le prose sparse non sono memorabili, se non per il linguaggio bizzarro – studiato per esserlo, da poeta mestierante delle avanguardie. Una prosa dalle volute artificiose. Comune peraltro all’altro grande narratore russo del primo Novecento, Nabokov, anche lui autore in definitiva di un solo romanzo - narratore però più consistente, convinto.
Boris L. Pasternàk, L’infanzia di Ženja Ljuvers, Universale Einaudi, pp. XI + 208 pp.vv.

martedì 17 settembre 2024

Problemi di base amorevoli - 820

spock


Si ama anche non riamati - davvero?
 
È l’amore de loin?
 
È l’amore dolore?
 
Le confidenze fanno male all’amore?
 
E l’intimità?
 
Si cresce a letto o solo ci si spoglia?

spock@antiit.eu

La famiglia femmina

Uscendo di casa alle 7, anche alle 8, s’incontrano persone sole che portano a spasso il cane, pensose, solitamente uomini. Alle 11 invece esce dal bar, dopo il caffè\cappuccino?, una donna anziana, un po’ curva, che prende ad andare sul marciapiedi avanti e indietro, forse allarmata, forse stufa o nervosa. Seguita a minuti, meno, da una giovane con cagnetto al guinzaglio, docile. Seguita a sua volta da una bambina ricciuta che le saltella attorno. La giovane dice qualcosa alla bambina, sarà la baby-sitter. Poi una carrozzina si fa strada dal locale, guidata da una donna robusta, con un infante che guarda perplesso succhiandosi il dito – è una bimba, ha fiocchi e maglie rosa. 
La donna si volta mentre procede dando consigli o impartendo istruzioni. Viso triangolare, occhi indagatori3.0

0, sorriso arguto dominante: primadonna attrice, manager, direttrice, dà un ordine senza parlare alla processione. Che così ora si presenta: bisnonna, nonna, figlia, nipotini? La donna anziana va via col cagnetto docile, la primadonna si avvia col carrozzino e la neonata, la ragazza madre segue, con la figlia che le saltella attorno. Quattro generazioni in pochi metri in pochi anni, tutte donne.

Il piano delle musiciste ribelli

Vicario, pop e “pop barocco”, si diverte con Dade, rock alternativo, a far suonare, cantare e ballare ragtime, swing, be-bop le allieve dell’educandato musicale Sant’Ignazio a Venezia nel 1800, stanche di ripetere gli accordi stitici del vecchio maestro di cappella, al concerto per la visita a Venezia del papa Pio VII, cacciato da Roma dal perfido Napoleone. La servetta dell’educandato, detta la Muta per non avere facoltà di parola, ha l’orecchio assoluto – nella prima carrellata, forse la più ingegnosa, fa musica, ritmo e melodia, coi rumori del cortile sassoso e polveroso, dei bambini e delle lavandaie. E ha la chiave d’uso del piano, un mostro mandato dal fabbricante all’orfanotrofio, col quale preparerà insieme con le ragazze dell’istituto, a tempo sincopato, il concerto papale.
Una pochade divertente – anche se è stato presentato come un documento femminista, contro la discriminazione delle donne - a tempo di musica. Il gruppo risulterà promotore del pianoforte sulla scena musicale e si meriterà per questo la riconoscenza del costruttore. Le corti europee si contenderanno il nuovo gruppo musicale. Il vecchio prete e la vecchia scuola saranno sopraffatti.
Un racconto scanzonato e inconcludente, del genere grottesco, che come al solito è andato a Berlino, bene accolto, e in Italia è uno dei tanti. Menzionato giusto per la fama pregressa della neo-regista. Con un Nastro d’argento però alla colonna sonora. Con Paolo Rossi vecchio prete acido a cucire le tante trovate, e un Elio portiere bonario per i casi disperati – a volte di un uomo c’è bisogno.
Margherita Vicario, Gloria!, Sky Cinema, Now

lunedì 16 settembre 2024

L’Africa all’edicola

Il ragazzo nero davanti all’edicola, a ore e giorni alterni, quando capita, sta indolente, appoggiato al lampione, ascolta intento ai miniauricolari, e parla – avrà un minimicro all’occhiello. È immerso a lontano, nel suo mondo telefonico, non guarda e non ringrazia nemmeno, solo un gesto del capo, chi gli offre mezzo euro, dopo attenta ricerca, anche un euro – il quartiere è di borghesia progressista.
I primi Antonio li rimproverava – Antonio è un ex cooperante che ha molto a cuore gli immigrati (una famiglia l’ha anche adottata, nel senso che li invita la domenica a pranzo a casa, e paga per i libri e l’abbigliamento di uno dei figli a scuola). Ma è molti anni fa ormai. Antonio diceva: “Non ti vergogni, alla tua età?”, e “devi cercarti un lavoro, anche mal pagato”, le solite cose.
Il ragazzo non viene tutti i giorni, e non viene presto, quando più gente passa dall’edicola. Avrà di meglio altrove, o vorrà dormire. Viene alla mezza mattinata, quando dall’edicola passano i suoi benefattori, persone mediamente di mezza età che con piacere, si vede, lo ritrovano – l’alternanza dei giorni aiuterà anche ad accrescere il peso dell’elemosina, tra l’attesa e il ritrovamento.
Avendo conosciuto l’Africa prima di lui, lo si compiange vittima di decenni di malgoverni e ruberie – non vige purtroppo nella politica continentale la distinzione tra pubblico e privato, interesse (e denaro) pubblico e interesse privato. Ma lui non lo sa. Non ha nemmeno coscienza che sta chiedendo l’elemosina, la cosa non lo umilia. E questo abbatte, molto.
Lui è tranquillo, sconta la disattenzione e anche il rifiuto, non gliene frega - il suo poco sarà molto? farà il palo? è di una tribù di questuanti? È l’africanista che destabilizza, la delusione dell’illusione.

 

Secondi pensieri - 544

zeulig


Complotto - Il complotto è femmina per Francesco Bacone, il barone di Verulamio - la ribellione maschio: il popolo sospetta di tutto, la democrazia ateniese è una serie di complotti, democratica solo perché spesso sovvertita.
 
Filosofia tedesca - La filosofia tedesca è terminale: fine della metafisica, Kant, fine della storia, Hegel, fine della filosofia, Nietzsche, fine del linguaggio, Heidegger.
 
Marx dice: “Come i popoli antichi hanno vissuto la loro preistoria in immaginazione, nella mitologia, noi abbiamo, noi tedeschi, vissuto la nostra post-storia in pensiero nella filosofia. Noi siamo i contemporanei filosofici del presente, senza essere i suoi contemporanei storici”.
 
Logica – È pilatesca – all’origine del pilatismo filosofico. Se “nessuna proposizione diversa da una tautologia può essere mai qualcosa di più di un’ipotesi probabile”, Alfred Ayer.
 
La logica può essere illogica – per Bacone “più che alla ricerca della verità, serve a sistematizzare gli errori”.
 
Morte – “Che la morte esista lo sappiamo, basta accendere la televisione. Ma continua ad essere una questione, che la mente non riesce ad ammettere come naturale. È inspiegabile che qualcosa di vivo a un tratto non lo sia più”, Pedro Almodovar, “Sole 24 Ore Domenica”. “Credo”, aggiunge,” da parte mia, che questa fatica ad abituarmi alla fine delle cose sia una forma di immaturità”. Perché? Almodovar sbaglia su tre punti. Non ci si abitua alla morte, la morte è un fatto, “normalmente” si vive – la morte può sopravvenire in qualsiasi momento. Non si vive per la morte, Heidegger sbaglia - o va letto in altro modo. La vita è un’eccezione, nella non-esistenza, ma ha un prima e un dopo, è stata preparata da sostanze e procedimenti vari che “da sempre” la rendono possibile, e dura oltre la morte, sia pure solo nella forma del filo di bava o di umido del lombrico – nell’anagrafe, nel calendario storico della popolazione, nelle ere geologiche. La vita non è un’eccezione, e la morte lo stato normale: funziona al contrario, tutto germoglia – anche nelle glaciazioni.
 
Opinione Pubblica - Bacone la disprezza, spregia la Fama: la natura del popolo essendo “malvagia e triste, e propensa alle novità”, i turbolenti se ne giovano con “pettegolezzi, malignità, denigrazioni, ricatti”, per muovere alla “femminea invidia verso coloro che governano”.
 
Selfie (autofiction-autobio)– È diffusa la narrativa selfie, di ricordi, eventi, circostanze legate alla esperienza personale, alla propria vita e persona, degli autori. Al più in forma (lievemente) eterodiretta, dall’attualità, dal caso, dalla memoria incidentale. Come di cogitazioni in psicoterapia a volte, con quadro di riferimento metodologico (conoscitivo) noto o comunque registrato.  In cui l’autore fa da paziente, da analista e da narratore, una sorta di auto-analisi.   
 
Una letteratura si direbbe al femminile – seppure dizione improponibile, oggi perfino illegale. Aperta da Duras, esercitata al meglio, narrativamente, da Ernaux e Lucia Berlin. Su un solco, nel tardo Novecento, maschile: Carver in America e molti altri alcolisti, e ultimamente David Foster Wallace.  
 
È come se niente esistesse al di fuori di noi. O per dare consistenza a noi, che altrimenti non siamo. Ma è anche genere coltivato da spiriti forti, sant’Agostino per primo, Rousseau.
 
“Sarebbe molto piacevole per me dire quello che penso, e dare sollievo al signor Gustave Flaubert con delle frasi. Ma che importanza ha il suddetto signore?”, si chiedeva Flaubert – “L’uomo non è niente, l’opera d’arte è tutto”. Però, anche qui: senza l’artista?
 
Una narrazione prevaricatrice, sul soggetto, sull’autore? L’autore soggetto di sé medesimo non si resiste, inevitabilmente sbrodola. Quando passa attraverso la narrazione propria, di personaggi e azioni “autonome”, la costruzione del teatrino obbliga l’autore a una sorta di, ancorché irriflesso, autoesame. In termini psicoanalitici la narrazione si può dire un caso risolto, il selfie una seduta psicoanalitica - interminabile come suole-vuole essere la “cura” solipsistica.
Il genere nasce di fatto con Freud: il racconto di se stessi in analisi è ben romanzato – tale lo vuole anzi il terapeuta: un racconto, il racconto in prima persona, dal proprio punto di vista, per quanto inteso a rimuovere la rimozione, e tanto più fantastico o fantasioso (sogni, visioni, effetti a sorpresa) tanto meglio.
 
Società civile – Nozione diffusa negli anni 1990 da Eugenio Scalfari e il suo giornale “la Repubblica”, intesa a sdoganare per il costituendo Ulivo poi Partito Democratico la borghesia, distinguendone quella illuminata. Una sorta di società dei “belli-e-buoni” (la kalokagathia dei sofisti in Atene, degli intellettuali bravi politici e oratori), che quindi aveva tutti i diritti a voler governare la Repubblica. Nozione poi demolita, negli anni 2010, sempre in Italia, dal movimento di Grillo, populista fino alla volgarità, contro i benpensanti, specie che trovava soprattutto annidata nell’informazione.
 
Storia – La storia è contorta. La freccia della storia, come quella del progresso, è più spesso indecisa.
Ma la storia, come la stupidità, non vuol essere banale. E non vuole perdersi, lascia dei nodi.
 
Verità – La mia verità è la verità - non solo per  Marx o per Heidegger (si deve a Heidegger  “l’essenza dell’essere, la sua verità”).
La verità è conquistatrice.
 
Tutte le verità di Omero sono “dire la verità”, e anche alétheia, lo svelamento. Non c’era in Omero la legge immutabile astratta, né l’individuo che tutto sa. Ognuno si lasciava andare, si lasciava fare, ed era nel vero confidandosi. Si scopriva in quanto ci si scopriva.
La verità di Heidegger, prendendolo al suo stesso pensiero, è semplice: togliersi la maschera. E allora coraggio, Filosofo, parlaci di te, dì quello che sai. Ma egli non lo ha detto – lo ha lasciato dire. In realtà lo ha detto col silenzio, questo è stato il suo svelamento, il silenzio parla, eccome, nella lettura, nello sguardo: lui è uno che non ha perso la guerra.
Molte cose stanno bene in altri ambiti, la tradizione, la zappa, la vita agreste - anche Pasolini ne ha nostalgia e le rimpiange, con affettazione ma pazienza, sono state una sua gioventù. Ma verità è pure la forma della comunicazione. Quella di Goebbels, la verità del nazismo, sembra un mondo di cartapesta, la propaganda. Ma essa è anche un mondo reale, in quanto incontra il linguaggio di chi ascolta.
 
È soggettiva. Ma “In interiore hominis habitat veritas” di sant’Agostino è di un solipsismo assoluto, poiché la verità in interiore hominis è anche la realtà. Esclusiva, non ce n’è altra.

zeulig@antiit.eu

Il divismo è morto, il genere pure

Una trama esile, di una ragazza che che per caso finisce per convivere, con sua sorpresa e grande entusiasmo, con la cantante di cui è addict, poco presumendo di sé, della propria voce e della propria musica, e ne rimane esulcerata, se non disamorata. Di lei e della musica. Ma il racconto per immagini è diverso.
Non ci sono le belle musiche che uno si aspetterebbe – o se si sono (ci sono), non sembra. Né molta simpatia tra e per i personaggi. Che non sono però nemmeno distruttivi: non sono. Le immagini – il racconto subliminale – sono di un’androginia mancata, trattandosi di due persone-personaggi femminili, cioè dell’indifferenza sessuale o di genere: la ragazza prende i tratti e i modi mascolini del suo idolo – la cantante francese Lou Doillon, la figlia di Jane Birkin.
Una prima regia piena giustamente di ambizioni, ma ideologica, come di un programma di lavoro.  
Carolina Pavone, Quasi a casa

domenica 15 settembre 2024

Ombre - 737

Caratteri grandi e molte pagine su “Corriere della sera” (quattro) e “la Repubblica” (sette) al processo di Agrigento e Palermo a Salvini per gli immigrati. Un sobrio “Open Arms, chiesti sei anni per Salvini” sul “Sole 24 Ore”, e poche righe, nella sezione “Politica”, a p. 9. Non è una cosa seria?
 
Il processo di Agrigento-Palermo è in realtà del Procuratore della Repubblica Patronaggio, uomo di molti capelli e – pare – di molta fede, cattolica. Cioè democristiana, sotto il cappello dem. Si capisce allora che, come il cardinale Zuppi, non capisca di che si parla, quando si parla di immigrazione illegale - a parte il piccolo business dell’accoglienza, tutto o quasi gelosamente parrocchiale. Ora lamenta su “Avvenire” le condizioni delle carceri. Ma non dice, o non sa, che un terzo dei carcerati è di immigrazione coatta, giovani mandati allo sbaraglio.
 
“Promuovevano viaggi illegali per migranti. Chiuse mille pagine social”. Di trafficanti in Libia e in Egitto. E in Nigeria e Senegal, dove i trafficanti hanno uffici su strada? Attivi sicuramente da dieci anni, sono stati fotografati, ma probabilmente già da venti e trent’anni.
Per emigrare si muore, in massa – e si riempiono le carceri, in Italia e altrove. Ma c’è una sciatteria incredibile attorno all’immigrazione.
 
Unicredit solleva il governo tedesco, il Tesoro, dall’immobilizzo per il salvataggio di Commerzbank (un salvataggio tipo Monte dei Paschi), rilevandone una larga quota, e il capo del governo Scholz, in fase nazionalista dopo le sberle subite dall’estrema destra nelle ultime elezioni regionali, come Checco Zalone cade dalle nubi. Tutto il mondo è Paese, si può dire, ma è lo stato dell’Europa, confuso.
 
Sembra singolare la prudenza in Inghilterra nella causa contro il Manchester City, la squadra di calcio, per reati finanziari: anni di indagini, imputazioni gravi, processo discreto, in residenza segreta. A fronte della giustizia sportiva in Italia dell’avvocato Chiné, che si esercita al rullo dei tamburi, sempre contro un solo club – si è opinato anche che l’avvocato sappia leggere solo quel nome. E di due Procure della Repubblica, Torino e Milano, sempre contro lo stesso e solo club, a opera di Procuratori tifosi della squadra avversa - Inter vs Juventus. Il calcio è poco serio, ma la giustizia in Italia sarebbe da Cayenna: un ludibrio, una pernacchia alla legge.

“FdI in aula (al Campidoglio, n.d.r.): «No alla nuova Ztl». Il Pd: «Solita pagliacciata»”, e giù sul “Corriere della sera-Roma” un colonnino con gli insulti di tre o quattro consiglieri comunali del Pd contro i manifestanti FdI. Ma: c’è a Roma, o ci sarà, una nuova Ztl? Boh!
Il giorno dopo un vasto articolo elabora l’epica opposizione della maggioranza Pd ai contestatori “fascisti” sulla questione “nuova Ztl”. Di cui però non si dice nulla. Informazione?
 
Boccia non è poi andata a “Cartabianca”, benché già negli studi Mediaset al Palatino, truccata e pettinata, perché Bianca Berlinguer non ha voluto o potuto concordare prima le domande. Poco male. Ma questo significa che Telese e Acerbi su “La 7” le avevano concordate. Cos’altro farebbe l’editore Cairo – i due giornalisti sono suppellettili - per un 10 per cento di share?
 
Le precisazioni-amplificazioni del giorno dopo di Berlinguer e di Mediaset sulla mancata intervista a Boccia fanno capire quanto pregiato è lo scandalo in tv – altro record di Berlinguer, per non vedere Boccia, al 7,5 per cento di share. Nessun Nobel, nessun Sinner, nessuna primadonna, forse anche nessuna guerra avrebbe mobilitato tanti illustri volti e manager del video e della gestione.
 
La guerra in Ucraina ristagna e tornano le eroine in tuta mimetica fabbricate a Madison Avenue. Modelle accattivanti, bionde nel caso, dovendo esibire nomi ucraini, riviste di tutto punto da parrucchieri e visagistes – se c’è una benda da esibire, in luogo che non deturpi. Niente grassi, niente fumi, niente fanghi, niente piaghe. Le “notizie di guerra” non sono dopo tutto sorprendenti, i cliché sono pochi.
 
S’illustra a Torino Elly Schlein, in sneaker rigorosamente bianche, con due embonpoint maschi di mezza età, lo zainetto rigorosamente ai piedi, a una festa Fiom (una festa dell’Unità?), attorno a un tavolino tondo in plexiglass, con centro tavola verde e Amaro Partigiano, che i tre sorseggiano, tristemente. Amaro Partigiano non sembra una buona etichetta, ottimistica. Ma, certo, vita dura per i politici dem. Si respira anche freddo – che però, se faceva ancora caldo a Torino, si può dire una benedizione (porterà al risveglio?).
 
Moltiplicati ad agosto, su e giù per l’Italia, continuano in città sabato e domenica i no dei bancomat a utenti non graditi. Di Intesa i più sprezzanti, delle Poste, delle Popolari (ex) bianche, Sondrio in testa. Perché non si sa – la banca dà ragioni confuse, circuiti V-pay, Maestro (c’è ancora Maestro?), etc. La banca ha le sue ragioni, che la ragione non conosce.
 
Nel quartiere nel week-end solo il bancomat Unicredit funziona per tutti. C’è una divisione tra banche (ex) “bianche” e le altre? Curioso.
Ma c’era più democristiano un quarto di secolo fa della decina di banche di Unicredito, alla confluenza col laico Credito Italiano? E Unicredit di quartiere non è la vecchia democristianissima Cassa di Risparmio di Roma, sportello unico, flagello dei residenti - dei commercianti e di ogni altra vittima obbligata?  

Le confidenze fanno male all’amore

Un amore unico, tra il professore amico e la studentessa geniale, svogliata ma ora matematica all’Mit di Boston, trasformato in cappio minaccioso per via di uno scherzo tra amanti supererogatori: confidarsi reciprocamente un segreto – lei si divertirà a ricattare lui, il solo e sempre vivo amore della sua vita, anche in tarda età.
I due amanti, benché ora a distanza, di tempo e di luogo, rinnoveranno il patto-capestro periodicamente, infliggendosi nuovi acuminati dubbi. È l’amore dolore?
Un soggetto squisito, molto stile Antonioni, della vita imprevedibile e quindi del vago, della sofferenza nell’indeterminatezza. Che invece Lucchetti, regista al meglio di narrazioni più che di sensazioni (il suo meglio resta “Il portaborse”, l’esordio), trasforma in una sorta di commedia all’italiana. Piena di tristezza, si ride poco, e comunque col magone, ma anche di incongruenze. Per oltre due ore - insomma, fuori misura. Si inizia con un progetto di suicidio, e un paio di fantocci s’intravedono qui e là volare, ma non si sa se per suicidio oppure per omicidio.
Daniele Lucchetti, Confidenza, Sky Cinema, Now