sabato 21 settembre 2024
L’irresistibile ascesa del neonazismo
I sondaggi danno Alternative für Deutschland in testa domani nel Brandeburgo – e già il partito Socialdemocratico, che il Brandeburgo governa da molti anni, si dichiara lo stesso soddisfatto, perché non scende al 5 o 6 per cento, come in Turingia e Sassonia.
Berlusconi angelico – 36 (Berlusconi era un altro)
La Repubblica”, 4 settembre 2024,
fa un riassunto degli scandali politici a fondo sessuale, a proposito dei rapporti
Sangiuliano-Maria Teresa Boccia. Si parte da Petacci, con Guido Leto, poi Nilde Jotti, Annamaria Moneta
Caglio e lo “scandalo Montesi”, Craxi e Ania Pieroni, Fini e la famiglia della moglie. C’è anche “un
importante ex ministro dell’Interno, sciarada caritatevole, che combinò diverse scemenze per via di
una signora fattasi fotografare accucciata su una Ferrari”. Ma non c’è Berlusconi. Cioè c’è, ma
tra gli angeli in paradiso. A firma purtroppo di Ceccarelli, una apologia di Berlusconi imprevedibile, su “la Repubblica” di Berlusconi arcinemica, del
Berlusconi a letto. “A questo punto la domanda è inevitabile”, si chiede e ci chiede Filippo: “Ma Berlusconi?
E la risposta, a costo di spedire con forza il pallone in tribuna Vip, è: che nostalgia! Rispetto
all’annaspante pochade sangiulianesca il Cavaliere si staglia come un
imperatore, un gigante, un idolo
dell’avventura, del desiderio e della follia. Il Cavaliere non si accontentava di una sola passione e
come il Faust di Goethe….”, etc. etc. (Im)pietoso. Non è mai troppo tardi, certo.
Si è potuto
anche pubblicare un libro, a sinistra, sull’antiberlusconismo “di facciata”, di
Andrea Minuz, “C’eravamo tanto odiati”, il Mulino. Sottotitolo: “Breve storia
dell’antiberlusconismo”- è bene specificarlo perché “C’eravamo tanto odiati” è
già un romanzo di grande successo della letteratura del genere rosa, con “una
cattiva ragazza, arrogante, narcisista e libertina”, che “cambia uomini come
fossero calzini e guarda il resto del mondo dall’alto in basso”. Questo di
Minuz, professore alla Sapienza, si presenta così: “«Ma come fa a vincere le
elezioni? Non conosco nessuno che l'abbia votato!» L'antiberlusconismo come
collante sociale, catarsi, esorcismo collettivo, manuale di conversazione e
nuovo rito della borghesia occupò la scena pubblica dalla metà degli anni Novanta
in poi. Fu il grande tratto identitario della sinistra di quegli anni e uno
straordinario veicolo di carriere. Vetrina per scrittori, registi, giornalisti,
opinionisti, martiri, epurati, personaggi TV. Come il berlusconismo, anche l’antiberlusconismo
fu un’autobiografia della nazione e un romanzo di formazione della generazione
che aveva vent’anni all'epoca della discesa in campo. Trent’anni dopo resta 7nella memoria come cumulo di appelli, marce, girotondi, conversazioni a tavola
sempre uguali; un campionario di tic, frustrazioni e ritardi culturali del
mondo intellettuale, non tutto certo, ma di gran parte sì”.
Oggi due deputati che
ieri ingiuriavano Berlusconi, due 5 Stelle ovviamente, fanno domanda per essere
rieletti col suo partito, che pare torni a raccogliere voti. Ieri, non avant’ieri, uno
dei due protestava contro Malpensa intestata a Berlusconi: “Se tu frodi, e
vieni condannato, appena passato a miglior vita ti intitolano una aeroporto interazionale”.
L’altro ha avuto più tempo per ripensarci, lo bistrattava ancora in vita: “Penoso”,
lo diceva, “si intesta i meriti di Conte: è ora che vada in pensione”. Amen.
Cronache dell’altro mondo – floride (293)
Matteo Falcinelli, di Spoleto, è
assolto senza processo a Miami dopo l’arresto la notte del 24 febbraio, la carcerazione, e un Pti, programma
di vigilanza e risocializzazione. Era stata arrestato all’esterno di uno strip
club perché si rifiutava di lasciare il locale, pretendendo la restituzione
del cellulare, che gli era stato sottratto “dopo una disputa su un prelievo
indebito dalla sua carta di credito”.
“L’ammanettamento con il volto sull’asfalto
e un ginocchio sulla schiena, la notte in camera di sicurezza con il cosiddetto
Hotgie Restraint, l’incaprettamento che lo immobilizza con il volto sul pavimento
e lo fa urlare perché non riesce a respirare” ha provato al processo di far passare
come torture ma non c’è riuscito.
Ora sta bene e ha ripreso a studiare alla Florida International University –
studia turismo. Ha 26 anni. “La madre ha avviato una raccolta fondi per
sostenere le ingenti spese mediche e legali”.
(“Corriere della sera”).
Moretti o della politica come malattia
Rivisto a distanza, è il
film che esplicita, in chiaro anche se non cosciente, la politica come una
malattia. Non in sé ma in Moretti, nelle battute, l’ironia, l’istrionismo. Sempre
all’interno non della sinistra ma del Pci. Che quindi fungeva da alveo
familiare – paterno, ma non si può dire, l’alveo è materno. Di un padre che “non
esiste”, alla romana, nella biografia, e che manca ormai da molti decenni in
politica, già quando Moretti ci interloquiva - qui prepara l’intervista epocale,
decisiva, col Partito a Botteghe Oscure, che sempre rimanda e poi dimentica. Infatti
non rispondeva, si limitava a ridere, fregandosi le mani - salvo poi
inabissarsi senza residui, a parte i danni.
Lui stesso ne ha coscienza,
si direbbe in analisi, poiché fa il film del padre che è tutto alla nascita del
figlio, ostetrico, ostetrica, partoriente, nascituro, ha le doglie, le
contrazioni, fa il vagito, allatta. Ed è il film in cui si vorrebbe emancipare,
ha già una certa età, e vagheggia un musical, in pasticceria – e lo fa, è l’ultima
gag. Rimette in scena anche il vespino di “Caro diario”, che lo porta in
remoti lunghi viali di libertà. Ma poi ne sarà vittima, nella successiva
esperienza personale, con i girotondi (la rivoluzione con Di Pietro, con Di Pietro?, e con le
belle donne di buona famiglia).
Tra le quattro o cinque
storie che fanno il film una s’impone oggi, a metà tra la farsa e la minaccia, documentaria,
dal vivo, senza commenti - una sorta di cinegiornale, rimontato con l’attenta
disposizione all’epoca delle riprese: le funzioni “sacre” sul “sacro” Po di
Bossi e la Lega, e la processione sul mare a Venezia per la presa di possesso,
con la dichiarazione – non taroccata, non montata – della Padania libera,
indipendente, eccetera. Nel 1997, non molti anni fa.
L’Italia ha avuto pure il
secessionismo. Ieri. Moretti lo coglie per quello che è, cialtrone e pericoloso. Non coglie che quel Bossi era stato portato
da Scalfaro contro Berlusconi, e per far rivivere la Dc nella forma dell’Ulivo –
il Berlusconi che oggi gli stessi si accingono a santificare. Bossi aveva avuto
alle elezioni anticipate del 1996 il 10 e qualcosa per cento del voto, ma il 29
per cento in Veneto e il 25 in Lombardia. Aveva preso il nome Lega Nord per l’Indipendenza
della Padania, e adottato il Sole delle Alpi come simbolo, oltre alle ampolle,
le purificazioni eccetera – il druidismo, non per ridere.
Nella storiografia politica,
quando si faceva, si sarebbe detto che Berlusconi ha avuto il merito di “sdoganare”
la destra, di portare alla democrazia i neofascisti e i leghisti secessionisti.
Solo questo è la politica, assolutizzarla fa male.
Nanni Moretti, Aprile,
Sky Cinema, Now
venerdì 20 settembre 2024
Sciiti infiltrati, la guerra non convenzionale di Israele
La
guerra non convenzionale di Israele in Siria, in Iran e nel Libano, compreso il bombardamento di oggi a Beirut Sud (difficile, impossibile, centrare dall’alto in movimento un obiettivo umano), è
facilitata da una penetrazione larga nei ranghi dei pasdaran iraniani e
degli hezbollah in Libano? È quello che credono il governo iraniano e il
movimento degli hezbollah in Libano.
Il
capo degli hezbollah è entrato nella clandestinità totale. Il suo discorso
ieri era registrato: l’aviazione israeliana ha fatto una dimostrazione rumorosa sulla sua consueta sede,
provocando ripetutamente il bang supersonico, al di sopra di lui mentre parlava
senza una sua minima reazione. Non è la prima volta, ma in precedenza i suoi discorsi
registrati erano trasmessi su schermo in una sala adiacente alla sua
(supposta), ieri la sala era vuota.
Gli
assassinii mirati dei maggiori responsabili militari di pasdaran, hezbollah
e Hamas, a Damasco ripetutamente, a Teheran e nel Libano, e negli ultimi
giorni in Libano il brillamento in contemporanea delle cariche esplosive caricate
in migliaia di cercapersone e walkie-talkie, i congegni adottati dagli hezbollah
invece dei cellulari per evitare lo hackeraggio, hanno fatto capire che il
movimento è largamente infiltrato. In Libano, a Damasco e anche in Iran.
Il
sospetto è che Israele sia aiutato in questo dai sunniti, dopo il recente
avvicinamento agli Emirati, e anche all’Arabia Saudita.
Un
sospetto più concreto è che ci sia stata la mano di Israele nella deflagrazione quattro anni fa dei depositi commerciali del porto di Beirut, in realtà depositi di esplosivi chimici.
Il maschilismo in crisi, 1806
Il racconto della crisi
del maschilismo, nel 1806 – agli inizi del maschilismo. Quando l’autore aveva
43 anni, nessuna professione né occupazione, e viveva fra tre donne, forse
quattro. Tutte a loro modo imposantes – realizzate, determinate,
complesse, di carattere e di vita: Wilhelimine (“Mina”) von Cramm, Germaine (Madame)
de Staël, Charlotte von Hardenberg (è l’“eroina” del racconto), Anna Lindsay, perfino
Mme Récamier, agli inizi della “carriera” e poi a intervalli costeggiando
un’altra bella e illustre letterata, Isabelle (Madame) de Charrière. A cura di
Teresa Cremisi.
L’eroina è una donna
in colpa – amante e non moglie, benché madre, per di più straniera, figlia di
polacchi in fuga. Ma eccezionale, per tutto: cura del compagno, come oggi si
dice, delle case, e dei (pochi) amici, dei loro figli, del decoro, della
conversazione. “Ellénore stava tanto più in guardia contro la sua debolezza,
quanto era perseguitata dal ricordo dei suoi errori: e la mia immaginazione, i
miei desideri, e una teoria di fatuità di cui non mi accorgevo io stesso, si
ribellavano contro un tale amore”. Questa la metà, estenuata, del racconto.
Finché, “finalmente mi si concesse”. L’altra metà sono le pene che la poveretta
dovrà soffrire – si diceva pagare.
Si parte con l’elogio
della virago de Staël, in chiaro, ma non è la prefigurazione della vicenda del racconto
- il giovane che s’innamora della donna matura. Sul rapporto di Constant con de
Staël, come con le altre donne di nome, miglior romanzo è la nota biografica particolareggiata
che Cremisi premette al racconto.
Una scommessa con
“due o tre amici… sulla possibilità di conferire un certo interesse a un romanzo
con due soli personaggi e con una situazione che è sempre la stessa”, è la prefazione
dell’autore alla terza edizione, orgogliosa. Dopo le scuse nella prefazione alla
seconda edizione per l’“immoralità” della vicenda. Qui ribadita in forma di
autoassoluzione, anzi di orgoglio: “Volli descrivere il dolore che anche i cuori
aridi provano per le sofferenze di cui essi stessi sono la causa, e quella
illusione che li porta a credersi più fatui o più corrotti di quanto siano”. Il
suo protagonista dalla prima all’ultima parola, è “un miscuglio di egoismo e di
sensibilità”, è Constant.
L’autore ha in
Italia un’immagine diversa che in Francia, quella della lettura di Croce, di
teorico e politico del liberalismo: in Francia è “Adolphe”, una sorta di
teorico e pratico del romanticismo. Ma storia e scrittura sono settecentesche –
e ancora, del primo Settecento, di Choderlos e le tante narratrici delle pene
d’amore. Straordinarie ma uesta di
“fare un romanzocon due solk eprsonaggi, ptemette Constat alalterza edizione,
“e cnuna situazione che ès emrpe la setsa. La prefazien ala erza edizione, comiciuta,
doo una di scuse, ala,seocnda edizione, per il soggetto “immorale” delar
cconto.per venire dopo la Rivoluzione, e in pieno bonapartismo, tra gli
Chateaubriand e Stendhal.
Benjamin
Constant, Adolphe, Garzanti, p. XXIV + 127 €7,50
giovedì 19 settembre 2024
L’Europa va a destra contro l’estremismo
Domenica si vota nel Brandeburgo, e la Germania ha paura come non mai. La Germania, e quindi la Ue, la commissione di Bruxelles soprattutto, scelta e orientata dalla Germania come non mai, guarda per questo a destra, alla destra democratica per recuperare il voto finito all’estrema prima che diventi valanga.
È un fatto palese - questo sito ne ha più volte dato conto - che però viene trascurato nell’informazione: la Germania teme l’estrema destra, e pensa di disinnescarla spostando il baricentro della politica classica a destra. In Europa verso i conservatori alla Meloni, cioè verso un atlantismo ferreo, e un approccio politico al problema immigrazione, invece di quello attendista, remissivo e quindi catastrofista.
Non si misura lo stato agitato, confuso insieme e risoluto, in cui le ultime votazioni regionali hanno messo la politica in Germania. Domenica si vota in Brandeburgo, che è un Land piccolo ma è importante, attorno a Berlino, ed è da sempre governato a sinistra. Ora il ministro-presidente uscente Woidke, al governo da dodici anni, è dato alla pari con lo sfidante dell’Afd, l’estrema destra, e questo è già una sconfitta – potrebbe anche vincere, ma per pochi voti.
L’estrema destra intorno a Berlino, in poche mosse in pochi giorni, non si misura quanto il momento è critico per i tedeschi. Da qui la strategia di Manfred Weber, il tedesco a capo dei Popolari europei, in sintonia col nuovo capo della Dc tedesca, Merz, di sposare l’asse del partito a destra, abbandonando i sinistrismi tattici di Angela Merkel. In questa strategia Meloni è per il Centro tedesco, smarrito e intimorito, una bussola e un’ancora - è il paradosso europeo, farsi conservatori per arginare la deriva alla destra estrema.
Guerre di logoramento, dell’Europa
Sarebbe ridicolo l’andirivieni del segretario
di Stato Blinken dal Medio Oriente, a giorni alterni senza mai un esito –
quando non viene fermato a metà viaggio. Come dire che gli Stati Uniti non
contano. O l’atteggiamento di assoluta passività nella guerra ucraina, limitandosi
a gestire le forniture dei residuati militari, senza mai una iniziativa, politica
o militare, risolutiva.
In termine tecnico gli Stati Uniti sarebbero
per una guerra di logoramento, e questo è quello che avviene. Se non che: logoramento
di chi? Della Russia certamente, ma dall’altra parte non dell’Ucraina, che è
solo il campo di battaglia, ma dell’Europa: una dimostrazione sul campo, ogni
giorno, che l’Europa è imbelle – quando non è ridicola, con la sanzioni a ripetizione
che solo danneggiano se stessa.
C’è in atto un distinto cambiamento nel
rapporto transatlantico. Che le presidenze Obama hanno coperto per la sensibilità
del presidente, umana (nei confronti dell’Italia per esempio, che ha difeso
dalla guerricciola fr anco-tedesca), e le presidenze Trump e Biden hanno invece
evidenziato.
È un cambiamento epocale per l’Europa. Che
continua a fare conto sull’ombrello nucleare americano e niente più. Il campo
aperto, sotto l’ombrello nucleare, vede rapporti al minimo. Inerti, nemmeno più sotto
la forma della consultazione: dov’è l’Europa a Gaza e in Cisgiordania? dove, di
fatto, a parte il rinnovo degli arsenali, in Ucraina? Quando non sono ostili –
dazi, contingenti.
Cronache dell’altro mondo – processuali (292)
Hunter Biden, il figlio del presidente,
si dichiara colpevole di reati fiscali, per i quali è giudicato a Los Angeles, sperando
in una condanna mite, con sospensione della pena, e in una multa. A giugno è
stato condannato in Delaware, pena da calcolare, per il possesso illegale di
una pistola. Non si fa invece il terzo processo, quello che sarebbe stato insidioso
per il presidente Biden, sulle consulenze da lui ottenute in Ucraina, per le
quali avrebbe speso il nome del padre – una delle ragioni che avrebbero
convinto il presidente a rinunciare alla ricandidatura sarebbe stata questa,
evitare questo processo, sia pure solo mediatico.
L’Ucraina era emersa da un computer abbandonato
di Hunter Biden, che l’Fbi ha acquisito nel 2019, con molti messaggi, foto,
video, email, sui traffici del figlio del presidente. Non esclusi riferimenti
al padre, allora vice-presidente, quale parte anche lui degli affari.
Dopo il ritrovamento del computer, dimenticato
in un negozio di riparazioni, un amico e socio di vecchia data di Hunter Biden,
Tony Bobulinski, se ne dissociò, e denunciò all’Fbi molti affari con risvolti penali
di Hunter Biden.
Bobulinski fu interrogato a lungo
all’Fbi di Washington alla vigilia delle elezioni del 2020, il 23 ottobre. La denuncia
Bobulinski supportò con tre cellulari, così affermò, che avrebbe consegnato alla polizia federale, con email, e con documenti
finanziari. Ma l’inchiesta finì nel nulla.
Bobulisnki fu gestito da un funzionario
Fbi di Washington, Timothy Thibault, che ha lasciato l’Fbi qualche mese dopo, senza
spiegazioni. Quando la stampa di destra sollevò il caso, l’Fbi comunicò che Thibault
non si era occupato del laptop di Hunter Biden.
Ciò che resta di Berlinguer
È il film, come da
sottotitolo, degli “ultimi giorni di Enrico Berlinguer”, il segretario del Pci,
gli ultimi precedenti la morte. Poco visto (prodotto da Sky, naviga da alcuni mesi
in proiezioni sparse, biblioteche, qualche circolo, molto apprezzato, da pochi),
è l’ennesimo santino su Berlinguer, profittando della morte praticamente in
diretta, sulla piazza di Padova – dei materiali repertati nei giorni successivi
al malessere mortale che lo colse al comizio.
Samuele Rossi ha lunga
esperienza di docufilm, specie del genere bio, di una personalità: Margherita
Hack fra i tanti, Carmelo Bene, il cestista Meneghin - anche di film a soggetto,
“Glassboy” nel 2020. Questo Berlinguer ripropone per alcuni filmati non ancora
pubblici. Ma del tipo noto: preoccupazioni per il malore, notizie che si
rincorrono, professioni di fede, e il funerale, le immagini del funerale a
Roma, piazza San Giovanni, rossa di bandiere.
Queste immagini, benché
non inedite, “la più imponente manifestazione di cordoglio popolare dell’Italia
repubblicana”, sono al montaggio la parte che più resta del film. Due milioni
di persone sono il segno di un evento ma anche di un’epoca. Che una
considerazione che le accompagna però induce a riflettere: “Berlinguer vedeva la
strada dove altri non la vedevano”. Quale? Quella del Pd, dei (soliti)
democristiani eletti con i voti dei (residui) Pci?
C’è un prima. Il
Pci aveva elaborato, già al tempo di Togliatti, l’arte del funerale – che Gioberti
diceva dei gesuiti: fu l’arte dei gesuiti per i morti eccellenti, Leopardi perfino
e Pirandello. Togliatti l’aveva iniziata con Stalin: “Gloria imperitura
a\ GIUSEPPE STALIN” disse nei manifesti, due metri per tre, in morte del
Piccolo Padre, “guida, maestro, amico”. E un cristallo di due metri per due, di
due quintali e mezzo, volle a palazzo Marescotti in via Barberis, luogo
felsineo del comunismo - cui si accede (si accedeva?) sotto l’insegna Deus propicius esto, Dio sia con te, e
la Madonna della notte e delle ombre, o della Divina Provvidenza - con l’Ode al
partito di Majakovskij e i segni del
riscatto: lampadina, cazzuola, falce, libro, penna, pallone, e un paio di sci. L’aveva perfezionata poi con Malaparte, il quale aveva fatto di tutto
affinché i gesuiti s’impadronissero di lui, a metà con Togliatti: la villa a Capri regalò al presidente Mao, la salma al Pci e a padre Rotondi,
per un funerale con bandiere rosse e messa cantata polifonica. L’arte i fratelli Taviani hanno poi codificata, in morte di Togliatti. Mortuario era pure il quadro-manifesto del Partito, di Guttuso: un
altro funerale, sempre di Togliatti. Si è continuato con Debenedetti, dopo avergli negato
la cattedra - tre volte, per non essere neorealista, non abbastanza, l’ultima
in punto di morte (il professor Sapegno, che era stato compagno di Debenedetti al
liceo, e all’università ne bocciava la nomina, pronunciò il necrologio: il
morto si prende il vivo). Il capolavoro elaborando in morte di Pasolini,
coreografico e di massa – in vita Pasolini non poté essere del Partito, aveva
dovuto restituire la tessera. Con bandiere, grandi immagini colorate, gagliardetti
della Resistenza, e masse, in ogni dove a Roma. Tutto poi d’improvviso
scomparso. I funerali e le masse – eccetto che ai concerti gratuiti. Dopo Berlinguer
a San Giovanni, Roma vide nel 2002 “un lungo fiume rosso” per le sue strade,
tre milioni questa volta di persone, che si direbbero un’allucinazione, se non
le avesse organizzate e trasportate Sergio Cofferati – ma Cofferati, chi è
costui, uno che ha offerto un giorno di vacanza a tre milioni, a Roma poi (il
23 marzo 2002 era sabato)?
E c’è un dopo: “Oggi
dici Berlinguer”, nota Aldo Grasso, “e pensi Bianchina”. C’è altra eredità? Berlinguer, se si celebra con tanti film, materiale costoso, un altro si preannuncia per il festival dem di Roma, come titolo di apertura, evidentemente vende, ma che cosa?
Il titolo è, non volendolo,
giusto.
Samuele Rossi, Prima
della fine
mercoledì 18 settembre 2024
Problemi di base di genere - 821
spock
Il genere è un
mistero?
Oppure una
guerra?
Se ne distinguono
una dozzina, compreso l’asterisco, non bastano?
E il genere
non-genere?
“Il rapporto
sessuale non esiste”, Lacan?
Non esiste il sesso
o non esiste il rapporto?
spock@antiit.eu
Il narratore Pasternàk inappetente
“La nube diede un’occhiata
alle stoppie basse, cotte dal sole. Si stendevano fino all’orizzonte… La nube
ricadde sulle zampe anteriori e, attraversando lenta la strada, scivolò
silenziosa lungo la quarta rotaia”. C’è una bambinaia. C’è un bambino che striscia,
“fino al rubinetto dell’acqua”. Ci sono i genitori del bambino rapito che ancora
non lo sanno e si recano al porto a salutare l’amico di lui, “il guardiamarina
che un tempo aveva amato lei”. E poi, dopo quindici anni, ci sono le “vie aeree”:
“Le vie aeree per le quali, come treni, partivano quotidianamente i pensieri rettilinei
di Liebknecht, di Lenin e di altri spiriti del loro calibro…. Era il cielo dela
Terza Internazionale”. Sotto il quale lei ritrova lui, “membro del Presidio del
Comitato esecutivo provinciale”, gli fa parte che il bambino era suo… La traccia
di un romanzo?
Un libro prezioso, perché
di racconti singolarmente inanimati, tradotti in fretta e pubblicati sulla scia
del “Dottor Živago”. Nella veste che oggi appare lussuosa della vecchia
Universale Einaudi, grafica, carta, dorso che imita la cucitura, copertina
protetta da velina solida, scheda bibliografica. Racconti poveri. Pieni di parole,
esagerati linguisticamente, ma poco significanti, nei personaggi o caratteri,
nelle vicende.
È la prima raccolta
pubblicata in traduzione, nel 1960, dei racconti di Pasternàk, col racconto lungo
del titolo, “Il rìtratto di Apelle”, “Le vie aeree”, e un altro testo lungo dal
titolo “Racconto”. Verrà ripresa negli Oscar Mondadori nella stessa traduzione,
di Clara Coisson, con l’aggiunta di “Lettera da Tula” e “Disamore”, postfazione
(tiepida) di Vittorio Strada. E da Studio Tesi con una nuova traduzione, e l’aggiunta
di “Lettera da Tula” e “Storia di una controttava”.
Einaudi contro Feltrinelli,
beneficiario del boom “Živago”, ha arruolato lo slavista allora
principe, Angelo Maria Ripellino, che la prefazione fa breve, e stroncatoria.
Proprio così, e non proprio tra le righe – in questa accoppiata la pubblicazione
si può dire eccezionale. Ripellino parte denunciando “abusioni stilistiche”,
abusi. E a seguire “una prosa convulsa, come il salto del cavallo nel giuoco
degli scacchi”. Per concludere: “La dovizia dei particolari sommerge l’insieme”
- con l’aggiunta perfida: “Come accade d’altronde nei poemi”.
Onestamente ha premesso,
in apertura del saggio: “I racconti in questo volume risalgono alla giovinezza
di Pasternàk”, sono “caratteristiche prove di un poeta lirico”, e “non tutti
hanno uguale valore”. Salva solo il racconto del titolo, del 1918, che “ha la
stessa sostanza verbale delle migliori liriche di Pasternàk”, e “può servire di
chiave all’intendimento di tutta la sua creazione”. La novità essendo “l’innesto
dell’analisi psicologica con il vivido metaforismo tipico della scuola
cubofuturistica”. Non risolto però, rigido, da programma o scuola.
Di fatto - Ripellino lo ribadisce
più in là - aggravato, da un “assieparsi dinamico delle metafore in una sorta
di pantomima, di colorito «Mysterienspiel» del linguaggio”. E intende un linguaggio
allusivo. Per una chiusa micidiale, tanto più per un lettore come lui, di suo
anche poeta fiorito: “È un giuoco analogico, simile a quello dei clowns e dei
bambini, che scambiano la doccia per telefono”. Prose farcite di “feticci
verbali, come arroganti arabeschi, senza nesso col racconto”, e “povere di
avvenimenti, ma in cambio quante notazioni sul variare del tempo, sulle qualità
delle stagioni, sui gesti della natura”.
“L’infanzia di Ženja Ljuvers” fa la psicologia di un’adolescente, e in
questo è una novità: mette in scena paure, ansie, sensi di colpa, infatuazioni,
abbandoni. Di un’adolescente per la prima volta slegata dalla famiglia – come di
fatto avveniva, ricorderà lo stesso Pasternak nell’“Autobiografia”: “Tutto ciò
che i figli ricevevano dai genitori arrivava nel momento sbagliato, dal di
fuori, ed essi sentivano che non era voluto da loro ma dovuto a cause
estranee…”.
“Il tratto di Apelle” è
l’Italia come si figurava, vista da Heine, del classicismo – un’Italia che
Pasternak conosceva poco, ma gli serviva per uscire dal romanticismo di
gioventù - “Lettere da Tula”, 1918, spiegherà
questo distacco, da tutto ciò che è o si vuole “artistico”, cioè autoreferente,
snob, “decadente”. Nel racconto senza titolo, “Racconto”, la reviviscenza
della vecchia Mosca nel dormiveglia di un soldato reduce da non si sa quale
fronte nel 1918, se dei Rossi o dei Bianchi, e nella memoria e le attività della
sorella che lo ospita, sempre più pragmatica, prima e ora, del fratello
sognatore. Un testo lungo, frammentario e circostanziato, profuso in ogni
lacerto, con alcune figure sbalzate con cura ma non interrelate – abbozzo di un
romanzo? L’unico filo vede Serjoža, il reduce, istitutore a Mosca prima della
guerra, che non sapendo come fare fa una proposta di matrimonio all’istitutrice
di una delle case in cui ha lavorato, confondendola. Terminata l’esposizione
dell’aggrovigliata dichiarazione decide di scrivere una storia, e per una
quindicina di pagine vi si dedica, di fatto accumulando riflessioni sullo
scrivere.
Molto è stato perdonato a
Pasternàk in virtù del romanzo. Le prose sparse non sono memorabili, se non per
il linguaggio bizzarro – studiato per esserlo, da poeta mestierante delle
avanguardie. Una prosa dalle volute artificiose. Comune peraltro all’altro grande
narratore russo del primo Novecento, Nabokov, anche lui autore in definitiva di
un solo romanzo - narratore però più consistente, convinto.
Boris L. Pasternàk, L’infanzia di Ženja Ljuvers,
Universale Einaudi, pp. XI + 208 pp.vv.
martedì 17 settembre 2024
Problemi di base amorevoli - 820
spock
Si ama anche
non riamati - davvero?
È l’amore de
loin?
È l’amore
dolore?
Le confidenze
fanno male all’amore?
E l’intimità?
Si cresce a
letto o solo ci si spoglia?
spock@antiit.eu
La famiglia femmina
Uscendo di casa alle 7, anche alle 8, s’incontrano persone
sole che portano a spasso il cane, pensose, solitamente uomini. Alle 11 invece
esce dal bar, dopo il caffè\cappuccino?, una donna anziana, un po’ curva, che
prende ad andare sul marciapiedi avanti e indietro, forse allarmata, forse stufa
o nervosa. Seguita a minuti, meno, da una giovane con cagnetto al guinzaglio,
docile. Seguita a sua volta da una bambina ricciuta che le saltella attorno. La giovane
dice qualcosa alla bambina, sarà la baby-sitter. Poi una carrozzina si fa
strada dal locale, guidata da una donna robusta, con un infante che guarda perplesso
succhiandosi il dito – è una bimba, ha fiocchi e maglie rosa.
La donna si
volta mentre procede dando consigli o impartendo istruzioni. Viso triangolare, occhi indagatori3.0
0, sorriso arguto dominante: primadonna attrice, manager, direttrice, dà un ordine senza parlare alla processione. Che così ora si presenta: bisnonna, nonna, figlia, nipotini? La donna anziana va via col cagnetto docile, la primadonna si avvia col carrozzino e la neonata, la ragazza madre segue, con la figlia che le saltella attorno. Quattro generazioni in pochi metri in pochi anni, tutte donne.
Il piano delle musiciste ribelli
Vicario, pop e “pop
barocco”, si diverte con Dade, rock alternativo, a far suonare, cantare e ballare
ragtime, swing, be-bop le allieve dell’educandato musicale Sant’Ignazio a
Venezia nel 1800, stanche di ripetere gli accordi stitici del vecchio maestro
di cappella, al concerto per la visita a Venezia del papa Pio VII, cacciato da
Roma dal perfido Napoleone. La servetta dell’educandato, detta la Muta per non
avere facoltà di parola, ha l’orecchio assoluto – nella prima carrellata, forse
la più ingegnosa, fa musica, ritmo e melodia, coi rumori del cortile sassoso
e polveroso, dei bambini e delle lavandaie. E ha la chiave d’uso del piano, un mostro
mandato dal fabbricante all’orfanotrofio, col quale preparerà insieme con le ragazze
dell’istituto, a tempo sincopato, il concerto papale.
Una pochade
divertente – anche se è stato presentato come un documento femminista, contro
la discriminazione delle donne - a tempo di musica. Il gruppo risulterà promotore
del pianoforte sulla scena musicale e si meriterà per questo la riconoscenza del
costruttore. Le corti europee si contenderanno il nuovo gruppo musicale. Il vecchio
prete e la vecchia scuola saranno sopraffatti.
Un racconto scanzonato e
inconcludente, del genere grottesco, che come al solito è andato a Berlino,
bene accolto, e in Italia è uno dei tanti. Menzionato giusto per la fama
pregressa della neo-regista. Con un Nastro d’argento però alla colonna sonora. Con
Paolo Rossi vecchio prete acido a cucire le tante trovate, e un Elio portiere
bonario per i casi disperati – a volte di un uomo c’è bisogno.
Margherita Vicario, Gloria!, Sky Cinema, Now
lunedì 16 settembre 2024
L’Africa all’edicola
Il ragazzo nero davanti
all’edicola, a ore e giorni alterni, quando capita, sta indolente, appoggiato
al lampione, ascolta intento ai miniauricolari, e parla – avrà un minimicro all’occhiello.
È immerso a lontano, nel suo mondo telefonico, non guarda e non ringrazia nemmeno,
solo un gesto del capo, chi gli offre mezzo euro, dopo attenta ricerca, anche
un euro – il quartiere è di borghesia progressista.
I primi Antonio li
rimproverava – Antonio è un ex cooperante che ha molto a cuore gli immigrati (una
famiglia l’ha anche adottata, nel senso che li invita la domenica a pranzo a
casa, e paga per i libri e l’abbigliamento di uno dei figli a scuola). Ma è
molti anni fa ormai. Antonio diceva: “Non ti vergogni, alla tua età?”, e “devi
cercarti un lavoro, anche mal pagato”, le solite cose.
Il ragazzo non
viene tutti i giorni, e non viene presto, quando più gente passa dall’edicola.
Avrà di meglio altrove, o vorrà dormire. Viene alla mezza mattinata, quando
dall’edicola passano i suoi benefattori, persone mediamente di mezza età che
con piacere, si vede, lo ritrovano – l’alternanza dei giorni aiuterà anche ad
accrescere il peso dell’elemosina, tra l’attesa e il ritrovamento.
Avendo conosciuto
l’Africa prima di lui, lo si compiange vittima di decenni di malgoverni e ruberie
– non vige purtroppo nella politica continentale la distinzione tra pubblico e
privato, interesse (e denaro) pubblico e interesse privato. Ma lui non lo sa.
Non ha nemmeno coscienza che sta chiedendo l’elemosina, la cosa non lo umilia.
E questo abbatte, molto.
Lui è tranquillo,
sconta la disattenzione e anche il rifiuto, non gliene frega - il suo poco sarà
molto? farà il palo? è di una tribù di questuanti? È l’africanista che
destabilizza, la delusione dell’illusione.
Secondi pensieri - 544
zeulig
Complotto - Il complotto è femmina per Francesco
Bacone, il barone di Verulamio - la ribellione maschio: il popolo sospetta di
tutto, la democrazia ateniese è una serie di complotti, democratica solo perché
spesso sovvertita.
Filosofia tedesca - La filosofia tedesca è terminale: fine
della metafisica, Kant, fine della storia, Hegel, fine della filosofia,
Nietzsche, fine del linguaggio, Heidegger.
Marx dice: “Come i popoli antichi hanno
vissuto la loro preistoria in immaginazione, nella mitologia, noi abbiamo, noi tedeschi, vissuto la nostra post-storia
in pensiero nella filosofia. Noi siamo i contemporanei filosofici del presente, senza essere i suoi contemporanei storici”.
Logica
– È pilatesca – all’origine del pilatismo filosofico. Se “nessuna proposizione
diversa da una tautologia può essere mai qualcosa di più di un’ipotesi
probabile”, Alfred Ayer.
La logica può essere illogica – per Bacone
“più che alla ricerca della verità, serve a sistematizzare gli errori”.
Morte – “Che la morte esista lo sappiamo, basta accendere la televisione.
Ma continua ad essere una questione, che la mente non riesce ad ammettere come
naturale. È inspiegabile che qualcosa di vivo a un tratto non lo sia più”,
Pedro Almodovar, “Sole 24 Ore Domenica”. “Credo”, aggiunge,” da parte mia, che
questa fatica ad abituarmi alla fine delle cose sia una forma di immaturità”.
Perché? Almodovar sbaglia su tre punti. Non ci si abitua alla morte, la morte è
un fatto, “normalmente” si vive – la morte può sopravvenire in qualsiasi momento.
Non si vive per la morte, Heidegger sbaglia - o va letto in altro modo. La vita
è un’eccezione, nella non-esistenza, ma ha un prima e un dopo, è stata preparata
da sostanze e procedimenti vari che “da sempre” la rendono possibile, e dura oltre
la morte, sia pure solo nella forma del filo di bava o di umido del lombrico –
nell’anagrafe, nel calendario storico della popolazione, nelle ere geologiche. La
vita non è un’eccezione, e la morte lo stato normale: funziona al contrario,
tutto germoglia – anche nelle glaciazioni.
Opinione Pubblica - Bacone la disprezza, spregia la Fama:
la natura del popolo essendo
“malvagia e triste, e propensa alle novità”, i turbolenti se ne giovano con
“pettegolezzi, malignità, denigrazioni, ricatti”, per muovere alla “femminea
invidia verso coloro che governano”.
Selfie (autofiction-autobio)– È diffusa la narrativa
selfie, di ricordi, eventi, circostanze legate alla esperienza personale,
alla propria vita e persona, degli autori. Al più in forma (lievemente)
eterodiretta, dall’attualità, dal caso, dalla memoria incidentale. Come di
cogitazioni in psicoterapia a volte, con quadro di riferimento metodologico (conoscitivo)
noto o comunque registrato. In cui l’autore
fa da paziente, da analista e da narratore, una sorta di auto-analisi.
Una letteratura si direbbe al femminile – seppure
dizione improponibile, oggi perfino illegale. Aperta da Duras, esercitata al
meglio, narrativamente, da Ernaux e Lucia Berlin. Su un solco, nel tardo Novecento,
maschile: Carver in America e molti altri alcolisti, e ultimamente David Foster
Wallace.
È come se niente esistesse al di
fuori di noi. O per dare consistenza a noi, che altrimenti non siamo. Ma è
anche genere coltivato da spiriti forti, sant’Agostino per primo, Rousseau.
“Sarebbe molto piacevole per me dire quello che penso, e dare sollievo al
signor Gustave Flaubert con delle frasi. Ma che importanza ha il suddetto
signore?”, si chiedeva Flaubert – “L’uomo non è niente, l’opera d’arte è
tutto”. Però, anche qui: senza l’artista?
Una narrazione
prevaricatrice, sul soggetto, sull’autore? L’autore soggetto di sé medesimo non
si resiste, inevitabilmente sbrodola. Quando passa attraverso la narrazione propria,
di personaggi e azioni “autonome”, la costruzione del teatrino obbliga l’autore
a una sorta di, ancorché irriflesso, autoesame. In termini psicoanalitici la
narrazione si può dire un caso risolto, il selfie una seduta psicoanalitica
- interminabile come suole-vuole essere la “cura” solipsistica.
Il genere nasce di fatto con Freud: il
racconto di se stessi in analisi è ben romanzato – tale lo vuole anzi il
terapeuta: un racconto, il racconto in prima persona, dal proprio punto di
vista, per quanto inteso a rimuovere la rimozione, e tanto più fantastico o fantasioso
(sogni, visioni, effetti a sorpresa) tanto meglio.
Società civile – Nozione diffusa
negli anni 1990 da Eugenio Scalfari e il suo giornale “la Repubblica” – il “ceto medio riflessivo”
dello storico tardocomunista Paul Ginsborg - intesa a
sdoganare per il costituendo Ulivo poi Partito Democratico la borghesia,
distinguendone quella illuminata. Una sorta di società dei “belli-e-buoni” (la kalokagathia
dei sofisti in Atene, degli intellettuali bravi politici e oratori), che
quindi aveva tutti i diritti a voler governare la Repubblica. Nozione poi
demolita, negli anni 2010, sempre in Italia, dal movimento di Grillo, populista
fino alla volgarità, contro i benpensanti, specie che trovava soprattutto
annidata nell’informazione.
Storia – La storia è contorta. La freccia della storia,
come quella del progresso, è più spesso indecisa.
Ma la storia, come la stupidità, non vuol essere
banale. E non vuole perdersi, lascia dei nodi.
Verità – La mia verità è la verità - non solo per Marx o per Heidegger (si deve a Heidegger “l’essenza dell’essere, la sua verità”).
La verità è conquistatrice.
Tutte le verità di Omero sono “dire la
verità”, e anche alétheia, lo svelamento. Non c’era in Omero la legge immutabile
astratta, né l’individuo che tutto sa. Ognuno si lasciava andare, si lasciava
fare, ed era nel vero confidandosi. Si scopriva in quanto ci si scopriva.
La verità di Heidegger, prendendolo al suo
stesso pensiero, è semplice: togliersi la maschera. E allora coraggio,
Filosofo, parlaci di te, dì quello che sai. Ma egli non lo ha detto – lo ha lasciato
dire. In realtà lo ha detto col silenzio, questo è stato il suo svelamento, il
silenzio parla, eccome, nella lettura, nello sguardo: lui è uno che non ha
perso la guerra.
Molte cose stanno bene in altri ambiti, la
tradizione, la zappa, la vita agreste - anche Pasolini ne ha nostalgia e le rimpiange,
con affettazione ma pazienza, sono state una sua gioventù. Ma verità è pure la
forma della comunicazione. Quella di Goebbels, la verità del nazismo, sembra un
mondo di cartapesta, la propaganda. Ma essa è anche un mondo reale, in quanto
incontra il linguaggio di chi ascolta.
È soggettiva. Ma “In interiore hominis habitat veritas” di sant’Agostino è di un solipsismo assoluto, poiché la verità in
interiore hominis è anche la realtà. Esclusiva, non ce n’è altra.
zeulig@antiit.eu