Cerca nel blog

sabato 28 settembre 2024

Idillio

Il tempo cambia rapidamente mentre saliamo in montagna. Quando arriviamo a Carmelia è tutto nuvolo. E il “Cavallino”, il bar-cucina della signora Liliana, è già chiuso. Tornersene a casa? Provare a Zervò, dalla “sciditana”, la signora Scarcella, lei esiste, per la stagione dei funghi e per la caccia. Ma è una strada lunga. Ma tornarsene a casa digiuni è ancora più lungo. Decidiamo per Zervò.
All’incrocio di Colella, sotto la faggeta, una jeep della Forestale che era lì ferma si accoda.  
La strada segue le sinuosità del terreno, una curva dietro l’altra. E buche larghe già dopo le prime piogge, bisogna destreggiarsi - è una strada ex Comunità Montana, di cui la Provincia malvolentieri si prende carico.
Curva dietro curva, e buca dietro buca, il percorso sembra interminabile. Ora pioviggina anche. Ma la jeep dei Forestali è sempre dietro. Sarà il caso di chiedere a loro se ci vuole ancora molto, e se la strada è percorribile? Se il rifugio è ancora aperto? Ma fra un’incertezza e una buca siamo arrivati.
Una ragazza viene a prenderci con l’ombrello, Daniela. È la figlia della signora Scarcella, è salita “a dare una mano”. È una giovane sorridente, ricciuta, garbata.
Ora pioviggina. Il giardino appare più bello, l’erba più verde, le ortensie più blu, e le roselline più rosse. Ma è venuto umido, e come freddo.
Daniela si offre di accendere il camino. Ha poco da fare, la fiamma prende subito, viva e alta: pranzeremo alla luce del fuoco. Ma si alterna, è contenta anche di parlare con i militi, sono giovani, hanno l’aria di ritrovarsi.
Quando apparecchia la provochiamo:
- Due ore di servizio senza problemi.
Risponde risentita, quasi a un’offesa personale:
- Vi credevano cercatori di funghi senza permesso.

La vita avrebbe potuto essere migliore – ma forse non vale il rimpianto

Due ragazzi coreani, lui e lei, compagni “d’anima” a scuola, si ritrovano a distanza d’anni. Dapprima dopo una diecina d’anni, su zoom, da militare non pensava che a lei e allora l’ha cercata tanto in rete, lui l’ha cercata tanto. Finché lei non decide di chiudere il collegamento. Ancora un’altra decina d’anni e lui decide di andare a cercarla a New York. Lei era emigrata in Nord America col padre regista in cerca di affermazione internazionale, e ora vive a New York, dove ha avviato la sua attività di scrittrice “in cerca del Nobel”, vive nell’East Village, ed è sposata, con un altro aspirante scrittore, americano ebreo. Sarano alcuni giorni d’intensa felicità, e poi la separazione ultima.
Una trama semplice: la vita come avrebbe potuto essere e come è – delle porte girevoli. Ma il film è già di culto, a un anno dall’uscita. Perché è un film d’immagini. Semplici – l’inquadratura può essere fissa anche per minuti – e memorabili. Soprattutto quella iniziale e quella finale, dell’addio. La più celebre apre il film: lu, lei e il marito di lei in formato cartolina, e i curiosi fuori campo che si dicono: “Lui e i saranno fratello e sorella, e lei è sposata col bianco”, “lui e lei sono sposati, il bianco è un amico americano”, “ma perché lui e lei si parlano senza mai coinvolgere il bianco, il bianco non sarà un autista che li ha portati qui?”
La regista ha l’età, 33 anni quando girava il film, e la condizione della sua protagonista: sudcoreana naturalizzata canadese, residente negli Stati Uniti. Come lei, la sua protagonista ha preso un nome occidentale, Lena. 
Celine Song, Past Lives, Sky cinema, Now

venerdì 27 settembre 2024

La Germania ha paura della guerra

Non si fanno analisi dei flussi elettorali in Germania – non ne sono state fatte per il voto di queste settimane nei tre Lānder dell’Est, Sassonia, Turingia e Brandeburgo. Ma è palese, dal crollo massiccio dei Socialdemocratici e dei Verdi, che c’è stato un travaso da sinistra a destra. Al movimento sempre più estremista Afd, fondato e presieduto da una lesbica dichiarata, e al movimento personale di Sara Wagenknecht, ex Linke, cioè ex estrema-sinistra.
I Verdi sono anche fuori dai parlamentini regionali, dal 15-16 per cento essendo scesi a meno del 5 per cento. Per questo hanno già cambiato dirigenza. Della vecchia salvando solo Robert Habeck, vice-cancelliere e ministro dell’Economia e dell’Ambiene, e la ministra degli Esteri Annalena Baerbock.
Ma Baerbock resta al suo posto solo per favorine la candidatura per una “organizzazione internazionale”. A lei è di fatto attribuito il crollo del partito, all’oltranzismo agitato contro la Russia – a fronte dell’equilibrio del ministro della Difesa, il socialista Pistorius.
Fra le tante analisi del crollo della sinistra, e del passaggio dalla sinistra all’estrema destra, quella della paura della guerra è la prevalente. Avrebbero inciso anche l’immigrazione e la recessione. Ma nelle tre votazioni il tema prevalente di discussione è stata la guerra. Soprattutto all’Est, per motivi di contiguità (esposizione) fisica e perché la memoria dell’occupazione sovietica si sarebbe da tempo dissolta.
Il timore è diffuso che preoccupazioni analoghe serpeggino anche nella ex Germania occidentale, la parte che più conta nel paese.

Cronache dell’altro mondo – turche (294)

Eric Adams è il primo sindaco di New York rinviato a giudizio. “Ci sono voluti quattro secoli per il sindaco di New York per essere rinviato a giudizio mentre è ancora in carica”. Prima di Adams, nel 1986, alti funzionari furono coinvolti in un grave scandalo fianziario, ma il sindaco Ed Koch non fu incriminato. Vicinissimo al processo fu, prima di Adams, Jimmy Walker, il 97mo sindaco della ittà. Conosciuto come Beau James, o Sindaco di Notte, Walker fu rimosso nel 1932 su indizi di mazzette per contratti municipali. Lasciò la città e se ne andò in Europa con la sua amica del cuore (poi moglie), una ragazza Ziegfield chiamata Betty Compton. Non fu mai incrimianto”. (“The New Yorker”).
Adams è il 110mo sindaco di New York, negli elenchi wikipedia. Il secondo afroamericano,  
dopo David Dinkins trent’anni fa. Era un poliziotto (funzionario di Polizia) prima dell’elezione.
È accusato dal procuratore federale Damian Williams, anche lui di ascendenza afro. È a giudizio per cinque capi d’accusa, circostanziati da prove documentali, per tangenti, finanziamenti elettorali stranieri, e  frode, in combutta col governo turco e con la Turkish Airlines.

Selfie d’autore

Dopo Franchini Postorino? La macchina dei selfie “editoriali”, degli editor eminenti, ha aperto un nuovo filone? Qui con molta molta infanzia, di Pavese, diarista infelice, dei bambini felici sul desktop, e del Natale – “il Natale è la festa dell’infanzia come l’estate”.
Una narrativa soprattutto di sé, come è l’uso da qualche tempo. Del ricordo, dell’autobio, dei selfie. Questo selfie di Postorino è diverso, è un riemergere di echi frammentati e variegati, grandi, piccoli e minimi, di fobie o mancanze, personali e di genere, ubbie, lampi di ricordi, atti agiti o subiti. Senza machete, anzi di fioretto, come a una seduta di terapia cognitivo-comportamentale. Postorino è anche in anticipo su Franchini: alcuni di questi “affioramenti” sono riscritture di testi già pubblicati, sul “Foglio”, sui femminili, e altrove. Sulle letture fatte, numerose, su eventi e ricordi personali. Partendo dovutamente dall’infanzia: la casa, le case, le nonne, le zie, la madre naturalmente e il padre – e nella sua vicenda, di “donna del Sud”, lo sradicamento. Nell’ottica del femminismo d’obbligo, sulle aggressioni o prevaricazioni subite, fisiche e verbali - “Potrei scrivere pagine intiere sulla violenza delle parole che gli uomini rivolgono alle donne. Molte sono in questo libro”. La scrittura anche è “femminile”, il termine e la cosa sono vieti, ma così è. Da paziente con l’analista muto, il lettore imperscrutabile.
Racconti di vita – di vite - non avventurosi. Se non in interiore homini, come il vecchio genere delle confessioni. Oggi il genere è alluvionale, di drammi picoli e minimi, da sedentari, abitudinari. Ma Postorino si mantiene selettiva, riflessiva. Seppure procedendo per lampi, baluginii. Tanto più che molti problemi deriva da una vita sacrificata alla presentazione di libri - al “commercio”, da cui tanta fatica ha messo a liberarsi. Il più drammatico di questi problemi, col tassista a Napoli, eletto a “dilemma del prigioniero”, poteva risolvere con una call, o un whatsapp, invece dei tanti affanni. Ma è un libro felice, sopra i drammi e i dilemmi, a quanto si può leggere tra le righe – e sotto la roboante, ditirambica, presentazione che Eugenio Borgna ne ha fatto prima dell’uscita, sul giornale dell’editore, un blurb perfino imbarazzante:
https://www.corriere.it/cultura/24_settembre_07/viaggio-abissi-dell-interiorita-nuovo-libro-rosella-postorino-dfa9b042-6d1b-11ef-a867-ce8605b07dff.shtml
Un libro d’autore, personale e alla fine originale. Anche se si procede per richiami o memorie occasionali, incidentali. E riflessioni fugaci. Di pensieri, a volte fastosi, più spesso lugubri, su temi per lo più di genere, dell’essere donna, femmina. Un libro d’autore, cioè personale. Ma con sufficiente, in qualche modo attraente, richiamo esterno. Nelle presentazioni l’autrice spiega che non è un diario, non è un selfie, anche se – ma che - si è “esposta molto”. Volendosi, dice, “un campione dell’umano in mezzo agli altri” - dell’umano femmina se ancora esiste la parola.
Una sorta di “testimone del presente”, Postorino si vuole. Ma anche questo si direbbe un presente che non è più: c’è poco o niente della “condizione femminile” oggi, e anche ieri e avant’ieri, di madri, zie e nonne, soprattutto fra le donne meno urbanizzate, meno “società civile”. Le sue sono, si leggono, come storie personali, un racconto di sé. Varietà tra l’altro con la quale aveva cominciato, con le Fresserinnen, se la memoria non sbaglia, le ragazze mangione, e altri minimi aneddoti. E ha continuato fino a recente, con i testi brevi sul “Foglio”, che sono la traccia di questa raccolta – una raccolta e non un racconto finito, di immagini, flash, ricordi, anticipazioni, eventi occasionali, paure, fobie. Apparentemente lievi queste, non prendere l’ascensore, non volare, non guidare, malgrado la patente, piangere, anche solo davanti a un libro. Che però sa raccontare. Con qualche radice psicologica.
Postorino pone, involontariamente?, molti temi. Ricostruisce ambienti e storie, soprattutto di sradicamenti e malesseri, come Ernaux, che mostra di avere letto. Curioso, a proposito del suo “campione dell’umano in mezzo agli altri”, emerge il ricordo di Ernaux in apertura del volumone Quarto Gallimard (la Plèiade dei poveri), 2011, la prima raccolta delle sue opere, che intitolava “Ècrire la vie”: “Scrivere la vita. Non la mia vita, né la sua, neppure una vita. La vita, con i suoi contenuti che sono gli stessi per tutti ma che si provano in modo individuale: il corpo, l’educazione, l’appartenenza e la condizione sessuali, la traiettoria sociale, l’esistenza degli altri, la malattia, il lutto. Non ho cercato di scrivermi, di fare opera della mia vita: mi sono servita di essa, degli avvenimenti, generalmente ordinari… per cogliere e portare alla luce qualcosa dell’ordine di una verità sensibile”. Alla Ernaux, sono raccontati i genitori “bottegai”, le zie e le nonne, la scuola, le scuole, con le compagne e i filarini.  
Ma l’eco è piuttosto di Duras – di cui Postorino è traduttrice, “Moderato cantabile”, “Testi segreti”, etc., e si professa cultrice. Su problemi che solleva. E ci naviga dentro problematica, come Duras. Racconti, echi, di un self frammentato, malgrado l’authorship – o non è l’authorship del frammento? Incidentale. Assertivo (riflessivo) ma senza un filo. Il riserbo, al fondo di tanto denudarsi, e i toni e i temi sono da Duras. Di un selfie per lampi, problematici ma non risolutivi. E più spesso indignati. Ma in small talk, senza discese agli inferi, le tragedie durasiane. Il tutto più spesso rivissuto attraverso le letture – e questo la differenzia (come gli affanni delle “presentazioni”: effetto del mestiere?) Poche esperienze, minime: i genitori, le nonne, il compagno Livio, i cani, i gatti, le presentazioni. E molte letture. Anche esse femminili, di scrittrici. E legate al tipo di “ragazze” che “hanno problemi relazionali: sono aggressive, emotive, egocentriche”, benché “non svincolate dai legami”.
Una narrativa psicoanalitica, per lo più. Ma anche questa vivacizzata, in note mobili, narrative – a partire dalla “Rosella” omonima che è la sua prima terapeuta, alla Casa Internazionale delle Donne. La psicoterapia è altro tema obbligato della letteratura selfie. Di inconcludenti, angosciate?, soporifere sedute, anche artificiose, seppure involontariamente – al modo della mula del Berni, che sollevava i sassi per inciamparvi dentro. Il pavesiano “mestiere di vivere”, o mal di vivere, o dell’inadeguatezza come ora è d’uso dire, che però dilaga robustamente in letteratura, nel giornalismo, nell’intervista-che-non-si- nega-a-nessuno, tra i divi del cinema e della canzone, oltre che della letteratura, arti e mestieri che pure richiedono nervi, saldi, organizzazione, piani finanziari discussi e ridiscussi, e pure la cognizione del tempo. Qualche volta avvincenti, anche se Sainte-Beuve non voleva che si desse peso alla vita degli scrittori, come pure ancora Proust, ma un secolo fa, quando Freud era una novità, in Joyce, in Saba, nello stesso Proust, o in Kerouac, Carver, Lucia Berlin, et al.. “Scrivere della propria intimità è un atto politico”, Postorino proclama ancora nelle presentazioni. Duras lo ripeteva ossessiva – ma lei con un fardello politico, in senso stretto, piuttosto pesante, fra tradimenti non indifferenti, subiti o inflitti, di cui, si può dirlo con certezza, faticava a liberarsi.
Di fatto, Postorino si muove con una differenza sostanziale da Ernaux, e anche da Duras, due autrici che non si sono “giustificate per il proprio corpo” (intervista con Chiara Buratti su “7”). Ma questo, va aggiunto, per una “condizione femminile”, cioè una psicologia (sedimentazione storica), una sociologia e una prassi estremamente diverse in Francia rispetto all’Italia di quaranta e cinquant’anni fa. Quando c’erano ancora le nazionalità nei massimi sistemi, prima della globalizzazione (della pax americana), in termini di cultura, linguaggio, organizzazione sociale e familiare, abitudini tribali, claniche, familiari, mentalità, pratiche, e quindi “psicologie nazionali”. Postorino non lo sa, non lo registra, pur essendo passata nell’infanzia da Sud a Nord, da Reggio Calabria alla Riviera di Ponente. Per essere i due mondi lontani ma simili, nella psicologia del paguro e perfino nel linguaggio, nel riserbo e il non detto, nelle vocali in u? Ma passando le Alpi, la differenza avrebbe visto enorme, fra il ceppo magnogreco e quello celtico.
Un libro femminile, anche se pure questo non si può più dire. Il rapporto complicato con la madre, come di tutte le ragazze, quello improbabile col padre. E la scoperta del corpo. Molte pagine sul tabù (?) del mestruo. Altre sullo sviluppo del seno. O sull’attenzione alle cosce, cose da cui i ragazzi sono esenti – bella scoperta. E qualche abuso sessuale, accenno di abuso, compreso il professore della celebrata laurea a Siena – ma l’università, forse non a conoscenza del misfatto (non pubblico), tuttavia la tiene in considerazione grande. Molto è delle vittime per se, in quanto donne. Qui c’è un vizio in ogni rapporto. O altrimenti non c’è, non c’è rapporto - Postorino è giù autrice di un “Corpo sociale”.
Il racconto di fatto di un un uncomfort nell’epoca del comfort, se non di uno sconforto. Senza motivo – a parte l’inesausto (inesauribile?) femminismo. Ma per ciò stesso più temibile? Secondo la psicoanalisi sì. Le “angosce abissali” che l’autrice ha taciuto a tutti, anche ai diari, le ha confessate “agli analisti, ma soprattutto ho lasciato che si sedimentassero in me e si trasformassero, senza che lo decidessi, in scrittura”.
Non è la sola insidia. Si parla troppo, negli spazi infiniti aperti dalla rete, ma anche prima e fuori della rete - si direbbe con la “caduta delle illusioni” - e quasi sempre di se stessi. La stessa autrice nella stessa pagina, la 176, se (ce) lo dice: “Non so se è colpa dei social media… Non so di chi sia la colpa, ma sospetto che non abbiamo più il permesso di tacere”, anche quando non abbiamo o “non sappiamo che cosa dire”. E così è, il racconto è di come l’autrice si vede e ci vede. A seguito di inciampi casuali: letture, incontri, “presentazioni”, gite, film – anche “Barbie” pone problemi, il film che è una colossale beffa, a pagamento. Non manca Lacan, buon retore, qui con “il rapporto sessuale non esiste”, uno dei temi a effetto con cui affollava i suoi seminari, a pagamento. Ci sono anche le elezioni europee 2024 (giugno), per dirle “un risultato avvilente” – giusto per mettersi tra i “belli-e-buoni” (ma, certo, ci sarà pure chi soffre per un voto, elettorale)?
Dalle narrazioni iniziali per frammenti, cui qui ritorna, Postorino si era fatta romanziera, con la reinvenzione di realtà storiche attraverso l’occhio personale, di Hitler, di Sarajevo. Un’opportunità? Un rischio?
Rosella Postorino,
Nei nervi e nel cuore. Memoriale per il presente, Solferino, pp. 22 € 17,50

giovedì 26 settembre 2024

Secondi pensieri - 545

zeulig


Collezionismo
– “I collezionisti tengono in ordine il mondo. Alcuni hanno quasi delle pretese filosofiche, di interpretazione della realtà attraverso il catalogo delle cose possedute e delle cose desiderate. Tutti però hanno un istinto naturale di risposta al caos. Granello dopo granello. Come di fronte al mare del tempo. Con la sabbia di dieri, di oggi e di domani”, Chiara Grom Negro, “una delle maggiori collezioniste al mondo di moto d’epoca”, con Paolo Bricco sul “Sole 24 Ore Domenica”.
Del collezionismo si sa poco, pochi ne hanno scritto, W. Benjamin, Chatwin, U. Eco - e più per spiegare se stessi, i propri eccessi (in rapporto al reddito), la “fissazione”. È in realtà fermare il tempo. Vivere il passato, più passati. “A me capita con le motociclette”, continua Chiara Grom Negro, “che sono bellezza, tecnologia, storia. E, per capire l’esperienza di chi ci ha preceduto, scelgo di percorrere le stesse strade di cento anni fa, vestita con l’abbigliamento di cento anni fa. Per provare la stessa poesia del disagio e dell’avventura”.

Creatività – Non è ideologica – o l’ideologia non è creativa? Soprattutto, non c’è creatività in democrazia? Il genio si lega a epoche e regimi principeschi, anche imperiali, dai tiranni assiro-mesopotamici ai sovrani indù e imperatori cinesi, agli imperatori romani, e successivi, papi, principi. Il tema curiosamente solleva l’architetto Desideri, a proposito di una sua collaborazione giornalistica e di “una lunga e appassionata discussione sul tema del rapporto fra creatività e democrazia” che ha avuto con Eugenio Scalfari (“100 volte Scalfari”, p. 224): “Concordavamo che, furi da ogni ideologia, non c’è proprio alcun rapporto”. Ma, più che i regimi politici, non conta la committenza? Plurima, suntuaria, quella dispotica, misurata quella democratica.
L’arte, la creatività, è suntuaria? Supererogatoria, superflua?

Destra-sinistra - È un diverso senso della critica della storia – della Verità? Sartre,  “ultracomunista”  critico premio Stalin, ossessionato dalla politica di cui fu sempre cattivo maestro (già “ultracomunista” – Merleau-Ponty -, si apprestava a negare il Nobel per la letteratura come insegna capitalista e ad accreditarsi padre nobile del ’68), si vede bambino in “Le parole”,  p.67 (1964) “pronto ad ammettere  - se soltanto fossi stato in età di comprenderle – tutte le massime di destra che un vecchio uomo di sinistra (il nonno materno-padre putativo, nd.r.) mi insegnava con le sue condotte: che la Verità e la Favola non una stessa cosa, che bisogna vivere la passione per sentirla, che l’uomo è un essere di cerimonia. Ero stato convinto che noi eravamo creati per recitare”.
Errore – È il testimone della verità.
 
Felicità – “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”, è il secondo capoverso della Dichiarazione di Indipendenza americana del 4 luglio 1776. Un comma sul quale si scrive molto, a proposito del “perseguimento della felicità” fra i diritti fondamentali. Nella prima bozza c’era la “proprietà”, il possesso, non la felicità.
Un riferimento non asociale, non antidemocratico, quello alla proprietà, venendo prima della rivoluzione francese. Anzi, in linea con la rivoluzione francese, se (che) fu quella del Terzo Stato, della borghesia, intellettuale e produttiva.
 
Memoria – Prolunga la vita, delle persone, le cose, gli eventi. E la trasforma – la varia, la atteggia, la trasforma, anche radicalmente. Cioè la crea.
È il fondamento della storia ma anche l’essenza della vita.
Se la memoria è anche pre-natale, affonda in radici remotissime – mitocondriali. Ha avuto e perpetua una vita lunghissima.
La morte nel quadro della memoria diventa solo un momento, per quanto tagliente, e indifendibile imprevedibile, incurabile, etc.) - “la memoria resiste”, Annie Ernaux.
 
Psicoterapia – Si può dire il “metodo”, o la terapia, della mula mula del Berni, la quale sollevava i sassi per inciamparvi dentro.  Il “mestiere di vivere” sospeso di Cesare Pavese, il male di vivere, o dell’inadeguatezza come ora è d’uso dire, dilaga però in letteratura, nel giornalismo, tra i divi del cinema e della canzone, ambiti che pure richiedono nervi saldi, volontà decisa, perseveranza, organizzazione, piani finanziari discussi e ridiscussi. Inadeguatezze pure avvincenti, un secolo fa, quando emergevano, in Joyce, in Saba, nello stesso Proust, o in Kerouac, Carver, Lucia Berlin.

zeulig@antiit.eu

La sera andavamo a via Veneto, tristemente

Cento testimonianze su Scalfari, uomo felice. Ricordi e aneddoti personali, di un uomo e un anftrione leggero, scherzoso – anche se non lo era. Con molto papa Bergoglio, che deve averlo chiamato spesso – molti hanno ricordi legati alle sue telefonate. Il sottotitolo dice: “La Repubblica di Eugenio nelle testimonianze di cento amici raccolte dal nipote Simone Viola”, l’unico nipote di Scalfari, ma “la Repubblica” c’entra poco.
Ricordi felici di un mondo felice: una raccolta di “memorie grate”, brevi e divertite. Una sorta di personale “Una sera andavamo in via Veneto” - qui in via Nomentana oppure a Velletri - senza cioè lo spessore politico. Che richiama però irresistibile il “generone romano” bersaglio del vecchio “Espresso”. Feste, in città e in campagna, balli, bons mots, allegria, simpatia. In redazione è sempre “messa cantata”, il coordinamento antimeridiano, aperto alla redazione, è sempre una celebrazione. Con il papa a sancire la grandeur di Scalfari. Persona del resto, nel suo calcolato cinismo, attraente – “Eugenio diceva di essere un narciso, ma era soprattutto un gran seduttore”, Ezio Mauro.
Nel concertino una chicca contabile, che aiuta a fare la storia del giornale, di Adriano De Concini, che fu direttore amministrativo con Giancarlo Turrini fino al 1980: “Ad agosto del 1977 il giornale toccò la punta più bassa di vendite, 89 mila copie. C’era già aria di chiusura…. A gennaio (1978) si pensava di chiudere il giornale perché non c’erano margini di miglioramento… A marzo del 1978, con il sequestro Moro, si arrivò a 180 mila copie”. De Concini, solo in ufficio alle 9 del 16 marzo,  quando le agenzie battono l’assalto, fa chiudere dabbasso porte e cancelli, e dispone l’edizione straordinaria, con le locandine. Quando Scalfari arriva in redazione detta il titolo: “Moro rapito dalle Br”. E il giornale decolla: “Uscimmo con un’edizione speciale sulla dorsale Na-To (Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino), perché la distribuzione non poteva raggiungere le altre località durante il giorno, con il traffico delle ore diurne. Da quel momento iniziammo a tirare il massimo di copie possibili, 340 mila”.
Scorrendo l’affettuosa raccolta all’ombra del quarantennio di politica italiana che ha accompagnato le fortune del giornale, e il crollo successivo che lo vede ai numeri allarmati di De Concini, la lettura finisce deprimente: sotto il fondo aneddotico, umano, personale, è il quadro di una élite che ha dissipato un patrimonio culturale – umanistico, liberale, socialista – senza lasciare traccia. A meno che questa non sia il recupero, quanto involontario?, del vituperato “democristianesimo”, degli affarucci quando non della corruzione, della politica dei piccoli e grandi poteri “invisibili”, sotto gli occhi di tutti.
Simone Viola (a cura di), 100 volte Scalfari, “la Repubblica”, pp. 269, ill. € 8,90

mercoledì 25 settembre 2024

Problem di base storici - 822

spock


Le novità accelerano la storia?
 
Non c’è storia senza novità?
 
La storia è contorta – è il gaddiano ghiommero, non una freccia?
 
C’è vita finché c’è storia – o è viceversa?
 
La storia vuole novità?
 
La vita dura finché dura la memoria?

spock@antiit.eu



La tavolata a Zervò

È rimasto l’unico posto dove avere un caffè o ordinare le tagliatelle ai funghi in Montagna: una capanna di lamiera ondulata. A fronte dei giganteschi edifici del Sanatorio, che è diventato il nome del luogo senza averne mai avuto la funzione – edifici non finiti nel Quaranta, allo scoppio della guerra, riadattati nei 1990 a comunità di recupero per giovani drogati, e poi di nuovo abbandonati. Un prato curato fronteggia la capanna, delimitato da ortensie blu.
Fa ancora caldo. Sul prato giocano bambini, in gran numero. Le femmine più mobili, i maschi più applicati, all’oggetto, lo strumentino, il meccanismo da svitare. Si vedono ma non si sentono. Sdraiati a gruppi, attorno a giovani donne accosciate, o non del tutto giovani. Che si applicano a ognuno di loro. Saranno una colonia estiva, gli sgoccioli di una colonia, oggi è anche domenica.
Sotto la tettoia si prepara un banchetto, sembra. Un grande tavolo viene apparecchiato, per venti, trenta coperti. Uomini cominciano ad affluire, tutti si direbbe eguali, complessione massiccia, capigliatura folta a corta, colore scuro, sneakers immacolati, shorts e maglietta, fa ancora caldo, depilati e tatuati. Le ragazze con i bambini a mano a mano hanno già preso posto. E anzi già mangiano. Non sembra possibile ma sta succedendo: sono parenti e amici che passano la giornata insieme, con i figli. I bambini quando hanno finito si alzano per una sgambata, e poi ritornano, ognuno al suo posto.  

Il sesso in testa – delle donne

A p. 109, a metà raccolta, al finale del terzo dei sette racconti che la compongono, “Organo indipendente”, che non è quello maschile, il titolo si esplicita così a proposito del dottor Tokai, ottimo commensale e ottimo chirurgo plastico che si è lasciato morire dopo un amore finito male: “Era sua convinzione personale che ogni donna nascesse dotata di un organo speciale, un organo per così dire indipendente, che le permetteva di dire bugie”. Senza colpa. “Con piccole variazioni. Ma tutte a un certo punto mentivano”, secondo il dottore, “senza esitazioni”. E “in quei momenti la loro espersssione, il loro tono divoce, non si alteravano”.
Donne bugiarde dunque, ma anche mantidi: nei sette racconti passano dall’uno all’altro non si sa perché, se non da inesauste. Sette racconti di uomini, di donne che “fanno sesso” ma senza legarsi. Eccetto una gobba, che non lo fa fisicamente (e non potrebbe, lui è un “Gregor Samsa” ancora frastornato al risveglio) ma sì mentalmente, guardando e commentando un rigido membro maschile.
Murakami procede col solito ritmo da page turner: qualche novità da feuilleton, qualche riflessione,  e qualche veduta, qui più fisico-acrobatica, anche sul duro tatami, che paesaggistica. E molta musica sempre, tutta americana, di tutti i generi. Senza poi lasciare nulla alla fine. Né avventura né personaggi.
Di memorabile resta giusto il tema, nel dolorismo femminista imperante: di uomini lasciati da donne senza motivo, giusto per “fare sesso” con qualcun altro, e solo abbordabili in absentia, per morte, suicidio, coincidenze, con le memorie. Di odori, sguardi, pause, pose – una “fa sesso” raccontando storie alla Shahrazād. Un libello anti-femminista? Si direbbero le “sfumature” del prolifico, lettissimo e premiatissimo autore della West Coast che scrive in giapponese, anche complimentoso – “le donne offrivano un tempo speciale che annullava la realtà, pur restandovi immerse”.  
Murakami, Uomini senza donne, Einaudi, pp. pp. 225 € 13

martedì 24 settembre 2024

Letture - 559

letterautore


Argentina – “Come diceva Borges: «L’argentino è un italiano che parla spagnolo»”, Cazzullo a Velasco sul “Corriere della sera”. Velasco: “Hanno attribuito a Borges una frase in realtà più popolare: l’argentino è un italiano che parla spagnolo, pensa in francese e vorrebbe essere inglese”.
Con molta massoneria: “Alla nascita dell’Argentina i governi incoraggiarono l’immigrazione dall’Europa, pensando di attrarre la classe media: ovviamente arrivarono i poveri. La Plata (la città di Velasco, n.d.r.) è una città di fondazione. Costruita dagli italiani. Con una grande influenza della massoneria”.
 
Cassola – Trascurato per mezzo secolo, dopo essere stato deriso dalla neo-avanguardia, emerge di nuovo con i suoi racconti piani, naturalisti, e con l’attivismo pacifista e ambientale, oggi “ecologico”. Si ripubblicano i suoi numerosi racconti e i saggi.
Ora la Fondazione Corriere della sera annuncia la raccolta di tutte le sue collaborazioni, “dall’ottobre 1953 al marzo1984” - e dal giugno 1968, negli anni della direzione Spadolini, con una sua rubrica, “Fogli di diario”, già ripre
sa in libro ma poi non riedita. Con uno studio approfondito di Alba Andreini, che ha curato la raccolta, sull’uomo – Cassola fu per molti anni, prima di essere zittito, anche un “personaggio” - e lo scrittore. Un volumone da CXXX-870 pagine.

 
Femminismo – “Le montagne sono donne immense, eppure tante portano nomi di uomini”, dice Marta Aila nella pubblicità Guanda del suo romanzo “La strangera”. Eppure, molte spiagge sono massicci molto macho, rocciose, minacciose, turbolente, eppure portano nomi femminili: Scilla per esempio, Gibilterra, le bianche scogliere di Dover. Dov’è la sopraffazione - il genere è un mistero?
 
Funerali - L’ultimo docufilm su Berlinguer, realizzato da Sky ma in circolazione finora riservata, il regista Samuele illustra col funerale: le bandiere rosse che garriscono al vento, una onda che oscilla sulla modesta collina di San Giovanni a Roma. Che la voce fuori campo può dire “la più imponente manifestazione di cordoglio popolare dell’Italia repubblicana”.
L’arte funeralizia Gioberti diceva gesuita – “Il gesuita moderno”, 1849, prudentemente pubblicato in Svizzera. E lo è stata, compresi gli incolpevoli Leopardi prima di Gioberti, e poi Pirandello. Modernamente invece si può dire arte del Pci. Adottata da Togliatti. A partire dalla morte di Stalin.
“Gloria imperitura a\ GIUSEPPE STALIN” fece dire nei manifesti, due metri per tre, in morte del Piccolo Padre, “guida, maestro, amico”. Un cristallo due metri per due, di due quintali e mezzo, lo ritrae – lo ritraeva? - a palazzo Marescotti in via Barberis, luogo felsineo del comunismo, cui si accede(va?) sotto l’insegna Deus propicius esto, Dio sia con te, e la Madonna della notte e delle ombre, o della Divina Provvidenza, con l’Ode al partito di Majakovskij. Ornato dei segni del riscatto: lampadina, cazzuola, falce, libro, penna, pallone, e un paio di sci.
L’arte Togliatti aveva perfezionato poi con Malaparte - il quale aveva fatto di tutto affinché i gesuiti s’impadronissero di lui, a metà con Togliatti: la villa a Capri regalò al presidente Mao, la salma al Pci e a padre Rotondi, per un funerale con bandiere rosse e messa cantata polifonica. I fratelli Taviani l’hanno poi codificata, in morte di Togliatti. Mortuario era pure il quadro-manifesto del Partito, di Guttuso: un altro funerale, sempre di Togliatti.
Si è continuato con Debenedetti, dopo avergli negato la cattedra - tre volte, per non essere neorealista, non abbastanza, l’ultima in punto di morte (il professor Sapegno, che era stato compagno di Debenedetti al liceo, e all’università ne bocciava la nomina, pronunciò il necrologio: il morto si prende il vivo). Il capolavoro elaborando in morte di Pasolini, coreografico e di massa – in vita Pasolini non poté essere del Partito, aveva dovuto restituire la tessera. Con bandiere, grandi immagini colorate, gagliardetti della Resistenza, e masse, in ogni dove a Roma.
Tutto poi d’improvviso scomparso. I funerali e le masse – eccetto che ai concerti gratuiti.
 
Guerra civile – Il volume di ricordi familiari dopo il 24 luglio 1943, “I Mussolini dopo Mussolini”, che Edda Negri Mussolini ha scritto con Mario Russomanno, esibisce in copertina una foto piena di sorrisi e di sole, con amici di ogni genere: il calciatore Monzeglio, un attore alla Nazzari che fa il buffo, accosciandosi sulle ginocchia per non superare Mussolini, le nipoti allegre, Mussolini tranquillo e in buona salute, dimagrito bene, con gli occhiali da sole in mano ma col cappotto, perché è una giornata invernale. Nella villa Feltrinelli a Gargnano sul Garda, oggi Grand Hotel Gardone, la capitale della repubblica di Salò – così detta solo perché Mussolini comunicava attraverso l’agenzia ex nazionale Stefani, che operava da Salò (e quindi datava i suoi lanci da Salò).
 
Milena Milani – Dimenticata del tutto, l’autrice di “La ragazza di nome Giulio” la riporta alla memoria, citazione unica, di striscio, Rosella Postorino, “Nei nervi e nel cuore”, 54-55 – “uno dei romanzi indimenticabili della mia adolescenza”. Il Novecento va riscritto – Cassola e Milani sono i soli dimenticati?
“La ragazza di nome Giulio” – sequestrato e processato all’uscita per immoralità - non anticipa un caso di disforia. Jules è il nome di una ragazza, che su e giù per la costa marchigiana scopre i tanti tranelli – maschili e femminili – dell’amore, in una delusione progressiva che ne minaccia la salute mentale.
 
Natura – “Ciò che gli occidentali chiamano «natura» per i cinesi è un’estensione dell’umanità. Il cielo e l’uomo sono una cosa sola”,Ye Xiaogang, “La Lettura” 15 settembre.
 
Padri - Sempre meno necessari e anzi nocivi? Per i 90 anni di Sofia Loren si ricorda che il padre le ha abbandonate, la madre, lei e la sorella. Come Giorgia Meloni.
 
Pasternak – Sembrava un cavallo? “Pasternak non lo conosco che di vista, tre-quattro fugaci incontri, pressoché muti, perché di novità non ho voglia. L’ho ascoltato una volta, insieme con altri poeti, al Museo Politecnico. Declamava con voce sorda e si dimenticava quasi tutti i versi. Per la sua assenza sul palcoscenico rammentava Blok. Dava l’impressione di una concentrazione tormentosa, si avrebbe avuto voglia di sospingerlo, come con un vagone che non si muove”. Salvo che per le apparenze: “Esternamente l’aspetto di Pasternak è splendido: nel suo viso vi è qualcosa di contaminato tra un arabo e il suo cavallo: la diffidenza, la tensione dell’ascolto, e da un momento all’altro…. la più totale prontezza alla corsa. Un’immensa e insieme equina, selvaggia e timida, mobilità degli occhi” – Marina Cvetaeva, “Un acquazzone di luce. Poesia di eterno valore”, 1922, saggio pubblicato sulla rivista berlinese “Epopeja”, ripreso in apertura di Pasternak, “Mia sorella la vita”, la raccolta di poesie degli Oscar Mondadori, pp. VI-VII – prima lo ipotizza “imaginista”.
 
Ravioli – E\o tortellini, o cappelletti, sono diffusi in mezzo mondo, con nomi diversi. Ma in Italia in numero strabordante di varietà. Con denominazioni diverse, regionali o locali. E soprattutto settentrionali: solo cinque in Centro-Italia e niente al Sud – eccetto due in Sardegna, i puligioni e i culurgiones. Telmo Pievani ne ha fatto fare una ricerca su scala mondiale e ne pubblica i risultati su “La Lettura”. Nel Nord Italia, compresa la Toscana, ne elenca 28.
All’estero li ha rintracciati in nove paesi: Russia, Cina, Germania, Israele, Turchia, Grecia, Giappone, Nepal, Polonia. Di origine probabilmente euroasiatica, opina Pievani- i wonton cinesi, i gyoza giapponesi, i pierogi polacchi.
 
Sally Rooney 2 – Omaggiata dal “Robinson” con sette pagine e grandi foto, pensose, Sally Rooney non evita le frasi memorabili: “Intermezzo (l’ultimo suo romanzo, n.d.r.) potrebbe essere letto come un omaggio all’Ulisse, libro che amo moltissimo…. Mentre scrivevo questo libro per me sono stati importanti, oltre all’Ulisse, anche altri testi: uno è I fratelli Karamazov, un altro Amleto”.
“Credo che vivere insieme alle altre persone sia sempre complicato”, è un’altra riflessione, “sia i gruppi più piccoli e stabili sia in ambienti urbani più fluidi”. E: “Se mi capita di rileggere una mia intervista, ogni volta vorrei sprofondare”.

Il “New Yorker” si limita a un’intervista breve. E all’esumazione di un vecchio articolo che situa la scrittrice nella stagione, in cui l’uscita dei suoi libri è programmata: “Il libro è ben programmato per la stagione. C’è qualcosa di autunnale in lei”.

 
Stati Uniti - Un americano su due, il 46 per cento, nel 2023 non ha letto nemmeno un libro. Il 26 per cento ne ha letti tra 1 e 5. Il 29 per cento più di sei. Sono pochi, o non molti? Però, un americano su tre “lettore forte”, non sarà qui il segreto della pax americana? Un parco lettori di 153 milioni, di cui quasi cento milioni “lettori forti”, sono un fondamento enorme, anche se (tanto più perché?) invisibile.

letterautore@antiit.eu

Ma Afd ha vinto – 2

La Spd, il patito socialdemocratico, al governo in Brandeburgo dalla dissoluzione dell’impero sovietico, è riuscita a rimontare allo sprint l’Afd, l’estrema destra, solo per riguardo al ministro-presidente uscente, che governa il Land dal 2012. Ma l’estrema destra aumenta di sei punti, a quasi il 30 per cento, il suo voto – il secondo dopo la sua costituzione. Mentre Sara Wagenknecht, di sinistra-destra, ottiene il 13,5 per cento alla sua prima uscita, poche settimane dopo la costituzione del suo personale movimento, Bws. A danno dei Verdi soprattutto, ora fuori del parlamentino regionale, e della Cdu-Csu.
Questo spiega perché il leader europeo della Cdu-Csu, Manfred Weber, è sempre in Italia in cerca di un collegamento, attraverso Forza Italia, con Fratelli d’Italia. Con Meloni e i suoi conservatori europei, come quella che ha in qualche modo ordinato l’immigrazione selvaggia. E ne ha imposto l’agenda in sede europea. Dopo i tanti sterili tentativi dei governi precedenti – sterili peraltro contro il muro tedesco, della Cdu-Csu di Angela Merkel.
Non ci sono motivi economici nella corsa del Brandeburgo all’estrema, il buon 43 per cento del voto tra Afd e Bsw. La regione di Berlino è stata privilegiata in tutto dopo la riunificazione: fabbriche, scuole, ospedali, protezione dell’ambiente e del suolo – non è nemmeno in recessione, nella Germania che invece ne soffre da quasi un anno, con licenziamenti e compressioni salariali. La sua capitale, Potsdam, non è più il castello degli Hohenzollern, periferia di Berlino, ma una città moderna ed economicamente fra le più vivaci dell’ex Germania comunista.
Il Brandeburgo, come già la Turingia e la Sassonia, non conta molto negli equilibri politici tedeschi – i tra Laender assommano a una popolazione di appena 8 milioni, su 84. Ma è un Land che, benché appartenuto alla Germania sovietica, è da tempo ben “occidentale”, negli assetti e nell’opinione. È però, come tutto il resto della Germania Orientale, senza odio contro la Russia, e anzi con qualche rimpianto, soprattutto per l’energia quasi gratis e le protezioni sociali. Per questo la rapidissima crescita dei due movimenti anti-sistema, Afd e Bsw, sono più di un campanello d’allarme.

Il calcio noia

Juventus- Psv Eindhoven, la gara di apertura della nuova super Champions League, si gioca di fronte alle tribune vuote. A Milano, tre giorni dopo aver meravigliato a Manchester, l’Inter non gioca il derby, si limita a guardare. Ovunque partite di tocchettini striminziti, abulici (lenti), ripetuti (“tu dai la palla a me, io la ridò a te”), un migliaio a partita, dieci ogni minuto, quindici togliendo i tempi morti (proteste, var, “cinque” ripetuti a ogni mossa, celebrazioni a ogni gol, anche gli annullati).
Una partita ogni tre giorni, anche con ventidue titolari invece di undici, smobilita le squadre: non ci sono più squadre, ogni calciatore prova a stare in piedi se proprio deve andare in campo - aspettando la Champions, la vetrina, per poter cambiare squadra alla prima finestra utile, per un milione in più, anche mezzo. Non c’è un calciatore che identifichi una squadra. Le squadre le fanno i procuratori.
Il calcio si vuole industria, e allora è un’industria infantile, da sprovveduti. Mentre non è più sport. Non è atletismo – si celebra un calciatore per “un assist”, uno in cento minuti di gioco. E non è passione, attaccamento, identificazione. E anche mercato, ma meno remoto e più solido. E non sarà presto nemmeno spettacolo in tv: non c’è niente di più noioso di due ore di calcio.  
E gli arbitri. Questi da commedia: supererogatori, tutti Ercole o Maciste, anche i mingherlini, il mento mussoliniano, che danno e tolgono i gol per fuorigioco di centimetri - non molti, uno-due (una volta, a ben ricordare, per l’ombra di un pettorale, di un attaccante, si vede, che aveva fatto culturismo). Come dire: è uno spettacolo non solo noioso, anche ridicolo.

Quando l' odio era feroce tra sudtirolesi e italiani

La seconda puntata non risolleva la miniserie, il pubblico (stagionato?) di Rai 1 non gradisce. Malgrado l’attrattiva degli interpreti, Elena Radonicich, sostituto alla Procura di Bolzano, di famiglia sudtirolese, e Matteo Martari, ispettore di Polizia non più in servizio se non come consulente per aver perso una gamba – vittima del “mostro” della serie. E malgrado l’esperienza dei registi, Marengo (“Vanina”, “Un’estate fa”) e Bonino. Una miniserie che deve aver lasciato perplessa la stessa Rai dopo la realizzazione, approntata un paio d’anni fa – Bonito ha già lavorato successivamente a due serie, “Gerri” e “Mike”.
Forse è il genere horror della prima puntata, benché light, che ha allontanato il pubblico: un serial killer di molte persone, maschi e femmine, di più età, tutte di lingua tedesca, della comunità sudtirolese. Ma bisogna dire che è il tema della serie che è scabroso, violento, seppure solo in retrospettiva, nella storia, sullo sfondo del terrorismo sudtirolese degli anni 1960-1970, con centinaia di attentati e decine di morti. Contro il quale l’Italia usò l’esercito.
La serie non ne fa la storia. Ma questa seconda puntata ne resuscita l’odio. E l’irredentismo, come si sa, benché ultimamente (dopo gli attentati sudtirolesi in val Pusteria e valle Aurina) in sordina, è parte del patrimonio risorgimentale italiano.
Lo resuscita con due storie tanto semplici quanto crudeli. Due giovani madri all’epoca, di famiglia sudtirolese, sono state costrette ad abbandonare il figlio alla nascita perché concepito con un “italiano”. Una di queste è la bionda sostituto della Procura che ora indaga. Mentre le colpe dell’Italia sono sintetizzate in un interrogativo: l’uomo con cui l’altra ragazza ha concepito il figlio, un maresciallo dell’esercito, che è presto morto su una mina che stava sminando, è stato fatto saltare dai “servizi deviati” dell’Italia, per aver frequentato una ragazza sudtirolese? Il mostro si suppone ora essere il suo proprio figlio abbandonato in orfanotrofio fino alla maggiore età – troppo ribelle per le famiglie che ne provavano l’adozione o l’affido. Tanto era l’odio.
Un tema scabroso. E politico, che il pubblico Rai non ama. Specie a fronte del Sud Tirolo-Alto Adige di oggi, invidiato dal Tirolo austriaco, dall’Austria e da mezza Germania, per la ricchezza privata e per l’abbondanza pubblica, di ospedali, scuole, faraoniche piscine comunali e palazzi della cultura, stadi da hockey, fauna e vegetazione protette – benché Bolzano sia in cima alle città più sporche (si è italianizzata?). Il celta Jannik Sinner, eroe amato e amorevole di tutti gli italiani, è della val Pusteria.
Giuseppe Bonito-Davide Marengo, Brennero, Rai 1, Raiplay

lunedì 23 settembre 2024

Ma Afd ha vinto

La popolarità del ministro-presidente uscente del Brandeburgo, il socialdemocratico Woidke, in carica dal 2013, ha evitato l’umiliazione. Ma l’esito vero del voto ieri è la consacrazione dell’estrema destra di Afd, arrivata seconda per un punto percentuale, 29,4 contro 30,7. In un Land da sempre governato dalla Spd, il partito socialdemocratico, la destra neonazi si conferma al 30 per cento. Sempre in un Land ex comunista, ma qui attorno a Berlino, non nella remota Turingia.
L’ascesa di una destra filonazista è una novità assoluta in Germania e in Europa. Tanto più per essere in crescita elettorale rapidissima, di pochi anni. Alla sua prima elezione, nel 2017, era il terzo partito più forte, col 13 per cento circa del voto – a cinque anni dalla creazione di Afd. Nel 2021 sembrava in regresso, al quarto o quinto posto, col 10 per cento. Nel voto regionale di questo autunno è al 30 e più per cento.

La Germania non è nuova cambiamenti di direzione politica rapidi in massa. Il voto regionale di questo autunno richiama molto il 1931-1933. Afd al 30 per cento mette a rischio la stabilità della Germania e dell’Europa. Ha ancora un ostacolo nella Cdu-Csu, che però in questa mini-tornata elettorale appare anch’essa indebolita. Il ruolo storico della Dc tedesca è stato di prevenire e svuotare ogni deriva estremista, ma Afd ha rotto la diga, in appena dodici anni di esistenza, avvantaggiandosi dello spostamento della Cdu-Csu a sinistra operato da Angela Merkel.

Appalti, fisco, abusi (243)

Un ordine online spedito con altro operatore arriva ormai nel tempo annunciato, quasi al minuto. Il plico raccomandato confidato a Poste Italiane, annunciato per lunedì 23, arriva invece giovedì 19 – così dice l’avviso di giacenza. A un’ora incerta del pomeriggio.
L’avviso propone una seconda consegna, o un ritiro anticipato l’indomani all’ufficio postale, chiamando uno di due recapiti telefonici. Dove si parla col risponditore automatico. Che fatalmente non riconosce le vostre dodici cifre del codice. La logistica non fa per Poste, che pure paga bei dividendi e ora va in Borsa?
 
La segnalazione a Amazon di una consegna mancata viene seguita, a minuti, dallo storno del pagamento addebitato sulla carta di credito. Analoga segnalazione a Ibs-la Feltrinelli, da vecchio utente da decine di migliaia di “punti platino”, richiede tre lente, lunghe, telefonate, e una corrispondenza di due mesi, col coinvolgimento di sei o sette operatori della piattaforma, per niente, nessuno storno. Inefficienza, così vasta? Malafede? Quinte colonne di amazon?
 
Non si danno licenze per i taxi per favorire gli Ncc? È come se. Ne sono favoriti i grandi capitali, che soli possono permettersi i van Mercedes, su strada da 60 mila euro in su – un immobilizzo enorme per un noleggio da 200 euro al giorno, con autista.
 
Il tram n. 8, che a Roma ha il percorso e il compito di una metropolitana, e 5-6 km di sviluppo, ha la massicciata rifatta due volte in diciotto mesi. Con incomodi enormi per i tre quartieri che serve, Portuense, Monteverde e Trastevere, e costi altrettanto enormi è da suppore per l’Atac, l’azienda del trasporto pubblico. La quale però non lamenta niente, e non spiega. E nessuno glielo chiede, non in sindaco, “padrone” di Atac, non i media, non i giudici. Si può rifare lo stessa Grande Opera due volte di seguito? La corruzione è così “normale”.

Il denaro ha un’anima – ma niente magia

Già autore di monumentali memorie, che si leggono come un romanzo, qui individua, nel 1966, la nuova frontiera della ricchezza, che sarà chiamata globalizzazione - il meccanismo della globalizzazione, molti anni prima, e meglio, di ogni teoria dello sviluppo del secondo Novecento: crescere facendo crescere gli altri. Un’idea semplice, perfino semplicistica, che Schacht, banchiere centrale della Germania primo Novecento, aveva elaborato e si è portata appresso contro la teoria e la pratica delle “riparazioni” punitive dopo la Grande Guerra. L’idea si affermerà tardi, dopo Tienanmen, quando gli Stati Uniti scopriranno la Cina, la miniera del turbocapitalismo.
Un saggio del 1966 – subito tradotto da Giorgio Zampaglione per le edizioni del Borghese. Nel dopoguerra Schacht è sato letto in Italia come uomo di destra, benché assolto a Norimberga, e di legami stretti, sociali e di affari, col mondo anglo-sassone. Consulente per lo sviluppo nel dopoguerra, prima di farsi saggista, di molti governi dell’allora Terzo Mondo. Dell’Iran di Mossadeq, che nel 1951 nazionalizzò l’industria petrolifera e fu rovesciato dalla Cia (“gli anglosassoni dovrebbero nel frattempo avere constatato come egli fosse in anticipo su di loro, oltre che sugli stessi suoi tempi” - in anticipo sui criteri di gestione più redditizi). Di Enrico Mattei e dell’Eni, per la “liberazione” della Baviera con gli oleodotti da Genova e da Trieste – l’inizio del decollo della Baviera, da Land contadino e arretrato a Land più ricco della Germania e dell’Europa, con l’energia a buon mercato. E di molti altri Stati: Indonesia, India, Siria, Filippine, eccetera.
Con alcune saggezze. “Il denaro ha un’anima - fonte delle più diverse possibilità”. Anche se “niente al mondo ha meno da spartire con la magia di un’operazione valutaria. Il denaro vuol essere trattato con lucidità e freddo calcolo”. Tanto più per essere di fatto molte cose, felicità, infelicità, eccetera. In particolare, è denaro la guerra: “Così rispose il maresciallo Trivulzio al suo re, il francese Luigi XII, che voleva conquistare Milano: «Per fare una guerra sono necessarie tre cose: denaro, denaro, e ancora denaro»”.
Spiega la stabilizzazione del marco nel primo dopoguerra, a due riprese, primi anni 1920 e primi 1930, opera di cui va fiero – con riconoscimento unanime. E recrimina sul secondo dopoguerra, quando, benché non legato al nazismo, e anzi da ultimo oppositore, perde tutto, anche le proprietà, e deve ricominciare daccapo. Vuole aprire una banca ad Amburgo, ma il Senato cittadino non lo autorizza. E il cancelliere Adenauer lo prega di non “interferire” nelle questioni economiche in Germania. Con qualche aneddoto anche sulla sua esperienza di consigliere dei governi afroasiatici. I francesi, volendo rilevare una banca tedesca in Medio Oriente, gli chiedono il “dossier secret”.  Notevole anche, in anticipo, la critica alle politiche dello sviluppo intese come “aiuti allo sviluppo”, che non aiutano i beneficiari, semmai i donatori, ma soprattutto sono uno spreco senza esiti.
Non tralascia gli argomenti spinosi. Sul suo rapporto con Hitler (con Goering più che con Hitler) come presidente della Reichsbank, la banca centrale, dal 1933 al 1936, e come ministro dell’Economia, dal 1934 al 1937, membro onorario del partito Nazista. Nel 1938 contrario alla politica antisemita, con gli assalti alle “proprietà” la “Notte dei Cristalli” – la proprietà è sacra per Schacht. Si dice anche ideatore di un piano - che “con mia viva sorpresa Hitler accettò” – di collocazione all’estero degli ebrei che volessero lasciare la Germania, anche quelli senza mezzi. A mezzo di un prestito in dollari per un miliardo e mezzo di marchi, che gli ebrei stranieri affluenti avrebbero dovuto sottoscrivere, con la garanzia di un patrimonio ebraico in Germania valutato dalla Reichsbank in sei miliardi di marchi. Con cui costituire un fondo, da affidare a un comitato fiduciario scelto dalla comunità ebraica, che avrebbe favorito l’emigrazione, cioè chi emigrava, e conseguentemente i paesi destinatari finora restii ad accogliere ebrei privi di mezzi. Un piano che Hitler lo avrebbe incaricato di attuare a Londra. Dove Schacht trovò, dice, il consenso degli ambienti ebraici più influenti della finanza, ma il no reciso del dr. Chaim Weizmann – che dopo la guerra diventerà il “cacciatore dei nazisti”.
Hjalmar Schacht,
Magia del denaro, Oaks, pp. 310  € 24

domenica 22 settembre 2024

Ombre - 738

“Bonus 100 euro di fine anno: esenzione piena da tasse e contributi”. Oh meraviglia, da prima pagina: cento euro in più sulla tredicesima, netti, senza ritenute Irpef e contributive. Miracolo della contabilità, aziendale e delle Entrate? Per cento euro? Di uno Stato che fino a ieri dava 9.600 euro di reddito di cittadinanza – e tuttora li dà, con altro nome. La contabilità nazionale è fatta a caso, e ama le elemosine, ma fino a un questo punto? Nel silenzio e anzi nel gaudio. Cento euro…
 
Ma non è nemmeno semplice: cento euro si daranno a chi ha un lavoro dipendente, non guadagna più di 28 mila euro l’anno, e ne fa richiesta esplicita, con attestazioni varie sul coniuge. E con “almeno un figlio a carico, anche se nato fuori del matrimonio, riconosciuto, adottivo o affidato”.
Una farsa? Ma è il modo di essere dello Stato, nella forma “riforma” – del reddito? della famiglia? della demografia? con 100 euro?
 
Due milioni di candidati nei primi otto mesi a un concorso pubblico. Non per i “profili professionali più elevati”, calcola “Il Sole 24 Ore”, cioè qualificati. In esattamente 13.274 concorsi, per 288.558 assunzioni. Ventidue posti quindi in media a concorso. E sette candidati in media per un posto. Molti naturalmente hanno concorso a più posti, ma è pur sempre un rapporto elevato.
 
Apre il festival del cinema a Roma un film su Berlinguer, l’ennesimo – con questo sono due in circolazione, ma saranno già una dozzina. Per dire che cosa non si sa. Che cosa ha detto o fatto Berlinguer per essere cosi celebrato? Già dieci anni un professore di Cinema, Andrea Minuz, cattedratico alla Sapienza, si interrogava rispondendosi: “Quando c’eravamo noi. Nostalgia e critica della sinistra nel cinema italiano da Berlinguer a Checco Zalone”. Berlinguer e Checco Zalone è irriverente, per caso?
 
Il sindacato dei camionisti, potente e numeroso, nega dopo trentacinque anni l’endorsement a Kamala Harris e al partito Democratico (per il Congresso) al voto del 4 novembre. C’è qualcosa nella campagna di Trump che ci viene negato: se è così sciocco e brutale, come mai viene alla pari con Kamala Harris nei sondaggi?  È l’America – a metà – sciocca e brutale?
 
Di fatto, si va al voto presidenziale in America tra cinque settimane al buio. La candidata Democratica Kamala Harris è celebrata ma come una vedette, una star, un’altra Taylor Swift che la patrocina. Come giudice non ha lasciato buona memoria a San Francisco, e come vice-presidente ha mostrato di non avere senso politico. Essere donna basta? Ma il raffronto con Hillary Clinton apre un abisso. 
 
Baudo, Sanremo, la Rai, il papa Ratzinger, il cardinale Ruini, Cossiga e la playstation, con il governo dell’ex comunista D’Alema messo su per fare la guerra alla Serbia, con un altro ex comunista presidente della Repubblica, Napolitano: Mastella rappresenta a Labate sul “Corriere della sera” in poche parole il vero governo dell’Italia. Che c’era e c’è, immutato, ma si fa finta che non ci sia. Il potere vero sotto le sigle, sempre lo stesso benché variamente camuffato, il potere confessionale. Finto confessionale, anche se i preti danno man forte. Alternanza? Bobbio? Democrazia, perché no – la democrazia non sempre è buongoverno.
 
“Volkswagen e Bmw si sono spostate sull’elettrico ma il loro elettrico non è competitivo… La Cina ha un elettrico a un prezzo irraggiungibile” - Valter Caiumi, presidente di Confindustria Emilia Centro. È come cinquant’anni fa per la auto giapponesi. L’Occidente non è il titano tecnologico che si vuole, non più da tempo - contro le auto giapponesi, oltre ai dazi, si arrivò a dire che si apriva il vano motore e dentro non c’era nulla, solo tubi…
 
Dunque, è stato Andrea Orcel, l’artefice del doppio miracolo Unicredit, la creazione del gruppo nel 1998 e la capitalizzazione ora quadruplicata, in meno di tre anni, l’artefice della patacca Antonveneta a Mps nel 2008, con 9 miliardi al venditore Santander, e il fallimento della banca – pagato dagli azionisti (grazie al bail-in della Concorrenza europea della nefasta Vestager, poi non più sentito). C’è chi vende e c’è chi compra, certo, di sua volontà, non obbligato. E la banca ha le se ragioni, come tutti. Ma quello di Mps-Antonveneta è un suicidio o un assassinio?
 
I giovani Berlusconi si fanno progressisti e inaugurano una casa editrice liberalsocialista, con Tony Blair. Il premier delle guerre: quella dell’Iraq, disastrosa, e quella - disastrosa ma non si dice – contro la Serbia. Che, rivela D’Alema a Verderami sul “Corriere della sera”, Blair voleva anche invadere con truppe di terra. Un premier dei servizi segreti – l’Inghilterra si compiace molto dei suoi MI 5 o 6, che le sue letterature celebrano.
 
Il calcio vuole diventare un’industria, con partite ogni giorno, accavallando tornei. Ma non è uno sport? E fa più soldi col tv, ma fino a quando? L’inaugurazione della nuova supermilionaria, incandescente, mondiale Champions’ League a Torino si fa in uno stadio vuoto. E si gioca un calcio mediocre: al risparmio, per stare in piedi tre giorni più tardi, al prossimo match : dei superorganici di 22 calciatori una buona metà corre per non si sa che cosa – o si sa: un ingaggio più milionario altrove alla riapertura semestrale del mercato. Viene da rimpiangere il calcio scommesse, almeno si impegnavano per il risultato su cui avevano puntato.


Il teatro si fa a Roma in maschera

Ma si parte dal teatro greco, con tutte le informazioni aggiornate su come nasce, su antiche feste dionisiache. Nasce per l’intuizione e nel format di Eschilo. Con i tragediografi e poi i commediografi ogni anno in gara. Con una produzione di migliaia di titoli, di cui noi quindi disponiamo delle briciole. E si continua a Roma con Plauto e Terenzio via Menandro, e qualche tragediografo – di cui solo Seneca residua (e la memoria, poi maledetta, del suo discepolo Nerone).
A Roma la tragedia è in ombra e gli spettacoli, che a differenza della Grecia sono liberi per tutti, gratuiti, vanno sul sollazzevole. Con un ruolo accresciuto, anzi obbligato, per le maschere – più che personaggi si vedono in scena tipi, ognuno con la sua fisionomia, nota e riconoscibile – una maschera.
Una mostra incredibilmente ben curata, con didascalie brevi ed esaustive, un ordinamento lineare, e pause perfino per riposare. Alcuni video sceneggiano, senza lungaggini, il tema. Terenzio, di cui si sottolinea che, come il nome indica, Terenzio Afro, era mezzo africano, probabilmente berbero (come poi sant’Agostino…- ma queste distinzioni non si facevano nell’impero romano) spiega se steso, la commedia sociale invece che farsesca. Un dialogo plautino va avanti tra due interlocutori che pensano cose differentissime - il malinteso, l’equivoco, la chiave di Plauto.
Teatro. Autori, attori e pubblico nell’antica Roma
, Museo dell’Ara Pacis, Roma